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La notte di Zoe: Harmony Collezione
La notte di Zoe: Harmony Collezione
La notte di Zoe: Harmony Collezione
E-book173 pagine2 ore

La notte di Zoe: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Sinonimo di stile, fascino e ora anche scandalo, le sorelle Balfour, ultime eredi dell'antica dinastia, adesso hanno una bella lezione da imparare...



Tutti parlano di lei, l'erede illegittima della famiglia Balfour. Così il padre di Zoe, Oscar, decide di mandarla a New York, perché possa trovare la propria strada liberamente. Zoe non riesce ad accettare di non essere una vera Balfour, quella scoperta la fa soffrire in modo insopportabile e l'unica possibilità di scordare tutto quello è... non pensarci, passando da una festa all'altra senza soluzione di continuità. Almeno fino a quella notte, la notte dell'incontro con Max Monroe. L'uomo che regalerà alla sua vita una svolta imprevedibile, obbligandola a capire cosa significhi essere una Balfour.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2018
ISBN9788858976647
La notte di Zoe: Harmony Collezione
Autore

Kate Hewitt

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La notte di Zoe - Kate Hewitt

    1

    Max Monroe osservò l’albero fiorito piantato accanto all’ingresso dell’ambulatorio a Park Avenue. Socchiuse gli occhi. I boccioli gli apparvero come fusi in un’unica massa rosa, o era solo uno scherzo della sua immaginazione?

    Si girò verso il medico, che gli stava sorridendo con un’aria di benevolenza. Quando parlò, la sua voce risuonò priva di inflessione. «Dunque, qual è la prognosi? Un anno?» Esitò. «Sei mesi?»

    «È difficile da dire.» Il dottor Ayers abbassò lo sguardo sulla cartella clinica che riassumeva in poche frasi la progressiva perdita di vista di Max. «Non è possibile prevedere l’andamento della malattia di Stargardt. Come sa, in genere viene scoperta sin dai primi anni di vita, mentre nel suo caso la diagnosi è stata fatta solo di recente.» Scrollò le spalle. «Lei potrebbe continuare per mesi ad avere sintomi come improvvisi blackout, visione confusa, oppure...»

    «Oppure?» Max lo esortò a continuare.

    «Oppure la malattia potrebbe avere un’evoluzione più veloce. Potrebbe perdere completamente la vista nel giro di poche settimane.»

    «Poche settimane...» ripeté Max con freddo distacco. Guardò di nuovo i boccioli, che ora distingueva perfettamente. Con ogni probabilità non li avrebbe visti appassire, non avrebbe visto gli splendenti petali avvizzire prima di cadere al suolo... Settimane.

    «Signor Monroe...»

    Max alzò una mano per bloccare le parole di comprensione che ovviamente il medico stava per rivolgergli. «Non dica nulla» mormorò.

    Il dottor Ayers scosse la testa. «È anche possibile che l’incidente abbia accelerato il progredire della malattia. Comunque, molti pazienti affetti da questa patologia riescono a vivere in condizioni accettabili...»

    «Mentre altri perdono la vista del tutto» concluse Max. Aveva condotto le sue ricerche non appena i primi sintomi si erano manifestati, oscurando la sua visione del mondo. A quel tempo però era stato ancora in grado di leggere libri, guardare cose... Di vedere. Da allora erano trascorse solo tre settimane.

    L’oculista sospirò e gli porse un opuscolo. «Vivere da non vedenti è una sfida continua.»

    A stento Max trattenne una risata amara. Una sfida? Lui era nato per le sfide. Non ne aveva mai rifiutata una. Ma diventare cieco non era una sfida. Era una maledizione. Buio totale, quello che già una volta lo aveva avvolto, quando la paura lo aveva consumato, quando aveva sentito le loro grida... Si sottrasse a quei pensieri. Non voleva perdersi in quei ricordi, perché poi non avrebbe più trovato il modo per tornare indietro.

    «Posso indirizzarla a un gruppo di sostegno che l’aiuterà ad adattarsi alla sua nuova condizione.»

    «No.» Max respinse l’opuscolo che il professionista gli stava porgendo e chinò la testa da un lato, in modo da inquadrare il viso dell’uomo nella sua visione periferica, ancora decentemente chiara. Sbatté le palpebre, come se questo potesse aiutarlo. O risolvere il problema. Ma già il mondo si presentava ai suoi occhi sbiadito e confuso, come una fotografia deteriorata dagli anni. Le forme avevano perso i loro contorni, e macchie di luce attraversavano il suo campo visivo, come stelle cadenti in un cielo al tramonto. E quando sarebbe diventato completamente cieco, quando una cortina nera sarebbe calata davanti ai suoi occhi, avrebbe ricordato la realtà – quei bellissimi boccioli rosa – come una vecchia fotografia? Distante, caotica, sfuggente? E come avrebbe fatto ad affrontare la notte perpetua? Era stato costretto a farlo una volta. Non tollerava l’idea di doverlo fare ancora. Eppure non esistevano soluzioni. Nessuna via di fuga. «Non sono interessato ai gruppi di sostegno» dichiarò. «Gestirò la situazione a modo mio. Grazie lo stesso.» Atteggiò le labbra in un sorriso privo di significato e si alzò. Fitte dolorose gli trapassarono le tempie, le gambe gli tremarono. Per un attimo, fu colto da un capogiro così violento da costringerlo a cercare appoggio sull’angolo della scrivania. Ma la sua mano strinse solo l’aria. Un’imprecazione gli sfuggì dalle labbra.

    «Signor Monroe...»

    «Sto bene.» Max raddrizzò la schiena e sollevò il viso, evidenziando la cicatrice che partiva dal sopracciglio destro per proseguire lungo il naso e terminare sul labbro superiore. «Grazie» ripeté, e con passi lenti e misurati uscì dall’ambulatorio.

    In quell’istante un bocciolo si staccò dal ramo e fluttuò dolcemente verso il terreno.

    Zoe Balfour porse la sua stola – non più di uno scampolo di seta brillante – all’impiegata addetta al guardaroba, e si passò una mano fra i sapientemente arruffati capelli. Raddrizzò le spalle ed esitò per qualche istante sulla porta del loft di Soho, sperando che le teste si girassero al suo ingresso. Aveva bisogno che accadesse, aveva un disperato bisogno di attenzioni e di complimenti. Il suo desiderio era quello di sentirsi come sempre, come se il suo intero mondo non si fosse disintegrato quando il giornale aveva pubblicato, tre settimane prima, la notizia della sua nascita illegittima. Quando tutti quelli che la circondavano avevano reagito con un comprensibile shock. Quando lei aveva capito di non sapere più chi fosse in realtà.

    Respirò a fondo ed entrò nella galleria d’arte. Prese una coppa da un vassoio e bevve un sorso di champagne, apprezzandone il gusto sulla lingua. Vide effettivamente teste che si giravano, perché era una bella donna, o perché i presenti sapevano lei chi era, o meglio, chi non era?

    Zoe ingoiò un altro sorso di champagne, cercando nell’alcol la forza per ignorare la disperazione che le soffocava l’anima nonostante la sua decisione di dimenticare, e di divertirsi. Quella disperazione che aveva combattuto sin da quando i reporter avevano reso pubblica la storia della sua vergogna. Quella disperazione che per lei era diventata ancora più cupa tre giorni prima, cioè dal suo arrivo a New York, dove suo padre le aveva imposto di andare. No, non suo padre, si corresse. Oscar Balfour, l’uomo che l’aveva cresciuta.

    Il suo vero padre viveva a New York.

    Solo quel pomeriggio aveva trovato il coraggio per appostarsi davanti lo scintillante grattacielo nella Settima Strada, aspettando di vedere l’uomo che lei era lì per conoscere. Aveva passeggiato. Aveva bevuto tre caffè. Si era persino mangiucchiata le unghie. Ma dopo due ore di inutile attesa era tornata nell’attico della famiglia Balfour a Park Avenue, con la sensazione di essere un impostore, un falso e una traditrice.

    Perché lei non era una Balfour.

    Per ventisei anni si era crogiolata nella consapevolezza di essere una delle ragazze Balfour, membro di una delle famiglie più antiche e in vista d’Inghilterra, se non dell’Europa intera. Poi all’improvviso aveva appreso dalle pagine di una rivista scandalistica di non avere una sola goccia di sangue Balfour nelle vene.

    Era un nessuno. Un niente. Una bastarda.

    «Zoe!» Karen Buongiorno, sua amica e organizzatrice dell’evento di quella sera, snella ed elegante in un succinto tubino nero, i capelli neri che rilucevano, le baciò la guancia. «Sei bellissima, come sempre. Pronta per dare inizio alla festa?»

    «Naturalmente» confermò Zoe, la voce forzatamente allegra. «Partecipare alle feste è la cosa che mi riesce meglio.»

    «Vero.» Karen le posò una mano su una spalla. «Ora sono costretta a dedicarmi a noiose relazioni pubbliche, devo ringraziare i nostri sponsor, incluso Max Monroe.» Alzò gli occhi al cielo in modo esplicito, e Zoe inarcò un sopracciglio, come per lasciare intendere che quel nome significava qualcosa anche per lei. «Apparentemente è lo scapolo più ambito della città, ma certamente non sta guadagnando punti questa sera.»

    «Oh?» Zoe portò di nuovo la coppa alle labbra. Dunque qualcun altro oltre a lei non si stava divertendo, anche se una parte del suo cervello le ricordò invece che lei si stava divertendo... Era la ragazza di sempre, allegra, brillante e desiderata. Un incidente di nascita non poteva mutare quel fatto.

    «Sì, è rintanato in un angolo, e la nuvola nera che è sospesa sulla sua testa invita chiunque a stargli alla larga» spiegò Karen. «Probabilmente si è già scolato una bottiglia di champagne da solo» aggiunse, poi sospirò. «Però è così sexy... Penso che la cicatrice aumenti il suo fascino, e tu?»

    «Io non l’ho mai visto» replicò Zoe, cercando con gli occhi fra la folla.

    Karen scrollò le spalle. «Bene, non sarà difficile identificarlo. È quello che ha l’aria di essere sottoposto a una tortura. Sai, ha avuto un terribile incidente circa un mese fa, e da allora non è più stato lo stesso. Che peccato.» Scosse la testa e appoggiò il suo bicchiere ormai vuoto su un vassoio. «D’accordo, adesso devo fare in modo di ottenere l’attenzione di tutti.» Tirò giù il vestito, in modo da approfondire di un po’ la scollatura. «Ma non dovrebbe essere troppo difficile, giusto?» commentò con un sorriso malizioso.

    Zoe annuì e osservò la sua amica destreggiarsi fra gli invitati. In genere era lei che attirava l’attenzione di tutti, ma quella sera le mancava la forza per farlo, o anche solo per parlare. Purtroppo, l’unica cosa che riusciva a fare era ricordare.

    Un ennesimo scandalo scuote una delle famiglie più in vista d’Inghilterra! Il sangue blu di una delle ereditiere Balfour è solo di un banale rosso!

    Articoli del genere erano stati pubblicati a profusione da quando, per puro caso, un giornalista aveva sentito una discussione fra le sue sorelle durante l’ultimo ballo organizzato dai Balfour. Bella e Olivia avevano scoperto la verità sulla sua nascita sfogliando un vecchio diario di sua madre. Quanto desiderava che non lo avessero mai fatto, quanto desiderava di poter ignorare quella verità che adesso non l’avrebbe più abbandonata. Il suo sangue non era blu. Era, infatti, di un banale rosso.

    Affrontare la vergogna e il dolore di quella rivelazione si era presentata come un’impresa titanica, dunque lei non lo aveva fatto. Invece aveva accettato ogni invito, era intervenuta a tutte le feste nel tentativo di dimenticare la sua vera identità. Si era comportata come se nulla fosse cambiato, ma dentro era stata come paralizzata, congelata... Morta.

    Oscar le aveva permesso di continuare così per un paio di settimane, durante le quali era rincasata alle prime luci dell’alba per dormire poi durante il giorno.

    Infine l’aveva convocata nel suo studio, il suo santuario privato arredato in legno e cuoio. Lei aveva sempre amato quella stanza, e il ricordo dei pomeriggi trascorsi lì, sfogliando i vecchi libri di suo padre accoccolata sul grande divano. Non era mai stata particolarmente portata per lo studio, ma la sua curiosità era sempre stata sollecitata da quelle pagine ingiallite dal tempo che narravano di posti esotici e lontani. Tuttavia quel pomeriggio non aveva guardato i volumi che riempivano gli scaffali, ma era rimasta ferma sulla soglia della porta, la testa china, vittima dei postumi di una solenne sbronza...

    Suo padre le rivolse uno sguardo carico di compassione. A lei sembrò uno sconosciuto.

    «Non puoi andare avanti così» sentenziò Oscar.

    Lei scosse appena le spalle. «Ma non so cos’altro fare.»

    «Zoe.» Questa volta lo sguardo di Oscar era severo, come quando – lei aveva avuto otto anni – l’aveva sorpresa mentre si recava a scuola con il volto impiastricciato dai cosmetici sottratti alla sua matrigna. «Hai trascorso fuori casa tutte le notti delle ultime due settimane, e Dio solo sa con chi e facendo cosa...»

    «Ho ventisei anni» lo interruppe lei. «Posso fare tutto quello che voglio.»

    «Forse, ma non a casa mia e con il mio denaro.» La voce di Oscar risuonò di un duro tono di rimprovero che servì solo a farla sentire più miserabile che mai. «So che la storia pubblicata dai giornali ti ha sconvolto, ma...»

    «Non è una storia.»

    «Scusa?»

    «Non è una storia» ripeté lei, scoccandogli il tipico sguardo di sfida che le bambine capricciose scoccavano ai loro padri quando volevano ottenere qualcosa. Solo che lei non era più una bambina, e che quell’uomo non era suo padre. «È la verità.»

    Oscar rimase in silenzio per un lungo istante. «Oh, Zoe» mormorò infine, «è questo quello che pensi? Che in qualche modo questo abbia importanza?»

    «Ovviamente ne ha. Ha importanza per me.»

    «Bene, posso assicurarti che per noi tutti invece no, non ne ha. E se vuoi che io sia onesto fino in fondo, l’ho sempre sospettato, ancor prima che tu nascessi.»

    «Cosa?» domandò lei, sobbalzando quasi avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso. «Tu... Sapevi

    «Sospettavo» sottolineò Oscar. «Tua madre e io... Bene, per un periodo avevamo avuto dei problemi e...»

    «Tu hai sempre saputo e non mi hai mai detto nulla?» Zoe scosse la testa, lacrime che le

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