Nero chic
Di Samuele D.
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Diop è un ragazzone di colore alle prese con un piccolo, grande problema: è superdotato e la sua dote spicca anche in condizioni di "riposo". Verrà in Italia in cerca di lavoro e di fortuna, e qui da noi troverà l'America, quella dei sogni che si avverano.
DISCLAIMER: linguaggio e contenuti espliciti.
Samuele D.
Gay Erotica writer
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Anteprima del libro
Nero chic - Samuele D.
Nero chic
di
Samuele D.
Copyright 2021 © Samuele D.
Tutti i diritti riservati all’Autore.
Prima edizione digitale: 2012
Questo e-book non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.
Qualsiasi distribuzione non autorizzata
costituisce violazione del diritto d’autore
e sarà sanzionata in sede civile e penale
come previsto dalla legge 633/1941.
In copertina «Le barbier de Suez»
Léon Bonnat, 1876
Dello stesso autore:
Ho sete di te
La storia che segue non è adatta a un pubblico sensibile a contenuti espliciti. Ogni riferimento a persone, fatti e luoghi reali ha solo lo scopo di conferire veridicità alla narrazione ed è quindi utilizzato in modo fittizio.
Nella vita ognuno ha la propria croce. Chiamatela pure palla al piede, peso sul groppone, come volete. Il significato pragmatico varia di poco, trattasi sempre di condanna con cui convivere.
Io sono uno dei pochi che è riuscito a trasformare la sua in una benedizione. In una vera e propria manna dal cielo. Anzi, diciamo che ne ho fatto un business a tutti gli effetti.
La mia croce è una dote. E di quelle fuori dal comune.
Il mio pene misura ventidue centimetri a riposo e trentatré sull'attenti.
Perché mai sarebbe una croce, potrebbe obiettare qualcuno di voi.
Per lavoro, a volte capita che debba spostarmi in aereo per raggiungere un cliente che ha richiesto i miei servizi. E puntualmente vengo fermato al check in, sospettato di nascondere qualcosa di pericoloso in mezzo alle gambe. È frustrante dover subire ogni volta la stessa umiliazione di fronte a decine di persone, per non parlare delle guardie che diventano subito tutte rosse in faccia, preda di una sorta di attrazione-repulsione che li spinge a guardarmi lì. E a sentirsi inevitabilmente inferiori e un po' sfigatelli.
Mi portano in uno stanzino e mi invitano
a mostrare che non nascondo un corpo estraneo, là sotto. O magari un pacco bomba. Quando mi calo i pantaloni fino al ginocchio e sfoggio la protuberanza mostruosa che spinge contro l'elastico degli slip, il rossore sulle loro guance diventa fuoco. Gli occhi si spostano fulminei da un'altra parte, prima che un collega li becchi a fissare con la bocca aperta come allocchi. Non sia mai che lo stupore venga scambiato per ammirazione.
Alcuni di loro trattengono a stento risatine nervose quando mi giro verso l'agente che mi deve ispezionare. Il controllo per fortuna dura il lasso di un'occhiata: verifica che quella è effettivamente carne, la mia carne, e non esplosivo o cocaina pressata, e si allontana. Non si scusa nemmeno, biascica solo qualcosa sull'intensificazione delle misure di sicurezza dopo l'11 settembre. Sarà, ma io sono convinto che sia anche per il fatto che sono nero.
Ecco, questa è la seconda croce che mi porto appresso.
Ho un fallo enorme e sono nero.
Madre natura ripete i suoi cliché all'infinito, non trovate?
Sono arrivato in Italia nel 2008 in cerca di fortuna, come tanti altri senegalesi che partono verso quella che definiamo l'America più vicina
.
Trovai lavoro a Prato come addetto alla sicurezza in una sala giochi, un casinò in miniatura in pratica, con la licenza per le slot machines e il poker online.
L'aspetto fisico fu il biglietto da visita che mi fece guadagnare punti agli occhi del responsabile, malgrado non avessi la minima esperienza. Madre natura mi ha fatto alto 1.90, magro, asciutto ma muscoloso dove serve. Ho spalle ampie, pettorali definiti e bicipiti allenati da anni passati a trasportare secchi d'acqua avanti e indietro dal pozzo comune giù a casa, a Tatadem, a cento chilometri da Dakar. Dicevo che la mancanza di esperienza nel settore della sorveglianza non deve aver giocato un ruolo decisivo per la mia assunzione. È anche vero che un addetto alla security in un locale da gioco in Italia, per di più in una cittadina come Prato, è più una figura simbolica che effettivamente operativa. Nei mesi che lavorai lì non dovetti mai intervenire, non successe assolutamente niente che giustificasse la presenza di un gorilla all'entrata. Meglio così.
Feci il colloquio rispondendo a monosillabi perché non padroneggiavo ancora bene l'italiano e annuendo convinto col capo anche quando non afferravo il discorso. Dopo due giorni mi richiamarono, firmai il contratto e