Dell'Emancipazione civile degl'Israeliti
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Anteprima del libro
Dell'Emancipazione civile degl'Israeliti - Massimo d'Azeglio
italiana.
DELL'EMANCIPAZIONE
CIVILE
DEGL'ISRAELITI,
DI
MASSIMO D'AZEGLIO.
D. Chi è il nostro prossimo?
R. Tutti gli uomini del mondo, anche quelli che non sono nè Cattolici, nè Cristiani.
D. Per qual motivo dobbiamo amare tutti gli uomini del mondo ancorchè fossero Turchi, Ebrei ec. ec.
R. Perchè Dio ce lo comanda; perchè tutti sono creature ragionevoli, fatte a immagine di Dio.
(Dottrina Cristiana ad uso della diocesi di Torino.)
FIRENZE.
FELICE LE MONNIER.
——
1848.
A MIO FRATELLO ROBERTO.
Tu ti adopri in Piemonte onde ottenere l'emancipazione degli Israeliti, scopo a cui tende questo mio opuscolo: m'è caro perciò porvi in fronte il tuo nome, già benedetto da altri derelitti; ed altrettanto lo tengo a felice presagio. Siccome ad avverarlo non verrà meno certamente l'opera tua, possa così concorrervi quella più potente de' Principi Italiani che già han posto mano ad abbattere altre non meno anticristiane ingiustizie.
Tuo di cuore
MASSIMO D'AZEGLIO.
Roma, 8 Decembre 1847.
PENSIERI PRELIMINARI.
Io interrogo il mio lettore, sia egli debole o potente, grande o piccolo, principe o suddito, cattolico o protestante, e dico: crede egli vero o falso, utile o dannoso all'umana società il precetto di carità universale, d'amor del prossimo, racchiuso nell'epigrafe che ho posta in fronte del presente opuscolo?
Se lo crede falso e dannoso, chiuda il mio libretto; non ho altro da aggiungere.
Se lo crede utile e vero, gli domando se gli è avviso che questo precetto, nel modo istesso che è insegnato dal Vangelo ed accettato egualmente dalla fede e dalla ragione, sia stato preso per norma, ne' diciotto secoli che conta il Cristianesimo, dai legislatori, dai principi, dai potenti, dalle moltitudini, da quanti infine ebbero o si tolsero potestà di scriver leggi, e stabilire ordini che reggessero l'umana famiglia?
La carità, l'amor del prossimo, il non fare agli altri quel che non si vorrebbe fosse fatto a noi, primo fra i precetti de' popoli cristiani dopo quello che si riferisce alla divinità, ha esso esistito ed esiste in parole, o è applicato ai fatti?
E se più che altrimenti esistesse in parole, quali ne sono le cause? quali le conseguenze?
E se queste conseguenze fossero tristi e dolorose per tutti, non è egli egualmente dovere ed interesse di tutti il cercare di sottrarvisi, combattendo le loro cause?
Queste interrogazioni che dirigo al lettore, le ho fatte soventi volte a me medesimo: e guardando al passato ed al presente, alle leggi, alle consuetudini, agli usi della civiltà cristiana in tutta la sua durata, m'è sembrato trovarvi una frequente e flagrante violazione del suo principio; di vederla travagliarsi, soffrire, lacerarsi, ed andar a rischio di perdersi per un sillogismo falsato, del quale la maggiore e la minore non avean che fare praticamente colla conseguenza.
E lasciando molti altri casi che non fanno alla questione che intendo trattare, ho trovato, a cagion d'esempio, che sul fatto degli Israeliti la civiltà cristiana faceva questo strano sillogismo.
La fede cristiana mi ordina di amare senza distinzione tutti gli uomini.
Gli Ebrei sono uomini.
Dunque io li odio, li perseguito e li tormento.
Lo scopo del breve scritto che offro al pubblico, è diretto a cooperare, per quanto me lo concedono le mie povere forze, alla restaurazione del detto sillogismo; a rimetterne i termini nella loro vera e razionale relazione.
Non avendo potestà di far molto, mi è sembrato dovere l'adoprarmi almeno come potevo, onde fra le tante applicazioni che rimangono a farsi del principio cristiano, si venisse intanto a questa. Quanto alle altre, facciamoci animo: le menti ed i cuori vengono ogni dì più sentendone l'importanza e il bisogno.
La civiltà cristiana presenta nel lasso degli ultimi cent'anni un fatto che apre il campo a gravi meditazioni. Nell'ultima metà del secolo scorso, essa parve rinnegare in massa il suo principio, e mettersi incerta ed anelante in traccia di principj nuovi.
La rivoluzione, le sue guerre, quelle di Napoleone, l'abuso della vittoria che l'avea prostrato, il dispotismo senza esempio stabilito dai vincitori, la reazione ora aperta ora segreta e sempre travagliosa de' popoli, un mal'essere, un'irritazione generale; ecco ciò che essa trovava.
Sotto fallaci apparenze d'una civiltà superficiale, non era forse mai stato tempo in cui la politica avesse più intimamente rinnegato il principio cristiano.
Ma la dura lezione non è stata senza frutto.
Sembra che la Società si venga avvedendo che il mondo morale come il materiale è retto da grandi ed elementari leggi, e che in esse soltanto può trovar ordine e riposo; che il travagliarsi per trovar modi di reggimento, istituzioni, sistemi ec., è opera gettata, se gli uomini non si convincono dell'importanza ed utilità di dette leggi, e non le seguono; e fra queste, la prima è quella della carità e dell'amor del prossimo. Questo convincimento già trionfa nella teoria. Quindi la tendenza alla restituzione delle nazionalità.
Perchè una nazione non deve imporre ad un'altra quel giogo che non vorrebbe per sè.
Quindi lo sviluppo del principio del diritto comune, le istituzioni, le leggi d'uguaglianza civile.
Perchè un principe non deve torre ad altri il suo diritto, come non amerebbe che gli fosse tolto il suo ec. ec.
Accettato sinceramente il principio in teoria, si può argomentare che non siam molto discosti della sua applicazione.
Affrettiamola coi voti e coll'opera, e noi Cristiani intanto che ci travagliamo onde ottener giustizia per noi, rendiamola agli altri; e non tormentiamo gl'Israeliti come non vorremmo esser noi tormentati ed oppressi. A chi, sorridendo, m'interrogasse, se io intendo rifare