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Il detective che amava le donne: Il Caso del Diamante
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Il detective che amava le donne: Il Caso del Diamante
E-book95 pagine1 ora

Il detective che amava le donne: Il Caso del Diamante

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Info su questo ebook

È una detective-story ambientata a Milano, di cui riporta fedelmente i tratti fino a poterne riconoscerne e viverne luoghi e percorsi. Chi indaga non è il solito trito Commissario, ma un fotografo - Sisti Francesco detto Frank. Un diamante di valore inestimabile scompare dalla casa di una nobildonna e l'avvocato, che ne tutela gli interessi, incarica Sisti di ritrovare il diamante. L'indagine dev'essere discreta, l'avvocato vuole evitare ogni pubblicità e che ne abbiano notizia le Autorità. Giudica Sisti, persona di fiducia. Sisti è un fotoreporter navigato che bene conosce i meandri cittadini e accetta l’incarico di controvoglia, solo perchè spinto da bisogno di denaro. Ben presto si ritrova in una situazione intricata da tanti troppi lati oscuri. Non ultima, la figura dell'avvocato stesso che emerge mano a mano equivoca. Sisti più volte è tentato di abbandonare, ma scatta in lui infine l'orgoglio di scoprire la vera verità.

LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2015
ISBN9781311495822
Il detective che amava le donne: Il Caso del Diamante
Autore

Guido Sperandio

Guido Sperandio was born and lives in Milan. A freelance writer for some thirty national newspapers and magazines, he later became a creative-copywriter in advertising.A writer for adults, he has also published for children and young people with major national publishers and in the USA.He has also written comics, including the legendary Topo Gigio and Tiramolla.After a life spent practising the most unbelievable genres of writing, he has recently replaced the cult of the Word with a passion for the Image. He has been seduced by Pop Art, starting with Andy Warhol & Co and is now working on and publishing a whole series of albums under the 'Guisp Collages' label.Any special notes?He has no mobile phone, no car or microwave oven, but he does have a very affectionate and intelligent cat called Tatablu.Guido Sperandio è nato e vive a Milano. Free-lance per una trentina di giornali e periodici nazionali, diventa in seguito creativo-copywriter in pubblicità.Scrittore per adulti, ha pubblicato anche per bambini e ragazzi con le principali case editrici nazionali e negli USA.Ha scritto anche fumetti, tra cui i mitici Topo Gigio e Tiramolla.Dopo una vita trascorsa a praticare i generi più improbabili di scrittura, ha recentemente sostituito il culto della Parola con la passione per l'Immagine. A sedurlo, la Pop Art, a cominciare da Andy Warhol & Co e così ora ha in corso l'elaborazione e la pubblicazione di tutta una serie di album con l'etichetta "Guisp Collages".Note particolari?Non ha cellulare, nè automobile o forno a microonde, ma ha una affettuosissima e intelligentissima gatta di nome Tatablu.

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    Anteprima del libro

    Il detective che amava le donne - Guido Sperandio

    1.

    Maria Dolores, la colf peruviana, era arrivata puntuale, come ogni mattina. Ore nove precise, alla frazione di secondo.

    La Señora, la padrona, era di sentimenti nobili, socialmente elevati, ma era pignola con gli orari, e la colf da parte sua non voleva regalarle il minimo minuto.

    Era la sfida tra due cronometri.

    Maria Dolores aveva le chiavi, era entrata nell'appartamento, in tempo per sbarrare gli occhi e urlare. Aveva compiuto una fulminea giravolta, e si era lanciata per le scale.

    Invocando la Nostra Signora del Pilar.

    Era una palazzina per bene in una zona per bene, storica, nel vecchio Centro di Milano, a pochi passi dal Carrobbio.

    Condòmini discreti, buongiorno-buonasera, dalla condotta (all'apparenza) irreprensibile.

    Niente mai succedeva che rompesse la routine dorata.

    Anche il portiere rientrava nel clichè.

    Un orientale. Tranquillo. Riservato. Passi felpati. Compariva e scompariva nella penombra degli androni. E sorrideva. Sempre. Sorriso stampato. Standard. Accompagnato dall'accenno di un inchino.

    Sorrideva e annuiva: qualsiasi cosa si dicesse, qualsiasi fosse l'argomento, anche il più tragico.

    Quando Maria Dolores gli sbucò davanti, il portiere stava inserendo la posta, decifrò il discorso sconnesso della peruviana e, per la prima volta nella sua carriera di portiere, non sorrise.

    Sui pianerottoli, non s'erano formati capannelli di persone sussurranti.

    Le urla non avevano provocato l'effetto di un sasso nella piccionaia.

    Nessuno s'era affacciato alle ringhiere a frugare con l'occhio giù per le scale, a chiedersi cosa diamine fosse successo. Le porte, anzi, si erano ancora più sbarrate.

    Maria Dolores s'era accasciata su un gradino, scossa dai singhiozzi. Ormai solo pregava la Santissima Nostra Signora del Pilar. Mentre il portiere raggiungeva il piano.

    La colf aveva lasciato la porta dell'appartamento spalancata e il portiere ci si era infilato. Mai immaginando di vedere quello che finora aveva visto solo al cinema.

    Nei film di guerra.

    2.

    Avesse avuto una targa sulla porta, ci sarebbe stato scritto: Frank Sisti.

    No, non era un mafioso italo-americano del New Jersey. Nè un investigatore privato, una suola, come li chiamano nei film di Humphrey Bogart.

    Anche se lui consumava le scarpe a rincorrere e a fotografare peccati e peccatori, e a scoprire scheletri nell'armadio che non gradiscono la luce.

    A dire il vero, il suo primo nome faceva Francesco, ma Frank gli suonava meglio, rapportato al suo mestiere.

    Questi sono tempi in cui il suono è tutto, lui s'era detto.

    Solo che, nel suo caso, si trattava di un suono troppo americano in una Milano sgangherata del Duemila, che non riusciva ad essere nè europea nè tantomeno americana.

    Sisti aveva una certa età, tanta vita alle spalle e un debole, anzi due: la fotografia e le donne.

    Difficile dire quale delle due passioni fosse nata prima.

    Di certo, già da ragazzino aveva subito il fascino delle immagini. (Catturarle e farle proprie, come i coetanei lo facevano con i grilli e le libellule.)

    Prevedibile il suo destino: era cresciuto al fianco di fotografi più o meno noti per poi, professionista in proprio, approfittare degli anni della Milano da Bere, propizi alle fantasie.

    Non s'era risparmiato: dalle foto rassicuranti di battesimi e sposalizi al mondo irreale della moda, a reporter d'agenzia fino ai brividi alla cronaca nera; quando aveva provato la febbre esaltante di correre per Milano, la Milano che finisce sui giornali,

    tra Commissariati e cadaveri. Fino ad essere lui il segugio, primo sulla scena di un misfatto. A precedere perfino carabinieri e poliziotti.

    3.

    Quella mattina stava nel suo loft con vista sulla ferrovia e la compagnia di notte dei fischi dei treni-merci. (Il fabbricato un tempo era un mulino industriale.)

    Sisti rimuginava se farsi la barba o risparmiarsene la fatica, crema e lametta. Il silenzio non bastava a concentrarlo.

    Il risveglio a un nuovo giorno è sempre l'inferno degli dei. Rotelle del cervello ed arti, inferiori e superiori, che stentano a ingranare. Ma, quella mattina, era intervenuto il telefono a sbloccarli.

    Il trillo era suonato ostile, il seguito poco più allettante.

    *

    L'avvocato Anton Mayer era un oceano di carne. Alto, smisurato, sommergeva la scrivania: la cavalcava.

    Appena Sisti apparve nel riquadro della porta dello studio, l'avvocato lo accolse calorosamente: «Ti ho telefonato per il piacere di vederti, siamo o no dei vecchi amici? Tu, Sisti, sei ormai tutto quello che mi resta di una lontana e felice gioventù».

    «Non ti facevo così sentimentale» disse Sisti.

    Erano stati compagni di scuola, alle medie, e l'avvocato Mayer nutriva un complesso di inferiorità nei confronti di Sisti. Che lo contraccambiava con sufficienza. Se non con diffidenza.

    Mayer per Sisti era un immorale-nato.

    «Come te la passi, cosa fai? Parlami un po' di te...» disse Mayer.

    «Gioco a scacchi col computer» disse Sisti.

    «Suono il flauto» disse Sisti.

    «Fumo la pipa e guardo passare i treni» disse Sisti.

    «Sto seduto ai tavolini fuori dai bar a guardare le donne e immagino la loro vita sessuale» disse Sisti.

    Era in parte vero, ma per lo più inventato. Giusto per rispondere.

    «Anche allora a scuola... Impazzivi per la prof dai capelli rossi... Insegnava matematica, mi pare» disse Mayer.

    Anche allora a scuola, pensò Sisti, Mayer era grosso e grasso.

    A Sisti tornò in mente lo slogan intravisto su una rivista americana: Gli uccelli grassi non volano.

    «Le dedicavi poesie, ricordo» Mayer disse. «Eri bravo in italiano. Mi passavi i temi in cambio di un pacchetto di sigarette» Mayer rise.

    Mayer aveva

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