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Lele lo sa
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E-book635 pagine9 ore

Lele lo sa

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Info su questo ebook

13 Agosto 1999, la recluta Emanuele Scieri scompare improvvisamente all'interno della caserma Gamerra di Pisa. Il suo corpo straziato verrà ritrovato tre giorni dopo ai piedi di una torretta, in una zona adibita a discarica, nella stessa caserma.

Molti si ostinano a parlare di suicidio o incidente, ma già dalle prime indagini l'ipotesi più concreta è che il giovane sia stato vittima di una brutale aggressione.

Reticenze, bugie e silenzi affondano le indagini, che sfociano così in una serie di archiviazioni.

Sulla vicenda cala il sipario fino a quando, nel 2015, una Commissione parlamentare d'inchiesta riprende in mano il caso.

A distanza di tanti anni qualcosa si smuove e, finalmente, qualcuno si decide a parlare, tanto che la Procura ordinaria di Pisa e la Procura militare di Roma riaprono le indagini. Dopo più di vent'anni arriva la svolta: tre militari sono accusati di omicidio volontario in concorso e due ufficiali di favoreggiamento.

Questo libro è un viaggio dal 1999 ai giorni nostri per capire insieme cosa è andato storto, in quali anfratti è stato possibile nascondere la verità, ma soprattutto, come il tempo speso a ricercare la verità non sia mai tempo perso. Neanche dopo vent'anni.
LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2022
ISBN9791221445213
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    Anteprima del libro

    Lele lo sa - Claudia Carbone

    cover_lele_lo_sa_ebook

    13 Agosto 1999, la recluta Emanuele Scieri scompare improvvisamente all’interno della caserma Gamerra di Pisa. Il suo corpo straziato verrà ritrovato tre giorni dopo ai piedi di una torretta, in una zona adibita a discarica, nella stessa caserma.

    Molti si ostinano a parlare di suicidio o incidente, ma già dalle prime indagini l’ipotesi più concreta è che il giovane sia stato vittima di una brutale aggressione.

    Reticenze, bugie e silenzi affondano le indagini, che sfociano così in una serie di archiviazioni.

    Sulla vicenda cala il sipario fino a quando, nel 2015, una Commissione parlamentare d’inchiesta riprende in mano il caso.

    A distanza di tanti anni qualcosa si smuove e, finalmente, qualcuno si decide a parlare, tanto che la Procura ordinaria di Pisa e la Procura militare di Roma riaprono le indagini. Dopo più di vent’anni arriva la svolta: tre militari sono accusati di omicidio volontario in concorso e due ufficiali di favoreggiamento.

    Questo libro è un viaggio dal 1999 ai giorni nostri per capire insieme cosa è andato storto, in quali anfratti è stato possibile nascondere la verità, ma soprattutto, come il tempo speso a ricercare la verità non sia mai tempo perso. Neanche dopo vent’anni.

    Claudia Carbone, napoletana, giornalista e conduttrice radiofonica. Ha studiato economia e marketing alla Federico II di Napoli e alla Bocconi di Milano. Amante della danza e della recitazione, per la radio ha condotto programmi di intrattenimento. Il giornalismo d’inchiesta catalizza da sempre la sua attenzione, Lele lo sa è la sua prima inchiesta nonché il suo esordio letterario.

    Claudia Carbone

    LELE LO SA

    Il caso Scieri: tutto quello che dovreste sapere

    Titolo | Lele lo sa

    Autore | Claudia Carbone

    ISBN | 9791221445213

    Progetto grafico | CreaLibro

    Grafica di copertina | studio pym

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall’Autore tramite la piattaforma di Self-Publishing Youcanprint e l’Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    Indice

    Premessa

    Introduzione

    La storia

    Chi era Emanuele Scieri

    Il trasferimento a Pisa

    L’arrivo al Ceapar

    Il contrappello

    Il ritrovamento del corpo

    La posizione del corpo

    Le ipotesi iniziali

    Il suicidio

    L’autoprova di forza

    L’incontro con i nonni finito male

    Il nonnismo al Ceapar

    La testimonianza di M.

    La testimonianza di C.

    Le perizie medico legali

    La modalità di precipitazione

    Le lesioni alle mani

    Le lesioni al piede sinistro

    Le nuove perizie

    La perizia sulla dinamica di precipitazione

    La perizia antropologica

    L’ipotesi di ricostruzione finale

    1999: rilievi e analisi

    I rilievi iniziali

    L’esito delle analisi

    La traccia di sangue sul tavolo

    I pezzi di legno insanguinati

    La scopa di saggina

    La teglia

    I tavoli obliqui

    L’esame dei vestiti

    Due strane sostanze

    La traccia di ciclodestrina

    La traccia di gomma SBR

    1999: le indagini

    Al di là del muro

    Gli interrogatori

    Sequestro sì, sequestro no

    I carabinieri infiltrati

    1999: il filone delle segnalazioni

    La telefonata anonima

    La lettera

    L’uomo in treno

    Il rumore nella notte

    Ciancarella: la voce controcorrente

    Chi è Mario Ciancarella

    Il collegamento con il caso Scieri

    L’arresto

    Le dichiarazioni

    Viberti: timido o reticente?

    La sua versione e le contestazioni

    L’episodio della saponetta

    Il cambio d’umore

    Il trasferimento repentino

    La reazione al contrappello

    Considerazioni finali

    Come si è arrivati a oggi

    La vicenda di Filippo

    Matteo: il giro di boa

    Gli ex militari ascoltati oggi

    Il generale Celentano

    Lo Zibaldone

    La personalità del generale

    L’ispezione alla Gamerra

    La telefonata delle 23.48

    Il maggiore Romondia

    Il suo ruolo nel 1999

    Il coinvolgimento nelle indagini

    La versione di P.

    Il caporale Panella

    L’alibi

    L’indole

    Le intercettazioni

    Il caporale Zabara

    Il profilo

    Le dichiarazioni

    Il suo libro

    Il caporale Antico

    La personalità

    Le dichiarazioni

    Il rapporto con Panella

    Epilogo

    Ringraziamenti

    A Lele,

    che dovrebbe essere ancora qui.

    A Cristian,

    il primo a fidarsi di me.

    Nota dell’autrice

    I fatti rappresentati in questo libro così come da me raccontati trovano riscontro in verbali di interrogatorio, atti di indagine, notizie di reato, articoli di giornale e interviste personali da me fatte.

    La mia opera non si presterà ad alcun tipo di strumentalizzazione e non è un attacco a qualsivoglia istituzione, ma solo il tentativo di fare ordine nel mare magnum di una vicenda che per troppi anni è rimasta nell’ombra.

    Premessa

    Come si inizia a scrivere un libro? Non ne ho la più pallida idea, ma so che un ottimo punto di partenza è l’onestà. Mi sembra perciò corretto, prima di addentrarmi nei meandri spesso contorti di questa vicenda, raccontarvi di come sono entrata, prima in punta di piedi e poi lanciata a mille, in questa storia.

    L’anno era il 2014, Milano la città che mi ospitava. Dopo innumerevoli tentativi ero finalmente riuscita a entrare nella redazione del programma Le Iene, ero gasatissima e già mi vedevo in prima serata con i miei servizi a mettere sotto torchio tutti i cattivi d’Italia.

    In attesa di convincere il capo dei capi a mandarmi in onda, bazzicavo ogni anfratto della redazione, verificavo segnalazioni, andavo in missione per Iene senior e cercavo io stessa delle storie da poter raccontare.

    Ma le storie non si cercano, arrivano, un po’ come i principi azzurri nelle favole. E così è stato anche per me, mi riferisco alla storia, ovviamente, non al principe.

    Nel frattempo, continuavo anche a collaborare con una testata online di Napoli, la mia città natale. Fino a quel momento avevo principalmente fatto interviste, ma un bel giorno il direttore mi girò il comunicato stampa di uno spettacolo che si sarebbe tenuto a Roma nelle settimane successive.

    Lessi il foglio senza troppa partecipazione e da una scrivania anonima di Mediaset iniziai a scrivere il mio articolo. Era uno spettacolo sulla crudele uccisione di un giovane, mi piaceva il fatto che a metterlo in scena fossero dei ragazzi giovanissimi, forse li invidiavo un po’, l’altra strada che avevo percorso nella vita era la recitazione e anche se l’avevo temporaneamente accantonata, da qualche parte dentro di me pulsava ancora forte.

    Battiti teatrali a parte, scrissi l’articolo, ma prima di inviarlo rilessi un’ultima volta, con più attenzione, il comunicato stampa e mi accorsi di una cosa che prima non avevo notato: c’era scritto che la madre di questo ragazzo sarebbe stata presente alla prima dello spettacolo. La madre del ragazzo? Ma come, non era una storia inventata? Rilessi ancora una volta, non contenta chiamai anche l’ufficio stampa per avere maggiori dettagli e no, altro che inventata, lo spettacolo era ispirato alla storia vera della morte di un ragazzo, avvenuta nel 1999 in una caserma della Folgore a Pisa. Cacchio, cambiava tutto allora!

    Ricordo che alla luce di questo volli riscrivere l’articolo e nel finale aggiunsi: L’augurio che vogliamo fare a questo spettacolo è che laddove la giustizia dei tribunali non è riuscita a smuovere le coscienze, ci possa riuscire la giustizia poetica, come accadde nell’Amleto shakespeariano: oggi a Roma, come allora in Danimarca. Con quest’aulica citazione, intendevo riferirmi all’effetto shock che avrebbe potuto avere la messinscena di un dramma, che nella realtà si era svolto davvero, sulla coscienza di chi di quel crimine ne era stato l’autore, proprio come si narra nell’Amleto¹.

    Da quel preciso momento è nato in me il desiderio irrefrenabile di saperne quanto più possibile su questa storia. Contattai il regista dello spettacolo, fu lui a dirmi che i genitori di questo ragazzo avevano scritto un libro a cui lui stesso si era ispirato e infine conobbi la mamma di questo ragazzo di cui ora voglio svelarvi il nome: Emanuele Scieri, Lele, per tutti quelli che gli hanno voluto bene.

    Conoscere la mamma di Lele è stato senz’altro il mio punto di non ritorno, ascoltare una madre parlare della morte del proprio figlio, per di più perso in modo inspiegabile e barbaro, non può lasciare indifferenti e difatti quel giorno lasciai la signora con una promessa: avrei fatto qualunque cosa in mio potere per aiutare a far luce su questa tragedia.

    Ovviamente la prima cosa che pensai fu quella di proporre un servizio a Le Iene. A quel tempo di questa storia non parlava più nessuno, ero certa che un approfondimento in prima serata avrebbe fatto tremare la terra sotto i piedi di un bel po’ di persone e forse avrebbe scongelato anche qualche coscienza dormiente. Purtroppo la notevole distanza temporale con l’avvenimento e l’assenza di nuovi elementi non convinsero gli autori, dovetti mollare il colpo e abbandonare questa strada. Ero molto dispiaciuta, avevo paura che un altro strato di polvere, questa volta fatale, coprisse del tutto la vicenda. Allora non potevo sapere che il destino aveva in serbo qualcosa di molto più grande per questa storia, non lo schermo di una tv ma, qualche anno più in là, lo scranno di un’assemblea: una Commissione parlamentare di inchiesta.

    Ero delusa, sì, ma non mi sono arresa e da quel giorno con tenacia ho continuato a scavare, a addentrarmi sempre più nell’intricato puzzle che mi si stava delineando davanti, non ho smesso neppure quando sono andata via da Le Iene, neppure quando la vita mi ha riportata a Napoli e nemmeno quando ai tasti di un pc si è sostituito il microfono di una radio.

    Da quel freddo mese di inizio 2014, non c’è stato giorno in cui non abbia pensato a Emanuele Scieri o tempo libero in cui non sia stata con la testa immersa nelle carte, a cercare qualunque cosa che rendesse più chiara la visione di questo complesso puzzle. Non so quanti tasselli sia riuscita a sistemare, ma so che negli anni più e più persone si sono appassionate a questo rompicapo ed è proprio il caso di dire che la passione fa la forza. Il puzzle è ancora da terminare e chissà che immagine rimanderà quando sarà completo, a volte mi domando ancora se si riuscirà a finirlo. Non posso saperlo, ma so di sicuro che, ai pochi tasselli scuri e spaiati del 1999, se ne sono aggiunti molti altri dai colori vivaci e definiti. Persino voi, inconsapevolmente, in questo stesso momento ne state aggiungendo qualcuno prezioso leggendo questo libro.

    1 Nell’opera di Shakespeare, Amleto, principe di Danimarca, per verificare la rivelazione fattagli dal fantasma del suo defunto padre, secondo la quale a uccidere il genitore sarebbe stato suo zio che ambiva al trono del regno, fa mettere in scena da una compagnia teatrale un dramma simile nei contorni a cui avrebbe assistito anche suo zio. Dalla reazione che avrebbe avuto quest’ultimo, Amleto avrebbe potuto capire se le rivelazioni del fantasma fossero vere. Quando, durante la scena culmine dell’avvelenamento, suo zio esce dal teatro incollerito e visibilmente turbato, Amleto capisce che c’è davvero lui dietro la morte di suo padre.

    Introduzione

    Quello che spero di riuscire a fare, accompagnandovi in viaggio tra queste pagine, è dare un ordine all’ingarbugliato excursus di vicende che si sono susseguite dopo la morte di Emanuele Scieri.

    Troppa confusione, voluta o meno, si è creata attorno a questa tragedia nel corso degli anni. Inesattezze sommate a dicerie, bugie travestite da omissioni, dimenticanze inverosimili e ritardi imperdonabili hanno confuso così tanto le acque da far affondare la verità nel più profondo degli oceani, quello dell’oblio. Ma per fortuna le correnti, unite all’ardire di spericolati sub, anche a distanza di anni hanno la capacità di riportare a galla tesori che credevamo persi per sempre: la verità e la giustizia.

    La mia speranza è che alla fine possiate tutti farvi un’idea di come sono andate le cose. Ovviamente io per prima ho una mia personale opinione, che a tratti trasparirà dalle righe che mi accingo a scrivere, ma permettetemi di dire che la parzialità di certe mie convinzioni deriva dai tanti anni in cui sono stata letteralmente addosso a questa vicenda, a volte in maniera volutamente defilata, altre volte cavalcando in prima linea il fronte.

    La convinzione che vi farete potrà coincidere o meno con la mia, ma sono certa che al termine della lettura condividerete con me almeno questi tre desideri: che finalmente possa essere fatta giustizia, che Emanuele possa riposare in pace e che tutti quelli che l’hanno amato possano trovare, una volta e per sempre, la serenità che lo stesso Lele avrebbe augurato loro.

    Per venire a capo di questa vicenda ho attinto a numerose fonti: al libro scritto dai genitori di Emanuele nel 2007; alle inchieste condotte all’epoca dei fatti; a materiale da me raccolto dal 2014 in poi, tra cui numerose interviste a militari e altri personaggi; alle novità emerse grazie al lavoro della Commissione parlamentare istituita nel 2015; ai nuovi atti d’indagine.

    Il racconto non seguirà sempre un filo cronologico poiché a volte sarà più utile, ai fini della comprensione, accostare a fatti dell’epoca evidenze emerse in tempi recenti.

    Iniziamo col dire che, dopo la morte di Emanuele Scieri nel 1999, vengono aperte varie inchieste, dalla Procura militare di La Spezia, dalla Procura di Pisa, e anche un paio di inchieste militari interne.

    Nessuno di questi procedimenti approderà mai in un’aula di tribunale, tutti saranno archiviati e nessuno sarà mai formalmente imputato per la morte di Emanuele Scieri. L’unica persona che finirà in carcere per un certo periodo di tempo è un uomo che non ha avuto direttamente a che fare con la morte di Emanuele, ma di lui vi racconterò in dettaglio più avanti.

    Questo almeno è il corso della storia fino al 4 novembre 2015, giorno in cui la Camera dei Deputati approva a larghissima maggioranza la legge che istituisce una Commissione d’inchiesta per far luce sulla morte del militare Emanuele Scieri.

    Chi crede nei segni del destino, come la sottoscritta, non pensa sia una coincidenza il fatto che la Commissione sia stata creata il 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate.

    Coincidenza o no, è indubbio che quest’assemblea sia nata sotto una buona stella e che sia stata animata dallo strenuo lavoro dei commissari e dalla battagliera presidente on. Sofia Amoddio. A parlare sono i risultati di questo lavoro, evidenze così forti che nel 2017 spingono la Procura di Pisa a riaprire le indagini sul caso. Nel 2019, seguendo a ruota, le riaprirà anche la Procura generale militare, a dimostrazione del fatto che, su questo caso, c’era ancora molto da dire.

    Nell’impossibilità di far procedere due procure su uno stesso caso, nel febbraio 2021 si è pronunciata la Cassazione, che con una sentenza ha dichiarato competente la sola Procura pisana.

    A distanza di più di vent’anni e grazie agli esiti delle nuove indagini, a essere formalmente imputati della morte di Emanuele Scieri sono tre caporali del tempo. A corredo, sono imputati anche due ex ufficiali ora in congedo, con l’accusa di favoreggiamento e falsa testimonianza.

    Nelle prossime pagine vi racconterò tutte le indagini in dettaglio, per ora volevo solo vi fosse chiaro, almeno a grosse linee, quanto accaduto fino ai giorni nostri.

    Adesso è finalmente arrivato il momento di riavvolgere il nastro, si torna agli anni Novanta, andiamo a conoscere Emanuele Scieri.

    La storia

    Chi era Emanuele Scieri

    Vent’anni. Vi ricordate i vostri? Gli amici, le prime cotte che erano una botta in testa per lo stordimento che procuravano, le uscite a bordo di auto sgangherate, le prime ubriacature dove cerchi di capire il confine tra l’essere brillo e fuso, la tensione degli esami all’università per chi l’ha fatta o le prime difficoltà per chi già si affacciava al mondo del lavoro. Vent’anni sono un’età speciale. Ti affanni perché inizi ad assaggiare il vero sapore della vita, non sempre così dolce, ma allo stesso tempo ti senti invincibile perché sai di avere ancora tutta la vita davanti, tutto ti sembra possibile e a portata di mano, devi solo allungare il braccio e afferrarlo.

    Ed è giusto che tu ti senta così a vent’anni, perché è di quell’entusiasmo che dovrai cibarti nei momenti futuri quando, con non poca amarezza, constaterai che non proprio tutto quello che immaginavi è così facilmente realizzabile. Vent’anni non tornano più, conviene viverli tutti d’un fiato fino all’ultimo giorno prima dei trenta. Chi può.

    Emanuele Scieri nel 1999 è poco più che ventenne, ventiseienne per la precisione, vive nella splendida Siracusa e alle sue spalle può contare su una famiglia unita e felice. La mamma Isabella è un’insegnante, il papà Corrado è un funzionario dell’intendenza di finanza e poi c’è Francesco, l’adorato fratello maggiore, che studia per diventare medico.

    Emanuele non è un tipo solitario, da buon siciliano è solare, ama circondarsi di tanta gente e le persone amano averlo attorno. Ha un folto gruppo di amici con cui condivide uscite spensierate, momenti di profondo confronto e i fantastici cannoli del bar Sicilia di Noto, per cui Lele ha una letterale venerazione. È anche un bel ragazzo Emanuele, una chioma bionda che svetta dall’alto dei suoi 182 centimetri di altezza, un tipo normanno, un bel tipo. Pigro? Per niente. È uno sportivo, di quelli che passano dal calcetto, al tennis, allo sci con la scioltezza di un cambio d’abito.

    E per quanto già tutte queste qualità potrebbero risultare indigeste agli invidiosi, non è finita, Emanuele è anche un ragazzo molto responsabile, di quelli che sanno cogliere i frutti del proprio impegno. Ed è proprio grazie alla sua determinazione che nel novembre del 1998 può festeggiare con amici e famiglia un traguardo importante: la laurea in Giurisprudenza. Non è un percorso scelto a caso, Lele ha le idee chiare e non gli dispiacerebbe proseguire gli studi accademici per intraprendere una carriera in magistratura.

    Provoca una fitta al cuore oggi pensare che sì, la magistratura sarebbe entrata prepotentemente a far parte della sua storia, ma in un modo che nessuno allora avrebbe mai potuto, né voluto, immaginare.

    Se pensate che dopo la laurea si culli sugli allori di questo primo importante successo, non avete capito il tipo, perché Emanuele dopo poco collabora già con uno studio legale di Catania dove inizia il praticantato.

    Inutile girarci attorno, Emanuele è il tipico bravo ragazzo, pure di bell’aspetto, quello che ogni mamma orgogliosamente vorrebbe come figlio o, perché no, come genero.

    Nel 1999 era ancora prevista la leva obbligatoria e quando giunge anche per Emanuele la famosa chiamata alle armi, lui, fedele al senso di responsabilità che lo contraddistingue, non pensa nemmeno per un attimo a qualche mezzuccio per eludere l’impegno.

    Interrompe il praticantato presso lo studio legale di Catania e parte per prestare servizio nel rinomato corpo dei paracadutisti, la nota Brigata Folgore.

    La scelta del corpo militare l’ha compiuta anni prima, ma anche questa decisione appare in linea con il suo spirito maturo e intraprendente: se leva deve essere, che sia allora un’esperienza davvero formativa. E mantenere il sangue freddo mentre ci si lancia da un aereo sarà sicuramente un’esperienza di cui far tesoro e che potrà tornare utile anche in futuro, nella vita da semplice civile. La madre ricorda che Emanuele aveva presentato anche domanda come ufficiale di complemento, aveva svolto persino le prove, ma non era stato ancora chiamato. Non si risparmiava Emanuele, entrava a capofitto in ogni esperienza della vita.

    Ed è armato di questo spirito volitivo che il 21 luglio 1999 parte da Siracusa alla volta di Scandicci, in provincia di Firenze, per svolgere il Car² presso la caserma Lupi di Toscana. Lì trascorrerà qualche settimana per ricevere l’addestramento di base, al termine del quale poi sarà inviato al corpo di assegnazione, la Brigata Folgore appunto.

    Chiunque abbia fatto il Car sa che si conclude con un momento molto emozionante per tutti, il fatidico giuramento, l’atto con cui ogni giovane militare si impegna ad agire con rispetto e fedeltà verso le istituzioni del proprio Stato. Va da sé che lo Stato dovrebbe ricambiare con la stessa moneta.

    Il 7 agosto 1999 è il giorno in cui lo scaglione di Emanuele presta giuramento, la famiglia di Lele non può mancare, mamma, papà e fratello accorrono per assistere alla cerimonia e festeggiare un altro lieto traguardo. È anche l’occasione per trascorrere un po’ di tempo insieme e visitare la meravigliosa Firenze, sono i giorni spensierati di una famiglia in vacanza. Nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati gli ultimi insieme a Emanuele.

    Il trasferimento a Pisa

    L’idillio fiorentino dura poco, l’impegno preso nei confronti dello Stato richiama all’ordine Emanuele e i suoi compagni di leva. Terminato il Car, il 13 agosto 1999, i militari appartenenti al 7°/99, tra cui Scieri, vengono trasferiti da Scandicci a Pisa presso la prestigiosa caserma Gamerra, dove finalmente riceveranno l’addestramento per diventare paracadutisti.

    Ma se il soggiorno a Scandicci, nonostante i ferrei orari, le marce serrate e i mille ordini da eseguire, è trascorso abbastanza serenamente per tutti, la vita a Pisa non è destinata a essere la stessa. Questo concetto viene ribadito più volte alle reclute nel mese di Car: il clima alla Gamerra sarà più pesante, lì sfaticati e indisciplinati non la faranno franca.

    Che il clima sia destinato a cambiare le sessantanove reclute del 7°/99 lo capiscono già dal momento in cui salgono sui due pullman che li condurranno a Pisa. I caporali incaricati di effettuare il trasferimento, infatti, non perdono tempo e colgono al volo l’occasione per far respirare ai giovani militari la nuova aria di rigore e sottomissione che tirerà alla Gamerra.

    Parte perentorio il primo ordine: le reclute dovranno viaggiare per tutto il tempo, un’ora e trenta minuti circa, immobili nella posizione della sfinge, ovvero schiena rigida distanziata dal sedile, mani a paletta ferme sulle ginocchia, testa ferma con lo sguardo rivolto in avanti e divieto assoluto di parlare. Non solo, i caporali impongono di tenere calzato il basco, chiudono i finestrini e aprono la ventola dell’aria calda, premure gradite se ci si trovasse al 31 dicembre, meno apprezzate il 13 agosto, dove la temperatura esterna sfiora già abbondantemente i 30 gradi.

    Ad alcune reclute viene praticato anche il cosiddetto battesimo, il caporale stacca dall’uniforme militare il velcro su cui vengono apposte le mostrine e lo strofina forte sul volto del malcapitato provocandogli qualche graffio, strappa poi il primo bottone della mimetica e colpisce la recluta con due pugni al petto. La pratica non viene fatta esattamente con la stessa delicatezza con cui un sacerdote tratterebbe un neonato, tanto che un commilitone seduto vicino alla recluta battezzata rilascia la seguente dichiarazione: Gli ha tirato (NdA il caporale) due pugni con forza sul petto, la forza dei cazzotti era tale da far tremare il sedile, a momenti si rompeva, a me sembrava che gli stesse spezzando la gabbia toracica. Il clima senza ombra di dubbio era cambiato, anzi oserei dire che tuonava.

    Molto si è detto su questo fantomatico viaggio in pullman, anche perché solo in seguito alla morte di Scieri verrà denunciato come atto di nonnismo e i caporali responsabili sottoposti a procedimento e poi condannati³.

    Iniziamo col dire che la sfinge era una prassi che veniva imposta a ogni scaglione prelevato a Scandicci e diretto a Pisa. Uno dei caporali presenti sul bus quel giorno, non uno di quelli direttamente coinvolti nell’atto, mi ha confermato che lui stesso aveva subito quell’accoglienza tempo addietro, era perciò una cosa normale, risaputa e, più nel male che nel bene, accettata da tutti.

    Sul punto ho sentito molti commilitoni di Emanuele e la maggior parte di loro mi ha detto che il viaggio in sé non è stato niente di così traumatizzante, sicuramente un paio d’ore pesanti, ma nulla che facesse temere pericoli incombenti. Di certo una simile accoglienza dava l’idea che le cose nella nuova caserma sarebbero state molto più rigide, anzi, è probabile che fosse proprio il motivo per cui veniva imposta questa pratica, solo nominalmente, presa a prestito dagli Egizi.

    Allo stesso modo mi è stato fatto notare che uno scaglione è composto da tanti ragazzi di diverse età, ognuno con una specifica personalità, ci può stare quindi che qualcuno più suscettibile, già intimorito dai racconti che giravano sui temibili paracadutisti, possa essere rimasto maggiormente turbato da questo primo impatto con il nuovo ambiente della Gamerra.

    Per un periodo è girata la voce che sul pullman dove viaggiava Scieri fosse successo qualcosa in più, forse una disputa con i caporali da risolvere poi in altre sedi, ma ho parlato con il commilitone che sedeva accanto a Emanuele e mi ha confermato che è stato un viaggio tutto sommato tranquillo. Anzi, essendo entrambi seduti nelle ultime file, il compagno aveva proposto a Emanuele di ammorbidire la posizione in quanto non visibili dalla testa del bus, ma Lele gli aveva saggiamente consigliato di continuare a fare come loro ordinato per evitare inutili problemi.

    Pare poi che il ten. Amoriello, vice comandante della Prima compagnia Reparto corsi e unico ufficiale incaricato di presiedere al trasferimento, appena salito sul bus – lo stesso di Scieri – avesse per primo lamentato il caldo e aperto alcuni finestrini, facendo girare almeno un po’ d’aria nel mezzo.

    Ma se la prassi della sfinge è ampiamente nota e tacitamente condivisa, perché allora i tre caporali che la impongono si ritrovano denunciati dopo qualche giorno?

    Secondo uno di loro, la denuncia è stata solo una conseguenza della vicenda che avrebbe coinvolto, in fatti ben più tragici, lo Scieri poco dopo. Qualche anno fa l’ho sentito e mi ha riferito: Quello che ti posso dire è che tenenti […] si son parati il culo […]. Questa posizione della sfinge e cazzate varie, quelle cose lì […] erano sul pullman loro, hanno visto, hanno presente cosa succedeva, cosa non succedeva, ovviamente hanno rigirato il tutto, perché loro son di carriera. L’hanno rigirata un po’ nel culo a noi di leva, perché sennò saltava il lavoro a loro, invece hanno detto questi qua per nonnismo si beccano un po’ di rigore e finisce lì.

    A parer suo, quindi, se non fosse successo niente a Scieri, sarebbe passato tutto sotto traccia, come sempre a ogni trasferimento. Al tempo non avevo ancora elementi a sostegno o confutazione di questa tesi e mi limitai a prenderne atto. Oggi che ho maggiore consapevolezza di certe dinamiche, mi sembra una lettura plausibile: ci scappa il morto, dobbiamo acciuffare gli squali, non abbiamo la più pallida idea di dove andare a pescarli, iniziamo a tirar su qualche pesce spada, così intanto abbiamo qualcosa da mettere nel piatto.

    L’arrivo al Ceapar

    Imbalsamati nella posizione della sfinge e dopo aver subito un rallentamento dovuto alla rottura di un bus, finalmente, verso le 12, Emanuele e i suoi compagni giungono al Ceapar.

    Ad attenderli c’è il comandante del Reparto corsi ten. col. Emilio Ratti. L’ufficiale, dopo aver introdotto a grosse linee le regole della nuova caserma, si premura di distribuire a ogni recluta un foglio sul nonnismo. Apponendo la propria firma in calce a questo documento, ogni recluta si impegna a denunciare qualunque atto di nonnismo possa subire a partire da quel momento o di cui possa essere anche involontario testimone.

    Quella del foglio sul nonnismo era stata un’idea del comandante, introdotta per la prima volta in occasione dell’arrivo del 7°/99, come dichiara lo stesso ufficiale nel 2017 alla Commissione parlamentare: "Per questioni mie caratteriali ho sempre cercato di contrappormi a quelle che potevano essere le minime cose, perché era una cosa che mi dava noia in generale. […] Poi è accaduto, mi sembra una settimana prima (NdA della morte di Scieri) un caso in cui una mamma mi aveva chiamato perché il figlio aveva subito degli atti di nonnismo, questo ragazzo era quello che mi portava la posta da firmare, quindi ho pensato possibile che non sono riuscito a vedere negli occhi di questo ragazzo?, perché io parlavo spesso con i militari. Quindi quando questa madre telefonò dissi subito signora, mi dispiace tanto, passiamo subito alla denuncia e la cosa fu denunciata. Dopo quella cosa che mi aveva dato noia […], in quella settimana mi inventai questo stampato, in quell’occasione fu la prima volta".

    Dopo l’accoglienza del col. Ratti, di gran lunga più cordiale di quella dei caporali sul bus, i ragazzi si dirigono in mensa per il pranzo e subito dopo, intorno alle 15.30, vengono condotti al magazzino di casermaggio per ritirare lenzuola e cuscino per le brande.

    Dopo aver prelevato il cosiddetto cubo, le reclute vengono nuovamente riunite per la comunicazione dei nominativi di coloro che avrebbero potuto usufruire dell’agognata licenza.

    Poiché i corsi di addestramento, in occasione dell’imminente Ferragosto, erano sospesi, il gen. Calogero Cirneco, all’epoca comandante del Ceapar e in quel periodo in ferie, prima di partire aveva dato disposizioni al suo vice, col. Pier Angelo Corradi, di largheggiare con le licenze.

    In particolare Cirneco ha dichiarato in Commissione: Il comando Brigata aveva autorizzato e io allora avevo ordinato di mandare tutto il personale possibile in licenza, in modo da far recuperar loro tutte le ferie non fatte […], tant’è vero che avevo anche ordinato lo stesso discorso per i militari del gruppo appena arrivati (NdA quelli del 7°/99, lo scaglione di Scieri). Avevo ordinato che il gruppo appena arrivato fosse suddiviso in tre gruppi: un gruppo doveva essere mandato subito in licenza, scelto fra quelli più lontani; un gruppo, fra quelli più vicini, doveva essere mandato in permesso di 48 ore per il periodo di Ferragosto […].

    Stando alle direttive impartite dal generale, quindi, il criterio per concedere le licenze doveva premiare le reclute con la residenza geograficamente più lontana da Pisa, sarebbero stati quei militari a partire per primi. A scegliere chi mandare in licenza è il ten. Amoriello ma, non si sa per quale motivo, non segue alla lettera le disposizioni del suo superiore, visto che a Emanuele Scieri, residente a Siracusa, non concede la licenza. Sono liberi di usufruirne, invece, commilitoni residenti in luoghi molto più prossimi come Pescara o Roma.

    Lo stesso Scieri, sorpreso di non trovarsi nel gruppo dei prescelti, si reca dall’ufficiale per chiedere di essere aggiunto al gruppo dei fortunati, ma la sua richiesta non viene accolta.

    Un commilitone di Scieri ascoltato in Commissione riferisce che Emanuele, rientrato in camerata, raccontò loro che la motivazione addotta dal tenente sulla mancata concessione della licenza fosse il fatto che abitasse troppo lontano. Una motivazione che lascia spiazzati visto che una tale distanza sarebbe dovuta essere, al contrario, il jolly per poter usufruire di una licenza.

    Anche un’altra recluta ricorda la reazione di Emanuele: "Ce l’avevo vicino, era dispiaciuto di non tornare a casa. Abbiamo avuto uno scambio di opinioni, gli dissi se non andrai a casa questa settimana sarà la prossima o quella dopo ancora. Però diceva che essendo lui molto lontano, per tornare a casa avrebbe impiegato molte più ore di me che abitavo a Roma".

    La frase del gen. Cirneco mi picchiettava in testa: Un gruppo doveva essere mandato subito in licenza, scelto fra quelli più lontani, e siccome, oltre a essere puntigliosa, non mi sono mai piaciute le ingiustizie, ho preso un bel disegno della nostra Italia con tutte le province e mi sono detta: vediamo un po’ da dove venivano tutti questi ragazzi. Cerchiettino rosso dopo cerchiettino, ho segnato tutte le residenze delle reclute. Al termine saltava subito all’occhio, anche di un presbite, che Emanuele Scieri non era tra quelli più lontani, era il più lontano, come lui nessuno mai.

    Perché allora non dargli da subito la licenza, ma addirittura negargliela in seguito a esplicita richiesta?

    Questa domanda è stata fatta più di una volta al ten. Amoriello, che fornisce le seguenti motivazioni. Il 23 agosto 1999 ai carabinieri dice: Nel corso del saluto di benvenuto ho concesso a 26 dei 68 allievi della mia Compagnia – due erano destinati alla banda musicale – una licenza di gg. 5+1, l’elenco dei quali vi consegno copia. Tra questi non compare lo Scieri. La suddivisione è avvenuta in maniera del tutto casuale, mi era possibile per disposizioni interne, consentire solo a una parte di essi di fruire della licenza e l’ho fatto.

    Il 28 gennaio 2020, sentito nell’ambito delle indagini della Procura militare, dichiara invece: […] c’ho ripensato per giorni e non riesco a venirne a capo, cioè non riesco a ricordarmi perché lo Scieri, benché fosse tra coloro che abitavano più lontano, non fu incluso nel gruppo dei partenti in licenza. Se non ricordo male fu fatto un elenco secondo le distanze e riferito allo Scieri, probabilmente, la licenza non gli fu rilasciata subito perché io o chi approntò l’elenco, forse il furiere, considerammo che lo Scieri abitava troppo lontano per potersi recare a casa con una licenza di pochi giorni.

    Caso o scelta deliberata dunque? Poco importa, perché in entrambe le ipotesi la decisione contravveniva alla disposizione di un superiore, e non di uno qualsiasi, bensì del comandante della caserma. E se ho imparato qualcosa da questa storia, mi pare che disobbedire a un ordine impartito da un superiore non sia propriamente un’inezia in ambito militare. O forse lo è a seconda di chi disobbedisce.

    In secondo luogo, mi verrebbe da sottolineare che una licenza di cinque giorni più uno non sono proprio una manciata di ore, ma un tempo più che sufficiente per raggiungere Siracusa e goderne. Senza dimenticare che, treni a parte, anche al tempo era possibile prendere un aereo, sicuramente non c’erano le tariffe super scontate Ryanair a 8,99 €, ma era pure lontana l’epoca del primo volo Londra/Parigi a 1.800 €! Tra le altre cose, considerando che Sicilia e Calabria sono da sempre due regioni ugualmente complesse da raggiungere, non si capisce perché un commilitone di Emanuele, residente in provincia di Reggio Calabria, benefici invece della licenza con anche l’aggiunta di un giorno. Infine, non è che durante il servizio militare piovessero licenze, cosa avrebbe dovuto aspettare Emanuele per rientrare a casa, una licenza di quindici giorni? Sempre sei o sette giorni avrebbe avuto, o comunque giù di lì.

    Insomma, non c’era nessun motivo per cui a Emanuele Scieri fosse negata la licenza. Magari, gli fosse stata concessa, sarebbe stata molto più di una vacanza, sarebbe stata un dono per la vita.

    Ma la decisione ormai presa è inderogabile, a Emanuele per quel giorno non resta che godere della libera uscita. Alle 18.30, dopo aver cenato in mensa, esce a fare un giro con altri commilitoni, destinazione Piazza dei Miracoli, tutti sono molto curiosi di vedere la famosa Torre.

    Emanuele, nonostante la delusione per la mancata partenza, è rilassato e tra le 20.30 e le 21 sente al telefono sia i genitori che il fratello Francesco. Anche la madre confermerà questo suo stato d’animo nei giorni seguenti in Procura: L’ho sentito tranquillo, sereno, mi ha detto che si sentiva in vacanza.

    Tra una birra, una chiacchiera e qualche sigaretta, la serata scorre veloce, è piena estate, la stagione della leggerezza di abiti e di testa, le delusioni non hanno vita lunga ed esplorare una nuova città mette sempre una certa euforia. A un certo punto i giovani militari si accorgono che è ora di fare rientro in caserma, si incamminano perciò sulla via del ritorno, ma prima di superare i controlli all’ingresso, fanno un’ultima tappa a un bar poco distante da lì, il ritrovo noto come bar dei paracadutisti. Al bancone le reclute incontrano altri militari con cui si intrattengono a consumare un’ultima, questa volta per davvero, bibita.

    Mentre qualcuno ne approfitta per comprare le sigarette, qualcun altro coglie al volo l’occasione per chiedere ai militari più anziani informazioni sull’imminente corso palestra. I toni sono cordiali e gli anziani rassicurano i nuovi arrivati sul fatto che durante l’addestramento il tempo volerà. Dai ricordi di un commilitone anche Emanuele si ferma a parlare con un anziano, un tipo un po’ calvo sui venticinque anni, la recluta sente distrattamente che i due parlano di laurea, pensa che forse anche l’anziano è fresco laureato, sente poi Emanuele lamentarsi di essere troppo avanti con gli anni.

    Intorno alle 22.15 il gruppetto rientra in caserma, ma mentre la maggior parte delle reclute si dirige in camerata, Emanuele e un suo pari scaglione, Stefano Viberti, decidono di restare fuori ancora un po’ per fumare una sigaretta. I ragazzi sfumacchiando si avviano lungo il viale che percorre l’ingresso posteriore delle compagnie, quello confinante con il muro di cinta a sud della caserma.

    Arrivati all’altezza del magazzino di casermaggio, lo stesso dove solo qualche ora prima avevano ritirato il cubo, Viberti dice che Scieri gli manifesta la volontà di fare una telefonata, come a intendere di voler rimanere da solo per farla.

    Con la scusa di ritrovarsi a breve in camerata, i due si salutano, Viberti a questo punto torna verso la Prima compagnia, distante circa un centinaio di metri da quel luogo.

    Ma non si ritroveranno a breve, perché quello sarà l’ultimo momento in cui Scieri sarà visto, vivo almeno. Da qui in poi solo ipotesi, alcune surreali, altre tremende ma di gran lunga più realistiche.

    Intanto nelle camerate le reclute si preparano per la prima notte nella nuova caserma, l’atmosfera è carica di elettricità per quella tensione che crea la novità quando si mischia all’ansia. I ragazzi sono esausti: si trovano in un nuovo ambiente, con regole diverse e più severe, hanno dei nuovi caporali con cui familiarizzare, senza contare lo stress per il bollente trasferimento della mattina.

    Rientra anche Viberti e a chi gli domanda di Scieri dice che è rimasto fuori a telefonare. Si avvicina sempre più il momento del contrappello ed Emanuele è ancora assente, la circostanza inizia a sembrare davvero insolita e a destare qualche preoccupazione. Dov’è finito Scieri? Questo è quello che si domandano le reclute, prefigurando già i guai che avrebbe avuto con i caporali se non fosse rientrato in tempo.

    La cosa assurda è che è successo al contrappello, – mi ha raccontato un commilitone di Emanuele – noi era la prima sera che eravamo lì, al contrappello eri a letto, avevamo una paura della Madonna. Era la prima sera in caserma, non farsi trovare al contrappello è proprio da scemi. Ed Emanuele Scieri era tutto tranne che scemo.

    Il contrappello

    Caos. È questa la parola più adatta per definire il momento del contrappello avvenuto alle 23.45 del 13 agosto 1999. Dico caos perché, leggendo e rileggendo i verbali di chi svolse quel compito, pur potendo individuare dei punti fermi a cui aggrapparsi, si ondeggia di continuo in un mare di contraddizioni, che alla fine un po’ di malessere lo provoca.

    Quella sera erano tre i militari assegnati al contrappello: il caporale di giornata De Silvestris, il furiere De Martin e il sergente maggiore Pugliese. Quest’ultimo, in qualità di militare in servizio permanente, avrebbe dovuto presiedere l’operazione in una sola tra la tre compagnie del Reparto corsi a sua scelta, ma dato l’arrivo del nuovo contingente il comandante di Battaglione lo assegna direttamente alla Prima compagnia, quella di Scieri appunto.

    Il contrappello è un momento importante, rappresenta l’atto formale con cui i militari chiudono la giornata, è il check definitivo prima di poter crollare finalmente a letto. Fondamentale per ogni militare è farsi trovare in perfetto ordine accanto alla propria branda.

    Che sia una circostanza campale lo conferma l’ulteriore ordine impartito dal col. Ratti a Pugliese: rimanere all’interno della Prima compagnia fino a mezzanotte e mezza, ben oltre l’orario del contrappello quindi. Il motivo è spiegato da Pugliese stesso: Quell’orario è a rischio perché qualche nonno in epoca passata andava a fare qualche bravata in danno degli allievi, […] perché non ci sono più controlli dopo il contrappello. Gli unici controlli dalle undici e mezzo fino alla sveglia sono quelli che fanno l’ufficiale di picchetto e il sottufficiale di ispezione secondo gli orari stabiliti dal comandante della scuola.

    Vedremo poi che il concetto di epoca passata è qui usato quasi come licenza poetica, visto che si riferisce a fatti di sole poche settimana prima, ma non fatemi correre per ora, capirete bene in seguito cosa intendo.

    Per il momento limitiamoci a osservare due cose. La prima è che questa raccomandazione contraddice in pieno il principio spesso enunciato dai militari secondo cui il primo mese in caserma le reclute erano considerate intoccabili e quindi ignorate dai militari più anziani. Se fosse stata vera questa regola, infatti, che senso avrebbe avuto l’ordine di sorvegliare le reclute?

    La seconda, non meno importante, evidenzia come agli ufficiali fosse ben nota la possibilità che alle reclute potesse succedere qualcosa di grave, tanto da doversi raccomandare con i sottufficiali di vegliare sui nuovi arrivati.

    Ma arriviamo al punto fermo: quando gli addetti al contrappello chiamano Scieri, più di un commilitone segnala che Emanuele è rientrato in caserma dalla libera uscita e si è intrattenuto fuori a telefonare, su questo non c’è più alcun dubbio.

    Per un certo periodo di tempo, però, circola la voce che i commilitoni di Scieri quella sera non fossero stati precisi nell’indicare l’ultimo avvistamento del loro compagno. Lo riferisce ad esempio Pugliese alla Procura di Pisa nel 1999: Quando lo Scieri non rispose al contrappello qualcuno disse che era rientrato e qualcuno disse che era riuscito. Non sentii dire da qualcuno che era riuscito per fare qualcosa. E ancora, sempre Pugliese nel 2000: […] non mi è stato assolutamente riferito che lui fosse all’esterno della camerata ma dentro la caserma.

    Dichiarazioni più verosimili fanno invece gli altri due addetti al contrappello. De Martin afferma: Quando sono ritornato indietro ho sentito dire dal caporale di giornata De Silvestris che parlava con un allievo di cui non ricordo il nome, che lo Scieri era assente. […] Quando ho visto il caporale che parlava con l’allievo ho anche sentito dire da quest’ultimo che lo Scieri era uscito per fare una telefonata.

    La versione più completa la fornisce De Silvestris nell’ottobre 1999 al pm Jannelli: Ricordo che al nome dello Scieri nessuno rispose, domandai io insieme al furiere e al sergente mag. Pugliese se qualcuno sapesse dove si trovava lo Scieri. La domanda fu rivolta indistintamente agli occupanti la camerata e da più allievi ci venne detto che lo Scieri era rientrato in caserma verso le 22.15-22.20 e che si era allontanato verso lo spaccio. Con lo spaccio si intendeva riferirsi al circolo truppa. Preciso che le informazioni che apprendemmo dagli allievi erano che lo Scieri si era allontanato verso lo spaccio per fare una telefonata.

    Il pm fa però notare al caporale che il 19 agosto, sentito dai carabinieri, non aveva dichiarato la circostanza che Scieri si fosse allontanato verso lo spaccio per fare una telefonata.

    De Silvestris motiva l’omissione dicendo che questo dettaglio non gli era stato chiesto dai carabinieri. Una giustificazione che lascia qualche perplessità, non mi risulta infatti che chi interroga debba prospettare tutte le possibilità di una circostanza finché non becca quella giusta e allora l’interrogato conferma. Per la serie: Ci dica dunque se quella sera Scieri si è allontanato: a) verso lo spaccio; b) verso i bagni della camerata; c) era nel cortile della compagnia, d) nessuna delle precedenti.

    Ma c’è un altro elemento che salta agli occhi nelle dichiarazioni rilasciate da De Silvestris ai carabinieri il 19 agosto. Il caporale ricorda il momento in cui chiama il nome di Scieri a vuoto: Non ricordo chi ci ha risposto di averlo visto regolarmente rientrare dalla libera uscita. Abbiamo subito quindi pensato che si trattasse di un mancato rientro così come talvolta accade.

    Questa affermazione è un nonsense. Se dici che ti hanno riferito che Scieri è rientrato regolarmente dalla libera uscita, come puoi un istante dopo affermare di averne dedotto il mancato rientro? O qualcuno rientra regolarmente o non rientra proprio.

    Quindi, la circostanza che Scieri sia all’interno della caserma, da qualche parte, probabilmente nei pressi dello spaccio (che non era molto distante dalla zona del magazzino dove lo lascia Viberti), viene posta all’attenzione dei militari, che però non ne tengono conto.

    Ecco cosa dichiarano in merito alcune reclute: Fu sempre il Picelli e gli altri ragazzi che erano usciti con loro (NdA con Picelli e Scieri) quella sera, comunque non li ricordo, che dissero che era impossibile che lo Scieri si fosse allontanato e ricordo che tutti iniziammo a parlare tra di noi e i caporali visto il brusio ci intimarono di stare zitti e calmi perché a cercarlo ci sarebbero andati loro. E ancora, un’altra recluta: "Dissero lo cerchiamo noi state tranquilli. Sì perché probabilmente nel modus operandi in quella determinata situazione nell’ambiente della caserma loro erano quelli preposti a cercarlo, noi saremmo dovuti andare in branda e non preoccuparci di niente".

    Tutto comprensibile fino a qui, non si potevano mica sguinzagliare reclute come cani da tartufo alla ricerca di Scieri, per una caserma immensa che non conoscevano minimamente, molto più logico e responsabile che fossero direttamente gli addetti al contrappello a verificare dove potesse esser finito Scieri. Peccato che la loro fosse una promessa da marinai. Nei fatti i militari non ci pensano proprio a cercare Scieri e si limitano a segnarlo nel rapportino apposito come un mancato rientro, cioè come se Emanuele non avesse mai messo piede in caserma quella sera dopo la libera uscita.

    La spiegazione di questo disinteresse la fornisce De Silvestris alla Procura di Pisa: Il fatto che ci fosse stato riferito che lo Scieri era rientrato in caserma e che si trovava fuori dalla camerata non aveva per noi alcun rilievo ai fini del nostro comportamento, non eravamo tenuti, anzi non dovevamo attendere il suo rientro ovvero uscire fuori dalla camerata a cercarlo. I nostri compiti erano ben precisi: scrivere che l’allievo non aveva risposto al contrappello con l’indicazione del mancato rientro, quindi una volta esaurito il contrappello, consegnare il rapportino della sera all’ufficiale di picchetto. Al pm pisano viene spontaneo domandare allora al caporale cosa avrebbe fatto se le reclute gli avessero detto che Scieri si trovava fuori dalla camerata a fare una telefonata. De Silvestris risponde candidamente: Probabilmente sarei uscito fuori e l’avrei sollecitato al rientro.

    Quindi se Emanuele si fosse trovato fuori dalla camerata il suo compito avrebbe magicamente potuto contemplarne la ricerca? Qual era il problema, la pigrizia? La ricerca era in funzione dei metri da fare? Entro i 30 lo cerchiamo, oltre che si freghi?

    Il caporale continua a giustificarsi al pm così: … Ho ritenuto che non fosse mio compito quello di cercarlo per tutta la caserma perché ciò avrebbe comportato una deroga impossibile allo svolgimento del mio compito di procedere senza interruzioni rilevanti al contrappello.

    Cercarlo per tutta la caserma, addirittura? E perché mai? La zona indicata dalle reclute era precisa e circoscritta, verso lo spaccio avevano detto, un’area non così distante dalla Prima compagnia, mica serviva fare il giro del mondo.

    Se poi la preoccupazione principale era quella di sottrarre tempo al complesso compito di registrare la presenza di sessantanove reclute, urge ricordare che a svolgere questa delicata operazione erano in tre. Magari due potevano restare in camerata e uno andare verso la zona dello spaccio. Ma evidentemente poi si scombinava la procedura: chi reggeva il foglio? Chi pronunciava il nome? Chi segnava la presenza? Chi andava a consegnare il rapportino? Mi domando, a questo punto, come nelle scuole di tutto il mondo questa procedura possa essere svolta da un solo insegnante di fronte a un esercito di studenti spesso scalmanati.

    Tra l’altro, tutta questa solerzia e non si riesce nemmeno a capire chi effettivamente

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