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Ho sete di te
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Ho sete di te
E-book71 pagine39 minuti

Ho sete di te

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Info su questo ebook

Dopo la seconda denuncia per atti osceni in luogo pubblico, Samuele si rende conto che è arrivato il momento di farsi aiutare: la sua dipendenza dal sesso orale rischia di costargli cara la terza volta.
Condividere la sua storia, senza filtri né inibizioni, gli varrà quel distacco obbiettivo necessario per ammettere di avere un problema?
Tra flashback piccanti e ammissioni neanche tanto velate, Samuele si metterà coraggiosamente a nudo, affrontando argomenti tabù senza peli sulla lingua.

Avviso: Il linguaggio usato e i temi espliciti non sono adatti ai lettori più suscettibili.

LinguaItaliano
EditoreSamuele D.
Data di uscita25 ago 2012
ISBN9781476114934
Ho sete di te
Autore

Samuele D.

Gay Erotica writer

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    Anteprima del libro

    Ho sete di te - Samuele D.

    Ho sete di te

    di

    Samuele D.

    Copyright 2021 © Samuele D.

    Tutti i diritti riservati all’Autore.

    Prima edizione digitale: 2012

    Questo e-book non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione non autorizzata

    costituisce violazione del diritto d’autore

    e sarà sanzionata in sede civile e penale

    come previsto dalla legge 633/1941.

    Questo libro è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a persone, fatti e luoghi reali ha solo lo scopo di conferire veridicità alla narrazione ed è quindi utilizzato in modo fittizio.

    Per i contenuti sessualmente espliciti e i tabù trattati, la lettura di questa storia non è adatta alle persone più sensibili.

    Dedicato a tutti coloro

    che hanno il coraggio

    di essere se stessi.

    Sempre.

    A posteriori mi rendo conto che venire qui è stato inutile. Ma sì, mi sono detto, proviamo, male che vada ci rimetto il costo del soggiorno. Pazienza.

    Centro per lo studio e trattamento delle dipendenze in collaborazione con l’Università di Siena.

    Da quando la dipendenza da sesso sarebbe una malattia da curare? E chi ha deciso la linea di demarcazione tra pratica sana e ipersessualità?

    Vabbè. Due condanne per atti osceni in luogo pubblico deporrebbero a favore dell’ipotesi che io abbia qualcosa che non va.

    Il primo passo è ammettere che hai un problema. Recita così l’insegna all’entrata della clinica e mi ricorda tanto la scritta sopra lo scranno del giudice che mi ha condannato: "La legge è uguale per tutti".

    Cazzate, entrambe. Mi piace fare sesso, tanto, spesso, più volte al giorno. E allora?

    Niente, in questa società puritana e perbenista ti fanno sentire un diverso. Ti marchiano a fuoco. Ti etichettano. Il braccialetto che mi ha dato l’infermiera all’accettazione non è la versione moderna di un marchio a fuoco? Non mi rende un numero, tra i tanti?

    Fanculo. E va bene, ho accettato di farmi aiutare in questo centro specializzato. D’altronde qualcosa dovevo fare, la recidiva la terza volta mi farebbe saltare la condizionale.

    La prima condanna è stata una semplice sanzione pecuniaria; la seconda mi ha premiato con quattro mesi e mezzo di reclusione – sarebbero stati tre, un mese e mezzo in più per la recidiva – ma dentro non ho fatto nemmeno un giorno, ovviamente. Il giudice mi guardava scuotendo la testa e con la guancia afflosciata sulle nocche della mano destra, mi ha chiesto: «Ha pensato a fare degli esami? Il suo può essere uno squilibrio ormonale. Mi rifiuto di credere che sia così idiota da farsi beccare due volte in pubblico.»

    Lì per lì mi sono offeso. Però poi, rimuginandoci sopra, ho pensato: Perché no, scusa? Magari ho gli ormoni schizzati e non è colpa mia se sono così, se non riesco a farne a meno.

    I fioretti che mi ero imposto da solo sono andati a farsi benedire ogni volta che si presentava l’occasione. Aveva ragione Oscar Wilde, lui aveva capito tutto dalla vita. Si può resistere a tutto, eccetto che alle tentazioni.

    Io poi non mi faccio sfiorare nemmeno dal dubbio, cedo all’istante, proprio. Sono sicuro che mentre questi tenteranno di guarirmi, non ci penserò due volte a rimorchiare chi mi porta le pillole o mi rimbocca le coperte, per dirne una.

    Comunque stasera c’è la prima riunione. Funziona esattamente come si vede in TV per gli alcolisti anonimi, una serie di sedie posizionate a formare un cerchio, metafora del legame che dovrebbe crearsi fra chi racconta la sua storia e chi ascolta in religioso silenzio. Tra chi condivide, si espone, si apre agli altri. Chi si rende ridicolo, aggiungerei io.

    Quando arrivo e mi siedo, ci sono già quattro persone sedute in sala, peraltro piuttosto sobria e accogliente. La tappezzeria sulle pareti è di una tonalità morbida, un beige caldo smorza-tensione, distensivo. Ipnotizzante. Lungo tutto il muro in fondo c’è un bancone con degli stuzzichini e bottiglie d’acqua da mezzo litro. La psicologa responsabile di turno è seduta in posizione strategica davanti alla porta, quasi una grande madre chioccia che debba accogliere i suoi pulcini smarriti e indifesi. Il rossore che le colora le guance, probabilmente una spolverata di fard eccessivo e fuori luogo visto il tenore della serata, il seno giunonico e la gonna campagnola da quattro soldi che indossa, completano il quadretto di iperprotettività che sembra aleggiarle come un’aura tutt’intorno alla testa.

    Alla sua destra, tre sedie più in là, una signora di mezza età si spinge gli occhiali formato Sandra Mondaini sull’attaccatura del naso e tiene la testa bassa. Un uomo sulla quarantina, in camicia di flanella con le maniche arrotolate sopra i gomiti e col tic di asciugarsi il sudore agli angoli delle labbra, è seduto di fronte alla dottoressa. Chiude il cerchio dall’altra parte una donnina tutta vestita griffata che si stropiccia l’anello sull’anulare destro con lo sguardo perso nel vuoto.

    Sandra Mondaini è una casalinga disperata che

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