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[G.i.a.m.b.a.]
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E-book142 pagine1 ora

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Info su questo ebook

"Eccellente, semplicemente eccellente." - W.

 "A tratti impegnativo e accogliente, a tratti impreciso e tagliente, eppure bellissimo." - J.V.

  "Basta saper scegliere chi seguire e la lettura e' fatta e finita, amabile; personalmente, la coordinatrice alla fine del primo capitolo e' la parte migliore." - M.W.

   "Adoro quando le cose si fanno vive e giocose ma sanno comunque mantenere quel conciso tono di serieta' e precisione." - B.W.

    "Un esperimento artistico a dir poco esuberante e indefinibile, cio' nondimeno, affascinante." - W.B.

     "... Mi sono perso fra le righe..." - B.
 
LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2021
ISBN9791220249768
[G.i.a.m.b.a.]

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    Anteprima del libro

    [G.i.a.m.b.a.] - Carlo F. Tropiano

    Nota dell'Autore

    A mio Fratello, perché il legame è importante.

    Copyright © Carlo F. Tropiano 2023

    Tutti i diritti riservati.

    Questo romanzo è opera di fantasia.

    Ogni riferimento a persone, avvenimenti, o gruppi esistenti è puramente casuale.

    [G]iudicami

    La palla volava, in un moto altalenante che variava da campo a campo, come un uccello rapace deciso ad eliminare una preda inerme. La lepre avrebbe potuto scappare, dibattersi e urlare, ma gli artigli del falco predatore le avrebbero comunque squarciato lo stomaco e lacerato gli interni. Alla fine, la pallavolo era la stessa cosa.

    E Susy la odiava, la pallavolo.

    O meglio, Susy odiava tante cose, tra cui il fatto che il suo nome era Sus-y e non Sus-ie. Ma era scusata dalla certezza di essere migliore degli altri, sia fisicamente che mentalmente.

    Talmente migliore, infatti, che non aveva bisogno di cose come prendere parte alle competizioni di pallavolo della sua classe, perché troppo noiose e pacchiane. In fin dei conti, viveva nel ventunesimo secolo. Se non voleva fare una cosa, scuola o meno, non l'avrebbe fatta. Era il suo stile di vita. Era troppo in alto, per abbassarsi al livello degli altri. Era l'uccello.

    Lei era il predatore.

    O forse, ma solo forse, era una ragazzina insicura e terrorizzata dal mondo reale, e quelle sue sproporzionate idee di superiorità, nient'altro che scuse per non tagliarsi le vene nella vasca da bagno.

    «Cazzo, Susy! Ma mi stai ascoltando?»

    Strappata allo spettacolo disgustoso di quei suoi compagni intenti a rincorrere una palla come avrebbero fatto delle scimmie con una banana, Susy girò il capo in direzione della voce. «Che vuoi?», domandò seccata.

    Filomena roteò gli occhi al cielo, straziata ed irritata. «Ogni volta», disse in un ringhio ostile. «Ogni singola volta che comincio un discorso serio, ti fai i fatti tuoi e non mi ascolti.»

    «Se parlare di quanti ragazzi vorresti portarti a letto è un discorso serio...», sentenziò Susy con stanco tono superficiale. «Tanto lo sai che non hai speranze.»

    Ed era vero. Filomena Thompson era brutta e insopportabile. Una ovvia sfigata. Era amica di Susy solamente perché era l'unica a darle retta, o perlomeno, perché era l'unica a non mandarla via con sorrisini fasulli per poi sparlare alle sue spalle.

    «Non... Dire così...» Filomena si strinse nelle spalle e socchiuse le palpebre, abbassando il capo in un gesto di conosciuto sconforto.

    Che palle, pensò stizzita Susy. Non dirmi che ora si mette pure a piangere.

    «Samuel della Terza C mi ha fatto l'occhiolino, l'altro giorno in mensa.» Filomena, per l'ombra di un secondo, accennò un onesto sorriso. «Forse gli piaccio.»

    Ti ha fatto l'occhiolino perché siete cugini, idiota. «Forse...» Susy riportò lo sguardo alla partita, annoiata. «O forse no.»

    Filomena guardò di sbieco la compagna per un po', poi tornò a parlare. «Sai che non potremo fingere di stare male all'infinito.» Il suo tono era tornato acido e appiccicoso, proprio come la faccia da muco che si ritrovava. «Prima o poi, dovremo giocare anche noi.»

    Susy la odiava. «Ci stai mai, zitta?», chiese in un sibilo alterato.

    «Solo quando ascolti», rispose quasi immediatamente Filomena.

    Susy fissò l'amica, in particolare le sue disgustose trecce unte, con ripudio assoluto. «Se dici un'altra parola, giuro che ti stacco la faccia mentre dormi.»

    Filomena rise, divertita. «Lo dici sempre, ma non lo fai mai.» Inarcò un sopracciglio e chinò il capo da un lato, in segno di sfida. «Provaci, se ne hai il coraggio, Casco di Banane

    Casco di Banane. Il soprannome dato a Susy dalle compagne più grandi per via del suo taglio di capelli.

    Lei odiava quel soprannome.

    Susy afferrò le forbici, strette nel suo astuccio. Dalle ombre della cartella, poté vedere il riflesso del metallo contro la luce. Sorrise. «L'hai volut...»

    Driiiiiiin . La campanella del cambio d'ora, improvvisamente, spezzò il ritmo delle azioni.

    Prima che Susy potesse riconnettere i pensieri o proferire parola, Filomena si alzò con la cartella in mano. Era alta, quella dannata. Troppo alta. «Ci vediamo a lezione, Casco di Banane.»

    Susy la odiava, quella scuola.

    Vagò per i corridoi come sempre faceva, saltando lezioni ed evitando prediche da parte degli insegnanti. Staccò un altro morso dalla barretta energetica ai cereali, sottratta dallo zaino di un novizio di Prima, e si guardò attentamente dal non entrare in una delle zone di lavoro dei bidelli. Il suo bighellonare non era ancora terminato. Fosse dipeso da lei, il suo bighellonare non sarebbe mai terminato.

    Ma la verità era che Susy era ancora minorenne e non poteva decidere un bel niente riguardo alla sua vita, poiché tutto già scritto e firmato da quello schifoso di suo padre.

    Susy la odiava, quella vita.

    Ancora un anno, pensò staccando un nuovo boccone. Poi, potrò andarmene da quel buco di appartamento e da questo schifo di città.

    I suoi passi, lungo quel corridoio di lucide mattonelle bianche e nere, risuonavano come ticchettii stabili e ritmati, decisi da un ritmo tutto loro.

    Potrei andare a vivere in campagna...

    Eppure, quei passi erano incerti. In quella vecchia, umile scuola dalle finestre sbarrate con pali di ferro ossidati e la più spudorata inadeguatezza giovanile, davvero pochi erano gli spiragli di luce di sole e speranza dediti a portare il conforto richiesto ai cuori insicuri. Del resto, il Ryhan Institute era stata una prigione per i malati di mente, un centro psichiatrico per gli instabili cronici e casa di cura per molti dei peggiori criminali degli inizi del ventesimo secolo. Il tipico luogo cliché dove girare un horror, insomma.

    Sotto molti aspetti, era ancora una prigione. Una prigione per i ragazzi sconsiderati come Susy e i loro infantili desideri di fughe fantomatiche. Per quanto riguardava il lato horror, purtroppo, nessuna voce di spiriti o assassinio di notevole fattura faceva la sua comparsa fra le storie bisbigliate dei corridoi. In questa era di totale noncuranza e disinteresse, la verità era che i pazzi non erano più poi così interessanti argomenti di conversazione fra le menti dei ragazzi.

    Il sesso e la droga. Quelli, già, erano un vero sballo .

    Oppure, potrei semplicemente trasferirmi... Susy inghiottì l'ultimo morso con solenne distrazione, totalmente estranea al mondo reale e alle sue disgustose noie fastidiose. Sempre meglio di questo schifo...

    Sciaf ! Improvvisamente, dall'angolo al fondo del corridoio, schiantandosi in un rumoroso e umido suono di panno bagnato, fece la sua comparsa la testa di un mocio intento a pulire i pavimenti.

    Il bidello!, riconobbe immediatamente Susy, strappata ai suoi pensieri incauti. Merda! Rapida, si lanciò alla sua sinistra, aprendo la prima delle porte disponibili ed entrando in un nuovo stanzino che le permettesse di non essere intravista.

    Distratta dalla fretta e dallo spavento, inciampò contro un ostacolo senza rendersene conto e cadde a terra, ma il suo atterraggio fu incredibilmente morbido, in un certo senso, addirittura sostenuto.

    Cercò di rialzarsi, incontrando difficoltà con un qualcosa di stranamente comodo sotto di lei. Ma che diavolo?

    «Chiedo scusa...»

    Susy voltò finalmente lo sguardo verso il basso, fra le braccia tese a fargli da appoggio e il cuore ancora in sussulto per l'adrenalina. Quello è un...

    «Ciao.» Un ragazzo .

    Susy rilasciò un gridolino stridulo e mal trattenuto, arretrando dal corpo estraneo in un modo tanto impacciato e grossolano che la fece ricadere una seconda volta. Atterrò di petto, con il volto dello sconosciuto ora più in basso rispetto al suo, per la precisione, in mezzo ai suoi seni. Impiegò un paio di istanti a realizzare l'accaduto. Dall'imbarazzo, desiderò di morire.

    Si lanciò all'indietro, spingendosi con le mani tutte un tremito, fino a schiantare la schiena contro la parete piastrellata malamente riverniciata. Il suo viso era paonazzo, talmente rosso che lei, più di un Casco di Banane, pareva una rigogliosa pianta di pomodori.

    Il ragazzo si rialzò lentamente, sedendosi sul pavimento e scuotendo il capo come per riprendersi anche solo un minimo dall'accaduto. Vide Susy dopo pochi secondi, lanciandole uno sguardo curioso con calmi occhi azzurri color del mare. Il suo viso era pulito e squadrato, solido e bello. «Tutto bene?», chiese con affabile tono amico.

    Susy deglutì rumorosamente, colta alla sprovvista dall'umiliazione di una situazione che la trovava impreparata. «S... Sì...» Cercò di ricomporsi e di assumere una posizione meno imbarazzante e più naturale, con la faccia ancora immersa nell'imbarazzo più totale. «Sto bene.»

    «Meno male.» Lo sconosciuto sorrise, e il suo sorriso fu tanto gentile quanto affascinante. «Temevo ti fossi fatta male.»

    Susy mutò dal rosso fiammante al pallido cadaverico e poi di nuovo al cremisi fumante in meno di pochi secondi. «Ho detto che sto bene!», gridò stridula e squillante, rimettendosi in piedi con tesa immediatezza. «Tu piuttosto, che ci fai qui? Non lo sai che questa è la mia zona?»

    Il ragazzo allungò di poco il risolino, apparentemente divertito. «La tua zona è il bagno dei maschi?», domandò inarcando un sopracciglio.

    Susy si guardò intorno, colta in fallo. «Be'...» Sì. Quello era davvero il bagno dei ragazzi. «No...»

    Fosse stato qualcun altro, sicuramente, lo avrebbe incalzato a suon di insulti e ostili frasi studiate. Con lui, chissà perché, non successe nulla del genere. Era davvero insolito.

    Era davvero bello .

    Susy scosse il capo, scacciando quell'ultimo, stupido pensiero dalla sua testa superiore.

    «Tu devi essere Casco di Banane», osservò lo sconosciuto rialzandosi. «Ho sentito parlare di te. Hai una certa fama, nei corridoi.»

    Immediatamente, Susy tornò la stessa di sempre. Il suo viso pallido, ornato da un'espressione tanto gelida quanto indifferente, non lanciò né sguardi stizziti né frecciatine arroganti. Restò immobile, come tutto il resto di lei. «La calamità asociale del Ryhan Institute, sempre a saltare lezioni e torturare insegnanti.» Sapeva quello che dicevano su di lei. Lo sapeva, ma non le importava.

    «Eppure, sempre abbastanza in gamba da evitare di venire bocciata.» Il ragazzo la guardò con amichevole serietà, apparentemente colpito. «Sei ammirevole.»

    Che? Cosa significavano quelle parole? E soprattutto, perché le importava così tanto saperlo? Non era normale. «Am... Ammirevole?»

    «Certo», affermò lo sconosciuto con innegabile certezza. «Voglio dire, se sei stata promossa tutti gli anni nonostante i professori ti siano ostili e lo studio non t'interessi, devi essere una sorta di genio.» Rise e mise

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