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La morte mormora: I padroni di Serravalle
La morte mormora: I padroni di Serravalle
La morte mormora: I padroni di Serravalle
E-book423 pagine

La morte mormora: I padroni di Serravalle

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Info su questo ebook

La morte mormora - I padroni di Serravalle
La seconda indagine di Stefano Drago
Corrado Falletto, primo cittadino di Serravalle Mormora, si suicida gettandosi dal castello del paese, dopo aver ricevuto una lettera anonima recante la perentoria frase: NULLA CAMBIA.
Quando il cadavere viene rinvenuto, si scopre che è privo della testa. La sua morte traumatizza la realtà chiusa e conservatrice del comune piemontese, nel quale si susseguono eventi inspiegabili, e scatena una lotta segreta e intestina tra i vari protagonisti della politica locale.
Intanto, ad Asti, l’agente speciale Stefano Drago, membro del misterioso Dipartimento Indagini Paranormali, riceve l’incarico di indagare sulla scomparsa di un Libro del Comando, un testo magico, temuto e messo all’indice dalle autorità clericali. Il caso si rivela complicato e ben presto finirà con l’intrecciarsi con l’inchiesta sulla morte del sindaco decapitato.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2012
ISBN9788875637248
La morte mormora: I padroni di Serravalle

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    Anteprima del libro

    La morte mormora - Borgio Fabrizio

    Capitolo primo

    Gli uomini credono volentieri ciò che desiderano sia vero.

    Caio Giulio Cesare, De bello Gallico

    L’avvocato Giuseppe Marengo era del tutto antitetico al sindaco Falletto. Capogruppo di minoranza della lista civica Una Serravalle Migliore, raccoglieva sotto il simbolo di un grappolo d’uva, sedicenti anime liberali e democristiane e anche fisicamente ne rappresentava l’opposto: alto, capelli d’argento, dotato di un’eleganza di portamento istintiva e naturale. Aveva mancato la vittoria per centodue voti diventando il gruppo di minoranza più consistente. Anche senza vittoria, sapeva che la bella presenza e l’immagine di uomo signorile, avevano contribuito significativamente alla sua affermazione sullo scenario politico di Serravalle. Tanto bruciante era stata la sconfitta quanto aggressiva e determinata la sua opposizione in consiglio.

    Tutte le mattine si recava al bar di Toju, proprio sotto il Castello, dove amava fare colazione con croissant appena sfornati e un cappuccino dalla schiuma densa e ricca, che solo il latte crudo di vacca, poteva dare. Erano da poco passate le sette, la nebbia avvolgeva la luce dell’alba di una pallida penombra, che impediva il consolidarsi del giorno. I fari delle luci arancioni emanavano un chiarore fumoso, che aumentava la vaghezza dei contorni del Castello.

    Oltre a lui e a Toju, nel bar erano entrati due operai del comune, con addosso giacche a vento arancioni dalle bande catarifrangenti. Ordinarono due caffè poi uno si mise a sfogliare Tuttosport e l’altro a inviare messaggi con il cellulare. Toju, un signore di mezz’età con baffoni e capelli lunghi fino alle spalle, posò un piattino sul banco con due croissant dorati. Marengo ne prese uno con un tovagliolino di carta, ne spezzò l’estremità e annusò goduto l’aroma portato da un ricciolino di fumo. Che delizia mormorò. I due operai pagarono e uscirono, salendo su un Transit dal pianale ribaltabile, con le insegne del comune. L’avvocato osservò i due uomini partire e quando le luci di posizione del mezzo furono inghiottite dalla foschia, disse: Hai visto quei due? Calmi, tranquilli... tanto pagano i contribuenti.

    Dai avvocato, sono le sette adesso. Scommetto che non hanno ancora timbrato il cartellino.

    Questa giunta Falletto è troppo lassista con i dipendenti, altro che il modello di efficienza che avevamo in mente noi. Al prossimo consiglio metterò la questione sul tavolo. Il nostro comune manca di capacità ma le imposte comunali, quelle le hanno aumentate. Paghiamo di più per avere di meno.

    Su questo hai ragione commentò Toju, che il voto a Falletto l’aveva dato ma quando avevano ritoccato le imposte se ne era amaramente pentito. Marengo sorrise e un biancheggiare di denti spiccò sull’abbronzatura presa sulle piste di Sestriere. Alle prossime, Toju, alle prossime. Falletto ci perderà la testa a governare, vedrai addentò il secondo croissant girandosi a guardare la sua BMW 530 parcheggiata proprio di fronte alla vetrina del locale, sullo spazio del dehor, che d’inverno Toju smontava. In quel momento vide il fuoristrada dei Carabinieri con il lampeggiante acceso, sfrecciare per la via principale e proseguire oltre il Castello; subito dopo, la Fiat Marea della polizia locale.

    Dev’essere capitato qualcosa commentò Toju. Giuseppe Marengo si abbottonò il cappotto, salutò e uscì, aprendo l’auto col telecomando. Una figura in uniforme passò vicino a lui ed entrò trafelata nel bar. L’avvocato richiuse e seguì l’agente appena entrata. La ragazza era pallida in volto e stava parlando con Toju, mentre questi versava un grappino. Allora? chiese Marengo, la ragazza lo guardò con un’espressione fortemente turbata e disse semplicemente: Hanno trovato il sindaco morto.

    Cosa?.

    Dietro il Castello, verso San Bastiano.

    Morto? fece eco Toju con gli occhi sgranati dallo stupore. Marengo uscì con lunghe falcate nervose e partì con la sua auto in direzione San Bastiano.

    L’automobile dell’avvocato compì una nervosa inversione lungo il viale principale e percorse con soffice potenza la strada che di fronte al castello si biforcava. Verso sinistra, attraversava il borgo vecchio, verso destra abbandonava l’abitato, per collegare le frazioni di San Bastiano, Santa Lucia e Olmo. Un’ampia curva circondava il bricco del castello in un abbraccio d’asfalto; immediatamente dopo il bastione orientale, Marengo vide le auto di Vigili e Carabinieri parcheggiate lungo il ciglio ricoperto di brina. Un agente della locale gli si parò davanti, i fari della BMW accesero le bande catarifrangenti della giacca a vento e la paletta che teneva nella mano destra. Marengo accostò, parcheggiando dietro la Marea, accese le quattro frecce e scese giù. L’agente che gli andò incontro era pallido, la faccia lunga, una ciocca di morbidi capelli castani ricadeva sulla fronte liscia, da sotto la visiera del cappello. Distrattamente, l’avvocato pensò che il ragazzo portasse i capelli un po’ troppo lunghi per il ruolo che ricopriva, poi l’espressione grave che lesse sul volto del vigile, spazzò via i suoi pensieri di forma e di sostanza.

    Non potrebbe fermarsi avvocato gli disse l’altro. Marengo ebbe la sensazione che il labbro inferiore del vigile tremasse impercettibilmente e non era affatto sicuro che fosse per il freddo. Ma è lui? È il sindaco, allora? il ragazzo deglutì e scosse il capo, incerto: Non... non ne sono sicuri... dagli abiti, sembrerebbe.

    Marengo s’indispettì, il nervosismo e la tensione che si cominciava ad avvertire nell’aria l’aveva subito contagiato e i tentennamenti del giovane agente non lo aiutavano.

    Ma insomma sbottò L’avrete pur visto in faccia il vigile strinse la paletta facendo scricchiolare i guanti di pelle nera, l’agitò nell’aria umida e fosca e gli girò le spalle, richiamato da qualcuno nel folto delle gaggie.

    E come si fa? gli rispose di rimando È senza testa.

    Giuseppe Marengo avvertì un’improvvisa debolezza alle gambe e piegando leggermente le ginocchia, si appoggiò contro la fiancata della macchina. La danza dei lampeggianti gli feriva gli occhi e chiudendoli, valanghe di pensieri gli affollarono la mente: il sindaco, il consiglio comunale, il mandato agli sgoccioli, una crisi, i giornali, lo studio da avvertire... Avvocato Marengo la voce che lo chiamò aveva un velato accento napoletano, la figura cui apparteneva, era corpulenta, di media statura e con un’autorevole barba scura. Sulle spalline spiccavano i binari rossi del maresciallo Michele Cannavale, comandante della locale stazione dei Carabinieri. Marengo si raddrizzò, riconquistando velocemente la dignità e la statura del suo ruolo. Sono consapevole di essere un potenziale intralcio ma quando ho sentito che la vittima poteva essere il nostro primo cittadino, non sono riuscito a trattenermi Cannavale annuì, abbassando il capo come per invitare l’avvocato a un’intimità necessaria. Stiamo effettuando tutti i rilievi del caso. Ho avvertito i miei superiori ad Asti e la Magistratura.

    Può confermarmi l’identità del cadavere? Bisognerà indire un consiglio straordinario....

    Dagli abiti e dai documenti che aveva addosso, sembrerebbe il dottor Falletto, una volta ritrovata la testa... una leggera nausea prese lo stomaco dell’avvocato, che d’istinto allargò il colletto del cappotto.

    Una seconda auto della polizia locale, una Punto, si fermò dietro la BMW di Marengo. Ormai, la curva del castello era affollata come la domenica delle sagre. La vigilessa che aveva avvisato per prima della tragedia, scese dal mezzo, accompagnando un uomo verso la costa, dove i Carabinieri, con del nastro bianco e rosso, avevano delimitato un perimetro irregolare. Il nuovo arrivato, un signore di mezz’età dai folti capelli scuri e un giaccone scozzese, rivolse un saluto mesto a Marengo poi sprofondò le mani nelle tasche del giaccone e il mento nella pelliccia sintetica del colletto. L’avvocato riconobbe nel nuovo arrivato, Alberto Fasano, il vicesindaco. L’uomo scomparve alla vista di Marengo, inoltrandosi tra le gaggie, accompagnato dal maresciallo; trascorsero pochi, dilatati minuti, dopo i quali i due riemersero. Fasano si appoggiò contro un albero, pallido, scosso e senza parole. Il suo sguardo vagò dal maresciallo alla ragazza della polizia locale, incrociò quello di Marengo poi scostò il volto, per vomitare. Marengo sentì il dovere di muoversi verso il vicesindaco ma le gambe erano deboli e non collaboravano; rimase così appoggiato alla sua auto mentre Fasano sputacchiava e si detergeva la bocca con un fazzoletto. È lui? domandò timidamente al vicesindaco, l’altro annuì, il volto terreo e la bocca storta in un’espressione disgustata. Il paltò, i documenti, la... fede al dito, porta il nome della moglie e la data del matrimonio. Oggi bisognerà indire un consiglio straordinario.

    Assolutamente sì Marengo guardò lo schermo del cellulare Chiamo l’ufficio e cancello tutti gli appuntamenti schiacciò con un pollice nervoso i tasti dell’apparecchio mentre la sua mente elaborava scenari prossimi venturi: il paese in lutto, l’onda emotiva, la sua macabra morte, gli effetti sulla campagna elettorale che si stava già prefigurando. Mors tua vita mea, caro ‘l mè sindìc senza testa, pensò Marengo.

    Capitolo secondo

    Il segreto della nostra arte, dell’arte,

    di ogni arte che vuole durare... è la CRU-DEL-TÀ.

    Michel de Ghelderode, La scuola dei Buffoni

    La notizia si diffuse con la medesima, sconvolgente velocità che solo gli avvenimenti tragici riuscivano a raggiungere. Un’ora dopo, quando la nebbia si era alzata e il cielo sfumato in un grigio più chiaro, lungo la via principale di Serravalle, capannelli di cittadini sostavano davanti a bar e negozi, a commentare la tragedia con voci basse, a tratti sussurrate, come si conveniva in quei momenti. Alberto Fasano aveva raggiunto telefonicamente tutti i membri della giunta mentre si trovava nell’ufficio del Maresciallo Cannavale, poi decise che, con il comandante della stazione dei Carabinieri, dovesse sobbarcarsi l’onere d’informare la moglie del sindaco. Assieme, sul fuoristrada dei Carabinieri, raggiunsero casa Falletto, una bella cascina riattata in Frazione San Bastiano. Mesto, Fasano s’incamminò lungo la corte ricoperta da un fitto prato all’inglese, seguendo un vialetto di pietra lastricata che conduceva fino al portone d’ingresso. Sulla targa d’ottone del campanello si leggevano i cognomi: Falletto-Rostagno. Suonò il campanello, una volta; udì dei passi avvicinarsi e il volto di Anna Rostagno affacciarsi.

    Ciao Alberto... le parole si estinsero non appena vide alle sue spalle il maresciallo Cannavale con il cappello in mano. Era una signora minuta e nervosa, pallida e bruna di capelli. Aveva fama di donna di carattere ma la scena che aveva di fronte lasciava poco spazio a speculazioni. Si strinse nelle spalle e si appoggiò allo stipite della porta in cerca d’appoggio, sospirò come se fosse in procinto di una resa e domandò semplicemente che cos’era successo. Alberto aprì la bocca mentre sperava ancora che gli venisse in mente qualcosa di degno d’esser detto e in quel mentre il maresciallo lo anticipò con la sua esperienza di carabiniere:

    Una disgrazia, signora, una terribile disgrazia....

    Anna Rostagno a cinquantotto anni si ritrovò il volto inondato di lacrime dolorose e tremante di una paura che già da un po’ di tempo la perseguitava e solo in quell’umida mattinata, aveva sferzato il suo colpo più cattivo.

    Alberto Fasano abbracciò la moglie dell’amico e compagno d’avventure politiche, si permise d’entrare, seguito dal maresciallo e la accompagnò nella sala con camino, dove un televisore trasmetteva un programma di cucina. Anna, tra i singhiozzi spense con un gesto stizzito l’apparecchio poi, si raggomitolò in un angolo del divano e dominando faticosamente la sofferenza che la stava sommergendo tra lacrime e singhiozzi, chiese ragguagli sulla morte del marito. Cannavale si schiarì la voce e cercò di essere il più professionale e distaccato possibile, cercando di nascondere tutto l’orrore di quella morte dietro un freddo paravento di pragmatismo che, aveva avuto la sensazione, potesse essere una corda consona al carattere della donna.

    Suo marito è morto questa mattina, presumibilmente tra le cinque e le sei e trenta. Indagini e rilievi sono tuttora in atto ma dagli elementi in nostro possesso, abbiamo ragione di ritenere che possa essersi suicidato.

    Anna si mise a piangere sommessamente, il corpo minuto sconquassato dai singhiozzi, i riccioli scuri che ricadevano sul volto rigato dalle lacrime che gocciolavano dalle gote e dal mento.

    ***

    Fasano prese contatto con entrambi i figli di Falletto, studenti ad Asti e Torino e disse al maresciallo che avrebbe atteso il loro arrivo, per non lasciare sola Anna.

    Cannavale disse che doveva rientrare alla stazione, Fasano annuì: Vada pure maresciallo, mi farò riaccompagnare giù dai ragazzi o prendere o da mia moglie.

    ***

    Michele Cannavale rientrando in paese sentiva gli occhi di tutti i passanti su di sé. Una nuova tensione era palpabile tra le case del centro e le finestre del municipio apparivano come molteplici occhi vitrei che dal corpo centrale del castello, fissavano Serravalle con freddezza. Il maresciallo si ritrovò a detestare quel posto, quel paese chiuso, cieco e sordo, abituato a vivere di se stesso con se stesso. Che si nascondeva, orso tra le nebbie, da settembre a giugno perfino e dove la gente, dietro una rigida gentilezza, sembrava sempre pensare qualcos’altro. piemontesi du cazz, pensò in un impeto di napoletanità.

    La stazione dei Carabinieri di Serravalle Mormora si trovava al paese basso, chiamato Traversa Interna a causa della statale per Asti che tagliava in due la zona abitata. La casermetta, che contava sei carabinieri lui compreso, era un brutto edificio di cemento grigio, una specie di grosso scatolone cintato, con i caratteristici cartelli gialli che avvisavano la presenza di sorveglianza armata. Dava direttamente sulla statale e pochi chilometri più a sud si raccordava con l’uscita per l’autostrada A33, la recente Cuneo-Asti-Torino, in frazione Le Mote. Normalmente dava un senso di desolazione urbana, le uniche auto parcheggiate erano quelle degli agenti in servizio ma quella mattina, lo spiazzo antistante era insolitamente affollato. Fermando il Range Rover, Cannavale riconobbe una station-wagon bianca della RAI e altre auto sconosciute. Sospirò, il maresciallo, si calcò ben bene in testa il cappello e avanzò a passi decisi verso l’ingresso della stazione. Dentro lo accolsero il piantone e diversi giornalisti che appena riconosciuto, lo sommersero di domande e richieste. Cannavale si trincerò dietro una raffica di ‘no comment’ e si affrettò a chiudersi la porta dell’ufficio dietro le spalle. Appese cappello e giacca a vento a un attaccapanni e si sedette improvvisamente stanco. Schiacciò il tasto dell’interfono e richiese immediatamente un caffè: la prima cosa della quale sentiva un autentico, prepotente bisogno; la seconda, era la fine di quel caso ma sembrava, quell’ultimo, un desiderio ben più vano.

    ***

    Alberto Fasano, seduto rigidamente sul divano, accanto alla vedova Falletto, lasciava vagare lo sguardo nel salone, sommerso dai pensieri e dalla nuova responsabilità. Quando Cannavale se n’era andato, nella casa era calato un silenzio spesso e pesante, sottolineato anziché interrotto dai bassi singhiozzi di Anna. L’unico suono che si percepiva della casa, era il rintocco ritmico della pendola, che colpiva l’aria immota. Immobile, con un braccio che voleva essere fraterno, attorno alle esili spalle della donna, Alberto pensava al proprio ruolo: morto il sindaco, la carica automaticamente passava a lui ed era quindi logico supporre che avrebbe dovuto traghettare la giunta fino alle elezioni di maggio. Sotto le mura del castello aveva già trovato quell’avvoltoio di Marengo; appariva sconvolto anche lui dall’accaduto ma era pronto a scommettere la sua annata migliore che in uno stanzino della sua bella testa, era già al lavoro per sfruttare l’occasione e tentare una volata fino alle prossime elezioni. Nel pomeriggio, con la giunta riunita, bisognava decidere cosa fare, che era il minimo e continuare il lavoro per le elezioni, che la scomparsa di Corrado avrebbe inevitabilmente sconvolto. Durante uno degli ultimi incontri con la giunta, Falletto sembrava intenzionato a riproporre tutti gli ultimi eletti ma tra la maggioranza non c’era completa armonia e in molti avevano proposte alternative per modernizzare un po’ la lista ventura. La Galimberti per esempio, era stata eletta consigliere ma tutti sapevano che puntava all’assessorato del Turismo e della Cultura, ruolo che Alberto aveva caldeggiato per il professor Botto. Nella spartizione delle nomine, quella era stata l’unica occasione nella quale Fasano e Falletto si erano ritrovati su fronti contrapposti e ancora adesso, non era riuscito a capire perché Corrado si fosse così fissato con quella nomina per la Galimberti, donna dinamica, intelligente ma che non aveva assolutamente lo spessore e la formazione di Botto. Fasano sospirò. Aveva un’azienda vinicola da mandare avanti, un Comune da gestire, una campagna elettorale da riconfigurare, soprattutto, non sapeva se aveva voglia di metterci la faccia per una nuova corsa anche perché il gesto di Corrado Falletto lo aveva spaventato nel profondo. Tutto a un tratto, la sua carica di vicesindaco non appariva più come una fantastica opportunità per cambiare le cose e fare del bene ma era molto più simile a quella di una lepre che si ritrovava paralizzata dai fari di un’auto nel cuore della notte.

    ***

    Oriana Giordano arrivò alla Stazione dei Carabinieri di Serravalle Mormora verso le 09:30, dopo che la redazione de La Stampa di Asti aveva ricevuto la notizia della morte, misteriosa, del sindaco di Serravalle Mormora.

    Il suo direttore non le aveva dato nemmeno il tempo di entrare in redazione che le aveva gridato dietro: Fiondati a Serravalle e tirami fuori un pezzo entro mezzogiorno. Oriana, che amava la sua professione nonostante i modi da orco del suo capo, non aveva fiatato e aveva spinto la sua Y lungo la tangenziale sud senza nemmeno pensare alla velocità che stava mantenendo. Era una giovane donna di trentatré anni che a volte ne dimostrava dieci di meno. Era di media statura, corporatura esile e tratti delicati. Aveva fini capelli biondi e lisci che solo di recente aveva tagliato corti, donandosi un aspetto più dinamico che ben si armonizzava con il carattere intraprendente. Ora si trovava nella sala d’aspetto della stazione, assieme ad una troupe del TG3 Piemonte e ai colleghi de L’Araldo Astigiano e La Gazzetta. Testate minori, bisettimanali ma che in ambito provinciale avevano una buona tiratura. L’Araldo era a conduzione laica mentre La Gazzetta era sovvenzionato dal vescovato astigiano; Oriana si domandò come quest’ultimo giornale avrebbe trattato il caso. Seduta su una sedia di plastica, scrutava attenta gli altri giornalisti. L’inviato de La Gazzetta era un giovanotto vestito sportivo con jeans e giacca a vento senza fronzoli, portava occhiali tondi ed era pettinato con un’antiquata riga da una parte ricordando così, un po’ troppo, il classico ragazzo di parrocchia. La collega dell’Araldo invece era una signora apparentemente sulla quarantina, capelli castani ben acconciati, bei jeans abbinati a un paio di stivali di buona fattura dal tacco alto e robusto; ecco una che sapeva il fatto suo, pensò. Scriveva velocemente su un taccuino, forse in stenografia, aveva già un abbozzo, immaginava Oriana, che avrebbe arricchito con quanto sarebbe riuscita a strappare al comandante della Stazione. La troupe era accampata dall’altra parte della stanza, riempita per metà dalla loro attrezzatura. Il cameraman era un ragazzo dalla testa rasata e un paio di vistosi occhiali dalla montatura rossa, il fonico un tipo con la coda di cavallo e un bomber pieno di stemmi e patacche. Il giornalista lo conosceva di vista, l’aveva già visto al Tg, un signore dall’aspetto elegante e un pizzo immacolato che gli ornava la bocca; parlava con i tecnici con voce chiara e venata da un leggero accento piemontese. Lei aveva smesso di usare taccuini e block notes da quando il suo ex ragazzo le aveva regalato un registratore digitale. Comodo, pratico, permetteva di cogliere ogni parola e dopo, con calma, in redazione, poteva estrarre interviste e dichiarazioni e scrivere il pezzo; peccato, che quando il maresciallo era arrivato, aveva liquidato tutti a forza di ‘no comment’ e si era blindato in ufficio. Poco dopo, li ricevette un brigadiere, rassicurandoli che entro breve ci sarebbe stata una dichiarazione ufficiale. Era passata quasi un’ora, il cellulare di Oriana aveva vibrato più volte segnalandole l’arrivo di una serie di messaggi, dei quali già immaginava l’autore, e che lei aveva deciso d’ignorare finché non avesse sentito la dichiarazione del maresciallo. La giornalista de La Stampa accavallò le gambe nervosamente; portava anche lei stivali, neri e col tacco basso perché aveva bisogno di calzature comode per muoversi velocemente, se li esaminò distrattamente, osservando gli scintillii delle cerniere. Improvvisamente le era venuto caldo a stare chiusa nella stanza affollata. Aprì il giubbotto di pelle e sfilò la sciarpa, il ragazzo de La Gazzetta la scrutò di sottecchi, timido. Oriana, ironicamente, sperò di non averlo turbato troppo con quel gesto. La tipa de L’Araldo si alzò in piedi e prese a guardare le stampe alle pareti raffiguranti Carabinieri di tutte le epoche e stemmi araldici. Oriana sospettò che avesse una gran voglia di fumarsi una sigaretta ma nella sala d’aspetto era ben visibile il cartello di divieto.

    Oriana, annoiata dalla stasi, ruppe gli indugi e domandò ai colleghi: "Qualcuno di voi ha capito che cosa è capitato a questo sindaco?

    Noi siamo stati informati solo della sua morte, nient’altro le rispose la cronista de L’Araldo, ora giocherellava con una stilografica che cozzava contro i numerosi anelli. Il giornalista della RAI , forte del vantaggio logistico e del marchio che rappresentava, non si sbottonò più di tanto e senza sbilanciarsi, rispose che la redazione di Torino aveva bisogno del servizio per l’edizione delle quattordici e non aveva altro tempo da perdere. Il ragazzo de La Gazzetta disse soltanto che gli avevano telefonato a casa, lui era di Cortazzone, e gli avevano ordinato di correre a Serravalle perché ‘era capitata una disgrazia’.

    Davvero ti hanno detto così? chiese Oriana.

    Sì. L’hanno saputo dal parroco di Serravalle rispose il ragazzo abbozzando un sorriso che voleva ispirare simpatia.

    Già, voi avete i vostri canali commentò quella de L’Araldo.

    Oriana prese mentalmente nota di fare un salto in parrocchia non appena possibile. Finalmente, verso le 10:25 il Maresciallo Cannavale decise di incontrare gli organi di stampa. I giornalisti e la troupe RAI furono invitati nell’ufficio del comandante, che li attendeva, seduto alla sua scrivania. Alle spalle, faceva bella mostra, una foto inquadrata del Presidente della Repubblica. Il sottufficiale si schiarì la voce e con studiato tono formale annunciò il ritrovamento del corpo senza vita del dottor Corrado Falletto, primo cittadino di Serravalle Mormora. Il cadavere era stato rinvenuto da una pattuglia della Polizia Locale di rientro da un giro di perlustrazione nell’area del castello del paese. Rilievi e indagini erano in pieno svolgimento e sarebbe stata cura del comandante medesimo, in concerto con le autorità competenti, di mantenere aggiornati gli organi d’informazione sullo sviluppo del caso. Tutto qua? pensò polemicamente Oriana.

    Alzò fulminea la mano, come a scuola e domandò: Avete elementi per ipotizzare le cause della morte?.

    Sono al vaglio degli organi competenti, qualsiasi ipotesi è prematura parla come un copione, pensò ancora Oriana.

    Ora del ritrovamento? chiese il ragazzo di parrocchia.

    Circa le 06:50 di stamattina.

    Prevedete di chiamare i RIS per le indagini? volle sapere la giornalista de L’Araldo.

    Cannavale represse l’istinto di sbuffare e accompagnò le sue parole con degli svolazzi nervosi di una penna: Se il comando lo riterrà opportuno rispose, asciutto.

    La troupe della RAI riprendeva muovendosi nello spazio ristretto dell’ufficio con la massima circospezione. Un fascio di luce bianca illuminava il volto del maresciallo, a Oriana parve di vedere il luccichio di una patina di sudore sulla fronte del carabiniere. Il giornalista televisivo si prese il suo spazio, rivolse alcune domande di circostanza che ottennero altrettante risposte di circostanza ma che lei si premurò comunque di registrare. Con lo spegnersi delle telecamere, si concluse la piccola conferenza e i giornalisti lasciarono la stazione, quasi tutti impegnati in rapide telefonate con le rispettive redazioni.

    Oriana Giordano salì velocemente in macchina e partì alla volta del centro del paese. Si fermò in piazza delle Brigate Partigiane, la principale area di parcheggio di Serravalle. La vasta spianata d’asfalto occupava un appezzamento sottostante il bricco del castello, vicino c’era un peso pubblico, un bar e un viale alberato che portava al centro sportivo. Da lì si vedeva la parte vecchia del paese, Serravalle alta, conosciuta anche come ‘la Borgata’; si arrampicava sulle pendici del colle, sotto e attorno al grosso castello, simile a un nido di vespe fatto di case e palazzotti. Dalla piazza del parcheggio si poteva risalire verso il centro seguendo un lungo marciapiede pavimentato di autobloccanti, che costeggiava la strada oppure si tagliava direttamente, salendo una ripida scalinata di pietra e cemento, con il corrimano di ferro battuto. Oriana prese la scala e si ritrovò in pieno centro, in corso Torino. La via principale aveva l’aspetto austero e ben curato che avevano un po’ tutti i comuni benestanti dell’Italia settentrionale. Sotto i lunghi portici si susseguivano locali e negozi, la strada pavimentata con cubetti di porfido appariva lucida e bagnata dall’umidità. Siepi ben tosate intervallavano le arcate dei porticati. Sui lati della strada era possibile parcheggiare a pagamento, tutto il viale era uno stallo blu. Scendendo verso la statale vedeva le indicazioni per la scuola pubblica, la stazione dei Carabinieri e la delegazione della Croce Verde; dalla parte opposta, imperava il castello. Era una struttura imponente di pietra grigia con eleganti merlettature di tipo ghibellino e i coppi di un rosso mattone cupo; incombeva sulla borgata e su tutto il paese dall’alto del bricco dalle coste ripide e velato dalla foschia di quell’umida giornata. Ricordava un gigantesco animale da bestiario medioevale, circondato dalle spire dei suoi stessi ansimi. Serravalle, la cittadina, appariva indifferente al severo padrone che la sorvegliava; altera, sembrava invece godere sottilmente della presenza del maniero, che a ogni occasione sfoggiava e sfruttava per le più disparate iniziative.

    ***

    Oriana passeggiò lungo il viale guardandosi attorno con discrezione. La maggior parte dei passanti era costituita da anziani, pensionati con abbondanza di tempo libero che permetteva loro di girare per il paese a mattina inoltrata. A piccoli gruppi borbottanti si riunivano ai tavolini dei bar o sotto i portici e quel particolare giorno, il ritrovamento del sindaco morto era l’inevitabile, ossessionante argomento di discussione. La giornalista scelse il locale pubblico più vicino al Municipio, un bar chiamato Toju, entrò, ordinò un tè e appoggiata al bancone si presentò all’esercente. Toju, al secolo Vittorio Bonino, scosse i lunghi e radi capelli che gli incorniciavano il volto.

    Robe dell’altro mondo esordì nessuno riesce ancora a capire che cosa abbia visto quell’uomo.

    Era suo cliente?.

    Altroché. Tutti quelli del Comune vengono da me. Il sindaco prendeva sempre un bicerìn robusto.

    Un che?.

    Il bicerìn robusto. È il corroborante della casa: caffè, cioccolato, panna liquida e Vov.

    Dovrò assaggiarlo, allora. Torniamo al dottor Falletto, com’era visto in paese? Toju le rivolse uno sguardo compassionevole: Ma bene, no? Altrimenti perché l’avrebbero eletto? La sua era stata una vittoria storica per Serravalle, la prima giunta guidata da un socialista. Falletto era un professore di chimica, conosciuto e stimato e la sua famiglia è titolare di un’importante azienda vinicola. Qua se non fai vino non sei nessuno.

    Dove è avvenuto il suicidio?.

    Dicono di averlo trovato sulle pendici del bricco del Castello. Sembra che si sia campato giù dalla torre maggiore.

    La giovane donna annuì, attenta: Stamattina presto, vero?.

    Proprio così rispose Toju con convinzione e serietà.

    Oriana osservò il barista e con fare un po’ complice, azzardò una domanda più intima: Lei l’aveva votato? Cosa ne pensa della sua amministrazione?.

    Toju sorrise un po’ nervosamente, prese tempo accennando una risata imbarazzata e disse: Sono cose che non si dicono così, tanto per dirle, madamìn. Il voto è segreto no? la ragazza si pentì della fretta messa nella rapida intervista, se ne scusò e cercò di recuperare altre informazioni.

    C’erano difficoltà in giunta che lei sappia, il suo suicidio è stato un gesto così improvviso?.

    Toju si girò per preparare due caffè e sempre di spalle, forse protetto da quella posizione un po’ scortese, continuò a parlarle: Problemi ce n’è sempre, non sono mica tempi facili, questi. I sòld a basto pà! Il sindaco aveva tante idee e poca cassa ma è un problema di tutti i sindaci.

    Un signore non molto alto, dal fisico minuto e un paio d’occhiali tondi s’avvicinò al bancone, affiancandosi alla giornalista. Ordinò una grappa monovitigno di moscato e chiese gentilmente se poteva partecipare alla conversazione, Oriana acconsentì e si presentò, l’uomo annuì gravemente col capo, le strinse la mano e commentò: Ovviamente la stampa rispolvererà un rinnovato interesse per Serravalle, adesso.

    È inevitabile, signor...?.

    Musso, Filippo Musso.

    Di che si occupa, signor Musso?.

    Sono un veterinario.

    Conosceva il sindaco Falletto?.

    Abbastanza bene, direi.

    Abbastanza! sbottò Toju che riponeva dei bicchieri nel lavello Ma se Falletto ti aveva chiesto di entrare in Lista. Vi siete fatti la corte per dei mesi poi non ne avete fatto niente.

    Lengua lünga... mormorò il veterinario, guardò Oriana che nel frattempo controllava il registratore Va bene, allora contiamola tutta a questo punto. Ho sempre bazzicato la politica locale, la scorsa legislatura ero all’opposizione con una lista di sinistra....

    Con Falletto?.

    No, all’epoca insegnava ancora, era segretario dei socialisti in Val Mormora ed era impegnato a sufficienza. Si era candidato dopo. Da uomo pacato e un po’ schivo, si era ritrovato battagliero e pieno di voglia di fare, voglia che in me si era un po’ affievolita dopo due tornate in minoranza.

    È così combattuto il confronto politico a Serravalle? chiese Oriana.

    Musso sorseggiò il grappino, schioccò la lingua e strinse le braccia sul petto, sorrise amaramente: Sono un comunista in un paese di conservatori. Ho combattuto battaglie basate su giustizia, legalità e uguaglianza sociale, mettendo sul tavolo della giunta questioni che erano culturalmente distanti anni luce dalle vecchie amministrazioni ed ho pagato anche cara la mia coerenza.

    Si rivolse a Toju, chiamandolo in causa: Nè, Toju? Raccontale di quando avevo denunciato i viticultori che pagavano in nero i braccianti durante la vendemmia....

    Un dodici anni fa. Gli avevano demolito il furgone e mezzo paese non gli rivolgeva più la parola. Ramassino, l’allevatore, ha perso una giovenca per dei problemi durante un parto, pur di non chiamarlo Musso annuì col bicchiere in mano, un gomito appoggiato al bancone. Ancora adesso, il grosso del mio lavoro lo svolgo fuori Serravalle. Altri, piuttosto di chiamarmi o venire da me, prendono la macchina e vanno a San Damiano oppure fino ad Asti Oriana fissò gli uomini poi istintivamente, abbracciò con lo sguardo il bar e i suoi astanti. La giunta Falletto era riuscita a rompere con la tradizione?.

    No, non rompere. Falletto voleva governare con la massima serenità, mica scatenare una sommossa popolare! esclamò il veterinarioSicuramente molti dei punti programmatici che avevo presentato durante la mia permanenza in consiglio comunale, erano raccolti e riflessi nel programma di Corrado. Lui, a differenza del sottoscritto aveva una capacità di mediazione superiore. Dove io avrei battuto sonoramente i pugni sul tavolo, lui sospirava e con voce pacata si metteva a discutere, convincendo gli avversari che bisognava ‘avere cognizione’.

    E gli riusciva? domandò Oriana.

    Spesso rispose telegrafico Musso.

    Quindi, Falletto, aveva portato una ventata di autentico progressismo in paese e c’era riuscito nonostante la tendenza conservatrice della maggioranza della popolazione Oriana cercava di arrivare al punto che le stonava maggiormente. Una cosa non mi torna....

    Dica l’incalzò Musso.

    La sua vittoria così netta. Possibile che abbia convinto così tanti serravallesi con una lista di sinistra?.

    Toju emise un verso indistinto, come uno sbuffo soffocato e Musso la guardava scuotendo di nuovo il capo, con un sorrisino sardonico sulle labbra sottili: "Mi perdoni signorina ma non ha capito nulla della politica locale. Quando si sceglie un candidato a sindaco, a Serravalle come nella stragrande maggioranza dei paesi, non si vota una lista o un partito, si vota la persona. La conoscenza del candidato, la confidenza, la sua fama nella comunità vanno oltre ogni colore e appartenenza. Falletto era il riferimento dei socialisti in Val Mormora ma in campagna elettorale, quasi cinque anni fa, uno dei suoi più decisi

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