Aria Acqua Terra Fuoco. Storie vere di uomini, donne, alberi, animali
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Anteprima del libro
Aria Acqua Terra Fuoco. Storie vere di uomini, donne, alberi, animali - Paolo Ferrante
Maria Rosa Panté, Paolo Ferrante
Aria Acqua Terra Fuoco. Storie vere di uomini, donne, alberi, animali
UUID: 5fd0fb32-9da4-11e5-b010-119a1b5d0361
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Indice dei contenuti
ARIA ACQUA TERRA FUOCO: AUTORI
Acqua, acque
SCHEDA - L’acqua dolce sulla Terra nel 2050
1116.
SCHEDA - L’isola di Tikopia e il controllo demografico
Apologia immaginaria di un genocida
SCHEDA - La Tasmania e i tasmaniani
Ultimi
SCHEDA – L’isola di Pasqua
La preistoria non si fa con i se...
SCHEDA – Gli uomini di Neanderthal
Il villaggio dei mostri
SCHEDA – La lenta Hiroshima indiana
Giocattoli
SCHEDA – Le mine antiuomo
Un coro di Natale
17 febbraio Giornata mondiale del Gatto
SCHEDA – La domesticazione del gatto
Lo Hobbit
SCHEDA – Homo floresiensis
Una favola semiseria
Una questione di frecce
SCHEDA – La gente di Clovis
Cavalli
Domani
ARIA ACQUA TERRA FUOCO: AUTORI
ARIA ACQUA TERRA FUOCO
Storie vere di uomini, donne, alberi, animali
Racconti di Maria Rosa Panté
Schede di approfondimento di Paolo Ferrante
Illustrazioni di Francesca Musolino
Maria Rosa Panté vive in provincia di Vercelli, è insegnante bibliotecaria, ha pubblicato poesie, racconti e un romanzo umoristico. Scrive sulle riviste online Gaianews.it, Persona&Danno, Griseldaonline. Scrive per il teatro, ha collaborato a varie edizioni della rassegna Teatro e Scienza
di Maria Rosa Menzio. Col monologo Maria Gaetana Agnesi, scienziata di Dio
ha vinto il premio Città di Trieste.
Da anni collabora alla scrittura dei monologhi di Lucilla Giagnoni: Big Bang, Apocalisse, Ecce Homo, Pacem in Terris.
Per Lucilla Giagnoni ha scritto anche i monologhi: Casorati: arte e scienza
e Teresa d’Avila
.
Paolo Ferrante è ingegnere informatico nonchè giornalista pubblicista da diversi anni. Ha fondato e dirige la rivista online Gaianews.it e si interessa di divulgazione scientifica. Vive a Zurigo, in Svizzera, da qualche tempo.
Francesca Musolino, vive in provincia di Vercelli, dopo l’Accademia di Belle Arti Brera, si è dedicata all’attività di restauro e all’insegnamento, oltre a una costante produzione pittorica.
Acqua, acque
La terra è riarsa, secca, si solleva nell'aria quando il vento arriva dal mare. Talvolta lo scirocco porta la sabbia del deserto. Strisce rosse affaticano il cielo e i respiri. L'isola è calda e secca.
Affacciati sul mare, come giardini pensili, stanno i monti e, sui monti, i boschi. L'isola è verdeggiante.
L'isola vive di contrasti e di bellezza pura e terribile. L'isola è la Sicilia.
Siamo negli ani '40, c'è la guerra, la spaventosa seconda guerra mondiale. A casa sono restate le donne e, degli uomini, i vecchi e i bambini.
La terra è tanta, le donne zappano come uomini e i bambini non sono più bambini, sono braccia da lavoro.
Quella notte per il bambino, che si chiama Francesco, il risveglio è quasi violento, ma pieno di attese e curiosità, per la prima volta tocca uscire anche a lui.
Francesco è magrissimo, ha capelli neri, diritti sulla testa e occhi scuri, arabi, vivissimi, pieni di intelligenza e fuoco. È piccolo, nervoso, forte per la sua età.
Nel cuore della notte tutta la famiglia si prepara, Francesco ha dieci anni, restano a casa solo la madre e i fratellini più piccoli. Lui e il padre sono gli unici maschi: un bambino e un uomo ormai anziano. Almeno, loro non vanno alla guerra.
Questa è la notte giusta per abbeverare i campi. Abbeverare è una parola bella, evoca gole aride che si dissetano, così come fanno le zolle. Abbeverare si dice degli animali, però Francesco lo dice della terra, che è cosa viva e animata anche lei.
Ma perché una veglia tanto disumana per un bambino? Perché l'acqua c'è in Sicilia, ma è nei pozzi, è profonda. Si abbevera di notte quando gli altri dormono e nessuno tira l'acqua e così si fa prima e ne sgorga di più.
Si abbevera di notte, a Francesco lo zampillare dell'acqua dai pozzi, la terra che veloce assorbe la frescura dell'acqua sono rimasti nel cuore. Anche la notte, alta sulla sua testa di bambino, nella campagna quieta, silenziosa, lontana dalla guerra. Tutto è rimasto nel cuore del bambino, anche la stanchezza e gli occhi che si chiudono, perché un bambino ha diritto al suo sonno. Ma la terra ha diritto alla sua acqua e la terra viene prima di tutto. E la notte è fresca e fa sognare.
Perché l'acqua in Sicilia c'è.
Così, molti anni dopo, continua ripetermi il bambino Francesco, che è cresciuto ed è mio padre. La Sicilia è ricca d'acqua.
E io non posso scordare il letto del torrente davanti alla casa dei miei zii.
Un corridoio di terra secca, stretto tra due muri pieni di buche, di falle e nel corridoio il letto del torrente: pietre e terra, poi i pollai delle famiglie, qualche timido orto. Maestosi i fichi d'India, irsuti.
Io e mia cugina grande varcavamo un porticina aperta nell'argine del torrente e camminavamo in mezzo al letto del fiume, fino all'angolo dove stava il pollaio. Ero stupefatta: che razza di luogo era mai quello? Ma adoravo mia cugina e mi piaceva vedere il pastone mangiato dalle galline.
Così dimenticavo dove mi trovavo.
Ma poi venne una pioggia più violenta del consueto, le piogge torrenziali della Sicilia, il muro d'acqua, che blocca le auto, e il torrente che sale e l'acqua che esce dalle falle e gli orti portati dalla violenza della corrente al mare e le galline. Ancora oggi non so: che fine facevano le povere galline?
Non ho mai osato chiederlo.
L'acqua, dove abitava mia madre, invece era tanta. La casa di mia madre si specchiava nelle risaie. All'altro capo dell'Italia, nelle pianure quasi al confine tra Piemonte e Lombardia, l'acqua era tanta, il riso vi cresceva, debitamente pulito, mondato, appunto, dalle mondine.
Delle mondine si parla nei libri, nei film, sono figure scomparse, ora ci son le macchine a pulire il riso. Le mondine, donne coi piedi nell'acqua e chine sotto il sole, sono entrate nella storia. Almeno in Italia, almeno per ora...
Era loro proibito di parlare, c'erano i capi a controllare e a sbirciare le gambe delle più belle. Altra violenza, non c'è dubbio. Era quasi una schiavitù, anzi era una vera schiavitù. Per parlarsi cantavano ché cantare non è mai stato proibito nemmeno tra gli schiavi neri, chini a raccogliere il cotone.
Le donne coi piedi a mollo nell'acqua impura del riso, dove guizzavano gli animaletti della palude, dove alloggiavano gli insetti, le donne chine sotto il sole, sul riso: erano le mondine, dai larghi cappelli e le gonne sollevate per non bagnarne i lembi.
Un lavoro che ti sfianca, che t'ammazza, che ti accorcia la vita. Ma forse no, la madre di mia madre fece la mondina una sola volta, ma morì presto. Sua sorella, la zia di mia madre, invece fece la mondina per molti anni e campò curva e rinsecchita fino a tarda età.
Un lavoro, i piedi nell'acqua putrida, nel caldo afoso e sotto il sole, che non sappiamo immaginare. Mia nonna lo fece per un solo raccolto, che mio nonno era disoccupato, per via della guerra. Non aveva voluto mai