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Massacrare con cura
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E-book359 pagine5 ore

Massacrare con cura

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Info su questo ebook

A un'ora dal tramonto, verso metà luglio, il brutto omicidio di Cecilia La Nera fece il suo ingresso nella contea di Trenno. Sul bordo del Santa Giustina, un fiume che passa da quelle parti.

La sera prima qualcuno se l'era sostanzialmente scopata di soppiatto dalla giustizia e dalla moglie e, lo stesso tizio che raggiunse l’orgasmo, forse si convinse di poterle far passare le emorroidi con una sega. Di sicuro, lo spezzatino del corpo ci fu. Un’atrocità del tutto sproporzionata per la popolazione locale, anche. Mentre della motivazione non si poteva esserne certi.

Lo sbirro del luogo, uno che per baciare sua moglie avrebbe dovuto procurarsi la macchina del tempo, visto che gliel’avevano ammazzata da un anno, per strada, in bicicletta, si fece venire un bel mal di schiena per trovare quel bastardo. Nel mentre cresceva una figlia e non condivideva mezza opinione col suocero. Il quale non gli perdonava di trascurare le indagini sul pirata della strada. Ma il poliziotto non sapeva ciò che avrebbe potuto combinare una volta che lo avesse trovato.
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2015
ISBN9786051763453
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    Anteprima del libro

    Massacrare con cura - Massi E. Monaco

    ePUB

    MASSACRARE CON CURA

    Scritto sotto l’influenza di

    Massi E. Monaco

    A Simona, custode gentile di me caos.

    RINGRAZIAMENTI

    Prima dei ringraziamenti veri e propri, voglio esprimere gratitudine a Vincenzo e Tina, mio padre e mia madre. E mandare un abbraccio speciale a Rebecca Lombardi.

    E ora parto.

    Ringrazio di cuore Luciana Melone e Luca Riconda per essersi prestati come primi lettori di questo racconto.

    Ringrazio Elisabetta De Wan, Francesca L’Abbate, Elisabetta Bosio e Verdiana Tardi. Amiche e mie lettrici della prima ora.

    Ringrazio l’amico Marco Cominoli, spicciolatore di saggi consigli.

    Un ringraziamento speciale lo dedico a Felice Accame e Anna Rocco ai quali devo riconoscenza per me e anche per il fatto che r-esistono con la loro libreria Odradek.

    E in fine, caro Elio Trifari, ringrazio anche te. Che sei il mio Capitano.

    Punto.

    Avvertenza per i lettori, più per quelli delle mie parti.

    Prima che qualcuno di voi mi salti sulla schiena costringendo i miei gomiti a mulinare nel tentativo di sbattervi giù. Anche se molti dei luoghi di questo racconto sono influenzati da posti esistenti, in queste pagine non troverete una geografia puntuale. Men che meno esatta. L’influenza si spinge solo fino al punto che, e non è superfluo dirlo, Trenno rappresenta uno spazio mentale con radici nella fanciullezza di chi ha scritto. Il quale, a dimostrazione di quanto è serio riguardo a questo punto, svolgerà la vicenda nell’immaginaria Contea di Trenno. Sapendo bene di fare un torto anche al sostantivo femminile contrada che sarebbe più corretto. E in quanto al chiamare prateria la minuscola distesa d’erba del parco di Trenno, beh si tratta di un attributo immaginifico anche questo.

    A proposito del parco.

    Vicende brutte degli ultimi tempi ne hanno messo a rischio la fisionomia per soddisfare le tasche di gente avida. Sto parlando della Via d’acqua che fortunatamente non è stata fatta. Insomma, ci tengo a pubblicare una lettera che un amico ha dedicato al parco. Per alcuni è stata giudicata un tantino esagerata. A mio avviso, difendere un luogo che ne ha bisogno, è invece un bell’esercizio d’intelligenza applicata. Grazie Ste!

    Non è corretto dire che a Trenno io ci abito, perché a Trenno io ci vivo, parte integrante di una società civile in totale simbiosi col proprio parco.

    Al parco ci corro, ci vado in bici, ci leggo il giornale, ci prendo il sole e faccio fotografie, chiacchiero e passeggio, tutti i giorni mi da qualcosa, tutto l’anno.

    Non c’è giorno che passa che non mi stupisca della bellezza di quest’area, incluso il Bosco in Città e le Cave, differente e sorprendente ad ogni ora e ad ogni stagione.

    Ora, non sarà certo un rigagnolo malfatto a farmi perdere tutto questo, ma credo sia giusto ricordare che il territorio è prima di tutto di chi lo vive.

    Quando si creano, per qualche strana alchimia, questi rari esempi di società così entusiasticamente radicata e integrata nel proprio territorio, è profondamente ingiusto imporre scelte in totale distonia con la logica sociale.

    Trenno, io ti amo.

    Stefano Bolzi

    Fra l’ingegnosità e la capacità analitica vi è in realtà una differenza assai più grande che fra la fantasia e l’immaginazione, epperò di un carattere strettamente analogo; per cui si troverà che l’uomo ingegnoso è sempre ricco di fantasia, ma che l’uomo veramente d’immaginazione non può essere che un analista.

    Edgar Allan Poe, Gli assassini della Rue Morgue.

    Gli elementi che portano a risolvere i delitti che si presentano con carattere di mistero o di gratuità sono la confidenza diciamo professionale, la delazione anonima, il caso. E un po’, soltanto un po’, l’acutezza degli inquirenti.

    Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo.

    MASSACRARE CON CURA

    1

    Nell’antichità della mia professione, i cadaveri non avevano cerniera e nemmeno i sacchi che si usavano per chiuderceli dentro. Per sigillarli si usava scocciare il bordo con del nastro adesivo e, spesso e volentieri, l’operazione non veniva neanche tanto bene.

    Quando il medico legale ebbe finito di strappare a morsi l’ultimo pezzo da attaccare come sigillo, gli dissi, – Voglio sperare che questa disgraziata avesse già fatto le valigie per entrare dai cancelli del cielo. Prima di essere fatta a brandelli.

    – Non penso che sia stata tanto fortunata. – Mi rispose. – Anzi, credo proprio che l’abbiano massacrata con cura. – Poi si alzò in piedi e si fece brutto in faccia. – Pezzo per pezzo. – E dopo aver infilato la testa nella notte del suo cappello concluse. – Con questa sono arrivato al capolinea.

    Se si aspettò un tentativo di dissuasione non me lo disse.

    A un certo punto anche sottoscritto avrebbe voluto soltanto filarsela a gambe levate da quello spettacolo. Per trasferirmi a vivere da qualche altra parte, magari su un’isola del cazzo.

    #

    Quando ero sicuro che stessero per uscirmi le budella, ci trovavamo sulla riva di un canale. Nella zona tra la cava, le risaie e le marcite. Di questa roba, a parte la cava che per altro è stata trasformata in uno stagno, oggi non c’è quasi più niente. Il canale è stato sotterrato, le risaie stanno facendo la stessa fine e le marcite non vivono dove manca l’acqua.

    Di fronte a Cecilia La Nera riuscii a prendere aria, e a non mostrarmi disgustato. Ce l’avevo con lei, la ragazza assassinata, ma neanche mi andava di farglielo sapere. Tirai un profondo respiro.

    E consumai lì la mia prima volta col segno della croce.

    Suo padre, quello di Cecilia, bidonò parecchia gente della zona, con metodo. Prima assicurava il malcapitato che avrebbe restituito i prestiti, sostenendo che soltanto un idiota avrebbe potuto tentare di fottere il proprio vicino di casa, e poi spariva con la loro grana. Semplice e infallibile. Almeno fino a quando c’era stato ancora un pollo da spennare.

    Durante il sopralluogo mi accorsi di un uomo in giacca e cravatta che si aggirava da quelle parti. Camminò finchè fece sparire tutti gli alberi dal mio paesaggio. Si era fermato in uno spiazzo verde nano pieno di erbacce.

    – Vai a sentire chi è quel rompicoglioni. – Dissi ad un agente. – E portamelo qui. – Non feci in tempo a mettere il punto alla frase che il giovanotto a cui mi rivolsi me lo indicò come un certo Delloro.

    – Chi cazzo è questo Delloro? – Dissi.

    – É l’organizzatore della gara di motocross che faranno nella cava qui accanto.

    – E tu come fai a sapere tutte queste cose?

    – Si sanno.

    – Senti, me ne fotto di cosa si sa, me ne fotto di cosa organizza questo e se siete intimi. Portamelo qui lo stesso.

    Il poliziotto mi consegnò un individuo parecchio alto. Vedendolo da lontano non pareva, o non me ne resi conto. Ma, quando ci mettemmo a parlare, scoprii altro di cui non mi sarei potuto rendere conto stando soltanto a guardarlo. Che gli uscivano tante di quelle cazzate dalla bocca da sembrare impossibile che potessero stare tutte insieme in una testa sola.

    Costui si presentò con una serie di salamelecchi che se Dio avesse pensato di scendere un’altra volta sulla terra, quasi avrebbe dovuto chiedere a lui il permesso di farlo.

    – Mi lasci indovinare. Ora dovrei essere impressionato, giusto? – Feci io.

    – No, certo che no. – Rispose lui.

    – Allora mi faccia capire una cosa. Con tutto il bendidìo che le è capitato nella vita, lei non si rende conto di essere sul luogo di un delitto?

    La conclusione non è che stesse benissimo insieme con la premessa, a livello di ragionamento, ma lui rispose che era un uomo d’affari, quindi credo volesse dire di avere di meglio da fare che infilarsi nei guai.

    Specificò di essere un tipo di produttore come quelli che si vedono nel campo del cinema. Con la differenza che i suoi soldi, invece di metterli in un prodotto che la gente avrebbe guardato su uno schermo, lui li investiva in roba che sarebbe accaduta dal vivo. Sport, spettacolo e figa, tutto insieme. Uno show del genere.

    – Show di che genere? – Chiesi io che avevo l’immaginario spalancato da tutte le parti. – Tipo puntare un essere umano verso un temperino, spararlo da cento metri di distanza e vedere se dal buco che ricorda più un culo stretto che largo ne esce senza graffi?

    – Motocross. – Intervenne l’agente, rivolgendosi a me.

    – Moto che?

    – Cross. Moto cross.

    – Che roba è?

    – Una manciata di Vespe che girano su una strada sterrata.– Disse ancora il poliziotto. A quanto pareva era parecchio ferrato sull’argomento.

    Poi intervenne Delloro con l’intenzione di mettere i puntini mancanti sulle i e spiegare che il motocross era già evoluto in qualcos’altro, nella sua visione. Le motorette come la Vespa non sarebbero stati più adeguati per questo. E presto li avrebbero sostituiti certi mezzi, come le Aspes, che avevano ammortizzatori lunghi quanto le cosce delle gemelle Kessler e le gomme chiodate. La similitudine che ci potrebbe stare qui, la mettiamo da parte. Nel salvadanaio.

    Ma più che questo, per lui si trattava di un nuovo tipo di affari. Che ancora non era decollato, e che un giorno sarebbe diventato un business vero. Avrebbe dovuto fruttare un sacco di soldi.

    – Specialità della casa? – Chiesi io.

    – Tipo far passare un essere umano dentro cerchio di fuoco. Far saltare le moto su delle rampe che, nelle mani di ragazzi con la testa matta, possono spiccare il volo. E superare fino a dieci macchine. Nemmeno Pindaro sarebbe stato capace di tanto.

    A me pareva che avesse torto marcio.

    Guardare degli imbecilli che facevano su e giù per l’aria, mi sembrava la cosa più noiosa che avessi mai sentito. Riguardo al futuro di quegli affari, invece, non potevo essere certo del contrario. Per quanto ne fosse convinto costui. Ma se quel malaugurato giorno fosse arrivato per davvero, avevo il sospetto che prima di vederlo con le tasche piene di soldi avrei fatto in tempo a farmi crescere il sesto dito. Innaffiando la mano con l’acqua.

    E probabilmente avrei fatto molta più grana io staccando biglietti per mostrarlo.

    Poi provai a spiegargli che, riguardo al poeta, la locuzione volo veniva usata per indicare un passaggio di argomenti senza espressa connessione logica. Rapido. E se tutt’al più ci fosse stato qualcosa di ardito nei suoi scritti, erano le digressioni che faceva dall’argomento principale.

    Forse, la persona della quale aveva in mente quel volo di braccia mai visto, e in senso proprio, non letterario, era Icaro.

    Non sembrò particolarmente interessato a quella puntualizzazione. Che lui chiamò sottigliezze. E mi guardò con l’espressione di un idiota che pensa di avere un imbecille di fronte.

    Per altro, non ero nemmeno certo che avesse capito che per uno del mio mestiere, essere trovati sul luogo di un crimine non era una cosa che deponeva a favore dell’innocenza. Indagai e ne approfittai per presentarmi anche io. – Sono l’agente Leonardo Monk,– dissi al somaro. – Temo che avrei dovuto fermare la sua bocca un’ora fa e chiederle cosa ci facesse da queste parti? O forse lo avevo fatto e non mi ha risposto?

    – Ero alla cava che c’è la dietro. – E indicò un punto alle sue spalle, – per l’organizzazione logistica dell’evento. Ho sentito del movimento, cosí, da campione di curiosità quale sono, sono venuto qui a dare un’occhiata.

    – Beh, c’è chi la considerò una malattia, ma non stiamo qui a sottilizzare. – Credo fosse un filosofo, ma nemmeno ora me lo ricordo. – Sa cosa le dico, – Proseguii, vista la simpatia che mi suscitava, – Che pure il sottoscritto è un campione di qualcosa. Vado forte con i piedi. D’altro canto però, è con l’educazione che non me la cavo benissimo. Anzi. Vado proprio male. Quindi, se vuole tenersi le chiappe in fondo alla schiena, il consiglio che le do è di portarle via di qui al più presto. Senza dimenticare il resto. – Tirai il fiato un secondo. – Sono stato chiaro?

    – Super chiaro. – disse Delloro.

    – Bene. Segnerò sul verbale che ha collaborato.

    – Non vorrà mica farmi rientrare nell’indagine?

    – Mi rammarico che le sfugge ancora la situazione. Senta, mi piacerebbe poterla accompagnare alla porta, ma come vede non ce ne sono molte qui in giro. E con tutto quello che abbiamo da fare, non avrei il tempo di farle strada comunque. Se non le dispiace adesso vado. Ma se le dovesse servire qualcosa, sappia che saremo impegnati qui a cercare indizi ancora per un po’.

    – So dove trovarvi.

    – Esattamente. Vedo che con l’arguzia sta migliorando. Ha perso l’appetito?

    – In cambio dell’arguzia?

    – No dai. Su di lei mi stavo facendo un immaginario di un certo tipo, almeno per il suo mestiere. Brillante, la figa e tutto quanto. Seriamente, le ho chiesto se ha fame?

    – Molta.

    – Allora le do un suggerimento più costruttivo di quello di prima. Faccia un salto alla Coperativa Vittoria. Il risotto giallo che preparano lí, è con un osso buco da far venire voglia di sedersi a tavola anche ai bovini. La fine del mondo. Ci vada e ne divori due piatti alla faccia mia. Poi metta tutto sul mio conto. Ci tengo.

    – Tanto avevo già in mente di tornarmene alla cava. Ho da fare. Per il pranzo faccia come se avessi accettato, le spiace?

    – Con quello che mi pagano no di certo.

    Delloro poi girò gli occhi sul giovane poliziotto. – Dovresti trovarti un capo più simpatico vecchio mio.

    E l’agente, che nel frattempo si era distratto guardando qualcosa alle mie spalle, abbozzò una risposta. – Ehm, vecchio chi? Io o il capo?

    Sorrisi a Delloro che mise in tasca un taccuino e si girò sui tacchi. – Torni presto a trovarci. – Gli dissi. – Poi presi il ragazzo sotto il braccio, per portarlo via, – Caro, – gli dissi, – vieni a farti scoppiare la testa per qualcosa di più importante.

    Girammo il deretano e ci avviammo in direzione del cadavere.

    – E quest’altro che cazzo vuole? – Esclamai non appena misi a fuoco la persona che ci si era parata davanti.

    Un altro intruso.

    Definibile cosí; ignorante, brutto e cattivo. Come lo si sarebbe fatto bene una volta.

    Con le guance che sembravano scavate dalla stessa pala che gli aveva spalato via i capelli dalle tempie, e dalle gengive i denti. Quelli, i capelli, strappati per un chilometro buono dalla fronte. E questi, che invece erano saltati quasi tutti tranne alcuni meno fortunati, gialli con le radici scoperchiate. E qui mi fermo.

    Non vorrei infiocchettarlo con un eccesso di vezzeggiativi.

    Mi fermai ad una decina di metri di distanza, e il collega fece la stessa cosa seguendomi a ruota.

    Il ragazzo mi disse. – É il signor Scolari.

    – Lo so chi cazzo è. Vorrei invece sapere perché non è a lavorare in mezzo ai suoi campi.

    – Questi sono i suoi campi. Ispettore. Ha trovato lui il cadavere. E ci ha chiamati.

    – Bene per lui che sa fare uno più uno. – Dissi io. Poi alzai la voce come se avessi a che fare con un sordo. – Grazie per il suo aiuto signor Scolari. Ora può tornarsene a casa. Se avremo bisogno di altro ci faremo sentire. Può contarci.

    – Dottore. – Replicò l’altro come se avesse a che fare con uno lontano.

    – Non sono dottore. – Gli dissi io.

    – Se me lo permette, chiedo solo che non ci mettete troppo tempo ad andarvene.

    – Per quale motivo? Se posso osare tanto.

    – Io devo lavorare qui.

    – Ahhh, certo signor Scolari. Capisco. Effettivamente verrebbe da darle ragione. Ma se una cosa la permette a me, cortesia per cortesia, dovessi metterci qualcosa sulla bilancia della giustizia, con la vita di una giovane ragazza su un piatto, l’altro non ‘sto manco a sporcarlo con niente di suo. Si figuri se ci metto il suo lavoro del cazzo. Ci siamo capiti?

    Piantai lo stronzo sul posto. E mi sembrò fondamentale fare cosí, come informarmi sui precedenti di quello stronzo. Se ne avesse avuto anche mezzo, glielo avrei fatto cagare per i successivi cento anni. Stronzo.

    – Come è messo con la fedina? – chiesi al poliziotto.

    – Sostanzialmente pulita. Ma ha una denuncia per maltrattamenti, dalla moglie.

    – Bingo.

    – Ritirata.

    – Ti pareva. Quando è successo?

    – La scorsa estate. La donna si era presentata al pronto soccorso che le mancavano tre denti davanti. I dottori l’hanno visitata e, dopo averle somministrato più medicinali per la strizza che per le ferite, volevano fare rapporto alla polizia. Ma non si potevano muovere contro la volontà della signora. Che si era messa di traverso. E così facendo, nessuno ha fatto niente per sporgere denuncia. È tornata dopo cinque giorni e una randellata di troppo che deve averla convinta a vuotare il sacco. È saltato fuori che gli anni passati insieme, mica pochi, erano più o meno gli stessi che le aveva prese. E mentre li snocciolava uno per uno, imbevuti di superstizione e magia nera, i medici le suturavano l’occhio sinistro, il labbro, la testa e tante di quelle ferite sul suo corpo che se al posto suo ci fosse stata una macchina, conciata in quel modo, qualcuno avrebbe certamente piantato di sistemarla. Valutando che il lavoro da fare non valeva la pena.

    – Poi però deve essere ricascata nella trappola del marito pentito. S’è rimangiata le parole e ha ritirato anche la denuncia. Ed è tornata a farsele dare. Sto andando un po’ troppo a caso?

    – Per niente.

    – Dottore. – Disse nuovamente il signor Scolari.

    Non si era mosso di un mezzo passo. Per un attimo pensai che avesse sentito tutto. – Mi sembrava di aver già detto che non sono dottore. – Dissi io.

    – Se me lo permette.

    – No.

    – Dico solo di poter fare una soffiata.

    – Non ce n’è bisogno.

    – É stata la capra assassina.

    – É stata, a fare cosa?

    – Tutto. Bisogna avere un sasso al posto del cuore, per ridurre cosí un essere umano. Secondo me.

    – Per quel poco che ne capisco io, bisogna averne uno anche in testa, che incastra parecchi degli ingranaggi al cervello. Ma mi risulta che nè io nè lei siamo provvisti dei titoli necessari per poter fare considerazioni serie in materia. E mi risulta che anche il suo, di cuore, spesso lo manda a scacazzare sulla faccia di sua moglie. O sbaglio?

    – Me lo faccia dire dottore, io al massimo le do una registrata. Per regolarle il motore al minimo. Roba che al confronto con questa sbianca. E non lo faccio nemmeno ogni volta che se lo merita. Ma solo ogni tanto.

    Di questo, ne ero abbastanza convinto anche io. Non da metterci una mano sul fuoco, ma credevo che gli uomini come lui fossero persone che vogliono trovare un equilibrio di coppia, e vivere amorevolmente insieme, ma desiderano posticiparne il momento. Per il resto, il suo discorso non mi era piaciuto per niente.

    – Solo ogni tanto. – Ripetei le sue ultime parole, mi aiutava a mettermi in contatto con il pensiero dell’altro. – Vediamo se ci prendo. La riempi di botte. Sapendo che non si sa difendere. Ma te ne fotti. E dopo averla battuta ben bene, le ordini da mangiare. Perché sistemarla ti ha stancato. Dimmelo se sto inventando. Poi la sera vuoi scopare, e chiedi il perdono con la faccia più tosta che hai, e il cazzo scappellato in mano. E di solito questo bastava per chiudere la giornata in bellezza. Eros e Thanatos. Ma ultimamente stai alzando un po’ troppo il gomito, l’uccello ti rimane moscio e le ultime stronzate che hai dovuto raccontarle sono servite per farle ritirare una denuncia. Sacrosanta. Il frutto di averla randellata con cose più dure del tuo pugno. Come sto andando? – Non arrivò nessuna risposta. – Bene, se questa scalata degli avvenimenti è giusta, chi me lo dice che non ci sia il tuo zampino anche qui. Con questa ragazza.

    – Sono stato io a chiamarvi. E non sono il tipo di bestia che potrebbe uccidere.

    – Sennò non ti rimarrebbe niente da fare, per il giorno dopo? Sai che mi ha convinto. Ti farò accompagnare in questura per rilasciare una deposizione su tutto quello che hai fatto da quando ti sei svegliato questa mattina. E per quanto riguarda la questione della capra, non so cosa cazzo vuole dire, ma ne terrò conto.

    Non specificai in che senso lo avrei fatto.

    Diciamo che se prima avevo in testa soltanto la galera, per questo uomo di merda, ora le scelte si erano allargate a due, con il manicomio. Che hai miei occhi era sempre stato un luogo di detenzione peggiore della galera. Perché con il parere di un medico si poteva far saltare tutta la trafila di un processo, e tenere dentro certa gente a vita.

    – Buon proseguimento di giornata signor Scolari.

    Nel mio mondo, era difficile veder circolare qualcosa di diverso da pistole, coltelli o armi in genere. Quindi, quando ottenni delucidazioni sulla questione della capra assassina, ero convinto che l’agente mi avrebbe parlato di un criminale con le intenzioni di usarle, per poi averlo fatto davvero.

    Tanto vero che da una prima ricostruzione dell’accaduto, l’omicida ferí la vittima ad un braccio, con una lama. Che Cecilia tentò di strappargli di mano. Ma con la presa lei, si era tagliata la sua. Allora doveva aver tentato di scappare. E anche qui se l’era vista brutta, con il coltello piantato nella gamba.

    Per questo, e per come la questione andò avanti ancora per parecchio tempo, doveva trattarsi di una carogna. Comunque un tizio.

    Tutt’al più con la barbetta e brutto da far paura.

    E non era concepibile che si potessero usare zoccoli alle mani, per fare tutto quello scempio.

    E non che mettendo un drappo di superstizione a una capra, con tanto di zoccoli e barbetta, saltasse fuori per magia che appartenevano alla Bestia. Il Diavolo.

    2

    Ci sono delitti e delitti.

    Funziona cosí per parecchie delle cose che fanno parte di questa terra, e cosi è anche per quanto riguarda le attività criminali.

    Alcuni di questi, per quanto te la faccia sotto al solo sentirli raccontare, sono solo quello che sono. Azioni disumane commesse nel corso di un’esistenza vissuta in violazione delle banali norme di convivenza generale.

    Altri, invece, diventano qualcosa di più.

    Nella nostra campagna, sebbene non si erano mai visti circolare Santi, non si era nemmeno mai concepita tanta efferatezza nell’esecuzione di una persona.

    Le randellate che certi mariti davano alle proprie mogli, per lo più servivano a mettere una strizza in corpo che, qualunque fosse stato il brutto vizio di cui si stavano clandestinamente occupando, se ne sarebbero liberate immediatamente.

    Mentre il più delle botte che prendevano quelle signore, al contrario per loro, erano tanto dolorose ma non quanto ingiustificate.

    Quella cultura portava con sé un comportamento da bestie, comunque non più grave che nella città. Dove andai a lavorare da poliziotto. Giovane. Entusiasta. Scoprendo crimini cosí schifosi da costringermi a rigurgitare quello che mi ero mangiato. E farmi desiderare di tornare a casa. Cinico.

    Nel caso La Nera, invece, l’assassinio era stato da realtà cittadina, ma non fu come i soliti omicidi in cui sprofondavi fino alle caviglie in un pantano d’indizi. Anzi, quella melma la rimpiansi. Questo era più come un comportamento sadico. E irrazionale, come il disfarsi di qualcuno che ti sta dando una mano.

    Ad esempio un paziente che fa fuori il proprio medico, per dirne una.

    La morte di Cecilia La Nera fu un segno nel tempo, il cartello di benvenuto all’ingresso di una nuova era. Oggi mi rammenta che ero tornato a casa, Trenno, ma che il posto in cui ero cresciuto era molto lontano.

    3

    Andai a cercare il padre della ragazza, col quale volevo parlare. Sapevo poco della bella di notte, se non che era poco istruita, e male. Abbandonata a se stessa piuttosto giovane. Era un bel bocconcino. Arrestata per prostituzione a quindici anni. Trinciata in pezzi a diciannove.

    Mi fermai sulla strada, ad un locale notturno che conoscevo. Il Club Bour. Entrai e andai dritto dal tizio che stava lavorando dietro il bancone – C’è il signor Mandracchia? – Chiesi.

    Il banconista sollevò la testa dai bicchieri, più tardi avrebbe fatto lo stesso col cervello, forse, intanto prese una cornetta e biascicò qualcosa nel Microfono. Qualcosa che somigliava alla qualifica di uno sbirro. La mia, professionale. Non me lo dovevo dimenticare.

    Mi guardai in giro per riconoscere se il locale fosse ancora lo stesso di quando brillai mia moglie Elisa con gli occhi, per la prima volta.

    Poco dopo uscì Geremia da una porta, alla mia sinistra. Mi fece cenno di seguirlo e ci dirigemmo verso un tavolino appartato. Lui si era seduto con una pazienza ridotta ai minimi termini già prima di sistemare le natiche.

    – Sono tre volte che te lo ripeto. La stessa identica cosa. – Mi disse lui. Ad un certo punto della conversazione. – Cecilia ha lavorato regolarmente nelle ultime settimane. Stop. Ieri aveva la serata libera. Stop. É passata lo stesso perché voleva farsi quattro risate ascoltando Omar Pattin. La ragazza aveva una cotta per Omar. Stop. Dopo di che, a spettacolo finito, verso le undici e trenta, non l’ho più vista. Adesso, cosa non ti è chiaro? Adesso.

    – Dove è andata?

    – Questo non te lo so dire. Non sono mica la sua balia. Nè suo padre.

    – Se è per questo sono sicuro che se tu lo fossi, con quello che comporta, faresti un bel lavoro di merda.

    Guardai il tabellone delle ordinazioni, i pensieri li trascinai in quella direzione. Non aveva la minima attinenza con qualsivoglia pensiero avessi per la testa in quel momento. Su una lastra di lavagna nera appesa al muro, notai che qualcosa era stato cancellato. Un cibo con due nel nome, o forse era una bevanda. Forse era pure qualcosa di buono. Risotto ai Due Peperoni. Magari. Non capivo perché dovessi perdere del tempo su quella sciocchezza. Quando me lo chiesi non affioravano più ragioni oltre la soglia dell’appetito.

    – Sapevi che aveva dei precedenti? – Dissi io.

    – No. Ma su questa cosa non mi annuncio.

    – Annuncio?

    – Sì. Non mi annuncio.

    – Pro-nuncio. Era stata arrestata per prostituzione. Asino del cazzo.

    – Non lo sapevo.

    Mi venne da ridire, ma lasciai perdere. Per non tradire che

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