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Contro L’autorità
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E-book196 pagine2 ore

Contro L’autorità

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Info su questo ebook

John Twelve Hawks è stato uno dei primi autori ad avvertirci del crescente potere della tecnologia di sorveglianza. Ora ha scritto un libro personale e controverso che mostra come le nostre vite vengono osservate e analizzate da governi e corporazioni internazionali. In un mondo in cui le nostre azioni possono essere monitorate da una griglia computerizzata di controllo sociale, c'è qualcosa che possiamo fare per difendere la nostra libertà?

Con una nuova introduzione per l'edizione italiana

LinguaItaliano
Data di uscita18 apr 2023
ISBN9798215345481
Contro L’autorità

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    Anteprima del libro

    Contro L’autorità - John Twelve Hawks

    UNA INTRODUZIONE PER L'EDIZIONE ITALIANA

    Nell’estate del 2005 stavo vivendo a Roma quando, Il Viaggiatore (The Traveler), venne pubblicato negli Stati Uniti. Alla fine, il libro fu tradotto in italiano e in altre 24 lingue, ma il successo futuro non ebbe alcuna relazione con la mia vita spartana. In quel periodo vivevo in un appartamento malandato vicino a Piazza Borghese con un musicista professionista jazz che mi portava in giro per i locali di tutta l’Italia settentrionale. Il musicista andava a letto alle tre del mattino e si esercitava nel pomeriggio. Io scrivevo al tavolo della cucina e dormivo in quella che era la stanza secondaria.

    Un anno prima, avevo dato via la maggior parte dei miei averi, avevo abbandonato il mio nome di nascita e mi ero creato un’identità parallela che non poteva essere rintracciata. Ero diventato improvvisamente famoso per aver rifiutato di essere famoso e questo creò alcuni momenti particolari mentre girovagavo per la vecchia Roma. Un mattino presto ero l’unico cliente di un internet café vicino al Pantheon. Seduto davanti ad un computer intasato di spam e virus, appresi che Il Viaggiatore era diventato un best seller del New York Times e che migliaia di persone stavano leggendo il mio romanzo. Per la maggior parte degli scrittori questo sarebbe stato un momento di festa, ma mia madre e il resto della mia famiglia non avevano idea che avessi scritto un libro.

    Lasciai il café, mi recai a Largo di Torre Argentina e osservai una dozzina di gatti selvatici che si aggiravano tra le rovine di marmo di un tempio romano della vittoria. Avevo creato la mia identità di John Twelve Hawks perché credevo che la nuova tecnologia avrebbe dato ai governi e alle grandi aziende la possibilità di tracciare e monitorare ogni cittadino.

    Volevo dimostrare alle persone che potevamo resistere e che la morte della privacy non era inevitabile.

    Quella mattina, guardando i gatti senza padrone, mi domandai se avessi commesso uno sciocco errore. Nel 2005, la polizia italiana usava informatori e ascoltava le telefonate, ma non esisteva un sistema centrale che tracciasse gli acquisti e le opinioni politiche della gente comune.

    Ne Il Viaggiatore e nei libri successivi ho previsto la creazione di un Panottico virtuale: una prigione senza sbarre che avrebbe incluso tutti i dati personali e le informazioni in tempo reale sulla posizione e sulle attività delle persone.

    In quel momento, con in gatti randagi di Roma, dubitai che gli italiani avrebbero mai accettato una simile intrusione. Un Panottico virtuale non rifletterebbe la cultura e la storia del paese. Purtroppo, questa ipotesi si è rivelata sbagliata. L’Italia si è trasformata in una società della sorveglianza governata da un capitalismo di sorveglianza che vede gli esseri umani come unità sfruttabili di informazioni digitali.

    Come ciò sia avvenuto e cosa significhi per le nostre vite è il tema di Contro l’autorità.

    Per questa edizione italiana, ho avuto la fortuna di avere una splendida traduttrice, Paola Filisetti.

    Insieme alla sua traduzione ha inserito dei link informativi che forniscono approfondimenti sui fatti riportati in ogni capitolo. Alcune fonti sono in inglese, ma la maggior parte sono in italiano.

    Ciò che avevo previsto molti anni fa è stato documentato da diversi giornalisti e ricercatori italiani.

    SEZIONE 1

    UN BAMBINO IN UNA STANZA DI SPECCHI

    ––––––––

    Sia i cani che gli umani sanno quando siamo stati messi in gabbia. Percepiamo istintivamente quando un’altra persona – o una istituzione – ha il potere di dirigere o di controllare le nostre vite. E la nostra prima consapevolezza di questa realtà avviene in tenera età. I bambini più grandi nel cortile della scuola sono più grandi e più forti. Essi hanno il potere di buttarci al tappeto e di dirci cosa fare.

    Quando stavo crescendo negli anni ’50, ero abbastanza consapevole della mia stessa impotenza. Non potevo dire a nessuno cosa fare - nemmeno a un bambino di prima elementare.

    Sebbene il mio cervello fosse pieno zeppo di parole, io avevo una terribile balbuzie e non riuscivo a farle uscire. Tutti nella mia classe di scuola elementare ridevano quando mi sforzavo di parlare, e alcune volte persino la mia maestra doveva nascondere il suo sorriso.

    All’età di otto anni, iniziai a credere che un demone con un perverso senso dell’umorismo avesse il controllo delle mie labbra e della mia lingua. In alcuni giorni era un demone pigro e potevo parlare al telefono o rispondere alla domande in classe. Poi il demone si infastidiva con me e io sputavo e farfugliavo su ogni parola.

    La domenica la mia famiglia frequentava una chiesa presbiteriana scozzese guidata da un pastore conservatore che predicava la dannazione dei bambini. Ero confuso sul potere del battesimo, ma capivo sicuramente il concetto di inferno. Ero dannato per sempre senza alcuna colpa. Le persone mi avrebbero preso in giro e tormentato per il resto della mia vita.

    I miei genitori volevano che fossi felice, ma era chiaro che non potevano risolvere questo problema. Mia madre era una ragazza emigrata del sud, con capelli castani che le arrivavano alle spalle. Cantava insieme alla radio e metteva sorrisi di sciroppo d’acero sulle mie frittelle. Ogni volta che balbettavo, mi toccava la nuca come se un’infusione di amore materno potesse aiutarmi a parlare. Mio padre era bravo ad aggiustare gli oggetti e realizzò la maggior parte dei nostri mobili in un laboratorio seminterrato. Ma io ero un meccanismo rotto che non poteva essere riparato. Se mi bloccavo e mi sforzavo di dire il mio nome, lui mi guardava con un’espressione perplessa sul suo viso.

    Pensavo che non sarei mai stato in grado di parlare correttamente, ma poi la mia scuola elementare ricevette una lettera da un’università di una città vicina. Vi si annunciava che un team di neurologi stava iniziando uno studio sui bambini con problemi di linguaggio. I test e la logopedia settimanale sarebbero stati offerti gratuitamente a tutti i partecipanti.

    I miei genitori discussero la lettera dopo cena, e poche settimane dopo mia madre mi accompagnò al laboratorio di ricerca dell’università. Firmò un modulo di autorizzazione e poi un giovane uomo che indossava un camice bianco mi accompagnò al piano superiore, in una grande stanza al terzo piano. Metà della stanza era un gruppo di uffici con sedie, scrivanie, e schedari.

    Dall’altro lato c’era un lettino da visita posto accanto ad un macchinario in acciaio inossidabile delle dimensioni di un lavello da cucina. Potevo vedere che la macchina aveva otto piccole penne che toccavano una bobina di carta.

    Fu solo molto più tardi nella mia vita che vidi una fotografia in un libro di testo e realizzai di aver incontrato una delle prime macchine moderne per elettroencefalogrammi. Le onde celebrali furono registrate per la prima volta nel 1924, ma questa particolare macchina per elettroencefalogramma era un Offner Dynograph (dinografo Offner) con un sistema di inchiostro piezoelettrico che fu inventato dopo la Seconda Guerra Mondiale da un professore di biofisica di nome Franklin Offner. Senza intervento chirurgico, la macchina poteva registrare l’attività elettrica del cervello per un breve periodo di tempo.

    Il giovane uomo che indossava il camice mi disse di sdraiarmi sul lettino e iniziò a picchiettare gli elettrodi sulla mia testa. Nessuno spiegò cosa sarebbe successo. Qualche settimana prima, avevo visto il film Frankenstein al Sabato Mattina, così pensai che l’elettricità stesse per essere sparata nel mio cranio.

    Il dinografo fu acceso e la bobina di carta che si dipanava emise un ronzio. Per prima cosa il tecnico mi chiese di alzare la mia mano destra e poi la mia sinistra. Poi dovetti contare all’indietro e pronunciare i nomi degli animali della fattoria mostrati sulle schede. A metà di questa recita, sentii le parole che non si vorrebbero mai sentire durante una procedura neurologica.

    Oh...  

    E poi: Uh-oh.

    E infine: Dottor Naylor, deve dare subito un’occhiata a questo!

    Il dottor Naylor, un uomo basso e calvo con un naso simile al becco di una pulcinella di mare, si precipitò verso la macchina per elettroencefalogramma con un altro scienziato dai folti baffi. Sussurrarono tra loro mentre le penne tracciavano le loro linee ondeggianti. Il dottor Naylor mi chiese di dire il mio nome e di contare all’indietro. Quando la carta finì, ordinò al tecnico di mettere un’altra bobina e i tre uomini continuarono la loro conversazione. Nessuno mi disse cosa stava accadendo, ma mi piaceva essere al centro dell’attenzione.

    Il dottor Naylor e il dottor Baffi (non ho mai saputo il suo nome) guardarono la macchina che faceva scorrere altre quattro bobine di carta, poi il dottor Naylor ordinò al tecnico di correre al piano di sotto e di trovare mia madre.

    Quando mia madre arrivò, vidi che era impressionata, e un po’ intimidita, dagli uomini dall’aspetto serio che indossavano i camici. Gli scienziati avevano acquisito molto prestigio durante la Seconda Guerra Mondiale e i medici vendevano sigarette in televisione. Il modo in cui mia madre rispose alle loro domande mi dimostrò che essa aveva accettato l’autorità del dottor Naylor. La sua competenza e la sua posizione gli davano il diritto di prendere decisioni su suo figlio.

    Mentre ero sdraiato sul lettino, ancora attaccato alla macchina per elettroencefalogramma, il dottor Naylor spiegò che ogni cervello umano ha due emisferi che comunicano tra loro attraverso una fascia di nervi. Solitamente, il lato destro del cervello controlla il lato sinistro del nostro corpo e l’altro emisfero controlla il lato destro. Per la maggior parte delle persone, uno dei due emisferi è dominante durante determinate attività.

    Per qualche motivo, mi mancava un emisfero dominante. Il mio emisfero sinistro mostrava attività mentre parlavo e poi il mio cervello decideva: Bene, basta con queste sciocchezze e l’emisfero destro prendeva il sopravvento. Il cambio avveniva anche mentre recitavo i numeri e guardavo le schede.

    E la balbuzie? chiese mia madre. La può guarire?

    Il dottor Naylor sorrise. Faremo del nostro meglio, ma non accadrà dall’oggi al domani.

    Naylor disse che mia madre doveva firmare altri moduli di autorizzazione e la accompagno in un’altra stanza. Non ho idea cosa le disse in quel momento, ma i suoi esperimenti successivi si concentrarono sul meccanismo di scambio nel mio cervello. Negli anni ’50, gli scienziati non avevano idea del perché le persone destrimani preferissero un emisfero mentre la minoranza delle persone mancine usassero l’altro emisfero. L’emisfero cerebrale dominante di una persona era determinato dalla genetica? Oppure uno scienziato brillante poteva ricablare il cervello come una scatola di fusibili? Il dottor Naylor era un uomo ambizioso ed è possibile che quella sera egli sia uscito spavaldamente dal suo laboratorio chiedendosi se un bambino balbuziente di otto anni fosse la sua chiave per un premio Nobel.

    Durante i primi mesi del progetto di ricerca, mi piacquero le mie visite settimanali all’università. Ogni mercoledì pomeriggio, gli altri bambini della mia classe dovevano rimanere ai loro banchi mentre io uscivo fuori al parcheggio e salivo nella nostra Country

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