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Tutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown
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E-book1.306 pagine31 ore

Tutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown

Valutazione: 3 su 5 stelle

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Info su questo ebook

• Il candore di Padre Brown • La saggezza di Padre Brown • L’incredulità di Padre Brown • Il segreto di Padre Brown • Lo scandalo di Padre Brown

Introduzione di Masolino d’Amico
Edizione integrale

Chi è Padre Brown? Secondo il suo inventore è «un prete che sembra ignaro di tutto e poi in realtà in fatto di delitti la sa più lunga dei criminali veri». Ciò che colpisce è innanzitutto il contrasto fra il suo aspetto di ometto mite e inerme e un contesto di delitti e violenze di ogni genere. La genialità di Chesterton nella creazione di questa fortunatissima figura di sacerdote-investigatore – già interpretato in una popolarissima serie televisiva del 1970 da Renato Rascel – consiste nella tecnica di soluzione dei casi conferita a Padre Brown: il prete, infatti, si immedesima nella mente criminale e cerca di agire, prima ancora di pensare, come il criminale. Precursore di molti detective letterari e cinematografici dei nostri tempi, Padre Brown, con il suo acume e la sua bonarietà, è il protagonista di questa raccolta che permette di centellinare, una storia dopo l’altra, il gusto della suspense, della ricerca, della scoperta.


Gilbert Keith Chesterton

nacque a Kensington nel 1874. Fu tra i primi grandi letterati inglesi a prendere posizione in favore del romanzo poliziesco. Si convertì dal protestantesimo al cattolicesimo diversi anni dopo aver creato Padre Brown, al quale aveva attribuito le sembianze del prete cattolico inglese John O’Connor. Morì a Londra nel 1936.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854141773
Tutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown
Autore

Gilbert Keith Chesterton

Gilbert Keith Chesterton, más conocido como G. K. Chesterton, fue un escritor y periodista británico de inicios del siglo XX. Cultivó, entre otros géneros, el ensayo, la narración, la biografía, la lírica, el periodismo y el libro de viajes. Se han referido a él como el «príncipe de las paradojas».​ Fecha de nacimiento: 29 de mayo de 1874, Kensington, Londres, Reino Unido Fallecimiento: 14 de junio de 1936, Beaconsfield, Reino Unido

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    Anteprima del libro

    Tutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown - Gilbert Keith Chesterton

    379

    Titolo originale: The Father Brown Stories

    Traduzioni di: M.G. Bonfanti, R. Formenti, A. Guarnieri,

    A. Marcelli Fabiani, C. Monaco, N. Neri, G. Pilo, A.Z.

    I racconti: La freccia del destino, L’oracolo del cane, Il segreto di Padre Brown, Lo specchio del magistrato, La canzone dei pesci volanti, Lo «Svelto», La maledizione del libro, «L’Uomo Verde», L’insegnamento del signor Blue, sono pubblicati su licenza della Garden editoriale SrL.

    Prima edizione ebook: luglio 2012

    © 1995, 2011 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4177-3

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Gilbert Keith Chesterton

    Tutti i racconti gialli e tutte

    le indagini di Padre Brown

    Il candore di Padre Brown, La saggezza di Padre Brown,

    L’incredulità di Padre Brown, Il segreto di Padre Brown,

    Lo scandalo di Padre Brown

    Introduzione di Masolino d’Amico

    Premessa di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco

    Nota biobibliografica di Lucio Chiavarelli

    Edizione integrale

    Newton Compton editori

    Introduzione

    Nel marzo 1904 Gilbert Keith Chesterton, già affermato come scrittore e polemista anche se ancora lontano dall’apice della fama, si trovò a compiere in compagnia di un nuovo amico una lunga passeggiata-escursione sulle brughiere dello Yorkshire, da Keighley, dove aveva pronunciato una conferenza, a Ilkley, dov’era ospite con sua moglie Frances di tali Steinthal. Il nuovo amico era un ammiratore che si era presentato scrivendogli una lettera circa un anno prima dalla parrocchia di St. Anne, per l’appunto a Keighley, dov’era parroco. Si trattava di un prete cattolico di origine irlandese, a nome John O’Connor: basso di statura, munito di un vecchio ombrello e di un largo cappello nero, «viso liscio e aspetto pacato e malizioso», nonché temperamento molto energico e pugnace. Durante il tragitto fu Padre O’Connor a sostenere il maggior peso della conversazione, che toccò molti argomenti, fra cui la follia e gli stratagemmi dei mendicanti per estorcere l’elemosina. Dopo aver raccontato di vagabondi che forzavano abilmente le cassette delle offerte, Padre O’Connor sbalordì il suo interlocutore con la storia sinistra di un suo conoscente che, dopo aver dato molte volte l’elemosina a una donna sempre allo stesso angolo di strada con lo stesso bambino piangente, contrassegnato da un occhio bendato, l’aveva fatta controllare dalla polizia, e si era scoperto che sotto la benda il piccolo aveva un guscio di noce contenente un ragno che gli aveva praticato un buco nella palpebra (morale: mai fidarsi di mendicanti sconosciuti). Poi i due viandanti parlarono di Zola, e Padre O’Connor raccontò come una volta il romanziere avesse offerto del denaro a una donna guarita a Lourdes perché smentisse pubblicamente l’intervento miracoloso. Quindi parlarono delle scandalose memorie di una ex novizia in un convento canadese; recitarono ballate e cantarono canzoni (rievocando la spedizione, Chesterton avrebbe commentato che «c’è un punto nell’alta brughiera dove tutti si mettono a cantare». A proposito dello stesso episodio Padre O’Connor osservò che Chesterton, pur essendo «assai sensibile al ritmo e al tempo musicale», era stonato come una campana). Arrivarono a Ilkley per il pranzo, e davanti a una shepherd’s pie discussero dell’ottimismo dei ricchi e dei vantaggi del denaro. Fra gli ospiti degli Steinthal c’erano due studenti di Cambridge, escursionisti in bicicletta. Costoro discussero a lungo di arte, filosofia e morale con Padre O’Connor e quando questi fu andato via, uno di loro espresse a Chesterton la sua ammirazione per l’acume del sacerdote, aggiungendo però che vivendo come faceva fuori del mondo, costui non poteva avere una vera esperienza della vita e in particolare del male. A sentir ciò, Chesterton trattenne a stento le risa: ripensando alla conversazione avuta durante le ore precedenti egli trovava infatti che, in confronto all’esperienza del prete, conquistata con anni e anni di lotta contro Satana, nel confessionale e altrove, i due giovani usciti da Cambridge sembravano sapere del «male vero, quanto due lattanti nella stessa carrozzina». Né la stima dello scrittore per quel sacerdote di provincia si fermò qui: quell’incontro fu soltanto l’inizio di una lunghissima e fruttuosa amicizia. Anche Francés Chesterton diventò presto intima di Padre O’Connor; con cui tenne una corrispondenza che è sopravvissuta.

    Della memorabile passeggiata da Keighley a Ilkley abbiamo ben due resoconti, entrambi scritti a notevole distanza dall’episodio, uno di Chesterton nella sua Autobiografia uscita postuma, uno di Padre O’Connor, nel frattempo diventato Monsignore, in un libro significativamente intitolato Father Brown on Chesterton (1937). L’origine del famoso personaggio appare pertanto indubbia, tanto più che nelle proprie reminiscenze Chesterton dichiara come fu allora che gli venne l’idea di «costruire una commedia con un prete che sembra ignaro di tutto e poi in realtà in fatto di delitti la sa più lunga dei criminali veri». Tuttavia Chesterton, il cui primo racconto di Padre Brown, «La croce azzurra», fu scritto molti anni dopo - uscì sulla rivista Storyteller nel settembre 1910 - modificò alquanto la fisionomia del modello, «sbatacchiandolo un po’», come scrisse, «calpestandogli cappello e ombrello fino a renderli informi, stazzonandogli gli abiti, prendendo a pugni la sua faccia intelligente fino a ridurla in uno stato di grassa e stolida inespressività»; anche le origini etniche di Padre O’Connor furono alterate, trasformando l’irlandese dalla battuta pronta in un lento e impacciato campagnolo del Suffolk.

    Quel primo racconto di Padre Brown fu buttato giù quasi per scherzo, in un periodo particolarmente brillante e creativo della sempre copiosa produzione chestertoniana, e il fatto che lo scrittore lì per lì non pensasse a dargli un seguito, lo dimostrano gli sviluppi in quelli scritti quasi subito dopo, in cui tornò su alcune decisioni prese. Per esempio, già nel «Giardino segreto», che uscì sempre sullo Storyteller nello stesso mese, Chesterton si sbarazza, e definitivamente, dell’ispettore Valentin - il più grande detective del mondo - che nel primo racconto sembra destinato a un molo fisso di antagonista-collaboratore dell’ecclesiastico poliziotto dilettante. Viene invece recuperato e in seguito valorizzato fino a diventare importantissimo il personaggio molto più simpatico e originale del criminale Flambeau, per conservare il quale negli episodi successivi Chesterton decise a un certo punto di farlo redimere definitivamente, e diventare investigatore privato di professione.

    Ben presto in ogni caso Chesterton si rese conto di aver trovato con Padre Brown una miniera d’oro praticamente inesauribile, nella quale sarebbe tornato a scavare per tutta la vita. La disinvoltura con cui soprattutto negli ultimi anni continuò a sfornare nuovi episodi della serie fu anche dovuta allo scarso conto in cui critici e intellettuali affettavano di tenere il genere poliziesco, che con il cinema e le parole incrociate fu uno dei grandi passatempi del nuovo secolo, almeno inizialmente troppo popolari per essere presi sul serio. Il racconto giallo come rompicapo, quello che in inglese si chiama whodunit, «chi è stato?», e che il lettore è invitato a risolvere, era stato praticamente inventato come ognun sa dall’americano Edgar Allan Poe con una manciata di racconti molto ingegnosi; ma il primo a specializzarvisi davvero era stato in epoca tardovittoriana il giovane medico e scrittore dilettante scozzese Arthur Conan Doyle, il quale innestò sul meccanismo di Poe - presentazione di un delitto e fornitura al lettore degli elementi con cui scoprire il colpevole - un poliziotto estremamente valido come personaggio, ossia l’eccentrico e geniale Sherlock Holmes. Il deus ex machina di Poe, l’ispettore Dupin, era benché intelligentissimo -, umanamente quasi anonimo, non più che un elemento del teorema. Holmes invece con i suoi tic (il violino, la morfina, la passione per una erudizione rara e stravagante, le sue manie e i suoi rituali di scapolo) era interessante di per sé, e riscosse un immenso successo che aprì la strada a una serie di investigatori fortemente caratterizzati, fra i quali tutti ricorderanno almeno il pomposo belga Poirot e la zitella ficcanaso Miss Marple, entrambi creati da Agatha Christie. Ora, in questa galleria che all’epoca era appena agli inizi, il piccolo prete cattolico inventato da Chesterton occupò subito un posto di gran rilievo. In primo luogo egli si distinse per il contrasto del suo aspetto fisico di ometto mite, sommesso e inerme, con un contesto di crimini e violenze di ogni genere. In secondo luogo e ancora più ragguardevolmente, convinse la tesi del suo creatore, ossia che quel buffo e apparentemente goffo signore aveva ogni titolo per vedere e capire quello che agli altri era precluso, grazie a una profonda conoscenza dell’animo umano ottenuta durante la sua lunga pratica di pastore di anime. Questa tesi, fra parentesi, è perfettamente coerente con alcune delle idee fondamentali di Chesterton, gran parte della cui opera si può definire un romanticismo del prosaico, ovvero una contestazione del romanticismo convenzionale mediante l’esaltazione delle virtù sommesse, domestiche e quotidiane. «Epico è il gesto di un uomo che, scagliando una rozza freccia, colpisce un uccello lontano», declama famosamente un personaggio dell’Uomo che fu Giovedì. «Ma non è altrettanto epico l’uomo che con una rozza macchina riesce a raggiungere una stazione lontana? Il caos è monotono, perché in esso il treno potrebbe andare dovunque, a Baker Street come a Bagdad. Ma l’uomo è un mago, e tutta la sua potenza è in questo, che egli dice Victoria, e voilà, eccolo proprio a Victoria. Tenetevi pure i vostri libri di prosa e di poesia e lasciate che io versi lacrime di orgoglio su un orario delle ferrovie. Tenetevi il vostro Byron, che celebra le disfatte dell’uomo, e datemi Bradshaw, che ne commemora le vittorie.»

    Il protagonista delle Avventure di un uomo vivo, si ricorderà, movimentava il proprio trantran quotidiano immettendovi variazioni avventurose dettate dalla fantasia; per esempio, qualche volta rincasava dalla finestra e non dalla porta; oppure, sempre per tornare a casa, svoltava a sinistra invece che a destra, e faceva tutto il giro del mondo. La vita domestica era per lui la vera, grande avventura. Così Padre Brown è abituato a riconoscere il mistero nel banale, e viceversa, a conciliare mostruosi, efferati delitti con i crismi della cosiddetta normalità. Stilisticamente Chesterton, che si era formato nell’atmosfera fine secolo, aveva adottato il paradosso sovversivo e spiazzante di Oscar Wilde («a tutto posso resistere meno che alle tentazioni») per adibirlo a una funzione provocatoria di segno opposto, ossia ribadire i valori positivi. «Coloro che si accontentano di uno sguardo superficiale credono che il paradosso non appartenga che allo scherzo e al giornalismo leggero», scrisse nella Sfera e la Croce. «In una commedia decadente si trova un paradosso di questo calibro pronunciato da un dandy: La Vita è troppo importante per essere presa sul serio. Coloro che pensano con più acutezza o più delicatezza s’avvedono invece che il paradosso appartiene specialmente a tutte le religioni. Lo si trova per esempio in questa sentenza: Gli umili possiederanno la terra.» Di analoghi paradossi i racconti di Padre Brown sono pieni, sia per quanto riguarda la situazione (vedi per esempio «L’uomo invisibile»), sia per i commenti di Padre Brown sulla medesima. «Secondo me quella macchina non può mentire. Nessuna macchina può mentire, disse Padre Brown, né può dire la verità.» «C’è un limite alla carità umana, disse Lady Outram, tremando tutta. È vero, disse Padre Brown, seccamente, e questa è la vera differenza fra carità umana e carità cristiana".»

    Si noti, per cambiare argomento, questo «cristiana»: non «cattolica», come forse ci saremmo aspettati. Le storie di Padre Brown sono state tacciate dipropagandismo cattolico, e questa loro nomea ha insospettito e allontanato dei lettori nei Paesi protestanti. Ma bisognerebbe ricordare che le due prime e migliori raccolte, Il candore di Padre Brown e La saggezza di Padre Brown, uscirono rispettivamente nel 1911 e nel 1914, mentre il loro autore fu accolto ufficialmente nella Chiesa di Roma, dopo molti tentennamenti, solo nel 1922, sette anni dopo il fratello minore Cedi che gli aveva dato l’esempio. Questo gesto avvenne, anche, dopo una lunga interruzione della sua attività di narratore seguita alla profonda crisi depressiva, un vero e proprio collasso nervoso che aveva colto Chesterton all’epoca dello scoppio della Grande Guena. Durante gli anni bellici egli si impelagò in una convulsa attività di propagandista e polemista politico, sulla scia del focoso fratello le cui lotte volle continuare mentre costui era al fronte, fra l’altro incaricandosi di mandare avanti il suo giornale, The New Witness. Con la morte di Cedi il New Witness dovette cessare le pubblicazioni, ma caparbiamente Chesterton fondò un altro periodico per proseguire le tradizionali campagne - fra cui, ora sì, la difesa della religione cattolica, e quella del Distribuzionismo, nome con cui definì un nuovo ideale in economia da contrapporre al collettivismo di H.G. Wells -, il G.K.’s Weekly, per fronteggiare le perdite del quale fu costretto a riprendere la fortunatissima serie di Padre Brown.

    Oltre a una presenza più avvertibile, seppure episodica e blanda, della simpatia per la religione che gli inglesi chiamano papista, le raccolte uscite a partire dal 1926 (L’incredulità di Padre Brown) presentano differenze rispetto alle prime due. La più vistosa riguarda il carattere del protagonista, che ora è assai meno remissivo e ben più autorevole e deciso. Altre sono rintracciabili nella qualità generale della scrittura, che si fa talvolta più tortuosa e barocca. Fatto sta che, seppure inizialmente anche la critica accolse con favore il ritorno del beniamino, riconoscendo al nuovo volume la stessa «antica ingegnosità di costruzione, le stesse credibili impossibilità, la stessa suspense e la stessa magia» di quelli precedenti (così lo Yorkshire Post del 23 giugno 1926), col tempo Chesterton venne sempre più a considerare il suo pretino-investigatore una semplice gallina dalle uova d’oro. Dorothy Collins, la segretaria assunta a partire dal 1926 per battere a macchina le sue prose, ha descritto il disastroso stato delle finanze dello svagatissimo Chesterton, malgrado i cospicui guadagni. Certe volte toccava a lei avvertirlo che sul conto in banca non c’erano più che un centinaio di sterline. Allora lo scrittore annuiva gravemente e borbottava che avrebbe ritirato fuori Padre Brown. Si appartava per qualche ora, riemergeva con qualche foglietto su cui aveva preso note sommarie, e cominciava a dettare la storia con caratteristica lentezza. Non appena finita la dettatura, Chesterton dava un’occhiata ai fogli dattiloscritti, eseguiva qualche correzione e spediva subito il tutto a una rivista, Cassell’s o la Pali Mail. W.H. Auden, una cui antologia degli scritti non narrativi di Chesterton uscita nel 1970 fece molto per rilanciare la reputazione dell’autore, osservò che la nomea, da egli stesso incoraggiata, di giornalista sempre pronto a buttar giù un pezzo in quattro e quattr’otto non gli aveva giovato. «Il giornalista, ha detto Karl Kraus, è stimolato dalla scadenza: se ha più tempo, scrive peggio. Se questo è vero, allora Chesterton non era, per natura, un giornalista. I suoi ragionamenti migliori e la sua scrittura migliore non si trovano nei suoi brevi articoli settimanali, ma nei libri organici, dove poteva prendersi tutto il tempo e lo spazio che voleva.» Lo stesso vale per i racconti. Via via che i tempi fra la concezione e la consegna si avvicinavano, la qualità deteriorava; e di solito i racconti meno felici delle raccolte sono quelli che vengono verso la fine, scritti ancora più in fretta per completare il volume. L’ultimo racconto di tutti dovette sopportare l’indegnità, inaudita per Chesterton, di essere respinto da una rivista perché troppo scadente. Lo scrittore non lo seppe mai, perché la lettera gli arrivò quando era già morto.

    Ma per tornare al personaggio di Padre Brown. Il suo acume, si è detto, nasce dall’esperienza, da una conoscenza della vita sviluppata tramite il contatto diretto con molti peccatori. Nasce anche dalla sua capacità di identificarsi con l’assassino, di vedere con i suoi occhi: Padre Brown sa guardare il Male dovunque si trovi, con la stessa serenità. «Siete un diavolo?», gli chiede un criminale smascherato, e lui risponde: «Sono un uomo, e pertanto ho tutti i diavoli nel cuore». «Ho progettato tutti quei crimini con molta cura», dice nel «Segreto di Padre Brown». «Ho pensato esattamente a come si potesse fare una cosa del genere e in che stile e in che stato mentale un uomo potesse farla.» E più avanti: «...ho visto davvero me stesso, il me stesso reale, commettere gli omicidi. Non ho ucciso le persone materialmente, ma non è questo il punto [...]. Voglio dire che ho pensato e ripensato a come un uomo possa arrivare a compiere tali azioni, finché ho capito che anch’io ero così, in tutto tranne nel concedermi il permesso dell’atto finale. Una volta mi ha consigliato questo esercizio un mio amico; una specie di esercizio religioso che credo abbia attinto dagli insegnamenti di Papa Leone XIII, che è sempre stato un mio eroe.» Questo della coesistenza a braccetto di male e di bene nella stessa natura umana è un tema tipicamente chestertoniano, con radici nella biografia dello scrittore, il quale pur non stancandosi di proiettare esternamente un’immagine cordiale, bonaria e rassicurante accennò più volte a un proprio lato misterioso, morboso e inconfessabile, a una componente oscura, nella propria personalità. Non per nulla fu sempre palese la sua ammirazione per narratori come Dickens, il cui umorismo solare comporta un che di grottesco, di stravagante, di «gotico». E la componente «gotica» è molto importante in molti racconti di Padre Brown, il cui arredamento talvolta viene dritto dalle storie di orrore del romanticismo più sfrenato, con atmosfere strane e surreali (vedi per esempio «La forma errata», o «Il pugnale alato»); si pensi all’architettura visionaria, e descritta con memorabile potenza, che occupa il centro di uno dei pezzi più suggestivi e bizzarri, «Il martello di Dio». La vivida descrizione degli ambienti (cinematografica, vorremmo dire: ma di un cinema fantastico, non realistico) è una delle armi di Chesterton, che al virtuosismo verbale univa un talento di disegnatore, professione alla quale da giovane aveva pensato seriamente di dedicarsi. Almeno per alcuni racconti, una volta svanito l’effetto di sorpresa e ammirazione per la grande e talvolta straordinaria ingegnosità dei meccanismi, una volta ammortizzato il fascino esercitato dall’originale protagonista, sopravvive nel ricordo proprio un dettaglio del paesaggio, inatteso e straordinariamente significativo. In un caso memorabile («Gli strani passi», il racconto considerato forse il migliore in assoluto da Jorge Luis Borges, sommo ammiratore di Chesterton), la storia si regge soltanto su di un rumore, e su di un rumore per di più consueto quanto più non si potrebbe, quello di passi umani durante una riunione conviviale, sentiti da Padre Brown a distanza e senza sapere a chi appartengono.

    Per finire, un consiglio a chi si trova in mano, cosa certo non prevista dall’autore, l’intera e amplissima raccolta di tutte le storie di Padre Brown: non leggetele così, da cima a fondo, senza intervallo. Come protagonista di un solo enorme libro il nostro pretino rischia di apparire stucchevole e perfino poco credibile - cosa fa sempre in giro per il mondo e quasi mai nella propria parrocchia, a occuparsi del suo gregge? Ma prese singolarmente, centellinate a distanza di tempo, così come uscirono, nel corso di un quarto di secolo e in condizioni variabili, talvolta precedute da una congrua meditazione, talaltra schizzate di corsa e senza ripensamenti, le storie sono infallibilmente avvincenti, sia per l’invenzione circa il delitto e la sua soluzione, che non manca mai e che talvolta arriva alla genialità, sia per un’altra caratteristica che, come osserva il surricordato Auden, Chesterton derivava proprio da quegli esteti fine secolo che affettava tanto di detestare: la compulsione a essere sempre brillante ed epigrammatico. Questa tendenza può ingenerare sazietà quando se ne assumano i risultati in dosi massicce; ma negli episodi singoli sorprende, diverte e provoca alla riflessione. Come altri della sua generazione di sommi intrattenitori, in cui giganteggiò il suo grande rivale anche nei fuochi di fila dell’umorismo, George Bernard Shaw, Chesterton si sforzò in primo luogo di evitare la banalità: e bisogna dargli atto di esserci riuscito.

    MASOLINO D’AMICO

    La narrativa del mistero

    La mystery story, come viene spesso chiamata in lingua inglese, è quel genere di narrativa che ha come obiettivo la «mistificazione» del lettore, e la creazione di un’atmosfera di incertezza e di suspense. Molto spesso tratta di crimini - reali, immaginati o minacciati - tanto che taluni critici preferiscono indicarla con l’espressione «narrativa criminale».

    Al suo interno, si riconoscono in genere tre filoni principali: il romanzo gotico, la storia poliziesca di indagine e il «racconto di delitti».

    Il Gotico

    La narrativa gotica è incentrata su vicende melodrammatiche, tinteggiate fortemente d’orrore e di influssi soprannaturali. L’ambientazione è molto importante: un antico castello, per esempio, con passaggi nascosti e trabocchetti, un tetro sotterraneo e cupi recessi proibiti. Le porte cigolano sempre sinistramente sui cardini; pioggia gelida e lampi corruschi sono il tempo normale; misteriosi soffi d’aria gelida fanno ondeggiare i tendaggi e spengono la fiamma delle candele. La vittima, di cui sono minacciate la vita e la sanità mentale, è in genere una fanciulla d’intemerata virtù.

    Il primo grande romanziere gotico è stato l’inglese Horace Walpole, con The Castle of Otranto (1794), seguito dalla connazionale Ann Radcliffe (The Mysteries of Udolpho, 1794). La tradizione continuò con Mary Shelley (Frankenstein, 1817), Joseph Sheridan le Fanu (In a Glass Darkly, 1872) e Bram Stoker (Dracula, 1897). Intorno alla metà dell’Ottocento, un gran numero di dispense popolari diffuse nei paesi di lingua inglese e spesso tradotte all’estero, chiamate «penny dreadful» (orrori da un penny), pubblicate in interminabili puntate settimanali, diedero straordinaria diffusione alle tematiche del Gotico, sia pure a livello ormai sottoletterario.

    Nell’ultima parte del secolo scorso, il romanzo gotico cadde in declino, ma nel secolo presente la sua fama venne rinnovata soprattutto da scrittori americani, che sottolinearono l’influsso del Soprannaturale. H.P. Lovecraft è forse il nome più significativo. Si sviluppò anche una «scuola» di scrittrici che accentravano i loro romanzi intorno a personaggi femminili. La prima fu Mary Roberts Rinehart (The Circular Staircase, 1908), seguita da numerose altre prolifiche autrici, fra cui Leslie Ford, Mignon G. Eberhart, Mabel Seeley. In Inghilterra, Daphne du Maurier (Rebecca, 1938) affrontò più volte tematiche gotiche e fantastiche.

    A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, c’è stata una nuova ondata, sempre più massiccia, di letteratura di questo tipo, in genere tinta di forti connotati orrorifici e soprannaturali, che attualmente vede nell’americano Stephen King l’indiscusso protagonista.

    Storie poliziesche

    Intorno alla metà dell’Ottocento nacque un nuovo tipo di mystery story, la narrativa poliziesca di indagine, nella quale un personaggio dotato di straordinarie capacità deduttive segue un filo di indizi fino a risalire al colpevole di un crimine, in genere un omicidio.

    L’inventore riconosciuto di questo genere letterario è Edgar Allan Poe, che definì questa narrativa «storie del raziocinio». Nel suo racconto The Murders in thè Rue Morgue (1841 ), Poe introdusse l’investigatore dilettante Auguste Dupin, che divenne il prototipo di infiniti consimili eroi di straordinarie investigazioni. Nell’arco di sole tre storie (tante ne hanno Dupin a protagonista), Poe tracciò tutte le convenzioni e le figure principali che da allora sono praticamente uno standard per questo tipo di letteratura.

    Stranamente, il terreno dissodato in modo così efficace da Poe per lunghi decenni non venne praticato dagli autori americani. Soltanto nel 1878, con il romanzo The Leavenworth Case, la narrativa d’indagine divenne davvero popolare negli Stati Uniti.

    In Europa, prese invece piede abbastanza presto. Il francese Emile Gaboriau ne intuì rapidamente le possibilità e, nel 1866, con il romanzo L’Affaire Lerouge, presentò ai lettori il suo «investigatore deduttivo», Monsieur Lecoq. Gaboriau fu presto seguito da Fortuné du Boisgobey e, più tardi, da Gaston Leroux.

    Anche in Inghilterra la narrativa d’indagine si guadagnò rapidamente una vastissima popolarità. Wilkie Collins, prima con The Woman in White (1860) e poi con The Moonstone (1868), scrisse due indubbi capolavori del genere. Anche Charles Dickens vi si avventurò, e il suo romanzo The Mystery of Edwin Drood sarebbe rimasto come una pietra miliare, se la morte dell’autore non l’avesse lasciato interrotto.

    Fu tuttavia un medico scozzese, spinto a scrivere dalla povertà, che diede al racconto d’indagine il massimo successo popolare. Sherlock Holmes, l’investigatore privato concepito da Arthur Conan Doyle, apparve per la prima volta nel 1887 con il romanzo A Study in Scarlet, e da allora la sua fama è rimasta insuperata. Insieme con il suo amico, il dottor Watson, Holmes ha risolto i crimini più assurdi e intricati in altri tre romanzi, The Sign of thè Four (1890), The Hound of thè Baskervilles (1902) e The Valley of thè Fear (1915), oltre che in un gran numero di racconti di varia lunghezza.

    Dopo Holmes venne il diluvio. Molti gli autori e i personaggi che possono essere segnalati fra i detective della «prima ora». Fra questi R. Austin Freeman, il cui dottor Thomdyke fu tra i primi investigatori a far uso dei metodi della medicina forense. Freeman creò anche la storia d’indagine «inversa», nella quale l’identità del colpevole è nota fin dall’inizio, e l’interesse del lettore nasce dal seguire la catena di ragionamenti in seguito ai quali il detective riesce a smascherarlo.

    La Baronessa Orczy (cui si devono anche le avventure della celebre Primula Rossa), inventò il primo investigatore «sulla sedia a rotelle»: un personaggio che soffre di un handicap di qualche tipo, che compensa con n intuito formidabile. Il suo personaggio era The Old Man in thè Corner, impedito dall’estrema vecchiezza.

    Fra i suoi epigoni, vi sono Drury Lane, l’attore sordo inventato da Elleiy Queen, il detective cieco Max Carrados proposto da Ernest Bramali, l’obeso e inamovibile Nero Wolfe descritto da Rex Stout, il carcerato Don Isidro inventato da Borges e Bioy Casares, e lo spaesato cinese Charlie Chan, «straniero in tena straniera», protagonista dei romanzi di Earl Derr Biggers.

    A questa categoria di detective «diversi» appartiene anche il mitissimo Padre Brown, di G.K. Chesterton, le cui avventure sono raccolte in questo volume. Il suo «estraniamento» deriva dalla condizione di prete cattolico, dunque elemento non omogeneo in una società orgogliosamente protestante, ed è aggravato da quella congenita timidezza che è peraltro uno dei tratti umani più efficaci nello straordinario ritratto che ne fa l’autore.

    La storia d’indagine tradizionale raggiunse la sua età d’oro nel periodo fra le due guerre mondiali. Le trame rispettavano in genere un rigido formalismo, assumendo le caratteristiche di una «gara» fra il lettore e l’autore, rappresentato dal detective protagonista. La richiesta di base era un assoluto fair play narrativo, nel senso che il lettore doveva avere a disposizione esattamente la stessa serie di indizi di cui si serviva l’investigatore per risolvere il suo problema.

    Negli Stati Uniti, il primo autore dell’età d’oro fu S.S. Van Dine, pseudonimo di Willard H. Wright, con il suo coltissimo e raffinato detective Philo Vance. Lo seguirono Ellery Queen (pseudonimo di F. Danny e M.B. Lee) e Rex Stout.

    L’Inghilterra produsse anch’essa una lunga serie di scrittori assai popolari. La più famosa di tutti è certamente Agatha Christie, con i suoi personaggi di Hercule Poirot (altro «straniero in terra straniera», in quanto belga emigrato in Gran Bretagna). Fra gli altri, si possono citare Freeman Wills Crofts, con l’ispettore French; H.C. Bailey con Reginald Fortune; Dorothy Sayers con Lord Peter Wimsey.

    La seconda metà degli anni Quaranta vide una nuova serie di autori e personaggi di grande fortuna. In America, citeremo Erle Stanley Gardner con il celebre «avvocato del diavolo», Perry Mason; Frances e Richard Lockridge, marito e moglie nella vita, che presentarono una coppia di investigatori, anch’essi sposati, Mr. e Mrs. North, ed Emma Lathen, che ideò il detective-banchiere John Putnam Thatcher. Fra gli inglesi, figurano Josephine Tey con l’ispettore Grant, ed Edmund Crispin con Gervase Feti. La Nuova Zelanda produsse Ngaio Marsh (Roderick Alleyn), e l’Australia Arthur Upfield (l’ispettore Napoleon Bonaparte). Il più grande di tutti fu tuttavia forse un autore di lingua francese, il belga Georges Simenon, creatore del grandissimo Maigret.

    Mentre la narrativa d’indagine tradizionale proseguiva il suo cammino lungo binari consolidati, sin dagli anni Venti, in America, si era manifestata una reazione nei confronti di uno schematismo formale forse un po’ troppo consunto.

    Questa reazione prese la forma dei cosiddetti romanzi hard-boiled, i cui protagonisti - in genere investigatori privati dalla dubbia fama - erano di linguaggio e modi spicci, e risolvevano i loro casi con l’azione più che con la deduzione.

    Dashiell Hammett, scrittore di grandissimo talento, aprì la strada con il suo personaggio di Sam Spade (The Maltese Falcon, 1930), e il suo esempio venne seguito da diversi autori assai dotati, quali Raymond Chandler (cui si deve il personaggio di Philip Marlowe), e Ross Macdonald (peudonimo di Kenneth Millar) con Lew Archer.

    La scuola hard-boiled, nata con interessanti connotazioni letterarie, decadde tuttavia nel più vieto commercialismo, pur portando al successo anche autori oggi in parte rivalutati, come Mickey Spillane, creatore del detective Mickey Hammer (1, thè Jury, 1947). Lo stile di Spillane si fondava sulla violenza e su scene esplicite di sesso. La sua influenza peraltro è stata sensibile fino a dominare, in pratica, quasi tutta la detective story sino agli anni presenti.

    Il «Racconto di delitti»

    Sono definite con tale espressione le storie nelle quali il lettore tende a identificarsi con il criminale, piuttosto che con le forze dell’ordine. L’interesse letterario verso la vita e le imprese dei criminali cominciò nel XVII secolo, con resoconti su ribelli, briganti e banditi, le cui attività venivano spesso descritte in modo romantico e idealizzato. Nel 1722 Defoe, con Moli Flanders e Colonel Jack, pubblicò due capolavori del genere, narrati in prima persona, nei quali iprotagonisti - pur essendo «eroi negativi» - cercano di accattivarsi la simpatia e la comprensione del lettore.

    Nel XIX secolo, in Francia, Eugène Sue (Les Mystères de Paris, 1842- 1843) e Honoré de Balzac elessero persone poco raccomandabili a protagonisti delle loro storie. In Inghilterra, Edward Bulwer Lytton pubblicò Paul Clifford (1830) ed Eugene Aram (1832), mentre Dickens, con il suo Oliver Twist (1837-1839) tratteggiò una straordinaria descrizione del sottobosco criminale nella Londra del suo tempo. In epoca successiva, Marie Belloc Lowndes scrisse The Lodger (1913), un romanzo accentrato sulla misteriosa figura di Jack lo Squartatore. Contemporaneamente, in Francia, la figura del «ladro gentiluomo» veniva introdotta da Maurice Leblanc, creatore di Arsenio Lupin, presto imitato in Inghilterra da Ernest W. Homung con Raffles.

    La diffusione del romanzo poliziesco di indagine nelle collane popolari portò a un declino della narrativa criminale, e anche durante la cosiddetta «Era dei gangster» nell’America degli anni Venti e Trenta, poco venne scritto al riguardo. Verso la fine degli anni Cinquanta, tuttavia, il genere ebbe una ripresa con i romanzi di Richard Stark, pseudonimo di Donald E. Westlake.

    Sono vicende nelle quali si descrivono personaggi che progettano ed eseguono complesse e spettacolari imprese criminose: una tematica che ha finito per dar luogo a un «sottogenere» vero e proprio di questa particolare narrativa, che ha trovato vasto successo anche grazie a notevoli trasposizioni cinematografiche.

    Per quanto riguarda il mondo del crimine organizzato, il celeberrimo The Godfather (1969) di Mario Puzo, con la sua idealizzazione della figura del Padrino, ha dato la stura a un vero diluvio di narrativa sulla

    Mafia e analoghe organizzazioni. Molti di tali testi forniscono degli «spaccati» efficaci del mondo della malavita, specie in America; la maggior parte sono invece nulla più che centoni nei quali sesso e violenza si mescolano in forti dosi.

    Un ulteriore filone laterale del genere è costituito dalle narrazioni incentrate sulla figura del «criminale ravveduto», che mette a frutto le sue conoscenze dei metodi del crimine per combatterlo. Le storie dellinglese Leslie Charteris che hanno come protagonista «Il Santo» ne sono forse gli esempi più noti.

    GIANNI PILO/SEBASTIANO FUSCO

    Nota biobibliografica

    LA VITA

    Nasce a Kensington il 22 maggio 1874. Dopo studi abbastanza irregolari alla scuola di S. Paolo, fondata dal decano umanista Giovanni Coleti, e una intensa frequentazione delle biblioteche pubbliche e dei comizi politici, si iscrive alla Slade School of Art che frequenta con entusiasmo, diplomandovisi. E l’arte sembra essere il fulcro delle aspirazioni giovanili dello scrittore che esordisce, ventenne, con un piccolo libro di disegni commentato da timide annotazioni narrative. Anche la sua carriera giornalistica viene iniziata seguendo quello stesso indirizzo. Una importante pubblicazione londinese, The Bookman, lo assume dapprima come vice del critico titolare e, poco dopo, gli affida una rubrica settimanale.

    È l’epoca delle mode decadentistiche e simbolistiche, del predominio intellettuale del gruppo che gravita attorno alla rivista The Savoy fondata dall’editore Léonard Smithers nel gennaio del’96 e a cui collaborano Wilde, Beerbohm, Beardsley, Yeats, Havelock Ellis; è l’epoca dell’affermazione delle teorie estetiche di James Abbott Me Neill Whistler (Ten O’clock Lecture), della scoperta dell’arte giapponese, dello stile fantomatico di Charles Rennie Mackintosh e della scuola di Glasgow. Contro questi movimenti e questa concezione dell’arte il giovane Chesterton parte, lancia in resta, conquistandosi rapidamente la stima delle più giovani generazioni e, comunque, una fama duratura di spirito originale, di ingegnoso ideatore di paradossi.

    Anche in politica Chesterton è un irregolare, un indipendente che si occupa con serietà di problemi sociali e umanitari: un liberal moderno si direbbe, pur se la sua fedeltà al tradizionale partito liberale inglese dura e resiste sino alla fine della sua esistenza. Insieme al suo grande amico Hilaire Belloc e al fratello Cecil dà vita dal 1898 al 1901 a una rivista che s’afferma rapidamente e altrettanto rapidamente esaurisce la sua funzione: The New Witness. La corruzione dell’ambiente politico, la nefasta influenza della civiltà industriale sulla vita privata e una vaga nostalgia per il cattolicesimo perduto (a cui tuttavia si continua a guardare come fonte d’ogni speranza di vita migliore) sono i temi fondamentali dei saggi e degli articoli di Chesterton in questo travagliato periodo. Ma quando egli tenta di coagulare le proprie idee e quelle del suo gruppo attorno a un ambizioso progetto di riforma sociale che battezza «distribuzionismo», il favore e il fervore che sino a quel momento lo avevano quasi sempre sostenuto gli vengono meno. Perde credito in ogni ambiente e deve affrontare una difficile situazione finanziaria.

    Non si può escludere che gli interessi successivi per la narrativa e per il teatro siano derivati da questa disillusione e da questo insuccesso. Come era accaduto mezzo secolo prima al Carlyle e al Ruskin, l’utopia dell’affermazione d’una società meno gretta e materialistica, sconfitta sul piano pratico, diventa feconda matrice intellettuale di opere letterarie. In fondo la migliore definizione di questo passaggio dalla vita politica vera e propria all’attività dello scrittore ci viene data dallo stesso Chesterton, quando afferma: «Io sono uno di quegli uomini che credono che si debba essere sempre dominati dalle proprie convinzioni morali. Non sono uomo da arte per l’arte. Sono assolutamente incapace di parlare o scrivere di giardini olandesi o del gioco degli scacchi, ma sono certo che se lo facessi ciò che potrei dirne o scriverne porterebbe l’impronta della mia visione del mondo»¹.

    La vita di Chesterton, dunque - pur così fitta di polemiche, verbali e letterarie, di scontri e di viaggi - resta in sostanza dedita quasi esclusivamente alla letteratura, nelle sue forme più varie, dalla poesia alla narrativa, dall’agiografia alla critica letteraria, dal teatro ai pamphlet sociali e politici, con inattesi exploit figurativi (era un eccellente illustratore e un sagace caricaturista!) e persino qualche incursione sui palcoscenici in compagnia dell’amico-nemico di sempre: George B. Shaw.

    Il successo popolare arriva quasi all’improvviso con due romanzi che rompono gli schemi narrativi in voga: Il Napoleone di Notting Hill e L’uomo che fu Giovedì. E tre anni dopo, nel 1911, i primi racconti imperniati sul personaggio di Padre Brown consacrano la notorietà di Chesterton, il quale, tuttavia, seguita imperterrito ad alternare ogni genere di attività, incurante dei risultati pratici, dei successi - anche economici - conseguiti.

    Il teatro per esempio non fu per lui che una serie ininterrotta di disastri (da Magica, 1913, a Il giudizio del dottor Johnson, 1927). Sembra strano che un uomo spiritoso, corrosivo e impertinente non abbia mai trovato i tempi giusti, le costruzioni abili per destare l’interesse delle platee.

    Viaggiò molto in Irlanda (Irish Impressions), in Palestina (The New Jerusalem), in Francia e soprattutto in Italia: i resoconti dei suoi spostamenti hanno insieme la leggibilità dei grandi reporters e la profondità di quello straordinario saggista che era.

    S’era sposato nel 1901 con una poetessa, Frances Webb, a cui rimase fedele per tutta la vita; la tradizione e l’inscindibilità del vincolo familiare ebbero in lui un tenace assertore, capace di autentica e profonda venerazione per questo e per gli altri sacramenti.

    Dopo un deludente viaggio in America (What I saw in America ), lo scrittore conclude nel 1922 il suo travagliato iter aderendo alla Chiesa cattolica, verso la quale non aveva mai nascosto le proprie simpatie, né negli anni di ateismo giovanile, né durante la successiva militanza nella Chiesa protestante. È una conversione meditata a lungo e che nasce anche da motivazioni personali come sarà detto chiaramente nella parte finale dell’Autobiografia: «...avevo desiderato irresistibilmente che l’uomo fosse in possesso di qualche cosa, fosse anche soltanto del suo corpo [...]. Io so che colui che viene chiamato Pontifex, il Costruttore del Ponte, viene chiamato anche Claviger, il Portatore della Chiave, e che quelle chiavi gli furon date per legare e sciogliere, quando era un povero pescatore in una lontana provincia, presso un piccolo mare, quasi segreto». E non a caso le pagine più alte di questo scrittore, così intimamente religioso, sono quelle dedicate alla nuova creazione: il Sacramento della Penitenza.

    Anche durante gli ultimi quattordici anni di vita Chesterton continua col suo personale humour le polemiche contro molti miti del mondo moderno: il capitalismo, Io scientismo, il prevalere dell’industria. E così come aveva combattuto l’imperialismo inglese (all’epoca della guerra dei Boeri) e la prepotenza della Germania luterana nel 1914, anche la riforma sociale, il controllo delle nascite, l’aridità delle giovani generazioni trovano nella sua prosa caustica e asciutta risposte non ambigue, un impegno sempre fervido, un pensiero polemico sempre lucido, pur nell’apparente e divertita enunciazione dei suoi continui paradossi.

    Era stato attento e continuo collaboratore di vari giornali e riviste (The Bookman, The Daily News, The Speaker, The Eye-Witness, The Illustrated London News), ma a un certo momento egli sentì l’esigenza di avere un proprio giornale e fondò così il G.K.’s Weekly, la cui pubblicazione continuò per parecchi anni dopo la sua morte, con la direzione dell’amico e collega Hilaire Belloc.

    L’Italia - e in particolare Roma e Firenze - aveva un posto importante nel suo cuore: alle due città dedicò amorevoli scritti e frequenti visite. Pochi mesi prima della morte (il 14 giugno 1936), v’era tornato tenendo una applauditissima conferenza sulla tradizione latina nell’anima inglese, pubblicata sulla Illustrazione Toscana del marzo 1935. Ecco come lo ricorda, in un incontro fortuito, uno scrittore italiano collaboratore di Soiaria, Luigi Berti ²: «Avevo di lui un colossale ritratto immaginario. Gli straordinari lineamenti fisici e morali di questo ritratto si rintracciavano nell’agilità sovrannaturale di certi suoi personaggi a muoversi come in una fantastica kermesse o in una paradossale caccia al segreto della vita e dell’universo [...], ma una sera la sua colossale figura s’inquadrò nella porta a vetri di una piccola trattoria dalle parti di Ponte Vecchio e rifornì di buon vino una bottiglia di forma schiacciata che ricollocò nella tasca posteriore dei pantaloni, poi se ne andò e parve che la porta si dilatasse per lasciarlo passare e la stanza rimanesse vuota e scolorita. Tornò ancora per diversi giorni: quale simpatia ispirava quella figura di clown o di arcivescovo, a seconda del punto di osservazione! C’era in lui quel che di indefinito e di intimo, quella cordiale e sostanziosa ilarità che si trova in molti passaggi delle sue pagine, nelle fughe e nei nascondimenti prodigiosi di libri che conosciamo. Grandi segni, forze semplici ed eterne d’un inusitato senso di grandezza».

    LE OPERE

    Il luogo di edizione, salvo indicazione contraria, è London.

    Opere complete

    Collected Works, 9 voll., Minerva ed., 1926. Edizione abbastanza lacunosa e scorretta.

    Opere riunite

    The Collected Poems, I vol., Cecil Palmer ed., 1927. La più attendibile e completa è la terza edizione, 1933.

    The Father Brown Stories, 2 voll., Cassel ed., 1929 ss.

    Stories, Essays & Poems, I vol., Dent & Sons, 1935.

    Omnibus, i vol., Methuen ed., 1936. (Contiene tre romanzi.)

    The Catholic Church and Conversion, Burn & Oates ed., 1960. (Contiene anche due saggi minori, poco noti.)

    Stories, Essays & Poems, I vol., Dent ed., 1965. (Fondamentale l’introduzione di M. WARD.)

    Selected Stories, a cura di K. AMIS, Faber, 1972.

    La Barbarie de Berlin, Paris-Montréal, 1974. (Importante raccolta di scritti politici, tradotti da Isabelle Rivière nel 1944.)

    Molto utile è tuttora l’antologia A Shilling of my Thought (Uno scellino del mio pensiero), Methuen ed., 1916.

    Numerosissimi saggi e articoli pubblicati in diversi giornali e riviste, introduzioni a opere di altri scrittori, e contributi a volumi scritti in collaborazione, non sono ancora stati raccolti separatamente. Se ne può trovare una lista nel volume di E. CAMMAERTS, The Laughing Phophet, Methuen ed., 1937.

    Opere singole

    The Wild Knight (Il Cavaliere selvaggio). Poesie, 1900.

    Greybeards at Play (Barbegrigie al gioco). Poesie, 1900.

    The Defendant (L’accusato). Saggi, 1901.

    Twelve Types (Dodici tipi). Saggi, 1902.

    Robert Browning. Critica, 1903.

    G.F. Watts. Critica, 1904.

    The Napoleon of Notting Hill (Il Napoleone di N.H.). Romanzo, 1904.

    Heretics (Eretici). Apologetica, 1904.

    The Club of Queer Trades (Il club dei mestieri stravaganti). Racconti, 1905.

    Charles Dickens. Critica, 1906.

    The Man Who Was Thursday (L’uomo che fu Giovedì). Romanzo, 1908.

    Orthodoxy (Ortodossia). Apologetica, 1908.

    All Things Considered (Tutto considerato). Saggi, 1908.

    George Bernard Shaw. Critica, 1909. (L’edizione del 1935 contiene un nuovo capitolo.)

    The Ball and the Cross (La Sfera e la Croce). Romanzo, 1909.

    Tremendous Trifles (Sciocchezze tremende). Saggi, 1909.

    William Blake. Critica, 1910.

    Five Types (Cinque tipi). Critica. 1910.

    Alarms and Discussions (Allarmi e scorrerie). Saggi, 1910.

    What’s Wrong With The World (Ciò che è sbagliato nel mondo). Saggi, 1910.

    The Innocence of Father Brown (Il candore di P. B.). Racconti, 1911.

    A Defence of Nonsense (Difesa del nonsenso). Saggi, 1911.

    Criticisms and Appreciations of the Works of Charles Dickens (Critica e apprezzamenti delle opere di Ch. D.). Introduzioni alle opere di D., 1910.

    The Victorian Age in Literature (L’epoca vittoriana nella letteratura). Critica, 1911. The Ballad of the White Horse (La ballata del Cavallo Bianco). Poema, 1911. Simplicity and Tolstoj (Semplicità e Tolstoj). Saggi, 1912.

    Manalive (L’uomo vivo). Romanzo, 1912.

    A Miscellany of Men (Miscellanea d’uomini). Saggi, 1912.

    Magic (Magica). Commedia, 1913.

    The Barbarism of Berlin (La barbarie di Berlino). Polemica, 1914.

    The Flying Inn (L’osteria volante). Romanzo, 1914.

    The Wisdom of Father Brown (La saggezza di P. B. ). Racconti, 1914.

    The Crimes of England (I delitti dell’Inghilterra). Polemica, 1915.

    Letters to an Old Garibaldian (Lettere a un vecchio Garibaldino). Polemica, 1915. Wine, Water and Song (Vino, acqua e canto). Poesie, 1915.

    Poems. Poesie, 1915.

    Divorce versus Democracy (Divorzio contro democrazia). Polemica, 1916.

    Lord Kitchener. Commemorazione, 1917.

    A Short History of England (Breve storia d’Inghilterra. L’edizione del 1924 contiene una nuova prefazione). 1917.

    Utopia of Usurers (Utopia d’usurai). Saggi, 1917.

    How to Help Annexation (Come aiutare l’Annessione). Polemica, 1918.

    Irish Impressions (Impressioni irlandesi). Viaggio in Irlanda, 1919.

    The New Jerusalem (La nuova Gerusalemme). Viaggio in Palestina, 1920.

    The Superstition of Divorce (La superstizione del divorzio). Polemica, 1920.

    The Uses of Diversity (Gli usi della diversità). Saggi, 1920.

    The Man Who Knew Too Much (L’uomo che seppe troppo). Racconti, 1922.

    Eugenics and Other Evils (L Eugenetica e altrì mali). Polemica, 1922.

    What I saw in America (Ciò che vidi in America). Viaggio in America, 1922.

    The Ballad of St. Barbara (La ballata di S. B.). Poesie, 1922.

    Fancies versus Fads (Fantasie contro ubbie). Saggi, 1923.

    St. Francis of Assisi (San Francesco d’Assisi). Agiografia, 1923.

    The End of the Roman Road (La fine della via romana). Storia, 1924.

    The Superstitions of the Sceptic (Le superstizioni dello scettico). Polemica, 1925.

    Tales of the Long Bow (Racconti del lungo arco). Racconti, 1925.

    The Everlasting Man (L’uomo eterno). Polemica, 1925.

    William Cobbett. Critica, 1925.

    The Catholic Church and Conversion (La Chiesa cattolica e la conversione). Apologetica, 1926.

    The Incredulity of Father Brown (L’incredulità di P. B.). Racconti, 1926.

    The Outline of Sanity (Il profilo della sanità). Saggi, 1926.

    The Queen of the Seven Swords (La Regina delle sette spade). Poesie, 1926.

    The Judgment of Dr. Johnson (Il giudizio del Dr. J.). Commedia, 1927.

    Culture and the Coming Peril (La cultura e il pericolo che si avvicina). Conferenza, 1927. The Return of Don Quixote (Il ritorno di don Chisciotte). Romanzo, 1927.

    Social Reform and Birth Control (Riforma sociale e controllo delle nascite). Polemica, 1927.

    Robert Louis Stevenson, Critica, 1927.

    The Secret of Father Brown (Il segreto di P. B.). Racconti, 1927.

    The Collected Poems (Le Poesie raccolte. Ed. C. Palmer, contenente quasi tutte le già citate, e alcune nuove). 1927.

    Gloria in Profundis. Poesia, 1927.

    The Sword of Wood (La Spada di legno). Racconto, 1928.

    Do We Agree? (Andiamo noi d’accordo?). Discussione con G. B. Shaw, 1928. Generally Speaking (Parlando in generale). Saggi, 1928.

    Christmas Poems (Poesie di Natale), 1928.

    The Thing (La Cosa). Saggi, 1929.

    The Poet and the Lunatics (Il poeta e i pazzi). Racconti, 1929.

    Ubi Ecclesia. Poesia, 1929.

    Come to think of it (Pensaci...). Saggi, 1930.

    Four Faultless Felons (Quattro felloni senza colpa). Racconti, 1930.

    The Resurrection of Rome (La resurrezione di Roma). Viaggio a Roma, 1930.

    The Turkey and the Turk (Il tacchino e il Turco). Dramma in versi, 1930.

    The Grave of Arthur (Il sepolcro di Arthur). Poesia, 1930.

    All is grist (Tutto è grano da macinare). Saggi, 1931.

    Sidelights on New London and Newer York (Osservazioni sulla Nuova Londra e la più Nuova York). Saggi, 1932.

    Chaucer. Critica, 1932.

    Christendom in Dublin (Cristianità in Dublino). Apologetica, 1932.

    All I Survey (Tutto quanto osservo). Saggi, 1933.

    St. Thomas Aquinas (San Tommaso d’Aquino), Agiografia, 1933.

    The Collected Poems (Le Poesie raccolte. Ed. Methuen, alquanto diversa da quella di Palmer, e di Burns and Oates, del 1927), 1933.

    Avowals and Denials (Confessioni e negazioni). Saggi, 1934.

    The Well and the Shallows (Il pozzo e i banchi di sabbia). Saggi, 1935.

    The Scandal of Father Brown (Lo scandalo di P. B.). Racconti, 1935.

    As I Was Saying (Come stavo dicendo). Saggi, 1936.

    Autobiography (Autobiografia), 1937.

    Si tralasciano le 42 Prefazioni a opere di M. ARNDT, M. ARNOLD, A. ARNOUX, J. AUSTEN,

    H.M. BATEMAN, J. BOSWELL, F.W. BRANGWYN, S. BRISTOWE, V.D. BROWNING, J. BUNYAN, T. CARLYLE, ESOPO, W. THACKERAY, E. TURNER, O.R. VASSALL ecc. e i volumi illustrati da G.K.C. (BELLOC, BENTLEY, MOSSKHOUSE ecc.).

    Saggi su G.K. Chesterton

    G.H. GARDINER, Prophets, Priests and Kings, 1908.

    J. WEST, Chesterton: a Critical Study, 1915.

    J. DE TONQUEDEC, G.K. Chesterton, Paris, Nouveile Librairie Nationale, 1920 (ultima edizione, Paris, Beauchesne, 1929).

    P. BRAYBROOKE, G.K. Chesterton, Daniel, 1922 (1926).

    G. BULLET, The Innocence of G.K. Chesterton, C. Palmer, 1923.

    w. NIEUWENHUIS, Chesterton, Roermond, J.J. Romen & Zonen, 1927.

    R. LAS VERGNAS, G.K. Chesterton, Revue des deux Mondes, Sept. 1934.

    K. ARNS, Gilbert Keith Chesterton, Dortmund-Würzburg, Wolfram-Verlag, 1935.

    A. MAUROIS, G.K. Chesterton, La revue hebdomadaire, Mars 1935 (poi in Magicions et Logiciens, Paris, Grasset, 1936).

    K. PFLEGER, In lotta per Cristo, Brescia, Morcelliana, 1936.

    J. O’CONNOR, Father Brown, Daniel, 1937.

    H. KURN, Gemeinschaftagedanke bei Chesterton, Berlin, 1939.

    M. EVANS, Critical Writer, Dent, 1939.

    C. CLEMENS, Chesterton, Methuen, 1939.

    H. BELLOC, On the Place of G.K. Chesterton, Daniel, 1940.

    M. WARD, G.K. Chesterton, Dent, 1944.

    K.H. ANDERSEN, G.K Chesterton, Oslo, 1945.

    G. CORNALS, La sfera e la croce, Milano, Ultra, 1945.

    M.B. RECKITT, Chesterton, 1950.

    M. WARD, Return to Chesterton, Dent, 1952.

    J. SULLIVAN, G.K. Chesterton, 1958.

    R.M. FABRITIUS, Das Komische im Erzahlwerk Chesterton, Dresden, 1964.

    W.H. AUDEN, Introduzione a G.K. Chesterton, A. Selection from his Non-Fictional Prose, 1970.

    M.C. HOLLIS, The Mind of Chesterton, Faber, 1970.

    D. BARKER, G.K. Chesterton, 1973.

    P. MROCZKOVSKI, The Medievalism of Chesterton, 1974.

    AA.VV., The Chesterton Review, Fall Winter, 1974.

    J. SULLIVAN (a cura di), G.K. Chesterton. A Centenary Appraisal (saggi di vari), 1974.

    J.L. BORGES, L’occhio di Apollo, antol., Parma, Ricci, 1979.

    M. FFINCH, G.K Chesterton, a cura di L. PONTI, Roma, Edizioni Paoline, 1990.

    Tra i maggiori contributi italiani si ricordano gli scritti acutissimi di E. CECCHI (Pesci rossi, Scrittori inglesi e il saggio pubblicato per la traduzione di Avventura d’un uomo vivo, Milano, Treves, 1936), l’esauriente, informatissima prefazione di A. CASTELLI (Autobiografìa), il commosso ricordo biografico di L. BERTI (in Boccaporto secondo, Parenti, Firenze, 1944). Vanno citati anche gli scritti di A.M. PALOMBI CATALDI (in English

    Detectives Stories, Napoli, Liguori, 1982), di D. GIULIOTTI (in Le due luci, Torino, SEI, 1932), di G. COLOMBO (in Aspetti religiosi della letteratura contemporanea, Milano, Vita e Pensiero, 1939). Nel complesso il saggio più attendibile rimane ancora lo scritto di A. CASTELLI nella raccolta Scrittori inglesi contemporanei, Messina, Principato, 1939.

    Traduzioni italiane

    Numerosissime le traduzioni italiane delle opere di Chesterton, spesso con tagli arbitrari. Citerò le più importanti, le più recenti e reperibili.

    Una folta antologia è quella delle edizioni G. Casini, Roma, 1956, successivamente ristampata dalle Edizioni Casa del Libro F.lli Melita nel 1989: Opere. Un posto a sé meritano le versioni, eccellenti, di O. NEMI (San Francesco, San Tommaso d’Aquino, Roma, Volpe ed., 1971). La già citata versione di A. CASTELLI della Autobiografia è edita a Milano da IPL, 1938.

    Le avventure di Padre Brown e Le nuove avventure di Padre Brown, tradd. di F. CAROLI e M.L. QUINTA VALLE, Milano, Mursia, 1970-90.

    Il bello del brutto, trad. di P. SESTINI, Palermo, Sellerio, 1961, 1985².

    Breve storia dell Inghilterra, trad. di A. DAMIANO, Milano, Garzanti, 1947.

    Il candore di Padre Brown, trad. di R. COSTANZI, Milano, Rizzoli, 1954; di quest’opera è accettabile anche la recente trad. di G. FATTORINI, Milano, Fabbri, 1988.

    Chiesa cattolica e conversione, trad. di G. BARRA, Brescia, Morcelliana, 1954.

    Il Club dei mestieri stravaganti può esser letto sia nella versione di A.R. FERRARIN (Milano, Alpes, 1929) che in quella di P. MAZZARELLI (Parma, Guanda, 1982).

    Dieci detectives, trad. di R. MAINARDI, Parma, Guanda, 1980.

    L’età vittoriana, trad. di A. CAMERINO, è stata edita da Bompiani nel 1945.

    Napoleone di Notting Hill ha due discrete versioni: quella di GIANDAULI (Milano, Alpes, 1920) e quella recente di R. MAINARDI (Parma, Guanda, 1989, corredata anche da uno scritto di E. CECCHI).

    L’occhio di Apollo a cura di J.L. BORGES è edito a Parma, da Ricci, 1979. L’Ortodossia, trad. a cura di R. FERRUZZI, Brescia, Morcelliana, 1932.

    L’osteria volante, trad. di G. DAULI, Roma, Edizioni Paoline, 1961.

    La saggezza di Padre Brown e Il segreto di Padre Brown, tradd. di vari, Milano, Mursia,

    1988.

    Vita di un uomo comune, trad. di F. BALLINI, Roma, Edizioni Paoline, 1955.

    Quattro candide canaglie, trad. di S. MANGERLOTTI, Napoli, Guida, 1991.

    LUCIO CHIAVARELLI

    AGGIORNAMENTO BIBLIOGRAFICO

    L’uomo che fu Giovedì: storia di un incubo, introd. di G. gadda conti, trad. di b. boffito serra, Milano, bur, 1975.

    La saggezza di Padre Brown, a cura di A. BRILLI, trad. di B. BOFFITO SERRA, Milano, BUR, 1986.

    L’innocenza di Padre Brown, introd. di L. BRIOSCHI, trad. di R. COSTANZI, Milano, BUR, 1989.

    Le avventure di Padre Brown, Milano, Mursia, 1995.

    Perché sono cattolico e altri scritti, a cura di A. COLOMBO, presentazione del card. E. BIFFI, Milano, Gribaudi, 1995.

    Le avventure di un uomo vivo, trad. e postfazione di E. CECCHI, Casale Monferrato, Piemme, 1997.

    Il candore di Padre Brown, trad. di N. NERI, postfazione di S. FERRERÒ, Casale Monferrato, Piemme, 1997.

    Eretici, trad. di P. FERRARI, postfazione di G. GIORELLO, Casale Monferrato, Piemme, 1998.

    L’incredulità di Padre Brown, trad. di P. FERRARI, postfazione di S. FERRERO, Casale Monferrato, Piemme, 1998.

    L’osteria volante, trad. di C. CLERICI, postfazione di S. FERRERO, Casale Monferrato, Piemme, 1998.

    San Tommaso d’Aquino, trad. di I. MARANESI, postfazione di G. GIORELLO, Casale Monferrato, Piemme, 1998.

    Lo scandalo di Padre Brown, trad. di P. FERRARE, postfazione di S. FERRERO, Casale Monferrato, Piemme, 1999.

    I segugi di Dio, Anthony Boucher, G.K. Chesterton, Harry Kemelman, Milano, A. Mondadori, 1999.

    Come si scrive un giallo, a cura di S. VECCHIO, Palermo, Sellerio, 2002.

    Il pugnale alato e altri racconti, a cura di S. DEL MAGNO e D. RONDONE, introd. di S. CALDECOTT, Milano, BUR, 2003.

    L’uomo che fu Giovedì, pref. di E. GHEZZE, Milano, Bompiani, 2007.

    L’uomo che sapeva troppo, trad. di I. LONGO, Milano, Mondadori, 2007.

    L’uomo eterno, trad. di R. FERRUZZI, Soveria Mannelli, Rubettino, 2008.

    Il poeta e i pazzi: sei casi del poeta detective Gabriel Gale, trad. di F. BALLINE, Milano, Tascabili Bompiani, 2010.

    Ciò che non va nel mondo, Torino, Lindau, 2011.

    La nuova Gerusalemme: viaggio in Terrasanta, Torino, Lindau, 2011.

    Il profilo della ragionevolezza, Torino, Lindau, 2011.

    ¹ La traduzione è di Elio Chinol (Dizionario Bompiani degli Autori, p. 217).

    ² In Boccaporto secondo, Firenze, 1944, p. 230.

    IL CANDORE DI PADRE BROWN

    Il lettore troverà nei dialoghi dell’intero volume talvolta l’uso del «Lei», talvolta quello del «Voi». La Casa Editrice ha voluto così rispettare le diverse scelte dei traduttori.

    Titoli originali: The Innocence of Father Brown. «I. The Blue Cross», «II. The Secret Garden», «III. The Queer Feet», «IV. The Flying Stars», «V. The Invisible Man», «VI. The Honour of Israel Gow», «VII. The Wrong Shape», «VIII. The Sins of Prince Saradin», «IX. The Hammer of God», «X. The Eye of Apollo», «XI. The Sign of the Broken Sword», «XII. The Three Tools of Death». Traduzioni di Nicoletta Neri.

    I. La croce azzurra

    Fra il nastro d’argento del mattino e il verde nastro scintillante del mare, il battello toccò Harwich; ne uscì, come uno sciame di mosche, un gruppo di persone, fra cui l’uomo che noi dobbiamo seguire non spiccava in nessun modo... né lo desiderava. Non c’era nulla di notevole in lui, tranne un lieve contrasto fra la gaiezza festiva dei suoi abiti e la gravità ufficiale del suo viso. Indossava una leggera giacchetta grigia, un panciotto bianco e un cappello di paglia con un nastro grigio-azzurro. Il volto magro appariva scuro per il contrasto, e terminava in una barbetta nera che sembrava di taglio spagnolo ed evocava i colletti pieghettati dell’epoca elisabettiana. Fumava una sigaretta con la serietà di una persona in ozio. Nulla in lui faceva pensare che la giacchetta grigia nascondesse una rivoltella carica, che il panciotto bianco contenesse una tessera della polizia, e che il cappello di paglia ricoprisse uno dei più acuti cervelli d’Europa; infatti era Valentin in persona, il Capo della Polizia parigina nonché il più famoso investigatore del mondo, e veniva da Bruxelles a Londra a compiere il più grande arresto del secolo.

    Flambeau si trovava in Inghilterra. La polizia di tre nazioni aveva seguito le sue tracce da Gand a Bruxelles, da Bruxelles a Hook, e si congetturava ch’egli avrebbe approfittato dell’insolita confusione dovuta al Congresso Eucaristico che si teneva allora a Londra. Probabilmente avrebbe viaggiato sotto le vesti di qualche impiegato addettovi. Ma, naturalmente, Valentin non poteva esserne certo: nessuno poteva essere certo di qualcosa quando si trattava di Flambeau.

    Sono passati ormai molti anni dacché questo colosso della delinquenza smise improvvisamente di tenere il mondo in agitazione; e, quando si ritirò, ci fu, come si disse dopo la morte di Orlando, una gran calma sulla terra. Ma, ai suoi bei giorni (voglio dire brutti, naturalmente), Flambeau era una figura importante e internazionale come il Kaiser. Quasi ogni mattina il giornale annunciava che era sfuggito alle conseguenze di uno straordinario delitto commettendone un altro. Era un guascone di statura gigantesca e di grande audacia fisica, e si raccontavano le più incredibili storie circa le sue improvvise esibizioni di atletica: come voltò all’ingiù il Juge d’instruction, e lo lasciò ritto sulla testa «a chiarirsi le idee», e come corse per la Rue de Rivoli con un poliziotto sotto ogni braccio. Si deve però riconoscergli che la sua fantastica forza fisica era generalmente usata in scene incruente se pur indecorose; i suoi delitti erano principalmente ingegnose rapine. Ma ognuna costituiva un nuovo peccato, e farebbe un racconto a sé. Fu lui che mise in piedi la grande Compagnia delle Latterie Tirolesi a Londra, senza latterie, senza mucche, senza carri, senza latte, ma con migliaia di sottoscrittori che lui serviva con la semplice operazione di trasportare davanti alle porte dei suoi clienti le bottiglie del latte che stavano davanti alle porte degli altri.

    Fu lui che mantenne una inspiegabile e intima corrispondenza con una fanciulla cui intercettavano tutta la posta, con lo straordinario sistema di fotografare i suoi messaggi infinitamente piccoli sulle lastre di un microscopio. Una travolgente semplicità era però la caratteristica di molti suoi esperimenti. Si diceva che una volta avesse ridipinto tutti i numeri di una strada nel cuore della notte solo per confondere un viaggiatore cui aveva teso un tranello. E certissimo che inventò una cassetta postale portatile che metteva agli angoli delle vie in sobborghi tranquilli, nella possibilità che qualcuno ci mettesse dentro dei vaglia. Inoltre, si sapeva che era un acrobata impressionante: nonostante la sua persona imponente, poteva saltare come una cavalletta e svanire fra gli alberi come una scimmia. Perciò il grande Valentin, quando partì per trovare Flambeau, sapeva benissimo che le sue avventure non sarebbero finite quando l’avesse trovato.

    Ma come trovarlo? Su questo punto le idee del grande Valentin non erano ancora ben chiare.

    C’era una sola cosa che Flambeau, nonostante tutta la sua abilità nel travestirsi, non poteva nascondere: la sua notevole statura. Se l’occhio esperto di Valentin avesse scorto un’alta fruttivendola, un alto granatiere, o anche una duchessa abbastanza alta, li avrebbe arrestati su due piedi. Ma in tutto il treno non c’era nessuno che potesse essere un Flambeau travestito, più di quanto un gatto possa essere una giraffa travestita. Sulla gente nel battello Valentin si era già tolto ogni dubbio; e le persone salite ad Harwich o durante il viaggio si limitavano a sei. C’era un impiegato delle ferrovie, piccolo, che andava fino alla stazione terminale, tre giardinieri piuttosto piccoli saliti due stazioni dopo, una vedova molto piccola proveniente da una cittadina dell’Essex, e un piccolissimo prete cattolico proveniente da un villaggio dell’Essex. A proposito di quest’ultimo, Valentin quasi si mise a ridere. Il piccolo prete era tipico di quelle pianure dell’Inghilterra orientale, con un viso rotondo e piatto come quelle focaccette di Norfolk, e occhi incolori come il Mare del Nord. Aveva vari pacchi di carta scura che non riusciva a radunare. Il Congresso Eucaristico aveva indubbiamente risucchiato fuori dalla loro vita stagnante molte creature del genere, cieche e incapaci come talpe fuori dalla terra. Valentin era uno scettico del severo tipo francese e non riusciva a nutrire simpatia per i preti, ma poteva averne pietà, e questo prete avrebbe suscitato la pietà di chiunque. Portava un grosso ombrello di poco prezzo che cadeva continuamente per terra, e non sembrava sapere quale fosse la parte giusta del suo biglietto di andata e ritorno. Spiegava con petulante semplicità a tutti quelli che erano nel treno che doveva fare attenzione, perché aveva una cosa fatta di vero argento «con pietre azzurre» in uno dei suoi pacchetti. La sua strana mescolanza di ottusità e di santa semplicità continuarono a divertire il francese finché il prete arrivò (in un modo o nell’altro) a Tottenham con tutti i suoi pacchetti, e ritornò indietro a prendere l’ombrello. Valentin ebbe allora persino la benevolenza di consigliargli di badare all’oggetto d’argento senza parlarne a tutti. Ma, pur parlando con lui, Valentin teneva gli occhi aperti alla ricerca di qualcun altro; stava ben attento se vedeva qualcuno, ricco o povero, maschio o femmina, che superasse i sei piedi: infatti Flambeau li superava di quattro pollici.

    Ad ogni modo scese a Liverpool Street, assolutamente sicuro di non essersi fino allora lasciato sfuggire il ladro. Andò quindi a Scotland Yard per regolare la sua posizione e disporre che gli procurassero aiuti in caso di bisogno; poi accese un’altra sigaretta e andò a fare un lungo giro per le strade di Londra. Mentre passava per le strade e le piazze oltre la Victoria Station, si fermò improvvisamente. Era una bizzarra piazza tranquilla, tipica di Londra e, in quel momento, assolutamente silenziosa. Intorno, le case alte e piatte apparivano allo stesso tempo ricche e disabitate; l’aiuola nel centro sembrava deserta come una verde isoletta del Pacifico. Uno dei quattro lati era parecchio più alto degli altri, come una pedana, e la linea di questo lato era interrotta da una delle mirabili incongruità di Londra: un ristorante che sembrava uscito da Soho. Era bizzarro e attraente, con alberi nani sistemati dentro dei vasi e lunghe tende a strisce gialle e bianche. Era un bel po’ più in alto della strada, e nel consueto modo affastellato di Londra, una scaletta saliva dalla strada fino alla porta come una scala di salvataggio salirebbe alla

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