Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La signora di Blossholme
La signora di Blossholme
La signora di Blossholme
E-book322 pagine5 ore

La signora di Blossholme

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

"La signora di Blossholme", pubblicato nel 1909, è il trentottesimo romanzo a opera di H.R. Haggard. Ambientato nell'Inghilterra di Enrico VIII, ai tempi della ribellione papista nota come "Pilgrimage of Grace" (1536-1537), esso racconta le vicende di una coppia di possidenti terrieri, separati dall'altrui avidità e dai grandi rivolgimenti della Storia. L'abate Maldon ha infatti fatto uccidere il padre di Cicely e fatto deportare oltremare suo marito. Cicely, dovendo sfuggire alla prigionia (e pure a un processo per stregoneria!), dovrà fare in modo di ottenere l'aiuto del re, così da ritrovare il marito scomparso e riottenere le proprie terre. Un Haggard apparentemente inedito – almeno per chi lo ha sempre conosciuto per i romanzi ad ambientazione africana – ma non per questo meno entusiasmante. Difficile non farsi risucchiare dall'avvincente storia di un mondo in preda alle guerre fratricide (un tema, questo, purtroppo sempre attuale).
LinguaItaliano
Data di uscita28 nov 2022
ISBN9788728514894
La signora di Blossholme

Correlato a La signora di Blossholme

Ebook correlati

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La signora di Blossholme

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La signora di Blossholme - Henry Rider Haggard

    La signora di Blossholme

    Translated by Alfredo Pitta

    Original title: The Lady of Blossholme

    Original language: English

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1934, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728514894

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    LA SIGNORA DI BLOSSHOLME

    I.

    Sir John Foterell.

    Nessuno che le abbia visitate potrà dimenticare le rovine dell’Abbazia di Blossholme, poste su di un’altura, tra le acque dell’Estuario a nord, le fertili terre e i boschi a est e a sud, mentre ad ovest si stende il vasto altipiano e si scorgono in lontananza le eterne colline. Probabilmente la scena non ha cambiato molto dai tempi di Enrico VIII quando accadevano quei fatti che ci accingiamo a narrare, poichè in quel luogo non è sorta alcuna grande città, nè miniere scavate od officine costruite a sconvolgere il suolo o ad inquinare l’atmosfera col fumo delle loro ciminiere.

    Il villaggio di Blossholme è andato soggetto a ben poche variazioni anche come numero di abitanti, come risulta dai vecchi registri, e siccome la ferrovia non vi giunge, anche il suo aspetto è rimasto quello dei tempi che furono. Le case costruite con la pietra grigia delle cave locali resistono al logorìo del tempo, e la gente della generazione di cui narreremo ha abitato in molte di queste dimore in cui l’unico cambiamento si può scorgere nei tetti che sono ora coperti di tegole o di lastre di ardesia greggia, anzichè di giunchi intrecciati. Sulle mura della Parrocchia le pompe di ferro, che hanno sostituito le carrucole e i secchi, forniscono al luogo l’acqua potabile come ai tempi di Edoardo I e forse da centinaia d’anni prima.

    Benchè il loro uso sia ormai sorpassato, non lontano dai cancelli dell’Abbazia si trovava ancora il ceppo e il luogo per la fustigazione, quest’ultimo munito di tre coppie di anelli d’acciaio fissati a differenti altezze e di diverso diametro per adattarsi ai polsi degli uomini, delle donne e dei bambini. Questi arnesi di giustizia stanno nel mezzo del sagrato, sotto una tettoia sgangherata, sostenuta da rozzi pilastri di quercia e sormontata da una banderuola che ha la forma di un Arcangelo che suona la tromba del Giudizio. Questo strumento musicale è sparito. Gli annali della Parrocchia narrano che al tempo di Giorgio I un ragazzo la ruppe e fu, in conseguenza, pubblicamente fustigato; questa fu, a quanto sembra, l’ultima volta che fu usato il luogo per la fustigazione. Tuttavia Gabriele gira ancora sul suo perno come quando il vecchio Peter, il famoso fabbro, lo forgiò e lo mise in opera con le sue proprie mani durante l’ultimo anno di Re Enrico VIII, si dice per commemorare il fatto che in quel luogo Cecilia Harflete, signora di Blossholme e la sua nutrice Emlyn furono incatenate per essere arse come streghe.

    Così è per tutto a Blossholme, uno dei pochi luoghi che il tempo ha rispettato. I campi o molti di essi portano gli stessi nomi ed hanno conservato i loro antichi confini. Le vecchie tenute e i pochi castelli in cui risiede la nobiltà del paese sono dove sono sempre stati. La gloriosa Torre dell’Abbazia si estolle tuttora verso il cielo, benchè il suo tetto e le sue campane non vi siano più, mentre, a mezzo miglio, la chiesa della Parrocchia che fu ricostruita sulle fondamenta sassoni, nei giorni di William Rufus, rimane intatta fra i suoi olmi secolari. Più lontano su di un pendìo si scorgono le severe rovine del convento di monache che dipendeva dall’Abbazia; una parte di esso, sistemata alla meglio con tettoie di acciaio galvanizzato, serve come riparo per il bestiame.

    È di questa Abbazia, di questo Monastero, di coloro che vissero nel loro ambiente in giorni remoti e specialmente della bella e perseguitata fanciulla che fu chiamata la signora di Blossholme, che la nostra storia si occupa.

    Si era in pieno inverno nell’anno 1535 e precisamente il 31 Dicembre. Il vecchio Sir John Foterell, uomo sulla sessantina, dal volto rosso e dalla candida barba, sedeva davanti al focolare del salone da pranzo, nel suo castello di Shefton, decifrando una lettera che gli era stata portata dall’Abbazia di Blossholme. Egli terminò finalmente la lettura, e chi fosse stato presente avrebbe potuto vedere un cavaliere e gentiluomo di alto rango abbandonarsi ad un accesso d’ira, notevole anche per il tempo di Enrico VIII.

    Egli gettò a terra il documento e trangugiò in rapida successione tre boccali di birra forte, benchè ne avesse già bevuta anche troppa per quella sera; egli lanciò poi un buon numero delle migliori imprecazioni dell’epoca e infine nel più espressivo linguaggio augurò all’Abate di Blossholme di essere rinchiuso in un’oscura prigione e alla sua anima di andar preda del diavolo.

    — Egli vanta diritti sulle mie terre! — esclamò scuotendo l’indice minacciosamente in direzione dell’Abbazia. — E come giustifica queste pretese? Le giustifica dicendo che l’Abate suo predecessore fu costretto con minacce e intimidazioni a cederle a mio nonno! Ora, egli scrive, quel Cromwell che chiamano Vicario Generale ha dichiarato che il trapasso di proprietà non era legale e che io devo restituire le terre all’Abbazia di Blossholme, non più tardi del 2 febbraio. Mi domando quanto è stato pagato Cromwell per firmare quell’ordine, senza approfondire la faccenda.

    Sir John si versò e bevve un quarto boccale, poi si diede a misurare il salone a lunghi passi. Finalmente si fermò dinanzi al camino e lo apostrofò come se fosse il suo nemico.

    — Tu sei un uomo astuto, Clemente Maldon; mi dicono che tutti gli Spagnoli lo sono; tu sei stato educato a Roma ed inviato qui per uno scopo ben determinato. Da un modestissimo inizio sei ora assunto alla carica di Abate, e se il Re non si fosse messo contro il Papa, saresti salito più in alto. Ma tu perdi il controllo di te stesso qualche volta, poichè il sangue meridionale è caldo e dove entra il vino esce la verità. Vi sono certe parole che tu dicesti, meno di un anno fa, davanti a me e ad altri testimoni, che io ti farò ricordare ben presto. Forse quando il segretario Cromwell le apprenderà vorrà cancellare l’atto di donazione delle mie terre e forse far salire quella tua testa dal cervello fertile più in alto di quanto sia mai stata.

    Sir John si diresse alla porta e chiamò; non sarebbe troppo il dire che gridò come un ossesso. L’uscio s’aperse finalmente e apparve un domestico zoppicante, ma dall’aria vigorosa e dalla capigliatura nera incolta.

    — Perchè non sei più svelto, Jeffrey Stokes? — domandò Sir John. — Devo dunque attendere i tuoi comodi dalla mattina alla sera?

    — Sono venuto il più rapidamente possibile, padrone. Perchè dunque mi sgridate?

    — Discuteresti con me, forse? Provati un’altra volta ed io ti farò legare e staffilare.

    — Fate frustare voi stesso, padrone, e liberatevi della bile e della birra di cui siete pieno — rispose Jeffrey con la sua voce ruvida. — Vi sono degli uomini che non sanno mai quando hanno bevuto abbastanza e quelli sono destinati a una brutta fine. Ora che cosa vi occorre? Vi servirò, se potrò, diversamente servitevi da solo.

    Sir John alzò la mano, come per colpirlo, poi la lasciò di nuovo cadere.

    — Mi piace vedere un uomo che non ha paura di sfidarmi — disse più gentilmente — e questa è sempre stata la tua abitudine. Non avertene a male, amico mio; sono adirato e ne ho le mie buone ragioni.

    — L’ira la vedo, ma non la ragione, benchè essendo venuto un monaco or ora dall’Abbazia, forse io possa azzardare una ipotesi.

    — Proprio così, Jeffrey, proprio così. Ascolta; io cavalcherò immediatamente alla volta del covo di quella gente. Insellami un cavallo.

    — Bene, padrone, insellerò due cavalli.

    — Due? Ho detto uno. Stupido, credi dunque che io possa cavalcare una pariglia come un saltimbanco?

    — Questo non lo so, ma voi potrete cavalcarne uno mentre io cavalcherò l’altro. Quando l’Abate di Blossholme visita Sir John Foterell di Shefton viene con cappellani, paggi e dieci uomini d’arme, dei quali egli tiene in questi tempi un numero assai superiore a quello che si giudicherebbe necessario per un prete. Quando Sir John Foterell visita l’Abate di Blossholme deve avere almeno un servitore che prenda le briglie del suo cavallo e gli faccia da testimone.

    Sir John lo guardò attentamente.

    — Ti ho chiamato stupido — disse — ma tu lo sei soltanto nell’aspetto. Fa’ come vuoi, Jeffrey, ma presto. Aspetta; dov’è mia figlia?

    — Lady Cecilia è nel suo salotto. Ho visto il suo dolce viso che dalla finestra fissava la neve, come se credesse di vedervi un fantasma.

    — Uhm! — brontolò Sir John. — Il fantasma che ella crede di vedere cavalca una grande cavalla grigia, è alto sei piedi, ha un bel viso e un paio di braccia, tanto capaci di reggere spada e scudo, quanto di abbracciare una ragazza. E tuttavia quel fantasma dev’essere sepolto, Jeffrey!

    — Peccato, padrone! Per di più la cosa sarà ardua per voi. Quello di seppellire i fantasmi è un lavoro da preti… e quando le ragazze sono consenzienti le braccia degli uomini arrivano lontano.

    — Vattene, animale! — ruggì Sir John, e Jeffrey obbedì.

    Dieci minuti dopo i due uomini cavalcavano verso l’Abbazia che distava tre miglia, e prima che mezz’ora fosse trascorsa Sir John batteva, non certo gentilmente, al cancello, mentre i monaci all’interno correvano avanti e indietro come formiche spaventate, poichè erano momenti di torbidi ed essi non sapevano mai quale pericolo imprevisto potesse minacciarli. Quando finalmente riconobbero il visitatore si misero al lavoro per togliere le sbarre ai grandi battenti e per abbassare il ponte levatoio che era stato alzato al tramonto.

    Sir John fu fatto passare nella camera dell’Abate, dove potè riscaldarsi al grande camino, mentre dietro di lui stava Jeffrey che teneva il suo lungo mantello. Era una bella stanza con un artistico soffitto di castagno scolpito e le pareti di pietra, alle quali pendevano arazzi di valore, su cui erano riprodotte delle scene delle Sacre Scritture. Il pavimento era coperto da ricchi tappeti fatti di lane colorate orientali. Anche la mobilia era ricca ed evidentemente importata essendo ornata di intarsi di avorio e argento. Sulla tavola stava un Crocefisso d’oro, vero miracolo d’arte, e su di un cavalletto, posto in modo che una lampada d’argento pendente dal soffitto vi proiettasse la sua luce, un quadro di un grande pittore italiano raffigurante in grandezza naturale la Maddalena con gli occhi rivolti al Cielo e in atto di battersi il petto.

    Sir John si guardò attorno.

    — Dimmi, Jeffrey, crederesti di essere nella cella di un monaco o piuttosto nel salotto di una gran dama? Guarda sotto la tavola, amico; vi troverai senza dubbio il liuto e il lavoro ad aghi. Che ritratto credi sia quello? — disse indicando la Maddalena.

    — È una peccatrice che si fa santa, credo, padrone. Una buona compagnia per i laici, quando era peccatrice, e buona per i preti, ora che è santa. Quanto al resto mi sentirei di russare tranquillamente qui, dopo aver gustato una coppa di quel vino rosso.

    — Così dicendo indicava col pollice una bottiglia dal collo lungo, posata su di un mobile. — Inoltre il focolare brucia bene, e non c’è da stupirsene dal momento che è alimentato dalle querce del vostro bosco di Stichsley.

    — Come lo sai, Jeffrey?

    — Dalla grana del legno, padrone. Ho segato troppi boschi per non riconoscerlo. Le querce di Stichsley hanno una particolarità; le venature si fanno più ondulate e più scure nel centro. Guardate.

    Sir John guardò e si lasciò sfuggire una rabbiosa imprecazione.

    — Hai ragione, ed ora che ci penso, quando ero ragazzo, mio nonno mi fece notare proprio questo sul legname di Stichsley. Questi maledetti monaci rovinano i miei boschi sotto il mio naso. Il mio boscaiolo è un briccone. Essi lo hanno comperato ed io lo farò impiccare.

    — Prima di tutto bisogna provare il reato, padrone, e questo non è facile, e poi si potrà parlare di impiccare, benchè questa sia prerogativa dei Re e degli Abati. Ah! Voi dite il vero — aggiunse cambiando tono; — questa camera è proprio bella, benchè io non veda il Reliquiario che dovrebbe esservi per il sant’uomo che la abita.

    Disgrazia volle che in quel momento egli inciampasse nel piede del padrone affetto da gotta. Sir John si volse come la banderuola di Blossholme in una giornata burrascosa.

    — Rospo sgraziato! — gridò, ma tacque d’un tratto, poichè un arazzo si era alzato silenziosamente e sulla soglia della porta stava l’alta figura di un uomo tonsurato, vestito di una ricca pelliccia, e dietro di lui venivano altri due tonsurati con le loro semplici tuniche nere. Era l’Abate con i suoi cappellani.

    — Benedicite — disse l’Abate con la sua voce dolce di straniero, alzando due dita della destra in atto di benedizione.

    — Buongiorno — rispose Sir John, mentre il suo domestico si inchinava facendosi il segno della croce. — Perchè dunque entrate così furtivamente e all’improvviso, Padre?

    — Così, dice il Vangelo, verrà pure il Giudizio Divino, figlio mio — rispose l’Abate sorridendo; — e in verità sembra che ve ne sia bisogno. Abbiamo udito discutere a voce alta di impiccare. Di che si tratta?

    — Si tratta di legname — replicò cupamente il vecchio. — Il mio servitore, qui, dice che quei ceppi che sono al fuoco vengono dai miei boschi di Stichsley, ed io gli ho risposto che se questo è vero vuol dire che sono stati rubati, ed allora bisognerebbe impiccare il castaldo.

    — Il vostro domestico ha ragione e tuttavia il vostro castaldo non merita alcuna punizione. Ho comprato la nostra modesta provvista di legna da lui, e, a dire il vero, il conto non è ancora stato saldato. Il danaro che doveva servire a pagarlo è stato mandato a Londra, così io gli ho chiesto di tenermi sospeso fino a quando entreranno le rendite dell’estate. Non biasimatelo, Sir John, se per amicizia, sapendo che a voi non faceva differenza, egli ha sollevata la povertà della nostra casa.

    — È forse la povertà della vostra casa — domandò Sir John dando un’altra occhiata alla sontuosa stanza — che vi ha spinto a mandarmi una lettera dichiarando che una sentenza di Cromwell vi aggiudica le mie terre? — Così dicendo egli gettò il documento sulla tavola. — Oppure intendete pagarle… quando entreranno le rendite dell’estate?

    — No, figlio mio. In questa faccenda è il dovere che mi guida. Per vent’anni abbiamo disputato per queste terre che, come voi sapete, vostro nonno prese a noi in tempi di torbidi, tagliando così in due i possedimenti dell’Abbazia, nonostante le proteste di colui che era Abate in quel giorno. Perciò, finalmente, ho sottoposto la questione al Vicario Generale che si è compiaciuto di decidere la disputa in favore della nostra Abbazia.

    — Decidere una disputa della quale una delle parti non ha sentore! — esclamò Sir John. — Mio caro Abate, questa non è giustizia. È un sopruso che non sopporterò mai. Volete dirmi, di grazia, se ha preso altre decisioni a mio riguardo?

    — Dal momento che lo domandate, vi dirò che vi è dell’altro. Io gli ho esposto tutti i punti sui quali le nostre vedute divergono ed ecco la sentenza: I vostri titoli di proprietà, per tutte le terre di Blossholme e quelle contigue, per un totale di ottomila acri, non sono annullati, tuttavia restano dubbi e soggetti ad essere resi nulli.

    — Sangue di Dio! Perchè?

    — Figlio mio, ve lo dirò — rispose l’Abate gentilmente. — Perchè meno di cent’anni fa esse appartenevano a questa Abbazia per donazione della Corona, e non risulta che la Corona abbia mai acconsentito alla loro alienazione.

    — Non risulta! — esclamò Sir John. — Ma io ho i regolari contratti firmati da mio nonno e dall’abate Frank Ingham! Non risulta? Quando mio nonno vi diede altre terre in luogo di quelle che ora volete rubarmi! Ma proseguite, Padre.

    — Figlio mio, obbedisco. I vostri titoli di proprietà, dunque, benchè dubbi, non sono annullati; tuttavia resta stabilito che voi avete tutte queste terre come fittavolo dell’Abbazia, alla quale apparterranno se doveste morire senza discendenti. Se voi invece moriste lasciando un discendente minorenne, l’Abate di Blossholme ne sarebbe tutore fino alla maggiore età, e in mancanza di lui, cioè se non vi fosse più nè Abate nè Abbazia, la Corona.

    Sir John ascoltò, poi si appoggiò indietro nella sedia e il suo viso divenne pallidissimo.

    — Mostratemi quella sentenza — disse lentamente.

    — Non è stata ancora messa per iscritto. Entro dieci giorni, spero…, ma voi non vi sentite bene. Sarà forse il calore di questa stanza dopo il gelo dell’aria aperta. Bevete un bicchiere del nostro povero vino.

    Ad un suo cenno uno dei cappellani riempì una coppa e la portò a Sir John. Questi la prese con il gesto meccanico di chi non sa quello che sta facendo, poi, improvvisamente, gettò la coppa d’argento e il suo contenuto nel fuoco d’onde un cappellano si affrettò a recuperarla.

    — Sembra che voi preti siate i miei eredi — disse Sir John, la cui voce si era fatta stranamente pacata; — almeno così dite, e se è così, la mia vita sarà breve. Non berrò il vostro vino per non rischiare d’essere avvelenato. Ascoltatemi bene, signor Abate. lo credo poco o nulla al vostro racconto, benchè, senza dubbio, con la corruzione e con altri mezzi voi avrete fatto del vostro meglio per danneggiarmi, a Londra. Ebbene, domani all’alba, sia il tempo buono o cattivo, io cavalcherò alla volta di Londra, dove anch’io ho degli amici e la vedremo. Voi siete un uomo astuto, Abate Maldon, e so che vi occorre del denaro per pagare le vostre soldatesche e coprire le spese della vita sontuosa che conducete. Sono i nostri famosi gioielli che vi fanno gola… sì, sì, i gioielli del vecchio Crociato. Voi avete tentato di derubare me, che avete sempre odiato. Forse Cromwell ha ascoltato il vostro racconto. Forse, prete sconsiderato, egli vuole ingozzare questa vostra chiesa con il mio cibo, prima di tirarle il collo e cuocerla.

    A queste parole l’Abate sussultò per la prima volta e anche i due impassibili cappellani si guardarono l’un l’altro.

    — Ah! Questo non vi lascia indifferente, vero? — fece Sir John Foterell. — Ma questo è niente. Voi vi credete in favore alla Corte, perchè avete fatto il Giuramento di Successione che uomini più coraggiosi, come i Frati Certosini, hanno rifiutato sacrificando la vita. Ma dimenticate le parole che mi diceste quando eravate sotto l’effetto del vino che amate…

    — Silenzio! Per il vostro bene tacete, Sir John Foterell! — interruppe l’Abate. — Voi andate troppo lontano.

    — Non tanto lontano quanto vi andrete voi, mio caro Abate, prima che io abbia sistemati i nostri conti. Non tanto lontano quanto Tower Hill, oppure Tyburn, dove andrete per essere impiccato e squartato come traditore di Sua Grazia. Vi ripeto che dimenticate le parole che diceste, ma io vi rinfrescherò la memoria. Non mi diceste forse, quando gli ospiti se n’erano andati, che Re Enrico era un eretico, un tiranno e un infedele che il Papa farebbe bene a scomunicare e detronizzare? Non mi chiedeste, mentre vi congedavo, se non avrei potuto provocare da queste parti una sommossa del popolo, sul quale ho grande autorità, e della nobiltà che mi conosce e mi ama, per detronizzarlo e mettere al suo posto un certo cardinale Pole, promettendomi il perdono e l’assoluzione del Pontefice e molti altri favori in suo nome, e a nome dell’Imperatore spagnolo?

    — Mai — rispose l’Abate.

    — Forse che io — proseguì Sir John senza curarsi di quel diniego — non mi rifiutai di ascoltarvi, aggiungendo che le vostre erano parole da traditore e che se non fossero state dette nella mia casa avrei ritenuto mio dovere denunciarvi? Da quel momento non avete fatto che tentare di schiacciarmi per il terrore che avete di me.

    — Nego recisamente — disse ancora l’Abate. — Queste sono vuote menzogne, frutto della vostra malignità, Sir John Foterell.

    — Ah, sono vuote menzogne, vero, signor Abate? Ebbene io vi dico che sono scritte e firmate nella debita forma e vi dico pure che ho dei testimoni, persone che hanno udito con le loro orecchie, per quanto non ve ne siate accorto. Non è così, Jeffrey?

    — Sì, padrone. Mi trovavo per caso nella stanzetta oltre l’assito ad attendere con altri domestici per scortare l’Abate a casa e udimmo tutti le sue parole. Più tardi io e gli altri apponemmo le nostre firme sullo scritto. È così, come è vero che sono cristiano; però, padrone, questo non è il luogo che io avrei scelto per parlare di queste cose, per grave che fosse l’ingiustizia da me subita.

    — Questo è nulla — ribattè l’iracondo cavaliere; — ne parlerò a voce molto più alta altrove, e cioè davanti al Concilio Reale. Domani, Lord Abate, quel documento verrà a Londra con me e allora apprenderete quanto costa cercare di defraudare un Foterell di quanto gli appartiene.

    Era la volta dell’Abate di essere spaventato. Le sue guance olivastre erano terree, la mano ingioiellata tremava come se egli già si sentisse la corda al collo, e dovette appoggiarsi al braccio di uno dei cappellani.

    — Credete forse — sibilò — di poter pronunciare delle false minacce come queste e rovinare me, un Abate consacrato? Io ho delle prigioni qui, ho del potere; si dirà che voi mi avete attaccato e che io non ho fatto altro che cercar di difendermi. Non soltanto voi, Sir John, potete portare dei testimoni.

    Egli sussurrò qualche parola in latino o in spagnolo all’orecchio di uno dei cappellani e costui si volse per uscire dalla camera.

    — Sembra venuto il momento di stare in guardia — disse Jeffrey Stokes, e portando la mano alla daga che aveva al fianco, si mise fra il monaco e la porta.

    — Bene, Jeffrey — esclamò Sir John. — Bada, spagnolo, ho una spada e la so maneggiare. Accompagnami al cancello, od in virtù della Commissione Reale che tengo, farò giustizia sommaria su di te, come traditore e dopo saprò come giustificarmi.

    L’Abate meditò un momento squadrando il fiero cavaliere che gli stava davanti, poi disse lentamente:

    — Andate in pace, come siete venuto, uomo malvagio ed iracondo, ma sappiate che la maledizione della Chiesa vi seguirà. Ben presto verrà la vostra punizione.

    Sir John lo guardò mentre l’espressione iraconda spariva dal suo viso.

    — Clemente Maldon — diss’egli, — credo che abbiate ragione. Sotto la vostra tunica nera siete un uomo come tutti gli altri. Io sono un uomo come voi, più onesto forse, benchè non alzi due dita della mia destra per dire «Benedicite», oppure «Ti assolvo dai tuoi peccati». Io sono vicino alla morte, ma voi non siete lontano dalla galera. Io morirò onesto, voi morirete come un cane, come un traditore e vedremo poi se tutti i vostri rosari, le vostre messe e i vostri santi vi aiuteranno. Ne parleremo quando ci incontreremo altrove. Ora, signor Abate, accompagnatemi al cancello, ricordandovi che vi seguo con la spada in pugno. Jeffrey, sorveglia bene quei due corvi. Lord Abate, servitor vostro; avanti!

    II.

    L’assassinio.

    Per qualche tempo Sir John e il suo domestico cavalcarono in silenzio, poi il gentiluomo scoppiò in una risata.

    — Jeffrey, l’abbiamo scampata bella! Quel prete era deciso a piantarci nella schiena il suo stuzzicadenti spagnolo, per poi darci l’Estrema Unzione, mentre giacevamo morenti, per salvare la sua coscienza.

    — Sì, padrone; solamente, essendo ragionevole, si è ricordato che le spade inglesi arrivano più lontano e che i suoi bravi sono alla taverna per salutare il vecchio anno che se ne va. Padrone, io vi ho sempre detto che quella vostra birra di ottobre è troppo forte per berla di giorno. Dovreste lasciarla per l’ora di coricarvi.

    — Che cosa intendi dire?

    — Intendo dire che poco dianzi voi avete parlato più sotto l’influenza della birra, che non della saggezza. Avete scoperto troppo il vostro gioco.

    — Chi sei tu per farmi delle osservazioni? — domandò Sir John rabbiosamente. — Volevo che quel lurido traditore apprendesse la verità una volta per tutte.

    — Va bene, va bene, ma questi sono tempi cattivi per la verità e per i suoi fautori. Era dunque necessario dirgli che domani voi viaggerete alla volta di Londra per compiere una certa missione?

    — Perchè no? Vi giungerò prima di lui.

    — Vi giungerete mai, padrone? La strada passa presso l’Abbazia e quel prete ha dei buoni mercenari, capaci di tenere la lingua a freno.

    — Credi che mi tenderà un agguato? Io ti dico che non oserà. Tuttavia per farti piacere prenderemo il sentiero più lungo attraverso la foresta.

    — Quello è molto arduo, padrone, ma chi verrà con voi in questo viaggio? Molti dei nostri sono via con i carri, ed altri sono in vacanza. Vi sono solamente tre domestici al castello e voi non potete lasciare Lady Cecilia senza difesa e tanto meno portarla con voi con questo freddo. Ricordate che là vi è un tesoro che qualcuno può desiderare più delle vostre terre. Attendete qualche giorno, fino a che le vostre

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1