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Marilyn Monroe. Caso chiuso
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E-book428 pagine4 ore

Marilyn Monroe. Caso chiuso

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Documenti inediti

Il reportage scandalo che ha fatto il giro del mondo

Cosa è successo davvero la notte del 4 agosto 1962, quando la famosissima Marilyn Monroe perse la vita in circostanze misteriose?

Fu un vero suicidio o un’abile messinscena per nascondere un omicidio? E quali motivi avrebbero spinto la diva a cercare la morte? Come si collega la sua tragica fine con la complicata relazione con i fratelli John Fitzgerald e Robert Francis Kennedy, che perderanno la vita entrambi in un attentato, rispettivamente il 22 novembre 1963 e il 6 giugno 1968?

Dopo più di cinquant’anni di speculazioni, ricostruzioni, inchieste, illazioni, il caso della morte di Marilyn Monroe si può dichiarare finalmente chiuso: grazie all’incredibile lavoro investigativo di Jay Margolis e Richard Buskin, infatti, abbiamo l’esatta ricostruzione di cosa avvenne quella notte nella casa dell’attrice. Una verità da brivido, che non può non essere rivelata…

A 50 anni dalla morte di Marilyn, due giornalisti del New York Times risolvono il mistero

L’attrice aveva minacciato di rivelare i segreti personali e politici dei Kennedy annotandoli in un piccolo taccuino rosso andato perduto… e i due potenti fratelli non potevano permettere che il loro destino fosse nelle sue mani.

Tutta la verità dietro la tragica scomparsa della grande diva

Jay Margolis

Laureato con il massimo dei voti alla University of Southern California, è un giornalista investigativo e un biografo, che alla vita di Marilyn Monroe ha già dedicato vari libri. Vive a Los Angeles.

Richard Buskin

Nato a Londra, è un giornalista freelance e l’autore di diversi libri, entrati nella classifica del «New York Times», tra cui le biografie di Marilyn Monroe, della principessa Diana, delle cantanti Whitney Houston e Sheryl Crow. Vive a Chicago.
LinguaItaliano
Data di uscita17 ott 2014
ISBN9788854173521
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    Anteprima del libro

    Marilyn Monroe. Caso chiuso - Jay Margolis

    e-saggistica.jpg

    272

    Titolo originale: The Murder of Marilyn Monroe: Case Closed

    Copyright © 2014 Jay Margolis and Richard Buskin

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Anna Ricci

    Prima edizione ebook: ottobre 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7352-1

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Il Paragrafo, www.paragrafo.it

    Jay Margolis – Richard Buskin

    Marilyn Monroe

    Caso chiuso

    Tutta la verità dietro la scomparsa

    della diva più amata al mondo

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    Dicono che non ho scrupoli. Non è così. E se trovo chi ha detto che non ho scrupoli, lo ammazzo.

    Robert Francis Kennedy

    Anche Jack Kennedy poteva essere una star del cinema.

    Aveva un carisma, un fascino, una capacità di sedurre impossibile da replicare. C’è da meravigliarsi se è stato eletto presidente?

    Marilyn Monroe a Lawrence Quirk

    Non è quello che sei. È quello che la gente pensa di te.

    Joseph P. Kennedy sr

    Che fine ha fatto la storia secondo cui stavano portando Marilyn in ospedale, e in ambulanza Bobby Kennedy era a bordo con lei? Ricordo quella storia di quarant’anni fa! È una stronzata. Una stronzata totale. Eunice Murray avrà inventato almeno una dozzina di frottole, da quella notte in poi.

    Il tecnico del suono del detective privato Fred Otash

    la notte in cui morì Marilyn, parlando con Jay Margolis

    Marilyn aveva chiamato Bobby, era agitatissima e minacciava di raccontare un bel po’ di cose all’«Enquirer». E lui andò a parlare con lei. Bobby Kennedy era lì.

    Sylvia Leib, vedova dell’autista di ambulanza Murray Leib,

    a Jay Margolis (25 aprile 2012)

    Più o meno nel 1960, quando consultai la letteratura medica su questo argomento in particolare (perché all’epoca avevamo incontrato un problema analogo durante una consulenza per il dottor Curphey), nelle cartelle cliniche non trovai alcun riscontro a conferma del fatto che si possa morire per avvelenamento da barbiturici quando si è drogati al punto di non sapere più cosa si fa, finendo così per assumere una dose letale.

    Dottor Robert Litman, membro della

    Squadra prevenzione suicidi (18 agosto 1962)

    Quell’ultimo weekend credo fosse nella forma migliore in cui l’avessi mai vista negli anni in cui ci siamo frequentati. E oltretutto era entusiasta di avere una casa sua. Ricordo di averla sentita dire: «È così bello poter tornare a ridere». L’ho chiamata alle sei [per confermare l’appuntamento a cena con Marilyn a casa sua quella sera] e mi ha risposto Greenson. «Non c’è», mi ha detto. Era probabile che fosse impegnata, così gli ho creduto… Sarebbe molto più facile credere che si sia suicidata, ma io non ci casco. Secondo me qualcuno l’ha uccisa.

    Ralph Roberts, amico intimo

    e massaggiatore di Marilyn Monroe

    Quando sono arrivato, Marilyn era in un’altra stanza, non nella sua. C’era anche Pat Newcomb… Bobby era arrivato prima di lei. Questo è stato già dimostrato. È stato allora che le hanno dato le gocce che l’hanno stordita, credo. Ma non sono state quelle a farla morire, quando sono arrivato lì era ancora viva… So che è stato il dottor Greenson a ucciderla… Le ha infilato un ago nel petto. Un minuto dopo lei era morta… Se l’avessimo portata via, oggi sarebbe ancora viva, e Bobby Kennedy sarebbe in galera.

    Paramedico James Hall a James Spada (3 giugno 1990)

    Marilyn Monroe

    Norma Jeane Mortenson,

    1º giugno 1926-4 agosto 1962

    Com’è morta davvero Marilyn Monroe?

    Nel 1983 Peter Lawford parlò a lungo della sua amica Marilyn Monroe con il biografo C. David Heymann, che in quel periodo stava scrivendo la biografia di Jackie Kennedy. Sembra che, spinto da un profondo senso di colpa (si era sempre ritenuto responsabile della sua morte), Lawford abbia ammesso di aver partecipato a un complotto per uccidere Marilyn Monroe, e si sia descritto come un complice di suo cognato Bobby Kennedy e dello psichiatra di Marilyn, il dottor Ralph Greenson. Per tutti questi anni è stato mantenuto il segreto, e il pubblico è stato indotto a credere che la morte della Monroe sia stata accidentale.

    Natalie Trundy, all’epoca fidanzata ventunenne di Jacobs, ha rivelato al biografo Anthony Summers che poco dopo le 22:30 «Arthur andò a casa di Marilyn, e non l’ho rivisto per due giorni. Doveva evitare la stampa». Rupert Allan, amico intimo ed ex agente di Marilyn, ha raccontato ai biografi Peter Harry Brown e Patte Barham: «È stata un’azione preparata con grande cura ed eseguita in modo magistrale… Decisero di simulare uno scenario di morte accidentale, ma nessuno di noi ci ha creduto».

    Parlando del 4 agosto 1962, il giornalista George Carpozi jr, amico di Marilyn, ha raccontato: «A quel punto Bobby ha chiamato Peter Lawford e gli ha detto: Okay, stavolta lei ci sta sfuggendo di mano. Peter ha telefonato al dottor Greenson – era stato tutto organizzato in anticipo – e gli ha detto: Senti, doc, dobbiamo andare in scena. Subito dopo quella telefonata, avvenuta nel pomeriggio, Greenson è andato da Marilyn». Per quel che riguarda i mesi precedenti la sua morte, Peter Lawford ha spiegato a Heymann: «Marilyn si era resa conto che la relazione [tra lei e Jack Kennedy] era finita, ma non riusciva a farsene una ragione. Cominciò a scrivere lettere abbastanza patetiche a Jack e lo chiamava in continuazione. Minacciò di parlare con i giornalisti. Alla fine lui spedì Bobby Kennedy in California per calmarla…

    «Bobby cercò di spiegarle che il presidente era un uomo estremamente impegnato, che governare era un compito di grande responsabilità, e anche se Jack teneva molto a lei, era già sposato e per lui non era semplice chiedere il divorzio.

    «Anche se per lei non sarebbe stato facile, doveva accettare comunque la sua decisione e smettere di chiamare il presidente. Marilyn non la prese affatto bene. Bobby si dispiacque per lei. Il giorno dopo si incontrarono di nuovo e trascorsero il pomeriggio passeggiando sulla spiaggia.

    «Non era nelle intenzioni di Bobby, ma quella sera i due divennero amanti e passarono la notte nella nostra stanza per gli ospiti. La loro relazione divenne quasi subito seria, e cominciarono a frequentarsi molto spesso. Marilyn iniziò a chiamare il dipartimento di Giustizia invece della Casa bianca…

    «Ben presto Marilyn annunciò di essersi innamorata di Bobby e che lui aveva promesso di sposarla. Era come se non fosse più in grado di distinguere Bobby da Jack…».

    Stando alle dichiarazioni di Lawford, questi disse a Marilyn di rivedere il suo comportamento per non compromettere la sua carriera, ma lei non riusciva ad accettare il modo in cui i fratelli Kennedy l’avevano usata.

    Curiosamente, Norman Mailer scrisse in Marilyn (edizione tascabile aggiornata della Warner Books, uscita nel marzo del 1975): «Grazie alla generosità di Pat Newcomb, ho avuto l’opportunità di ascoltare una registrazione privata della voce di Marilyn». Inoltre, lo stesso attore inglese ha dichiarato di aver ascoltato i nastri registrati da Marilyn per lo psichiatra Ralph Greenson, in cui lei descriveva liberamente i suoi pensieri quotidiani; Lawford sosteneva che in essi Marilyn rivelava il suo amore per il procuratore generale e il suo desiderio di sposarlo, anche se lui e il fratello «se la scambiavano come un pallone da football».

    Quando entrambi i fratelli smisero di rispondere alle sue telefonate, Marilyn cominciò a chiamare la First Lady alla Casa bianca e la moglie di Bobby, Ethel, nella loro casa di Hickory Hill. Parlando con Heymann, Lawford raccontò qualcosa di ancor più inquietante che aveva scoperto ascoltando le registrazioni private di Marilyn dopo la sua morte: «Credo che la rivelazione più sorprendente che emerge nei nastri registrati da Marilyn sia il fatto che non solo aveva una relazione con entrambi i Kennedy, ma andava a letto anche con il dottor Greenson, il quale sembrava essere molto innamorato di lei.

    «Marilyn era spesso ospite in casa di Greenson e sua moglie, che presumibilmente era all’oscuro della loro relazione… Ho avuto anche brani dei nastri [Mafia-Teamster] e ho ascoltato quelli che sembravano i suoni dei loro incontri amorosi…

    «La casa di Marilyn era spiata da tutti: Jimmy Hoffa, l’FBI, la mafia, perfino la Twentieth Century-Fox. Jimmy Hoffa voleva raccogliere informazioni sulla Monroe e i Kennedy per uso personale; l’FBI voleva appurare se Marilyn sapesse qualcosa della collusione di Frank Sinatra con la mafia; la mafia, dal canto suo, cercava di scoprire cosa Marilyn sapeva dell’FBI. Per quanto riguarda la Twentieth Century-Fox – il suo ex studio [sic] – chissà cosa volevano…

    «La relazione di MM con Greenson ha assunto un significato assai più profondo al momento della sua morte. Marilyn, come in seguito ebbero tutti modo di scoprire, aveva minacciato Bobby di convocare una conferenza stampa in cui avrebbe rivelato i suoi incontri con il presidente e con il procuratore generale. Una notizia del genere avrebbe di certo sollevato uno scandalo di proporzioni gigantesche, questo è certo.

    «Quando venne a conoscenza dei piani di Marilyn – e poiché in qualche modo aveva scoperto anche la relazione che lei aveva nello stesso periodo con Greenson –, Bobby chiamò lo psichiatra e lo convinse che la sua famosa paziente aveva deciso di rivelare anche il legame sentimentale con lui. Un fatto del genere non avrebbe solo messo fine alla carriera di Greenson, ma con tutta probabilità l’avrebbe anche fatto finire in prigione. Marilyn deve essere messa a tacere, disse Bobby a Greenson – o comunque qualcosa del genere. Così Greenson fu incaricato da Bobby di occuparsi di Marilyn…

    «Io sono convinto che lei avrebbe convocato davvero quella conferenza stampa. Era determinata a recuperare la propria autostima. In quel periodo era instabile, mentre Bobby era deciso a zittirla, a qualsiasi costo. È stata l’azione più sconsiderata della sua vita – e io sono stato così incosciente da permettere che succedesse».

    Frank Sinatra, carissimo amico e amante occasionale di Marilyn, dopo aver appreso un dettaglio fondamentale dell’autopsia divenne ancor più diffidente. George Jacobs, cameriere di Sinatra, ha dichiarato: «Quando la polizia affermò che era morta di overdose, lui non ebbe dubbi, e nemmeno io… Tempo dopo, però, quando l’autopsia rivelò che nel corpo non c’era alcun residuo di pillole, ci siamo insospettiti. Il signor S. ha cominciato a pensare che Lawford e i suoi cognati potessero essere gli autori di un crimine».

    Pat Newcomb, parlando con il biografo Donald Spoto, ha ribadito: «Non è possibile che l’abbiano fatto. Non posso sopportarlo… Vorrei che Bobby non dovesse subire tutto questo. Non avrebbe mai fatto niente del genere… Non le avrebbe mai fatto del male… Era a San Francisco».

    L’ex capo della polizia Daryl F. Gates nella sua autobiografia ha ammesso: «In verità, sapevamo che Robert Kennedy era in città il 4 agosto. Ci informavano sempre quando era qui. Era il procuratore generale, quindi era una persona di nostro interesse, così come sapevamo quando altre figure importanti venivano a Los Angeles». Su Marilyn e Bobby, Gates proseguiva: «A essere sincero, non ho mai creduto alla teoria secondo cui si sarebbe uccisa perché lui l’aveva mollata, sempre che lo avesse fatto. Avevo invece la sensazione che lei fosse angosciata per molti motivi; un rapporto andato male era solo uno dei suoi tanti problemi».

    Michael Selsman, addetto stampa che nel 1962 aveva 24 anni, lavorò al fianco di Pat Newcomb nella Arthur P. Jacobs Company. Selsman ha raccontato al biografo Jay Margolis: «Dopo la morte di Marilyn, ho lavorato come dirigente alla Fox e Paramount. Sono di New York. Negli anni Sessanta conoscevo gli Strasberg [maestri di recitazione di Marilyn] e conoscevo anche Susan [la loro figlia, attrice]. Gli Strasberg erano persone orribili, e Susan, a mio avviso, era stata rovinata dalla madre. I suoi genitori erano sempre in cerca di attenzioni, dei manipolatori, si approfittavano degli attori inconsapevoli e non avevano mai idee originali. Copiavano Stanislavskij e sfruttavano la notorietà dei pochi attori che in quel periodo trovavano il successo a New York. Ce n’erano altre migliaia che non hanno mai conosciuto la notorietà. Chi sa recitare recita. Quelli che non sono capaci diventano insegnanti».

    Nel descrivere com’era lavorare con Marilyn nella quotidianità, Selsman ha dichiarato: «Non l’ho mai vista felice. Non l’ho mai vista ridere. Non l’ho mai sentita scherzare. Era solo lavoro. Gli attori sono tutti persone timide e solitarie. Per questo fanno gli attori… Le preoccupazioni di Marilyn in ufficio riguardavano quasi solo le interviste e le sedute fotografiche. Pat era il suo contatto principale, quindi discuteva in privato con lei, e a volte anche con Arthur, di ciò che riteneva pericoloso per lei… Essere al funerale faceva parte del mio lavoro. Ho cercato di coordinarmi con i giornalisti, con i fotografi da tutto il mondo e gli addetti stampa della Fox. Era un circo».

    Selsman è stato intervistato su ciò che sapeva del 4 agosto 1962.

    MARGOLIS: Arthur Jacobs le ha detto che Bobby Kennedy era a casa di Marilyn il pomeriggio o la sera del giorno in cui lei morì?

    SELSMAN: Sì.

    MARGOLIS: Era pomeriggio o sera?

    SELSMAN: Era pomeriggio.

    Per quanto riguarda l’ultima intervista integrale di Peter Lawford, Jeanne, ex moglie di Dean Martin, ha spiegato a Margolis: «Anni fa, qualcuno avrebbe detto qualcosa. La gente ha smesso di interessarsi al mistero della sua morte molto tempo fa». Informata del fatto che secondo l’autopsia lo stomaco di Marilyn era vuoto, l’ex signora Martin ha risposto: «Non ho mai letto niente in proposito. Non ne ho mai sentito parlare. Non sprecate tempo a raccontarmelo, perché non lo voglio sapere».

    Quando le è stato detto che in molti confermavano la presenza di Bobby Kennedy a Los Angeles il 4 agosto prima e dopo la morte di Marilyn, l’ex signora Martin ha ribadito: «Non mi interessa dove fosse. Non ha ucciso Marilyn. Bobby Kennedy non avrebbe mai ucciso nessuno. Come potete pensare che abbia ucciso? È impossibile. È roba da stampa scandalistica». Le è stato fatto notare che il biografo Heymann era davvero in possesso dei nastri con la registrazione di interviste in cui la voce di Lawford affermava che c’era stato un complotto per assassinare Marilyn, e la ex signora Martin ha risposto: «Conoscevo molto bene i Kennedy. Conoscevo benissimo anche Peter. Se c’era qualcuno che prendeva pillole, quello era Peter»¹.

    Per quanto riguarda i nastri delle intercettazioni ascoltati, Lawford ha detto a Heymann: «A quanto pare [sui nastri Mafia-Teamster] si sentivano le voci di Marilyn e JFK, quelle di Marilyn e RFK e anche quelle di MM e del dottor Ralph Greenson. In ciascun caso si sentivano i suoni attutiti delle molle del letto e gridolini estatici. Dopo tutto, Marilyn era una maestra nel suo mestiere».

    È senza dubbio possibile che Peter Lawford fosse entrato in possesso delle registrazioni Mafia-Teamster. In realtà, come fece notare Anthony Summers, Lawford cercò di ottenere i nastri Mafia in almeno un’altra occasione, in relazione con la socia del gangster Mickey Cohen, Juanita Dale Slusher (alias Candy Barr). Tale informazione è corroborata da un’indagine sulle attività di Lawford portata avanti da un procuratore distrettuale nel 1961.

    Fred Otash ha ricordato al biografo James Spada: «Un giorno con Lawford successe qualcosa di strano. Venne da me e mi disse: Fred, puoi darmi degli strumenti per registrare di nascosto?. Gli risposi: Sì, che cosa ti serve?. Ma non mi volle dare spiegazioni. Quindi ebbi la sensazione che stesse spiando Jack e Bobby Kennedy».

    L’addetto stampa di Jayne Mansfield, Raymond Strait, che conosceva Otash da vent’anni, concordava con lui: «Ho ascoltato delle registrazioni in cui le voci principali erano quelle di Jayne e del presidente. Lawford aveva delle copie dei nastri e una volta, mentre condivideva un bong con Jayne nel Pink Palace, glieli ha fatti ascoltare. Tempo dopo, lei ha cercato di convincere Peter a farli sentire anche a un suo amante, ma lui si è rifiutato. Sembra che Peter possedesse un discreto archivio di registrazioni audio dei suoi famosi cognati e dei loro appuntamenti con le più note sex symbol di Hollywood».

    Strait ha riferito a Margolis: «Otash sapeva di cosa avevo parlato con Jayne prima ancora che lo conoscessi! Registrava Jayne perché, in fin dei conti, lei andava a letto con entrambi [Jack e Bobby Kennedy]. Ovunque fossero, Otash era sempre qualche passo avanti a loro… L’unica preoccupazione di Fred era il caso Johnny Stompanato [in cui il brutale amante dell’attrice Lana Turner fu, presumibilmente, ucciso dalla figlia di lei, Cheryl]. Fred era stato correo nel crimine, perché aveva tolto il coltello dal corpo, vi aveva apposto le impronte digitali di Cheryl e poi l’aveva rimesso dov’era! Era stata Lana Turner a uccidere Johnny Stompanato. Lo aveva sorpreso a letto con Cheryl. Lui desiderava sua figlia, ma Lana si era messa in mezzo e se l’era preso. Madre e figlia si volevano bene, però. Salva la mia carriera, le disse Lana, e così Cheryl l’accontentò».

    Quando Jay Margolis ha intervistato Joe Naar, questi gli ha detto che non era solo il migliore amico di Lawford, ma anche un amico della famiglia Kennedy. Secondo Naar, lui e Lawford hanno parlato più volte dell’ultima notte di Marilyn, e Lawford si sentiva in colpa per la morte della star del cinema.

    Peter Lawford fu amico intimo di Marilyn Monroe per più di dieci anni. Incapace di prendere decisioni da solo, come confermò il suo avvocato Milt Ebbins, l’attore inglese partecipò con grande riluttanza all’omicidio. A quanto si dice, poiché dopo la morte della sua amica il senso di colpa lo perseguitò per anni, e dato che sapeva bene cos’avevano fatto i fratelli Kennedy sia a lui che a Marilyn, Lawford decise di confidarsi con il biografo C. David Heymann. Un anno dopo, Peter Lawford era morto².

    Gli amici intimi di Marilyn si insospettiscono

    Intorno alle 19:30 della sera di venerdì 13 luglio 1962, George Barris scattò l’ultima fotografia professionale di Marilyn Monroe. Barris, che lavorava come freelance per la rivista «Cosmopolitan», raccontò: «Marilyn, dissi, questa è l’ultima immagine di te che immortalerò. Lei era seduta sulla sabbia e indossava un maglione pesante con un motivo scandinavo. Vi si avvolse e si coprì le ginocchia con una coperta. Si chinò in avanti e rispose: Va bene, George, lo faccio solo per te. Increspò le labbra e mi mandò un bacio. Disse: È per te e per il mondo, ed è l’immagine con cui voglio essere ricordata».

    Ora spostiamoci avanti nel tempo, al 3 agosto di quello stesso anno. «Quando ero a New York, dopo aver lasciato Los Angeles e Marilyn Monroe, stavo preparando il pezzo per Cosmopolitan, che doveva essere di dodici pagine circa più la copertina», ricordò Barris. «Lei mi ha chiamato e mi ha chiesto: Come vanno le cose?. Bene. George, devi tornare. Devo parlare con te di questioni fondamentali. È molto importante. Marilyn, è venerdì. Cerco di arrivare lunedì, se va bene. Ti prego, giuramelo. Te lo giuro, le risposi».

    Barris ha raccontato a Jay Margolis che si pentì di non essere tornato in California il 4 agosto, il giorno dopo. Margolis gli ha domandato: «Marilyn non fece cenno al fatto che pensava di convocare una conferenza stampa, giusto? Disse solo che doveva parlarle di qualcosa di importante?».

    «Non aggiunse altro», ha confermato Barris.

    Nel suo libro del 1995, Barris riportava: «Non mi era mai sembrata tanto felice… Ero molto contento per lei… Mi ha detto che forse si sarebbe solo rilassata un po’, sarebbe andata a cena fuori e poi magari dai Lawford, al ricevimento che davano ogni sabato sera. Poi ha aggiunto: Ti voglio bene… Ci vediamo lunedì. Le ho risposto che anch’io le volevo bene».

    Nel corso dell’ultima intervista prima della sua prematura scomparsa, Marilyn disse a George Barris: «Sto vivendo il periodo più felice della mia vita… C’è un futuro davanti a me, e non vedo l’ora di raggiungerlo… credo che sarà molto interessante! Sento di essere solo all’inizio; voglio fare film comici, tragici, alternandoli… Non ho rimpianti, perché se qualche volta ho sbagliato, è stata una mia responsabilità… Mi piace stare qui (in California), ma una volta ogni tanto mi viene nostalgia di New York. Qui non devo fare altro che chiudere le porte [davanti e sul retro] e andare. Mi piace questo senso di sicurezza».

    «Che motivo aveva di togliersi la vita?», ha chiesto George Barris a Jay Margolis. «Abbiamo scattato le foto sulla spiaggia di Santa Monica, vicino alla residenza di Peter Lawford. Marilyn aveva comprato una casa nuova a Brentwood, che non era ancora ammobiliata. Era andata in Messico per arredarla in stile messicano, e stava aspettando che arrivassero i mobili. Marilyn mi chiese: Non possiamo fare foto lì se non ha ancora l’aspetto giusto, no? Che possiamo fare?. Se vuoi tornare dove vivevi con il tuo primo marito a Catalina, ci posso provare. No, non voglio tornare indietro. La casa del mio amico sulle colline di Hollywood sarebbe perfetta. Quando gliene ho parlato, mi ha detto che gli basta poter avere una foto di voi due come ricordo. Ma non sei costretta, se non vuoi. No, va bene. Scattai una foto di lui insieme a Marilyn. Tutte le altre immagini sono a casa sua».

    Nel 1995, con le foto fatte sulla spiaggia di Santa Monica e a North Hollywood, a casa del suo amico Tim Leimert, George Barris creò un book fotografico tenero e commovente su Marilyn Monroe, nel quale le stesse parole di lei conducono la narrazione. Un progetto che, poco dopo essere diventati amici nel settembre del 1954, avevano deciso di realizzare insieme prima o poi. All’epoca Marilyn stava girando a New York Quando la moglie è in vacanza, e Barris era il suo fotografo. Quello divenne il film preferito dell’attrice. «La cosa che mi piaceva più di ogni altra in Marilyn era il fatto che non si comportava come una star del cinema», scrisse. «Era una persona alla mano… Certo, era bellissima e sexy, ma in lei c’era una sorta di innocenza quasi infantile… Sul set, Marilyn era sempre gentile e cordiale con tutti».

    Evelyn Moriarty fu la controfigura di Marilyn negli ultimi tre film: Facciamo l’amore (1960), Gli spostati (1961) e l’incompiuto Something’s Got to Give (1962). Moriarty ha raccontato al biografo Richard Buskin: «Buck Hall era l’aiuto regista in Something’s Got to Give e, come tutti gli altri nell’ufficio produzione, la detestava. Era un bastardo. Stando a quanto mi è stato riferito dal cineoperatore e da Bunny Gardel, che si occupava del trucco di Marilyn, durante le riprese di Fermata d’autobus [nel 1956], Buck Hall lanciava delle occhiatacce a Marilyn. Lei lo aveva soprannominato L’occhio che uccide, e lui non glielo perdonò mai. Insomma, all’epoca di Something’s Got to Give, i dirigenti della Fox si erano stancati di Marilyn. La tensione si avvertiva non appena lei metteva piede sul set. Anche se la troupe l’adorava, i dirigenti la consideravano solo un pezzo di carne e la trattavano come tale.

    «Il 1º giugno [1962] era il suo trentaseiesimo compleanno. Quella mattina avevamo deciso di prenderle una torta con le candeline ma [il regista] George Cukor e i dirigenti della Fox non mi permisero di dargliela finché lei non ebbe concluso la giornata di lavoro. Nel tardo pomeriggio, George mi concesse di tirar fuori la torta e partecipò alla nostra festicciola, ma i sorrisi di tutti erano falsi. Più tardi, quando Marilyn andò via, ero con lei, Bunny Gardel e [la parrucchiera] Agnes Flanagan, e dissi: Visto come Buck Hall e gli altri l’hanno trattata sul set, non credo che lunedì verrà. Non avevo idea che non l’avrei rivista mai più».

    Quello stesso venerdì, l’ultimo compleanno di Marilyn, George Barris era rientrato da Roma dopo aver lavorato qualche giorno con Elizabeth Taylor per realizzare un articolo per «Cosmopolitan» sullo stato delle riprese di Cleopatra. Barris avvicinò Marilyn sul set di Something’s Got to Give. Come ha detto in seguito a Jay Margolis: «Quando arrivai, esclamò: Cosa ci fai qui? Avevo sentito dire che eri a Roma con Elizabeth Taylor! Allora, hai trovato una ragazza nuova, eh?. No, stavamo solo recitando. È impossibile lavorare con lei. Ci pensi che le danno un milione di dollari per quel film?. Più tardi abbiamo tirato fuori la torta e le abbiamo cantato Tanti auguri tutti in coro, ed ero accanto a lei.

    «La mattina di lunedì dovevo incontrarla allo studio per cominciare a scrivere la storia. Quando sono arrivato, lei non c’era. Chiamò per avvisare che si sentiva poco bene. Era una persona molto fragile. Fu mandato il medico dello studio [il dottor Lee Siegel] per controllare che fosse davvero malata, e lui confermò che stava malissimo. Allo studio erano tutti disperati. Tecnici, cameraman e attori erano pagati a giornata. Stavano gettando i soldi al vento. Avevano pagato un milione Elizabeth Taylor per Cleopatra: rischiavano la bancarotta».

    L’8 giugno Marilyn fu licenziata dalla lavorazione di Something’s Got to Give. Il giorno dopo, fino al 18 luglio, lei e Barris cominciarono a lavorare su progetti comuni. «Credo di non aver mai conosciuto nessuno dotato di tanta determinazione, e non ho mai conosciuto una modella che lavorasse sodo quanto lei», raccontò. «Non crederò mai che si sia tolta la vita. Resterò sempre dell’idea che è stata assassinata», scrisse Barris.

    Parlando con Jay Margolis, ha dichiarato: «Non la dimenticherò mai, perché era gentile, onesta e adorabile, ed è diventata ciò che era perché era una persona decisa, che per tutta la vita non ha fatto altro che cercare di rendere tutti felici. Era sempre premurosa. Era timida, ma anche una persona molto sola. Purtroppo i suoi matrimoni non sono andati bene. Se solo Marilyn avesse avuto un figlio, credo che le avrebbe salvato la vita».

    Barris ha raccontato a Margolis di come apprese la tragica notizia della sua morte: «Ero in campagna con mio cognato. Eravamo andati in un emporio del luogo per comprare un po’ di latte e ciambelle, e io ero rimasto in macchina mentre lui entrava nel negozio. Lo vidi uscire di corsa. Mi guardò. L’hanno appena detto alla radio. Di che parli?, gli dissi. E lui: Marilyn è morta. Non dovresti fare scherzi del genere, sono di pessimo gusto. No, è la verità. Dico davvero. Non riuscivo a crederci. Ero sotto shock. Lo lasciai lì e corsi in macchina fino a New York, dove vivevo a Sutton Place. Erano circa centocinquanta chilometri. Per fortuna non presi multe e non andai a sbattere, guidavo come un pazzo. Quando arrivai, il portiere mi disse che una folla di giornalisti e fotografi mi aveva cercato. Se tornano, digli che non ci sono, gli ordinai. Salii al piano di sopra. Accesi la televisione e la radio. L’unica notizia che davano era Marilyn è morta. Marilyn è morta. Era troppo. Spensi tutto. Non potevo sopportarlo».

    Anche l’attrice Jane Russell nutriva dei sospetti sulle circostanze della morte di Marilyn. Intervistata il 29 novembre 2010 da Jay Margolis, ha confermato uno spiacevole incontro con Robert Kennedy. «Lo incontrai una volta dopo l’assassinio di suo fratello. Lavoravo con un’organizzazione che si chiamava WAIF e si occupava di adozioni di bambini, non provenienti dagli Stati Uniti, ma da altri Paesi. I piccoli arrivavano insieme ai genitori che erano stati scelti, e una volta capitò che lui fosse presente. Conobbe diverse persone, con cui fu socievole e gentile. Poi lo presentarono a me, e la sua espressione cambiò. Non fu affatto amichevole. Mi dissi: Ehi, che buffo. Immagino pensasse che sapevo cos’era successo… solo che c’era qualcosa di molto strano. Nel Giorno del Giudizio sapremo esattamente cos’è successo… Lei aveva dei progetti. Lo studio li aveva approvati. C’erano tante cose che stavano succedendo e che lei desiderava veder realizzate».

    Un interessante articolo firmato da Wendy Leigh fu pubblicato in Inghilterra il 3 marzo 2007. Intervistando Jane Russell, la Leigh scoprì che l’attrice era convinta che la sua amica fosse stata uccisa: «Non credo si sia suicidata. È stato qualcun altro. Qualcuno ha giocato sporco», dichiarò la Russell.

    «Suggerisco il coinvolgimento di Jack e Bobby Kennedy – en- trambi amanti di Marilyn – e Jane annuisce, cupa», scrisse la Leigh, e aggiunse che la donna le disse anche: «Subito dopo la morte di Marilyn, incontrai Bobby Kennedy, che mi guardò come se volesse dirmi: Sono tuo nemico».

    Il 1º agosto 1962, tre giorni prima di morire, Marilyn Monroe era stata nuovamente ingaggiata dalla Twentieth Century-Fox per concludere le riprese di Something’s Got to Give e aveva firmato un contratto da un milione di dollari per due film. Una trentina d’anni dopo, nel 1993, la sua controfigura Evelyn Moriarty disse a Richard Buskin: «Escludo che possa essersi uccisa. Ho parlato con lei il giovedì prima della sua morte ed era felicissima di tornare sul set. Mi disse che avrebbero girato per prima cosa i primi piani di Dean Martin e poi avrebbero posizionato Dean per i primi piani di lei… era al settimo cielo. Doveva concludere quel film della Fox perché poi avrebbe girato I Love Louisa per la United Artist con Frank Sinatra, prodotto dal suo agente Arthur Jacobs. Diceva anche che doveva girare altri tre film in Europa, uno dei quali con Brigitte Bardot. Continuava a dire faremo questo e faremo quello: si era scontrata con gli studi e aveva vinto, e non vedeva l’ora di dedicarsi a tutti quei progetti».

    George Erengis, guardia di sicurezza della Twentieth Century-Fox, ha raccontato a Richard Buskin: «Il lunedì dopo la sua morte sono andato nel camerino di Marilyn alla Fox, ed era stato svuotato. Non c’era più niente, non avevano lasciato nemmeno la minima traccia di lei. Aveva fatto guadagnare loro una fortuna, eppure non avevano avuto la minima esitazione a cancellare il ricordo di lei».

    Dal canto suo, l’attrice Debbie Reynolds raccontò al giornale inglese «Daily Express» di aver detto a Marilyn di stare attenta ai fratelli Kennedy: «L’ho vista due giorni prima che morisse e l’ho messa in guardia. Era una ragazza tanto dolce e innocente, ma si lasciava usare dagli uomini. Credo sia stata assassinata perché in troppi temevano che venisse fuori la verità».

    In un’intervista precedente, la Reynolds aveva ricordato: «La sua era una vita molto triste. E anche la sua fine è stata tristissima. Era come se tutti quelli che, come me, hanno conosciuto Marilyn sperassero che prima o poi arrivasse un principe azzurro che l’amava davvero e non si sarebbe approfittato di lei».

    Joe DiMaggio era stato quel principe azzurro. Per quel che riguarda il secondo matrimonio di Marilyn celebrato il 14 gennaio 1954, l’ex agente dell’FBI Monte Hall ha rivelato a Jay Margolis: «Ero alle nozze. Marilyn fu sposata da un giudice in un tribunale di San Francisco. E io ero lì in quel momento. Conoscevo molto bene Joe. Molti di noi all’ufficio di San Francisco conoscevano Joe DiMaggio».

    Morris Engelberg (che non ha niente a che fare con il medico di Marilyn, il dottor Hyman Engelberg) era uno degli amici più cari di DiMaggio e l’esecutore testamentario dei suoi beni. Stando alle sue dichiarazioni, «Joe DiMaggio era innamorato di Marilyn Monroe, e lo fu fino alla morte… Le sue ultime parole sono state: Finalmente rivedrò Marilyn… Il pensiero di quanto vicini fossero andati alle seconde nozze lo tormentava… La data del loro secondo matrimonio era già stata fissata: 8 agosto 1962».

    Quando Engelberg chiese a Joe jr se fosse d’accordo con suo padre, il quale era convinto che i Kennedy fossero responsabili della morte di Marilyn Monroe, il giovane DiMaggio rispose: «Non è morta per cause naturali, e non aveva alcuna

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