Melaverde

Gustosa tradizione

ra gli alfieri più celebri della tradizione gastronomica romagnola, lo squaccherone di Romagna DOP sin dal nome esplicita una delle sue caratteristiche più evidenti: la sua (in)consistenza. Nel Vocabolario Romagnolo-Italiano, compilato da Antonio Mattioli e stampato nel 1879, il lemma compare, ma è apparentemente slegato dal nostro formaggio: gli è infatti attribuito il significato di che, dopo una breve analisi etimologica, viene definito come una “sorta di cacio tenero, burroso e squaccherato o squaquerato, cioè quasi liquido”. Simile definizione di la troviamo in un altro , quello di Libero Ercolani, del 1971 (“Tomino. Formaggio tenero, buono e squacquerato”). Non sappiamo se il Tumèn sia un prodotto sovrapponibile allo squacquerone, ma è certo che l’aggettivo “squacquerato” in ambito caseario indica una consistenza morbida e deliquescente. Lo squacquerone è un formaggio privo di crosta a maturazione molto rapida e a pasta estremamente molle. Ha un attraente colore bianco madreperlaceo e il suo sapore è dolce, vagamente erbaceo e bilanciato da leggere note acidule e sapide. Per la sua cremosità, lo squacquerone viene spesso accostato allo stracchino, ma tra i due ci sono molte differenze: in primo luogo, lo stracchino è più compatto e riesce meglio a tenere la forma. Viene poi prodotto in Lombardia, Toscana e Veneto mungendo le mucche di ritorno dall’alpeggio, quindi stanche o “stracche”. Si ottiene così un latte tenue ma facile da lavorare. Le mucche romagnole non hanno bisogno di questo genere di attività fisica per creare un prodotto caseario unico al mondo: il segreto è nella loro alimentazione, foraggi molto ricchi di zuccheri e di fibra altamente digeribile, ma al contempo poveri di grassi e amidi. In tal modo si ottiene un latte carente di grassi e proteine, che determina la caratteristica mancanza di nervo dello squacquerone. È facile pensare che, in ambiente rurale, la produzione di questo formaggio affondi le sue radici in tempi molto lontani, ma il documento che lo attesta con certezza per la prima volta è stato stilato da un aristocratico: il cardinale Carlo Bellisomi. Bellisomi era vescovo di Cesena e come tale dovette partecipare al lungo conclave veneziano che – tra il 1799 e il 1800 – elesse papa Pio VII. Il 15 di febbraio 1800, forse preda della nostalgia dei sapori romagnoli, scrisse una lettera al vicario generale della diocesi in cui affermava di non sapere ancora nulla degli squacqueroni che aveva ordinato da tal Domenico Bazzocchi. Malgrado la sua indiscutibile prelibatezza, il consumo di squacquerone rimase limitato al territorio romagnolo fino agli anni ’50 del Novecento, quando la Riviera venne investita dall’onda del turismo di massa. Il richiamo di località come Rimini, Riccione e Milano Marittima crebbe esponenzialmente con la nascita di numerosi locali notturni, finché – negli anni ’80 – la Romagna non divenne un vero e proprio “divertimentificio” in grado di attirare imponenti flussi di visitatori che, oltre alle spiagge e alle discoteche, scoprivano un mondo di prodotti tipici: tra questi, la piadina con la rucola e lo squacquerone fece immediatamente breccia nel cuore dei turisti. Dal luglio 2012, lo Squacquerone di Romagna può fregiarsi della Denominazione di origine protetta (DOP), che ne attesta l’eccellenza non solo a livello nazionale ma europeo.

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