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Nato vivo
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L’aborto spontaneo è la più comune patologia della gravidanza – si ritiene che un terzo delle gravidanze esitino in un aborto spontaneo (fonte Wikipedia) –, senza contare l’incidenza dell’aborto volontario, che produce nella famiglia che lo vive difficoltà simili a quelle riscontrate in chi vive l’esperienza di aborto spontaneo.
Eppure, nonostante l’aborto sia un’eventualità reale da sempre, nonostante possa colpire chiunque e in qualunque momento della gravidanza, nonostante ad oggi una famiglia su tre perda suo figlio durante l’attesa, non esiste un percorso di sostegno dedicato, non sono riconosciuti i numerosi risvolti psicologici che derivano dalla perdita di un figlio.
Non è ancora ammesso che l’aborto – che sia spontaneo o volontario – è un vero e proprio evento luttuoso che si ripercuoterà in moltissimi aspetti della vita futura, sia personale che familiare.
La morte di un figlio durante l’attesa sembra essere un evento circoscritto. Vale per quel figlio ormai morto. Vale finché non ne arriva un altro.
L’arrivo di un altro figlio cancella il figlio morto, cancella la reale possibilità di un’altra perdita.
Si riparte resettati: questo è ciò che si aspettano la scienza e la società.
Entrambe non comprendono e non accettano che la morte di un figlio sia per sempre e, a partire da quello, nulla sarà più come prima.
Tutto ciò che comprende la maternità dopo un aborto (pensata, evitata, desiderata, rifiutata, auspicata, vissuta e negata) dipende da cosa si è tratto dal lutto subito.
Le gravidanze successive ad una perdita hanno fortissime connessioni con essa, così come la relazione che si instaura col nuovo nato.
Se si parla poco del lutto dopo un aborto o una perdita perinatale, di ciò che viene in seguito alla sua elaborazione non si parla affatto, compresa la maternità successiva.
Scegliere di rimettersi in gioco non significa avere dimenticato o rimosso. A volte non significa nemmeno avere superato.
Scegliere di rimettersi in gioco spesso significa cercare di ‘andare avanti’, senza permettere che la morte porti con sé anche tutto il resto della propria esistenza.
Rimettersi a fare i conti con l’ignoto non è pratica da poco.
Combattere ogni giorno la paura di riaffrontare una perdita, è molto faticoso.
Noi lo abbiamo fatto perché in fondo abbiamo ritrovato ciò che muove il mondo da sempre: la speranza.
Oggi posso dire di avere nuovamente giocato alla roulette russa con la vita e questa volta il colpo in canna non c’era.
Nemmeno questo cancella le mie morti, le paure e ciò che sono diventata a partire da esse.
Un bambino nato vivo non cancella la morte, né allontana i demoni, solo rassicura su un fatto reale: i figli non sempre muoiono.
Eppure, nonostante l’aborto sia un’eventualità reale da sempre, nonostante possa colpire chiunque e in qualunque momento della gravidanza, nonostante ad oggi una famiglia su tre perda suo figlio durante l’attesa, non esiste un percorso di sostegno dedicato, non sono riconosciuti i numerosi risvolti psicologici che derivano dalla perdita di un figlio.
Non è ancora ammesso che l’aborto – che sia spontaneo o volontario – è un vero e proprio evento luttuoso che si ripercuoterà in moltissimi aspetti della vita futura, sia personale che familiare.
La morte di un figlio durante l’attesa sembra essere un evento circoscritto. Vale per quel figlio ormai morto. Vale finché non ne arriva un altro.
L’arrivo di un altro figlio cancella il figlio morto, cancella la reale possibilità di un’altra perdita.
Si riparte resettati: questo è ciò che si aspettano la scienza e la società.
Entrambe non comprendono e non accettano che la morte di un figlio sia per sempre e, a partire da quello, nulla sarà più come prima.
Tutto ciò che comprende la maternità dopo un aborto (pensata, evitata, desiderata, rifiutata, auspicata, vissuta e negata) dipende da cosa si è tratto dal lutto subito.
Le gravidanze successive ad una perdita hanno fortissime connessioni con essa, così come la relazione che si instaura col nuovo nato.
Se si parla poco del lutto dopo un aborto o una perdita perinatale, di ciò che viene in seguito alla sua elaborazione non si parla affatto, compresa la maternità successiva.
Scegliere di rimettersi in gioco non significa avere dimenticato o rimosso. A volte non significa nemmeno avere superato.
Scegliere di rimettersi in gioco spesso significa cercare di ‘andare avanti’, senza permettere che la morte porti con sé anche tutto il resto della propria esistenza.
Rimettersi a fare i conti con l’ignoto non è pratica da poco.
Combattere ogni giorno la paura di riaffrontare una perdita, è molto faticoso.
Noi lo abbiamo fatto perché in fondo abbiamo ritrovato ciò che muove il mondo da sempre: la speranza.
Oggi posso dire di avere nuovamente giocato alla roulette russa con la vita e questa volta il colpo in canna non c’era.
Nemmeno questo cancella le mie morti, le paure e ciò che sono diventata a partire da esse.
Un bambino nato vivo non cancella la morte, né allontana i demoni, solo rassicura su un fatto reale: i figli non sempre muoiono.
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