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Emozioni in volo
Emozioni in volo
Emozioni in volo
E-book283 pagine3 ore

Emozioni in volo

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Info su questo ebook

In questo libro l’autore descrive il suo ultimo giorno di servizio in un Reparto di volo dell’Arma. Un giorno apparentemente come gli altri, ma in realtà colmo di emozioni e velato da un po’ di tristezza poiché dal giorno seguente non avrebbe più solcato il cielo, quell’ambiente che gli ha regalato paesaggi stupendi e sensazioni uniche. Felicità per il traguardo raggiunto, ma anche tanti ricordi sia della sua giovinezza sia di volo.
Le missioni descritte rappresentano le più significative dell’attività operativa svolta quale membro degli equipaggi fissi di volo nell’Arma, dal soccorso alla ricerca.
Adrenalina, amori, emozioni ma anche sentimenti di tristezza per la perdita prematura di alcuni colleghi si susseguono durante il giorno più intenso della carriera: quello del congedo.
Tutto ciò rimarrà custodito in un angolo recondito del cuore, legato dal magico filo dei ricordi.
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2020
ISBN9788833465715
Emozioni in volo

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    Anteprima del libro

    Emozioni in volo - Claudio Di Blasio

    Ringraziamenti

    Prefazione

    Sono trascorsi alcuni anni dalla data del mio pensionamento, ma il ricordo delle tante missioni eseguite a bordo degli elicotteri militari, rimane vivo dentro di me, come lo è l’amore per il volo, mai tramontato.

    Ancora ventenne ho avuto il privilegio di frequentare dapprima il Corso Sottufficiali nell’Arma dei Carabinieri e di compiere una piccola esperienza di servizio alla territoriale. Nominato Vice Brigadiere, ho intrapreso un altro biennio di studi presso l’Aeronautica Militare, ove ho conseguito il brevetto di Specialista facente parte degli equipaggi fissi di volo nella Benemerita.

    Sono stati anni di sacrifici, di studio, ma anche di grandi soddisfazioni. Ho avuto modo d’incontrare professionisti del volo, tecnici e Comandanti che non solo hanno apprezzato il mio lavoro, ma hanno saputo cogliere le mie attese.

    Come in ogni carriera, non tutto è filato liscio. Ci sono stati, infatti, momenti di profonda delusione, di tristezza, di scoramento. D’altro canto l’aver avuto la possibilità di conoscere persone qualificate, mi ha permesso di crescere sia dal punto di vista professionale sia da quello umano. Sono nati così profondi rapporti di amicizia che perdurano nel tempo e sono ancora vivi, anche dopo aver lasciato il servizio attivo.

    Mi reputo un fortunato per aver svolto la faticosa attività manutentiva sugli elicotteri e in egual misura quella di volo come personale tecnico di bordo.

    Non rimangono che i ricordi indelebili delle albe, dei tramonti e delle notti trascorse in volo. Gocce di memoria che rimarranno custodite nel cuore.

    L’autore

    Ricordi

    Il suono della sveglia, implacabile come ogni mattina, mi fece sussultare. Rimasi un po’ a poltrire nel letto.

    «Ohe, guaglio’ scetate, è tardi!» tuonò dalla cucina mia moglie, già alle prese con le consuete faccende domestiche.

    Il familiare borbottio della caffettiera sul fuoco iniziava a farsi sentire, accompagnato dal gradevole aroma che aleggiava nell’aria.

    Sembrava una mattina come tante altre, ma in realtà non lo era poiché sarebbe stato il mio ultimo giorno di servizio. Da molto tempo avevo atteso quel momento. In cuor mio ero felice di riacquistare la libertà dopo tutti quegli anni relegato agli orari e agli impegni di lavoro. Avrei avuto molto più tempo da dedicare alla famiglia, ma qualcosa mi rattristava. Stavo per lasciare una parte del mio trascorso al quale ero oramai affezionato.

    «Però, accidenti!… non avvertirò più le vibrazioni dell’elicottero» dissi girandomi e volgendo lo sguardo al soffitto della camera da letto «e neanche l’effluvio acre del cherosene» aggiunsi. Istintivamente mi toccai il naso come a scacciare quell’odore così familiare.

    «Peccato!… beh, però devo ammetterlo: per anni, ho staccato i pattini dal suolo… e in più la natura mi ha offerto viste mozzafiato. Tutto gratuitamente! Anzi, mi pagavano pure!» borbottai sorridendo «e ne sono stato uno spettatore privilegiato… neanche fossi il Presidente della Repubblica».

    Poi, deciso a porre fine a quel rimuginare, esclamai: «Pazienza, la vita ha varie fasi e dovrò accettare anche questa».

    Buttai per aria le lenzuola e saltai come una molla fuori dal letto.

    Mia moglie, allarmata dal mio vociare e dal trambusto urlò:

    «Oi’ lloco, stai buono?».

    «Eccome!» replicai mentre un dolore fitto mi attraversava la schiena. Gli acciacchi cominciavano a farsi sentire: un paio di erniette del disco, un ronzio sommesso mi trapanava i timpani. Inoltre cominciavo a non mettere più a fuoco i caratteri minuti – accenni di miopia senile – e a ricordare con difficoltà gli eventi della giovinezza – riduzione della memoria a lungo termine.

    «Da domani… dal letto… con cautela, intesi? Altro che molla!» mi dissi sottovoce.

    Massaggiandomi la schiena mi avviai in bagno.

    Quante mattine avevo iniziato la mia attività affrontando il sacro rito della rasatura. Era diventata una consuetudine, un gesto quasi istintivo. Pensai alle volte che da giovane allievo ero costretto a radermi anche la sera prima della libera uscita. Schierati, indossando l’uniforme, il cospicuo plotone di quanti aspiravano a trascorrere qualche ora al di fuori della caserma, era passato in rassegna, riga per riga.

    Ogni scusa era buona per punire l’allievo e non farlo uscire. Il Brigadiere e l’Ufficiale di turno, con le motivazioni più varie, battevano un colpetto con la mano sulla spalla dell’allievo non trovato in ordine.

    «Allievo, ha la barba non perfettamente rasata, si accomodi in camerata!» mi era accaduto più volte!

    Mi soffermai davanti allo specchio:

    «Eh sì, gli anni trascorrono inesorabili, caro Claudio! Non c’è più la folta capigliatura di una volta e sul volto abbondano le rughe… come sei invecchiato, Claudio mio!» borbottai.

    «Mo parli ra solo? Jamm bell ja… vevimmece na tazzulella e café! Facimme ampress ca’ si raffredda!» esclamò mia moglie con voce squillante, distogliendomi da quei pensieri. Era armata di mocio e aveva indosso i suoi guanti gialli da combattimento.

    «Niente… niente stavo dicendo di aver la barba molto dura!» replicai sedendomi a tavola mentre lei consumava il rituale della mescita della tazzina mattutina.

    Mia moglie aveva accolto con sollievo la notizia del mio prossimo pensionamento ma capiva anche lo stato d’animo con il quale vivevo in quel periodo, sapendo benissimo che stavo perdendo qualcosa d’importante.

    Non ne fece alcun accenno quella mattina, forse per non ferirmi.

    Dopo qualche sorso, appoggiando la tazzina sul tavolo mi rivolsi a lei guardandola in viso:

    «Ricordi il periodo buio e triste che dovemmo affrontare quando fui trasferito quassù a Orio al Serio?».

    Abbozzò un sorriso:

    «Cose d’altr tiemp!» soggiunse.

    Ne ero ancora innamorato e gli anni trascorsi assieme non avevano affievolito il nostro rapporto, anzi lo avevano rafforzato. Lei, napoletana, abituata al sole e al cielo di solito azzurro, si sentiva depressa dal clima freddo e nebbioso che caratterizzava le giornate invernali. Anche i rapporti umani erano difficili. Si stentava a fare amicizia. Volti cupi, quasi tristi che, dalla mattina alla sera, correvano presi dagli impegni di lavoro e della famiglia. C’era poco spazio per socializzare.

    Mia moglie accusava molto la lontananza dalla famiglia che aveva lasciato a Napoli. Questa destinazione non era stata da me richiesta, poiché avrei preferito prestare servizio nelle Marche e poter così essere più vicino ai miei anziani genitori. Quante promesse da parte dei miei superiori! Presentai ricorso al momento della notifica del trasferimento che fu temporaneamente bloccato. Trascorso un mese, si rivelò tutto vano e arrivò, con mia profonda amarezza, la conferma di quella destinazione, a me non gradita.

    Grazie ai colleghi avevo trovato un grazioso appartamento in affitto a una decina di chilometri dal campo.

    Più volte avevo pensato di presentare nuovamente domanda di trasferimento, ma con quali conseguenze? La paura di un salto nel vuoto, senza una certezza sulla nuova destinazione, mi portò a desistere. Le cose fortunatamente cambiarono con il tempo e riuscimmo a socializzare con più di qualcuno. Dopo qualche anno eravamo riusciti a comprare una casa tutta nostra.

    Seguendo il solito rituale, anche quella mattina afferrai la tuta di volo che sotto le amorevoli cure della mia compagna di vita, non aveva più il penetrante odore del cherosene e ora profumava di bucato.

    Apponendo gli alamari sul bavero, pensai al significato profondo e al valore di quelle mostrine. Per qualche istante riaffiorò alla mente il ricordo della cerimonia con la quale ci furono consegnati. Ne erano trascorsi di anni, ma l’emozione di quei momenti è rimasta indelebile nel tempo.

    «Credo che rimarranno cuciti sulla pelle di quanti li hanno indossati, anche dopo il pensionamento» sussurrai.

    Sistemate rapidamente le varie patch sul petto, sulla manica destra e lo scudetto tricolore in alto su quella sinistra, ci salutammo con un tenero bacio.

    «Vir’ e’nun far tardi pure oggi!» mi redarguì con tono scherzoso e al tempo stesso ammonitore.

    «Come hai detto?» le chiesi.

    «Mo si diventat sordo? Te teng ritt vir’ e’nun far tardi pure oggi!» ripeté a voce alta.

    Gli effetti dei rumori causati dalle turbine e i piccoli baro-traumi causati dalle repentine variazioni di quota si facevano sentire. Durante le ultime visite per l’idoneità al volo, infatti, mi era stata diagnosticata una leggera ipoacusia bilaterale oltre al perenne acufene. Come si suole dire non tutti i mali vengono per nuocere e molte volte non sentire era un buon pretesto.

    «Penso proprio di no, salvo che non sia trattenuto per la firma degli ultimi documenti!» le risposi calzando la bustina, sapendo benissimo che sarei rientrato nel pomeriggio.

    Pensai all’espressione che avrebbe fatto se gli avessi confessato di voler ancora volare, magari a bordo di un aliante o di un piccolo aereo da turismo come ai vecchi tempi!

    Fin da ragazzo trascorrevo interi pomeriggi incollato alla recinzione del vicino aeroporto per ammirare i piccoli aerei da turismo mentre si levavano nel cielo. Spiccavo voli pindarici con la mia fantasia pensando a cosa provassero quei piloti, quali fossero le loro emozioni quando disegnavano alcune ardite figure acrobatiche nel cielo. Ben presto conobbi l’ambiente dell’Aeroclub frequentandolo assiduamente fino a iniziare il corso di pilotaggio.

    L’abile ed esperta guida di Pietro, il vecchio e canuto istruttore, mi aveva accompagnato in tutto l’iter per il conseguimento del brevetto di pilota. Non potrò certo dimenticare i momenti magici del mio decollo per la prima missione solista.

    Avevo finalmente messo le ali!

    Se avessi voluto continuare quel tipo di volo, mia moglie avrebbe certamente reagito con la solita frase che da qualche tempo usava:

    «Nun aie cchiù vent’ann… pensa a’ famiglià!».

    Ero consapevole dei rischi che il volo comporta, ma anche del suo fascino ammaliante. Mio malgrado avevo capitolato promettendole di rimanere a terra.

    Lungo il tragitto per giungere alla base respirai profondamente l’aria del primo mattino che aveva i profumi della primavera inoltrata. Il cielo si presentava più azzurro degli altri giorni e non spirava un alito di vento. Le piante, specialmente quelle da frutto che durante il lungo inverno sembravano degli spauracchi spogli, erano ora verdi.

    Nei giardini di alcune abitazioni, le rossastre siepi di photinia, punteggiate dai toni più accesi degli aceri, rendevano ancor più vivi i colori della natura.

    Per strada il solito traffico di quanti, fin dalle prime ore del mattino, si affrettavano per recarsi al lavoro.

    «Chissà quante di queste persone sono fortunate come me che fino a oggi ho svolto un lavoro meraviglioso!» pensai per qualche istante. Ero confuso e preoccupato. Una sensazione strana mi stava tormentando. Mi sentivo felice per essere prossimo al traguardo di una lunga carriera, di poter riacquistare finalmente la mia libertà ma al tempo stesso ero incerto:

    «Chissà cosa mi riserverà la vita in futuro?» pensai borbottando a voce alta.

    Avevo sospirato tanto quel lavoro che mi aveva ripagato con grandi soddisfazioni e tutto questo sarebbe finito per sempre tra poche ore.

    Parcheggiata la vettura mi accinsi ad affrontare l’ultima giornata di servizio.

    La vita al Reparto era quella di sempre. Mi soffermai a scambiare due chiacchiere con alcuni colleghi che, ancora assonnati, stavano sorseggiando un caffè nella sala convegno.

    «Ecco il prossimo pensionato!» sentii mormorare entrando.

    «Mi raccomando la massima puntualità questa sera!» ricordai loro.

    In queste occasioni, infatti, il congedante è solito offrire una cena ai colleghi. È una consuetudine che rafforza i vincoli di amicizia tra il personale in congedo e quello in servizio. Per l’occasione ci saremmo ritrovati in un ristorante della zona. Avevano assicurato la loro presenza anche quelle che scherzosamente sono soprannominate le cariatidi, cioè i vecchi già in pensione da vari anni.

    Raggiunsi l’aula briefing per conoscere l’attività di volo della giornata e le relative condizioni meteo.

    Il Comandante, nella sua impeccabile divisa ordinaria, si soffermò sulla porta dell’aula e stringendomi la mano:

    «Oggi è il tuo ultimo giorno al Reparto! Complimenti! Sarai contento immagino?».

    Abbozzai un sorriso replicando con un semplice:

    «Sì, abbastanza…».

    «Sono già in ritardo» aggiunse «mi devo assentare per una conferenza stampa sull’operazione di servizio condotta ieri, ci vediamo stasera!» e si allontanò augurandomi una buona giornata.

    Il pensiero andò alle varie operazioni compiute durante la mia attività. Ne ricordavo una in particolare, terminata la quale fui intervistato dall’avvenente cronista di un’emittente locale. Ero rimasto nei pressi dell’elicottero per le operazioni post atterraggio mentre gli altri dell’equipaggio si erano allontanati con un Capitano.

    La giornalista si avvicinò con passo deciso. Era una figura esile, una corporatura da fotomodella con i folti capelli neri che le ricadevano sulle spalle. Un elegante tajer le avvolgeva il busto mentre una gonna ben sopra il ginocchio metteva in risalto le sue belle gambe avvolte in sensuali calze nere. Si presentò manifestando molto interesse all’attività di volo e alla missione appena conclusa. Di temperamento loquace sembrò molto attratta dalla mia tuta.

    «Sono particolarmente affascinata dalle divise, e da tutto ciò che vola. Avresti una patch da regalarmi?» mi chiese con tono ammaliante.

    Per alcuni istanti pensai che fosse un pretesto per attaccar bottone. Ero felicemente sposato e certamente non mi frullava per la testa l’idea di qualche avventura. Non nascondo che aveva qualcosa d’intrigante ed esercitava una certa attrazione alla quale non seppi resistere.

    «Al momento ne sono sprovvisto… potrei recuperarne alcune. Se vuoi, ci potremmo incontrare uno di questi giorni per un caffè» risposi fiducioso di avere almeno il numero del suo cellulare.

    Lei annuì e sorridendo aggiunse:

    «Vedremo… sono molto impegnata con il mio lavoro ed è un’impresa ardua trovare il tempo per coltivare amicizie! Ti direi di venirmi a trovare in redazione, ma sarebbe difficile rintracciarmi poiché sono sempre impegnata con i servizi giornalistici».

    Con quella risposta capii che le possibilità di rivederla erano precluse. Ero andato in bianco anche stavolta!

    «Meglio così!» pensai.

    «Cosa mi sarei potuto aspettare… un’avventura? E con quale esito? Rovinare un matrimonio per una storia di qualche giorno? Non ne sarebbe certamente valsa la pena» riflettei.

    Se pur con un po’ di delusione iniziai il mio racconto carico di suspense e d’adrenalina.

    Si trattava di un’importante operazione, conclusasi positivamente, assicurando alla giustizia tre delinquenti incalliti. Quella che sembrava una tranquilla missione, si rivelò impegnativa ed eccitante.

    Strani pendolari

    Era arrivata la primavera e la natura lentamente si stava risvegliando dopo il torpore invernale. Nonostante ciò, re inverno lanciava ancora qualche colpo di coda, facendo trovare al nostro risveglio la brina ghiacciata.

    I suoi minuscoli aghi si depositavano come un manto argenteo sui prati, sugli alberi quasi spogli, sui tetti, disegnando brillanti contorni alle strade e alle campagne. Sotto i tiepidi raggi del sole che pian piano faceva capolino, la galaverna si scioglieva diventando piccole gocce d’acqua simili a perle adagiate sulle foglie della vegetazione.

    Salutata mia moglie, come tante altre mattine, diressi verso l’auto, lasciata frettolosamente sotto casa la sera prima, al rientro dal turno d’allarme.

    La vettura partì al primo tentativo. Attesi qualche minuto per scaldare il motore e far sciogliere il velo biancastro che la avvolgeva.

    Fin dalle prime ore del mattino sulle strade, rese sdrucciolevoli dall’infida e gelida patina, c’era un gran movimento di auto. In breve raggiunsi la base, ancora sopita dopo il torpore notturno.

    Le luci di alcuni uffici erano accese. Il Capo era già al lavoro. Seduto dietro la scrivania, mi salutò:

    «Ciao, ben arrivato! Prepara il sette-uno: andrete a svolgere l’aerocooperazione programmata con i colleghi di Voghera. Ieri sera, appena terminato il turno d’allarme, ho ricevuto la telefonata del Capitano di Treviglio. Da un po’ di tempo, ogni giovedì mattina sul suo territorio avviene una rapina e mi ha richiesto la disponibilità di un elicottero. Oggi, appunto, è giovedì! Terminata l’aerocooperazione con Voghera, farete una sosta presso il nostro Comando di Treviglio, mi raccomando! Lo riferirò anche ai piloti appena arrivano!».

    «Va bene Comandante, provvedo subito…tra mezzora saremo in volo!» risposi prontamente.

    Si alzò dalla poltrona e avvicinandosi, mi assestò un’amichevole pacca sulla spalla:

    «Dai, andiamo a prenderci un caffè!» mi esortò con il suo modo affabile e scevro da tante formalità.

    Nel compiere le poche decine di metri che ci separavano dalla sala convegno mi confidò:

    «Non pensi che sia una strana coincidenza? Possibile che le rapine avvengano ogni giovedì?».

    Annuii riflettendo che c’era proprio qualcosa di strano. Le auto usate dai malviventi erano rubate e lasciate di solito a qualche centinaio di metri dal luogo ove era stato perpetrato il reato.

    I due membri dell’equipaggio con i quali avrei compiuto la missione, Giovanni e Adriano erano già dietro al bancone della sala convegno, alle prese con la vecchia macchina da bar che sfornava ancora degli ottimi caffè.

    Non erano piloti di primo pelo avendo entrambi maturato molta esperienza su tutte le macchine in dotazione: dal vecchio AB 206 al complesso AB 412. Adriano, inoltre, aveva conseguito il brevetto di pilota di aereo, passione che coltivava nel tempo libero, volando spesso negli Stati Uniti.

    Sorseggiammo un caffè tra una battuta scherzosa e l’altra. Il tempo di fumare una sigaretta ed ero di nuovo in hangar per approntare l’AB 206. Il Comandante rimase al circolo con i piloti fornendo loro altri dettagli sulla missione.

    Completati i controlli, detti uno sguardo alle previsioni meteo. A parte la solita cappa che non permetteva una grande visibilità orizzontale, non erano previste nubi né precipitazioni. Sarebbe stato un volo condotto in condizioni visual.

    Il sole era già alto quando il sibilo della turbina echeggiò sul piazzale di volo. A bordo le lancette degli strumenti erano tutte in arco verde, come si dice in gergo.

    Grazie allo sguardo sempre vigile dei controllori di torre ci districammo tra i primi traffici commerciali del mattino. Giovanni era ai comandi mentre Adriano svolgeva le funzioni di secondo pilota. Lasciata la base, dirigemmo verso Milano, seguendo l’autostrada A4. Sotto di noi, come un lungo serpentone, vi era un’interminabile coda di auto e autotreni.

    «Siamo certamente più fortunati noi» commentai all’interfono.

    «Non invidio proprio quegli automobilisti!» aggiunse Giovanni.

    Lasciati i contatti con la torre, ci sintonizzammo sulla frequenza di Milano Info. Sembrava vi fosse traffico anche in aria. Udimmo l’operatore che senza un attimo di respiro interloquiva con gli altri velivoli. Nella nostra zona non vi erano traffici e proseguimmo verso nord.

    Sulla frequenza Arma del capoluogo, l’operatore dopo i controlli radio ci confermò che non vi erano richieste d’intervento, ordinandoci inoltre di rimanere in ascolto fino al nostro allontanamento.

    I grattacieli del capoluogo lombardo comparivano alla nostra vista, emergendo da un manto soffuso di foschia, sotto la quale la città pulsava di vita nella sua attività frenetica. Tra i palazzi alla periferia di Cinisello e il Parco Nord si profilava il campo di Bresso, ancora deserto e senza alcun traffico.

    Procedemmo ancora verso ovest, quindi verso sud seguendo la tangenziale. Intercettata l’autostrada A7 che conduce a Genova, la seguimmo fino all’abitato di Casei Gerola. Sulla strada provinciale a quattro corsie che collega questo paese a Voghera, ci stava attendendo un’autoradio del Nucleo Radiomobile. Atterrammo in un campo attiguo all’arteria. Dopo l’arresto della turbina, indossato il giubbetto antiproiettile, prestammo man forte ai due militari nel controllo di alcune autovetture. Non vi era molto traffico e l’occhio vigile del militare selezionatore sapeva bene quale vettura fermare e quale no.

    Controllate alcune auto ne sopraggiunse una che destò subito l’attenzione del militare munito di paletta. A bordo vi erano due uomini e alla richiesta dei documenti apparvero visibilmente nervosi. Li tenemmo sotto controllo a distanza di sicurezza.

    Dopo averli invitati a scendere dall’auto, il militare che li aveva in precedenza fermati, iniziò a frugare all’interno del mezzo. Sembrava fosse convinto di trovare qualcosa e non demordeva nel suo intento. Infatti, dopo qualche minuto ne uscì mostrandoci alcune piccole palline. Era senza dubbio hashish e in quantità ben oltre la dose personale.

    Alle contestazioni mosse da parte del militare i due, apparentemente sorpresi, negarono le loro responsabilità, affermando che la sostanza non era di loro proprietà!

    «E di chi?» sbottò il carabiniere.

    Uno dei due fu fatto salire sull’autoradio e all’altro fu intimato di

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