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I miei occhi hanno visto: Storie di sguardi ed emozioni di viaggiatori e migranti
I miei occhi hanno visto: Storie di sguardi ed emozioni di viaggiatori e migranti
I miei occhi hanno visto: Storie di sguardi ed emozioni di viaggiatori e migranti
E-book252 pagine2 ore

I miei occhi hanno visto: Storie di sguardi ed emozioni di viaggiatori e migranti

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Info su questo ebook

In questo libro vengono pubblicati 35 racconti di viaggio che l’autrice, Giorgia Miazzo, ha scritto in un arco di tempo di 15 anni che l’hanno vista viaggiare tra l’Europa, le Americhe e l’Africa. Sono testimonianze personali realizzate nella forma di articoli dove vengono narrate le vicende, gli sguardi e le emozioni delle persone, popoli, civiltà incontrate nel suo continuo muoversi. I testi raccolti in questo libro sono soprattutto riflessioni sul senso del viaggio e del viaggiare, considerazioni che si allargano ai temi della storia, della geografia, della cultura, dell’emigrazione e del viaggio come necessità.
Viaggiare significa prendere la valigia, armarsi di coraggio e passione per andare a conoscere angoli del mondo per noi esotici, vivere esperienze dirette con le comunità locali, conoscere per apprendere, offrire una parte di sé per completarsi. L’autrice, nella sua narrazione, indirizza spesso il suo pensiero verso i migranti, perché possiedono una forza e integrità che sono ormai rare e una sensibilità e pienezza identitaria a cui non è possibile rimanere indifferenti.
Il libro di Giorgia Miazzo è ricco di umanità e possiede il raro dono di coinvolgere completamente il lettore, di renderlo partecipe alle emozioni e riflessioni che in questo testo si incontrano in ogni pagina
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita1 dic 2015
ISBN9788863363173
I miei occhi hanno visto: Storie di sguardi ed emozioni di viaggiatori e migranti

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    Anteprima del libro

    I miei occhi hanno visto - Giorgia Miazzo

    Prefazione

    Da bambina, quando pensavo al mondo, lo immaginavo immenso, impercorribile, e quando qualcuno tornava da un viaggio, scorgevo in lui occhi diversi, più consapevoli, ricchi e completi. Crescendo, ho sentito il bisogno di mettere nella mia scala di valori il percorrere questa piccola grande terra, che nel tempo mi ha cambiato profondamente. Viaggi solitari ma mai soli, di studio, lavoro o passione, sempre alla scoperta del nuovo e dell’esotico, fino a farlo diventare familiare, e accorgermi che siamo tutti sotto uno stesso tetto, di paure, gioie, dolori ed emozioni.

    In realtà ciò che ho sempre cercato sono le mie radici, perdute in un mondo che mi ha insegnato a produrre e consumare, cancellando le tradizioni e i bei tempi genuini dello stare assieme. Quel mondo ho deciso di andarmelo a riprendere e l’ho trovato nella grande comunità italiana raccolta in molti luoghi lontani da casa.

    Questo saggio vuole raccontare… la scrittura è per certo una sorta di terapia e nel contempo l’unico legame che consente di sentirmi in contatto con le persone incontrate nei paesi in cui ho soggiornato. Uno splendido panorama fatto di tipicità, esperienze e forte emotività.

    Ogni volta che una persona lascia il suo paese per lungo tempo, si porta nel cuore il bagaglio incommensurabile degli affetti, cultura, tradizioni e lingua. Quando però si separa dal proprio paese con la consapevolezza del non ritorno, come unica possibilità per sostentarsi o migliorare le proprie condizioni, il prezzo da pagare diventa alto e ogni ricordo si amplifica e rimane per sempre nel cuore la nostalgia della propria terra. La terra che ti ha fatto nascere ha un profumo e un’energia intimi e indimenticabili.

    Viaggiare è anche vedere rinascere con fatica e coraggio la speranza nel proprio paese, calpestato o reduce da lunghe guerre. Sguardi profondi, sorrisi incerti ma fiduciosi che accompagnano le nuove generazioni verso il futuro.

    Se per viaggiare ci vogliono passione e umiltà, per emigrare ci vuole coraggio.

    L’autrice Giorgia Miazzo

    I miei occhi hanno visto

    Giorgia Miazzo

    È stato intensamente forte per i sensi.

    Tanto forte da avermi invasa con impeto e prepotenza.

    Ho visto gente deperire, sulla strada, per overdose, o per alcool.

    Ho visto gente senza un soldo, senza una casa, cercando tra la mia spazzatura, qualcosa,

    non so che cosa mai.

    Ho visto gente vendersi, per cento pesos, e gente vendersi, per una bugia.

    Ho visto gente perdere in un secondo mille dollari al casino, e compiacersi divertita.

    Ho visto piangere di dolore,

    e ridere di gioia, solo per un mio sguardo regalato.

    Ho visto un sorriso, e due occhi che mi seguivano fino all’orizzonte, fino a non potermi vedere più,

    e ho visto odio, invidia, repulsione, tanto razzismo,

    ma anche tanto amore, fratellanza, aggregazione.

    Ho visto sentimento, tra questa gente,

    e tanto freddo, il freddo gelido dei bianchi.

    Ho visto ballare con eleganza,

    ho ascoltato canzoni che il mio cuore faticava a sopportare, tanto forte era l’intensità delle loro

    parole, della melodia dolce che le coccolava.

    Ho sentito gente amarmi, dare il loro nulla per il mio tutto,

    e gente odiarmi, per non riuscirgli a dare un po’ del mio tanto.

    Ho visto chilometri di file, per difendere il nome di un politico,

    e ho visto politici corrotti, pestare un paese già piegato dalla miseria.

    Ho visto il sorriso e la profondità negli atteggiamenti dei poveri,

    e l’indifferenza di chi non sa guardare negli occhi degli yankee.

    Ho visto lavorare un mese per pochi pesos,

    e gente che li guadagna per ogni respiro.

    Ho visto me stessa, in tanta estremità, in tale contraddizione,

    in questa forma di sofferenza, e in quel senso di libertà,

    ho visto tutto di me,

    che non sono altro che come questa terra,

    figlia di un angelo, che senza le sue ali non potrebbe giungere così lontano,

    fino a perdersi in un viaggio esotico.

    Angola, tra passione e dolore - 2013

    Percorrere 900 chilometri in mezzo alla vegetazione africana, incontrare in quel nulla piccoli villaggi con persone che si sostentano tra loro, si avvicinano e ti guardano con curiosità, perché essere bianchi deve essere strano, poi sentire i loro occhi immensi addosso e appena accenni un sorriso ti danno il cuore… mi disarma toccare con mano, confermare, che l’avere confonde l’essere, e l’essere non ha bisogno di avere.

    L’Angola è quattro volte e mezzo l’Italia, ci vivono più di 18 milioni di persone e si trova a 1.100 metri rispetto al livello del mare. La sua terra è baciata dal sole e il paesaggio è spettacolare, la savana copre vaste aree con innumerevoli baobab alti fino a 40 metri e ospita dai leoni, iene, elefanti e antilopi, agli ippopotami, coccodrilli e simpatici macachi. Gode di oltre 1.600 km di costa con spiagge ancora selvagge e abbondanti fiumi che sono una salvezza per le popolazioni interne. Il più lungo è il Kwanza, che ha dato nome alla moneta locale, è navigabile e supera i 1.000 km. Inoltrandosi nell’entroterra si è sopraffatti da parchi incontaminati e suggestive cascate che superano i 100 metri. Si dice che il sottosuolo abbia più del 20% di acqua di buonissima qualità antartica, oltre a possedere un immenso giacimento di riserve idroelettriche. Gli angolani sono al 98% neri del ceppo Bantu, hanno in gran parte fede cattolica e oltre al portoghese, lingua nazionale ma elitaria, coesistono parecchi idiomi di origine africana. Manifestano un carattere sereno, bonario, più sentimentale che razionale, e il loro sguardo è profondo, orgoglioso e dignitoso.

    L’Angola è la maggior produttrice di petrolio del continente, è al quarto posto a livello mondiale per i diamanti, sebbene finora ne siano stati estratti solo il 18%, ed è molto ricca di carbone. Tali risorse vengono gestite dalle multinazionali, determinando così un enorme divario tra una smisurata classe povera che guadagna due dollari al giorno e un’elite milionaria formata dal 6-7% della popolazione che viaggia in elicottero, va dal parrucchiere a New York e cena su ristoranti da 1.000 dollari a testa. Di fronte a tale dislivello, il governo mira a sollevare il paese utilizzando i guadagni delle materie prime per migliorare la sanità e l’igiene pubblica, con l’accesso a acqua potabile e elettricità, oltre che l’alfabetizzazione. Qui c’è bisogno di tutto, dall’importazione di fotovoltaici agli impianti logistici, l’implementazione del turismo e la creazione di un braccio tecnico operativo. L’Angola è un paese minato e dimenticato, sopraffatto dalla ferocia, dal martirio e dalla corruzione della guerra civile durata quasi 30 lunghissimi e sanguinosi anni, che oggi sta tornando alla vita, che fatica a immaginare un futuro diverso, ma con nuova voglia di vivere e sperare.

    La capitale Luanda supera i 6 milioni di abitanti, ovvero un terzo della popolazione nazionale, ed è la città della follia, una tra le più care e assieme più povere al mondo. Affittare un bilocale costa più di 5.000 euro, una pizza e una bibita da asporto 50 e 1 kg di spaghetti 6. Si avverte poi la miseria, la gente è seria e spesso aggressiva, arrabbiata con quel mondo che non le ha mai teso una mano e corre disperata verso il futuro per riscattarsi da quanto le è sempre stato negato. Vivono nelle musseque, agglomerati ottenuti con avanzi di lamiere arrugginite e plastiche, dai tetti in lamina di amianto, le cui polveri che scendono dallo sgretolamento provocano il cancro. Sono piccole, ammucchiate e caldissime, prive di tutto, con poco ossigeno, alcune sono adibite a negozio, riconoscibile da una targa di latta, una logora tendina di perle o una scritta dipinta sopra. Si trovano montagne di rifiuti, nei paraggi c’è qualcuno che cerca viveri e un po’ più in là ragazzi che giocano a piedi nudi con un pallone fatto di stracci e cartoni. Non esistono fognature, l’acqua non è potabile, l’elettricità va e viene e il Bairro de Lixeira, ossia Quartiere delle Immondizie, è il simbolo di un popolo bisognoso di aiuto. I mercati, strutturati o improvvisati sui marciapiedi, sono ricchi di odori intensi che si diffondono, affollatissimi e vocianti, dove si trova di tutto e qualsiasi scusa è buona perché l’importante è vendere. In questa città caotica contrastano le donne vestite con abiti tipici dai colori sgargianti, dall’andatura fiera e sicura, da sole o in gruppo, con enormi ceste sopra la testa e con i loro piccoli legati sulla schiena. I bambini passano intere giornate a giocare all’aperto e quando ti incontrano sono curiosi e sgranano occhi intensissimi molto espressivi. Eppure in chiesa gli angolani ci vanno vestiti di tutto punto, ordinati e puliti, con treccine sui capelli, foulard colorati per ornarsi la testa e scialli vivaci trasformati in gonne, tocchi di eleganza e di lontana tradizione.

    Dopo più di 500 chilometri si raggiunge la città costiera di Benguela, seconda all’Angola e capitale culturale del paese, che mantiene un’atmosfera tranquilla e più vivibile. La gente è accomodante, lo dimostrano con sorrisi bianchissimi e immensi che riescono a toccare gli orecchi, ti sprofondano gli occhi addosso e non ti resta che piangere, hanno la capacità di spogliarti con uno sguardo e in un attimo ti liberi della gelida corazza che tanto ci accomuna.

    Dall’unica strada che porta in questa regione meridionale, si trovano panorami mozzafiato in continua evoluzione nella forma e nei colori, acacie rosse, oleandri, baobab, buganvillee, coste, terreni verdeggianti, vaste savane, vallate lunari, montagne, fiumi, terre coltivabili, allevamenti. Ogni tanto si scorgono kimbo ossia villaggi di capanne di fango e paglia, dove si vive di agricoltura e qualche capretto, maiale o gallina. Alla vista di un uomo bianco si avvicinano in tanti per vendere, ma restano fermi, a un passo da te, ad aspettare la tua decisione, rimangono così anche a lungo, osservandoti con interesse e un po’ di esitazione, ma appena abbozzi un sorriso ricambiano offrendoti il cuore e l’anima, e in quel momento si prova una responsabilità immensa e quando riparti ti fissano come per chiederti con quale coraggio lo fai e ti senti morire.

    Antônio Prado - 2007

    Durante la permanenza nel sud del Brasile, approfittavo dei fine settimana per svolgere indagini linguistiche e ricerche socio-culturali sull’emigrazione veneta in quell’area. Quello che mi affascinava era vivere in una terra dal profumo latinoamericano e dall’anima europea, era un’alchimia perfetta.

    L’istinto, irrimediabilmente bandolero, mi ha portato nello Stato di Rio Grande do Sul, in particolare nella Serra Gaucha, zona che circonda la città di Caxias do Sul, seconda in ordine di importanza rispetto alla capitale Porto Alegre. Mi sono addentrata nelle zone di maggiore immigrazione veneta, popolate da numerosi graziosi paesetti, molti addirittura omonimi alle nostre città, come Nova Pádua, Nova Bassano, Nova Roma do Sul. Esiste anche Nova Veneza, ma è situata più a nord, nello stato di Santa Catarina, e da un anno ospita un’autentica ed elegante gondola, provvista di marinaio, in carne e ossa, agghindato in perfetto

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