L'alito del Drago
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Anteprima del libro
L'alito del Drago - Susanna Abbriata
presente.
Ringraziamenti
Ringraziamo tutti coloro, vivi o ormai al di là della nostra dimensione, che ci hanno aiutati, spesso in modo inconsapevole, e talvolta in modo indiretto, nella stesura di quest’opera, compresi i tre fantastici e meravigliosi bambini che ci hanno spinto a cercare e trovare l’editore giusto per la pubblicazione.
I
In pochi minuti si era alzata una nebbia fitta, densa e vaporosa, che aveva nascosto a poco a poco le montagne lontane, all’orizzonte, e poi il bosco, al limitare della radura, ed infine il grande prato verde.
Lei era sola, nel silenzio e nell’oscurità sempre più fitta.
Dove sono?
Chiese la donna.
Non credo di essere mai stata qui!… E poi… Perché sono qui?
Continuò a parlare a sé stessa ad alta voce, quasi per cercare coraggio nella propria voce: Stavo camminando velocemente per una via del Centro… O almeno così mi sembra. E poi, improvvisamente, mi sono trovata qui, in mezzo a questo grande prato illuminato dal sole, circondata da quest’erba di un verde luminoso che me la fa sembrare irreale, come nei sogni
.
Aveva provato ad attraversare il prato per raggiungere il bosco, ma non era riuscita ad arrivarci. Aveva provato ad avanzare verso il bordo della radura, ma la distanza era rimasta sempre uguale. Aveva provato a correre, ma il risultato era stato il medesimo. Ed alla fine aveva deciso di lasciarsi cadere a terra e rimanere lì, ferma, a guardarsi attorno. E adesso che stava scendendo la nebbia tutto diventava sempre più scuro.
Ebbe paura. Paura di rimanere lì, da sola, nell’oscurità, in balia di pericoli che non voleva nemmeno immaginare. Paura di un mondo che non conosceva.
Qualcuno mi aiuti!
Gridò esasperata.
Magari è un sogno e mi sveglierò presto.
Pensò ancora, mentre si teneva la testa tra le mani.
Se fossi credente chiederei aiuto a Dio ed ai Santi.
Si alzò una leggera brezza, come in risposta alle sue parole. E il cielo si schiarì un poco.
In quel momento si accorse di indossare una tunica cremisi leggera e vaporosa, trapunta con segni in oro rappresentanti strani simboli. Non ricordava di averne mai posseduta una.
E poi si stupì nel vedere che la sua pelle era abbronzata, come quella delle donne indiane.
Si passò una mano tra i capelli e si guardò ancora attorno nella speranza di vedere qualcuno. Ma era sola, nel silenzio della campagna, sempre più avvolta dall’oscurità, dal silenzio e dalla nebbia.
Lontano sentì bubolare un gufo ed un brivido le percorse la schiena.
Fu allora che avvertì una presenza alle sue spalle e si volse di scatto.
Perché non parli con me, invece di preoccuparti?
Guardò con attenzione, nella luce del crepuscolo e mentre l’oscurità si faceva sempre più profonda: era un vecchio satiro, vestito con un abito elegante ma antiquato e, soprattutto, non sembrava pericoloso. Indossava un completo grigio, con gilet e cravatta regimental, a bande blu e rosse.
Lo osservò ancora. Era molto più alto di quelli che aveva visto rappresentati nei dipinti antichi, ed il viso, benché marcato da lineamenti un po’ caprini, non dava inquietudine. Una leggera barba ed i capelli grigi gli davano una certa aria di saggezza. Sorrideva ed un riflesso di luce rossastra gli baluginava negli occhi, come se dietro alle sue pupille ci fosse una fiamma accesa.
Non stai bene e stanno cercando il miglior modo per salvarti la vita… Sei ricoverata in ospedale e direi che sei molto grave, ma, dato che non sono un medico, non mi pronuncio.
Si esprimeva correttamente e nelle frasi e nei modi dava l’idea di un gentiluomo d’altri tempi.
Ma come…
Non so dirti altro, sono solo un demone, e neanche di grado elevato, e quindi non prevedo il futuro. Sono qui per tenerti compagnia.
Poi, quasi parlando a sé stesso, aggiunge: È tipico degli uomini dare poca importanza al tempo della propria vita, sprecarla, e poi rimpiangerla quando si sentono vicini alla fine
.
Sorrise mentre lei lo osservava attenta. Rimase un po’ silenzioso. Poi concluse: Ma… Sediamoci pure comodi… C’è tempo
.
Tracciò un segno nell’aria con la mano e pronunciò alcune parole in una lingua misteriosa.
In risposta alle parole ed al segno apparvero delle poltrone, un caminetto antico in marmo bianco scolpito, e lei vide che si trovavano nella sala di un palazzo d’altri tempi. Alle pareti erano posti quadri ottocenteschi e ricchi tendaggi, che coprivano quelle che dovevano essere ampie finestre. Lei si soffermò ad osservare quella sobria ricchezza, che non aveva nulla di ostentato. Tutto era in ordine, senz’ombra di polvere o di usura, come in un angolo di mondo fuori dal tempo.
Erano in piedi, al centro della sala, tra le poltrone ed il tavolo, proprio vicino al caminetto.
Lontano sembrava di sentire un concerto d’archi.
Musica di Vivaldi…
Disse il satiro come in risposta ad una domanda. Poi avanzò e, con un gesto galante della mano, accogliendola con tanta cortesia, la invitò ad accomodarsi indicandole una delle due poltrone, quella che era posta più vicino al caminetto. Fece schioccare le dita ed il fuoco si levò alto dai ceppi posti tra gli alari, scoppiettante e caldo.
Lei era stupita, tanto che si sedette senza discutere.
Anche lui si sedette sull’altra poltrona: Le persone ripensano alla propria vita quando sono tra due dimensioni, ed è proprio una brutta cosa perdersi nei monologhi… Meglio chiacchierare con una persona come me, che sono tranquillo e discreto
.
Ma… Hai detto di essere un demone…
Un demone… Sì! Ma non un diavolo. Il diavolo è un avversario di Dio. Un demone è solo uno spirito antico, che svolge i suoi compiti nella sfera di sua competenza. C’è una certa differenza… Credimi!
Lei pensò: Questo è tutto matto!
.
Sì
Replicò lui, in risposta al pensiero. Lo pensano tutti all’inizio, ma poi capiscono che sono solo una proiezione della loro realtà interiore, e che questo è un dialogo con sé stessi, alle soglie della morte, che potrebbe arrivare o anche non arrivare. Dipenderà dai tuoi medici e da te. Ma non posso e non voglio dirti di più.
Lei si sentì venir meno. Tutte le sue certezze vacillavano. Poi guardò le fiamme che crepitavano nel caminetto e si senti più calma. In mezzo alle fiamme danzavano delle creature di fuoco, e una ragazza molto bella le fece un cenno di saluto con la mano. Lei rispose d’istinto, chiedendosi poi: Ma cosa sto facendo?
.
Sono Salamandre, spiriti del Fuoco. Danzano perché amano le fiamme e la musica. È un piacere vederle.
Lei osservava rapita gli spiriti mentre il satiro taceva.
Fu allora che le tornarono in mente le ultime cose che ricordava.
Stavo camminando lungo una via.
Non proprio, lì eri già in coma.
Lei rimase interdetta e silenziosa, mentre la vecchia pendola, nell’angolo più lontano della sala, quella con incisi sopra dei gufi reali, cominciò a ticchettare a destra e a sinistra, fino a suonare i suoi profondi rintocchi.
Il satiro si girò verso l’orologio meccanico.
Sono le 10. Hai tempo fino a mezzanotte.
Esclamò. È più tempo di quanto altri abbiano avuto. Ti ricordi come ti chiami?
Sì. Aspetta: non sono sicura.
Pensaci bene.
Il satiro si sporse con gentilezza un poco verso di lei quasi a volerla aiutare.
E lei ricordò: Alma. Mi chiamo Alma
.
Ah… Bene!
Disse il satiro, e si accomodò meglio sulla poltrona ampia e bene imbottita, mentre Alma scivolava nel sonno.
II
Alma si sentì sprofondare nell’oscurità, precipitando attraverso un vuoto che le sembrava senza fine, nel buio, sospinta da correnti che le scivolavano sul corpo e le scompigliavano i capelli, fino a che si ritrovò in piedi, al bordo di una pista aeroportuale, proprio davanti ad un aereo, un Airbus ad alta tecnologia che era appena atterrato da un volo proveniente dall’America Centrale.
Il comandante, uomo determinato e abituato a prendere decisioni, aveva richiesto in modo perentorio l’intervento di una équipe specializzata per un’emergenza che richiedeva un lavoro di squadra molto impegnativo
.
Alma era una spettatrice, a lato della pista, e non capiva dove fosse e perché fosse lì, anche se quello che vedeva le sembrava familiare.
Quando uno dei soccorritori le passò attraverso capì che non era veramente lì.
Si sentì come un fantasma, spaesata e preoccupata.
Poi guardò in alto e i suoi pensieri si persero per un po’ tra le nuvole sfilacciate che si inseguivano senza posa nell’azzurro del cielo.
Quando riabbassò gli occhi, fu con stupore che vide sé stessa su di una barella, caricata ed allacciata con cura, mentre veniva fatta scendere dall’aeromobile. Aveva perso i sensi e si vedeva che aveva forti tremori e febbre alta. Alcuni steward precedevano la discesa della barella sulla scaletta per proteggerla da un’eventuale caduta.
I barellieri la caricarono velocemente su di un’ambulanza della Croce Rossa Italiana, che attendeva sulla pista di rullo al fondo della scaletta.
Non appena caricata la barella e chiuse le portiere, l’ambulanza partì a sirene spiegate verso il più vicino presidio sanitario.
Ed Alma si ritrovò in ospedale al capezzale di sé stessa, e capì subito che nessuno la vedeva.
Non sapeva davvero che pensare, quando sentì dietro di sé la voce del satiro: Non puoi cambiare quello che è accaduto. Non ti vedono e non ti sentono perché queste cose sono già avvenute e tu le stai vedendo riflesse nella luce astrale, come se fosse un film
. E aggiunse: Non si può cambiare il passato. Di solito
.
Ma cosa ha?… Cioè, cosa ho?
Chiese Alma preoccupata.
Possibile broncopneumopatia cronica ostruttiva…
Sussurrò lui.
Sei sicuro?
No, però è un bel nome per una patologia. Non me ne intendo di medicina, ma ho ascoltato poco fa dei medici che ne parlavano.
Lei si avvicinò al letto, osservando attentamente quanto accadeva.
La febbre altissima e la tosse non le davano tregua e il suo corpo non aveva risposto alle cure di antibiotici e cortisone che le erano state somministrate in terapia intensiva. Poteva leggere il nome dei farmaci sul tavolino e scritti sul vetro dell’ampolla delle flebo.
Stavano lottando contro il tempo perché era stata ricoverata in condizioni critiche: ai sintomi come febbre alta, tosse, respiro affannoso, mialgia toracica, vomito e diarrea, si erano aggiunte convulsioni e disfunzioni al fegato e ai reni.
Entrarono due medici. Uno era basso, grasso e calvo, l’altro alto, snello, giovane biondo ed atletico. Entrambi indossavano il camice blu della Terapia Intensiva, e sul petto avevano la targhetta di riconoscimento con nome e qualifica. Quello più basso, che doveva essere il Primario del reparto, stava proprio dicendo la stessa cosa che pensava Alma: Dobbiamo lottare contro il tempo. Ho bisogno al più presto degli esiti degli esami diagnostici che le ho fatto fare non appena è stata ricoverata
.
Di quali esami si tratta?
Abbiamo provato di tutto, ed in base ai risultati dovremo scegliere la cura più appropriata da somministrarle.
Ormai la paziente aveva evidenti difficoltà respiratorie. La sua vita e la sua salute dipendevano da quanto velocemente i medici avrebbero iniziato un trattamento efficace.
È qui che hai cominciato a sognare.
Disse piano il satiro. Nel sogno hai corso lungo le vie della città per i tuoi appuntamenti di lavoro, fino a quando il vortice cremisi ti ha portata nei Campi Elisi.
Cosa vuoi dire?
È un modo poetico per dirti che sei tra la vita e la morte. Che vuoi… Un tempo si diceva così. Io vivo ai confini tra i due regni. Ed ora anche tu… Almeno per un po’.
I due medici si erano fermati vicino al letto. Il Primario riprese: Vedi… Alma, la paziente, è stata ricoverata in rianimazione con un’infezione in fase acuta non ancora ben definita. Probabilmente l’ha presa in America Centrale. Stiamo attendendo gli esiti degli esami di laboratorio. Intanto l’abbiamo messa in coma farmacologico, e, come vedi, il suo organismo ormai stabilizzato è sceso al minimo delle sue funzioni. Dobbiamo aiutarla perché tutte le sue energie devono essere conservate per la guarigione
.
Alma vide sé stessa circondata da strumenti elettronici dotati di allarmi molto sensibili, che emettevano suoni inconsueti, sostenuta da farmaci che scendevano, goccia a goccia, lungo i tubicini delle flebo, e comprese che tutto doveva servire per dare modo ai medici di scoprire la causa dell’infezione e ripararle l’organismo.
Si vide intubata e collegata ad un respiratore automatico. Ma quando provò a toccare la mascherina che le copriva naso e bocca e dove le veniva fornito l’ossigeno a pressione, le sue mani passarono oltre, come se il suo tocco fosse quello di un fantasma. Allora lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi e rimase in piedi, vicino al letto, mentre un senso di impotenza l’avvolgeva ed alcune lacrime le sorgevano spontanee.
Io sono lì? Sono proprio io?
Sì, ma adesso riposa. Hai visto quello che dovevi vedere.
Sentì la mano del satiro sulla fronte e si risvegliò sprofondata nella comoda poltrona trapuntata davanti al fuoco.
Era un sogno o era realtà? Era tutto vero? Non sapeva più cosa pensare.
Così guardò le fiamme crepitanti del fuoco nel camino.
E ricordò un altro camino, tanti anni prima, e la sala di una casa ormai persa nel tempo, ed una lettera, di cui ora le tornavano in mente le parole. L’aveva letta seduta proprio davanti ad un’altra fiamma crepitante. Era di sua zia Linon, e le era stata data dal notaio, dopo la lettura del testamento con il quale la zia le aveva lasciato dei gioielli e degli oggetti ai quali teneva in modo particolare, oltre alla sua benedizione, al suo ricordo ed al desiderio che lei fosse la sua erede spirituale.
Il tempo non possiamo fermarlo: gli eventi, quando li iniziamo a vivere, conducono sempre, attraverso vie misteriose, a nuovi inizi dai quali si originano nuovi eventi, in un ciclo senza fine, che ha come limite solo l’infinito, e ci troviamo di fronte a scelte che sono molto difficili perché decisive e definitive, o almeno questo è quanto crediamo.
Alma pensava: È difficile affrontare i momenti di passaggio nella vita terrena, specie quelli che cambiano radicalmente il modo di vivere, in particolare quando non sai se troverai pronta davanti a te una fune alla quale aggrapparti per lanciarti nel futuro oppure una corda legata attorno alla tua vita, per trattenerti nella discesa, simbolo concreto dei legami che hai con il tuo passato
.
Dio mio! Se non fossi capace di spingermi nel vuoto, non saprei davvero vivere bene e con gioia, non potrei unire passato e futuro per lanciarmi ogni giorno nella vita. Credo che il timore del futuro indebolisca il coraggio che serve per affrontare con un salto l’ignoto, e faccia perdere la fiducia nella speranza, l’unica che sa, con irrazionale certezza, che vi è sempre un porto sicuro a cui attraccare. Se manca la fiducia nel futuro calano le speranze di gioia, mentre crescono le paure per i rischi.
Si alzò