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I Katisi
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E-book265 pagine3 ore

I Katisi

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Il vento, come forza della natura e come soffio che alimenta sentimenti e passioni.
Vento che soffia sul mare, che costringe piante e alberi a genuflettersi e a non alzare troppo la cresta, quasi a dire: "qui comando io ". Vento che pervade gli animi e le menti, che investe la vita stessa. Soffia e, quando lo fa, su uno sorvola, mentre su un altro inveisce; ora corteggia ora avvinghia e sconvolge.
I " Katisi ", nel libro, assumono una valenza piuttosto significativa. Giardini incolti che hanno visto la crescita di buona parte della gioventù negli anni a ridosso del dopoguerra. Luogo dove, da qualche tempo, Rufo aveva preso l'abitudine di sostare appoggiato alla balaustrata, in attesa che Rita uscisse dalla scuola. Fino al giorno in cui, impavido, prese l'ardita quanto temeraria decisione di affrontare la giovane.
Rufo, uomo già attempato, ormai sulla cinquantina, conduce una vita tranquilla e sentimentalmente serena, segnata da un abitudinario tran tran quotidiano. L'incontro con Rita sconvolge la tranquillità della sua vita.
Rita arriva nell'isola dalla Provincia, come supplente elementare, e porta non poco scompiglio, soprattutto nel cuore, ormai in " letargo " da molti anni, di Rufo. Dal primo sguardo, il vento caldo della passione avvolge l'uomo, s'impossessa di lui, lo infiamma. Da quel momento subisce il tormento dell'anima: è combattuto tra il desiderio della donna e la ritrosia, la titubanza a rivelarsi apertamente.
Nel libro, prendono corpo e si mescolano realtà è fantasticherie, mitologia e fantasia mitologica.
Tra una narrazione e l'altra trova posto una elaborazione della storia dell'isola dal Paleolitico alla conquista romana.
Viene pure proposta una rielaborazione del mito di Atlantide, ispirata dalle nuove ricerche in seguito al ritrovamento di recenti tracce nel mare della Sicilia. Tale rielaborazione suppone che l'isola abbia avuto, verosimilmente, un legame con la mitica civiltà perduta.
Chiude il libro una storia delle Madonne nell'isola.
 
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2014
ISBN9786050338621
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    Anteprima del libro

    I Katisi - Nat Di Lampedusa

    I Katisi

    Lampedusa. Là dove soffia il vento

    Alla mia isola, alla sua ineguagliabile bellezza,

    ai suoi meravigliosi abitanti di ieri e di oggi.

    Prefazione

    Ogni viaggio, ogni avvistamento dell'isola è sempre un sussulto dell'animo. Ogni qualvolta la vedo dall'aereo, poco prima dell'atterraggio, è come se quella terra non l'avessi mai lasciata.

    Ed ecco tornarmi in mente alcuni versi dell'ode montiana:

    "Bella Italia, amate sponde

    pur vi torno a riveder!

    Trema in petto e si confonde

    l'alma oppressa dal piacer."

    E non me ne voglia il gran traduttor dei traduttor dl Omero , come ebbe a definirlo il Foscolo (epigramma XI), se, nella commozione del momento, ometto Italia e sostituisco con Isola.

    Introduzione

    I Katisi, nel libro, assumono una valenza piuttosto significativa. Giardini incolti che hanno visto la crescita di buona parte della gioventù negli anni a ridosso del dopoguerra.

    Luogo dove, da qualche tempo, Rufo aveva preso l'abitudine di sostare appoggiato alla balaustrata, in attesa che Rita uscisse dalla scuola. Fino al giorno in cui, impavido, prese l'ardita quanto temeraria decisione di affrontare la giovane.

    Il vento è il vero protagonista, come forza della natura e come soffio che alimenta sentimenti e passioni.

    Vento che soffia sul mare; che costringe piante e alberi a genuflettersi e a non alzare troppo la cresta, quasi a dire: qui comando io. Vento che pervade gli animi e le menti, che investe la vita stessa. Soffia e, quando lo fa, su uno sorvola, mentre su un altro inveisce; ora corteggia, ora avvinghia e sconvolge.

    La narrazione prende spunto da una storia amorosa e da una diceria sull'epilogo della stessa. Nella stesura, altri avvenimenti hanno assunto via via un ruolo predominante, dando vita allo sviluppo di storie all'interno di altre storie.

    In tale contesto, l'esposizione narrativa dei fatti potrebbe apparire discontinua.

    In realtà ogni fatto s'innesta nel contesto del precedente dal quale scaturisce. Così, spesso, ogni vicenda esposta diventa narrazione all'interno di un'altra narrazione, secondo la tecnica del cosiddetto racconto a cornice.

    Lampedusa rappresenta l'occasione, la cornice narrativa all'interno della quale sono collegati fra di loro i fatti e gli episodi. I nomi di persone non hanno alcun riferimento con gli avvenimenti accaduti, perché sono elaborazione della fantasia, usati in modo fittizio, e, comunque, ogni omonimia è da considerarsi assolutamente casuale. Pertanto i personaggi vanno visti all'interno di una occasione narrativa che avrebbe potuto trovare una qualsiasi altra diversa ambientazione.

    In certe situazioni, nei dialoghi, l'uso del dialetto appare più adeguato a dare una maggiore intensità espressiva a emozioni e a sentimenti. La traduzione in italiano di frasi e vocaboli dialettali ha lo scopo di agevolarne la comprensione, qualora occorresse.

    PARTE PRIMA

    Amor che a nullo amato amor perdona

    ( Dante, Inferno, canto V )

    I

    Rita

    Era un luminoso mattino di marzo quando don Rufo vide per la prima volta Rita. Indossava gonna e camicetta.

    Una camicetta bianca, attillata, dal colletto merlato e aperta sul davanti quel tanto da lasciare scorgere una robusta catenella d'oro che le scendeva lungo il collo.

    Questa terminava con un vistoso medaglione in cui era incastonato un grosso cammeo che risaltava, in bella vista, sul petto di una carnagione color rosa corallo.

    La gonna, succinta, ben aderente e appena sopra l'altezza del ginocchio, era di un colore azzurro intenso.

    Occhi celesti sempre sorridenti, capelli ondulati, di un biondo oro naturale, che scendevano a cascata fino all'altezza delle spalle, mossi da un leggero zefiro.

    Rita era consapevole della sua bellezza. Alta, dalle forme prorompenti, ma ben messa e proporzionata nel corpo, calzava scarpe bianche con tacco alto, che esaltavano l'elegante figura e la regale andatura.

    Per la via si muoveva come se si trovasse a un concorso di bellezza o a una sfilata di moda, con la leggiadria che l'aveva sempre contraddistinta. A guardarla, richiamava ben note forme classiche: riassumeva in sé, in una perfetta sintesi d'armonia, la maestosità di Giunone e la bellezza di Venere.

    Richiamava i colori del cielo, del mare, della sabbia. Il suo sorriso era un omaggio alla primavera. A ciò si aggiungeva il portamento e l'esuberanza della giovinezza.

    Nei primi tempi del suo arrivo nell'isola aveva portato un bel po' di scompiglio: attirava gli sguardi verso di sé come la stella polare attira l'ago della bussola.

    Al suo passaggio la gente non poteva fare a meno di girarsi verso di lei e in modo particolare gli uomini, giovani e meno giovani. Questi, tra ammirazione e meraviglia, mentre la guardavano passare e allontanarsi, si lasciavano andare a commenti, a sospiri e a bisbigli quasi incomprensibili, ma di evidente apprezzamento.

    Le donne, ovviamente, disapprovavano questo modo di comportarsi degli uomini, specie quando si trattava del proprio di uomo. A loro sembrava alquanto esagerato che quelli si esprimessero con tante attenzioni e smancerie ogni volta che si trovavano in sua presenza.

    È vero che gli occhi sono fatti per guardare aveva il coraggio di osservare qualcuna ma farlo in un modo così evidente e sfacciato, senza alcun pudore, non era proprio il caso.

    Si trattava di un disagio che le donne, tuttavia, non manifestavano apertamente.

    Per ritegno e orgoglio, cercavano di apparire indifferenti e di mantenere un certo contegno, ma non riuscivano ugualmente a nascondere il loro giustificato disappunto, perché trapelava chiaramente dalla espressione dei loro visi. Naturalmente non mancavano le malignità nei riguardi di questa straniera, ma soltanto da parte di qualche acida zitella o di qualche ragazza meno dotata o semplicemente più invidiosa delle altre.

    Neppure don Rufo, benché non fosse più giovane, ma uomo maturo e posato, sulla cinquantina, dotato di solidi principi e refrattario alle donne ormai da molti anni, riuscì a evitare il fascino della giovane. La seguì con lo sguardo, ammaliato e abbagliato allo stesso tempo, stordito, come se avesse preso un colpo di sole o fosse stato colpito dal bagliore di un fulmine a ciel sereno. Dinanzi a una tale visione, qualcosa di nuovo e impellente si era svegliato e acceso dentro il suo cuore, qualcosa che gli sembrava ormai spenta e persa per sempre, ma forse era soltanto sopita.

    II

    Il sogno

    Una notte il Don cadde in un sonno profondo, più del solito. E sognò.

    Sognò di una spiaggia dal mare limpido, di un verde color smeraldo dai riflessi argentei e, più in là, di un azzurro che diventava man mano sempre più intenso e profondo.

    Una spiaggia dalla sabbia bianca come il latte, che là dove era lambita dalla tenue risacca diventava di un meraviglioso colore rosa corallino. Dall'alto della scogliera il panorama era unico; splendeva in tutta la sua bellezza di natura ancora selvaggia, non contaminata dalla mano dell'uomo.

    Riconobbe quel posto; gli era ancora familiare, malgrado il tanto tempo trascorso. Era euforico: da troppi anni non godeva di una tale visione. La sua gamba non gli aveva più permesso di raggiungere quel luogo aspro, selvaggio, ma d'incomparabile bellezza.

    Non è che non vi siano altre di spiagge o non vi siano altri punti della costa bellissimi, ma quella…; una volta vista, s'imprime nella mente a marchio di fuoco e non si dimentica mai più. Ed era quello che era capitato anche a Rufo.

    Era già l'alba; l'uomo respirò a pieni polmoni ed emise un profondo sospiro.

    In lontananza, si udiva solamente il grido dei gabbiani, mentre volavano a giro sull'isolotto vicino. Altri, posati sul mare al centro della baia, sembravano tante barchette di carta; si lasciavano trasportare per brevi tratti dalla tenue corrente per poi sollevarsi e riprendere il volo, volteggiando leggeri come piume sospese nell'aria. Alcuni stavano posati sulla sabbia come sentinelle, dritti e con fare circospetto.

    Rufo si rivide giovane, altero, baldanzoso. Superato il primo momento di smarrimento e lo stupore iniziale, incominciò a correre lungo la stradina che portava giù, sul fondo della baia dei conigli. Benché fosse ripida, sassosa e scoscesa, la percorse agilmente e in breve tempo raggiunse la spiaggia. Qui i gabbiani erano di casa. Al suo arrivo non volarono via, ma si spostarono semplicemente più in là, lasciando un ampio spazio libero all'uomo che, in preda a un'eccitazione non comune, commentò a voce alta: <> rivolgendosi verso i gabbiani, come se quelli potessero intendere e apprezzare. Poi, uno dietro l'altro, i gabbiani presero il volo e incominciarono ad aleggiare sopra la spiaggia.

    <> gridò lui, mentre correva con gli occhi rivolti verso il cielo, interpretando il volo e i gridi striduli degli uccelli come un segnale di evidente disappunto.

    Intanto qualcosa di straordinario stava accadendo. L'uomo aveva abbassato lo sguardo e, mentre si guardava attorno, notò che in alcuni punti la sabbia si muoveva.

    Si erano schiuse le uova deposte dalle tartarughe sotto la sabbia e ora le piccole tartarughe venivano fuori.

    Correvano verso l'acqua come meglio potevano e il più velocemente possibile, in una lotta contro il tempo: era tutto un brulichio di piccoli esseri viventi. I gabbiani erano entrati in una particolare agitazione.

    Il loro volteggiare era più veloce e frenetico, sempre più vicino al suolo, e alcuni avevano già iniziato la discesa in picchiata; venivano giù planando, silenziosi come solo i predatori alati sanno fare qualche attimo prima di ghermire la preda.

    Rufo stava per essere spettatore di una scena che di certo si ripeteva negli anni, lontano da ogni sguardo umano. In un primo momento rimase ad osservare in disparte, indifferente, pur cosciente di quanto stava per accadere: È la legge della natura e io non posso farci nulla pensò. Nel frattempo buona parte delle piccole tartarughe aveva già raggiunto il mare, ma alcune facevano fatica ad avanzare. Arrancavano con molta lentezza ed era su quelle che si era concentrata l'attenzione degli uccelli. Per loro sembrava non esserci più scampo; non ce l'avrebbero mai fatta e il loro destino appariva ormai segnato.

    A quel punto, improvvisamente, l'atteggiamento di Rufo cambiò. Nel vedere i gabbiani venire giù in picchiata per ghermire con voracità quelle minuscole creature indifese, fu preso da un sentimento di tenerezza e di pietà tali che decise d'intervenire in loro aiuto.

    Sapeva che non c'era tempo da perdere; doveva fare qualcosa e subito; ma cosa? Si guardò attorno e ai piedi della scarpata vide dei sassi tra la sabbia. Li prese in mano, ma li ripose subito giù: <> commentò a voce alta <>.

    Non avendo nient'altro a disposizione, si tolse le scarpe e le lanciò in aria, sperando di spaventare e allontanare i gabbiani. Visto che non aveva ottenuto l'esito sperato, si levò in gran fretta camicia e pantaloni e cominciò ad agitarli per aria, correndo di qua e di là per la spiaggia come un forsennato.

    <> urlava a squarciagola e con tutto il fiato che aveva in petto. I gabbiani, di fronte alla reazione inattesa dell'uomo, presero a volare verso l'alto e si allontanarono, mentre l'aria si riempiva dei loro strilli di protesta.

    Rufo li seguì per un tratto con lo sguardo, ancora incredulo per il risultato ottenuto. Nel frattempo le piccole tartarughe avevano avuto il tempo di raggiungere il mare; almeno per ora potevano ritenersi salve.

    Intanto l'uomo, che era in preda all'esaltazione per quanto era accaduto, atteggiandosi a novello paladino a difesa dei più deboli, distolse l'attenzione dai gabbiani e dalle piccole creature marine, e rivolse lo sguardo su se stesso. Stranamente si ritrovò in costume; si sedette sulla sabbia e appoggiò i vestiti accanto a lui.

    Nel sogno, il trascorrere del tempo seguiva strane regole; il sole brillava già alto nel cielo e riversava il bagliore dei raggi nella baia che risplendeva in tutta la sua indescrivibile bellezza, in un'atmosfera di magia.

    La sabbia era bollente, scottava e la sua pelle cominciava ad assumere il colore particolare di un gambero cotto alla brace.

    Si alzò e rivolse lo sguardo verso il mare, o forse fu il mare che attrasse il suo sguardo. Per un attimo, rimase a osservarne la superficie che luccicava come cosparsa di pagliuzze dorate e argentate, infine entrò per un tratto, si bagnò il corpo con le mani e tornò a sedersi. Di lì a poco si distese e, per procurarsi una certa protezione dai raggi solari, prese ad arrotolarsi, rigirandosi da una parte e dall'altra per insabbiarsi il corpo. Stanco per la corsa lungo la discesa e per la lotta sostenuta contro i gabbiani, chiuse gli occhi e rimase immobile con il viso rivolto al cielo e con le braccia aperte. Sotto il sole cocente, la mente fu presa da mille pensieri, da ripensamenti e dubbi. Iniziò con il chiedersi se il suo intervento fosse stato corretto e se non avesse in qualche modo modificato il corso degli eventi naturali.

    Poi pensò a quanti andavano di notte a scavare nella sabbia per depredare le uova deposte da poco; pensò alle tartarughe legate lungo il molo in attesa del loro triste destino: uccise, cucinate e servite a tavola; pensò ai carapaci appesi come trofei alle pareti delle case di alcuni marinai di sua conoscenza.

    Rufo si convinse ancora di più di aver fatto la cosa giusta.

    Di certo non v'erano garanzie per il loro futuro, ma almeno per ora quei piccoli esseri avevano superato la prima grande difficoltà della loro vita.

    *

    In quegli anni, poteva apparire comprensibile che la cattura di una tartaruga costituisse per la maggior parte delle famiglie dei marinai l'occasione per mettere a tavola l'unica carne che potevano permettersi, diversa da quella del solito pur prezioso pesce.

    Diventava molto difficile, invece, giustificare le feste organizzate da alcune persone benestanti.

    Infatti, non erano rari i pranzi e le cene tra amici con piatti a base di carne di tartaruga con la complicità di alcuni compiacenti marinai.

    In realtà le tartarughe non erano ben viste dai marinai, in quanto spesso erano ritenute responsabili di una cattiva pesca. Quando apparivano sotto la luce delle lampare, attratte dal cibo abbondante, il pesce azzurro scompariva, e quando rimanevano impigliate nelle maglie della rete, questa veniva seriamente danneggiata; ciò comportava la perdita del pescato e in più un aggravio di lavoro per i marinai.

    La rete doveva essere caricata su di uno o due carretti e trasportata sul vecchio campo dell'aviazione militare, a cavallo bianco, dove veniva distesa in tutta la sua lunghezza e larghezza per poi essere risarcita, e non era raro il caso in cui capitava di doverne sostituire larghi pezzi.

    Si trattava di un lavoro lungo, dovuto anche al fatto che solo pochi marinai erano in grado di ricostruire le maglie della rete. Inoltre attardarsi con le reti a terra significava uscire dal porto in ritardo e accontentarsi di raggiungere un luogo di pesca più vicino, quasi sempre meno pescoso. Erano finiti, infatti, i tempi in cui si potevano calare le reti sotto le coste, non lontano dal porto come a Cala Sponze; e qualcuno aveva calato le reti addirittura dentro il porto, tanto il pesce azzurro era abbondante.

    Pertanto, quando le tartarughe finivano aggrovigliate nella rete, esse venivano catturate. E così, col passare del tempo, se ne vedevano sempre di meno.

    *

    Lo strano sogno di Don Rufo continuava senza interruzione. Disteso sulla sabbia, incominciò ad avvertire i primi effetti del gran caldo. La vista dell'acqua costituiva un invito troppo forte e pensò di trovarvi refrigerio. Si alzò ed entrò in mare. I raggi del sole giocavano con la superficie dell'acqua, ed era come se fosse stata piastrellata con sottili, luminose lastre di diamante che, riflettendosi sul fondo sabbioso bianco come il latte, oscillavano una vicino all'altra.

    L'uomo osservò affascinato quel gioco di riflessi, poi iniziò a correre e a saltellare per un lungo tratto, felice come un bambino, finché finalmente l'acqua gli consentì di tuffarsi e nuotare, allontanandosi a grandi e forti bracciate. Quando tornò a riva e uscì dall'acqua era tutto grondante e ansimante per la lunga nuotata, ma raggiante e bello come un adone.

    Il sogno subiva una metamorfosi continua. Ed ecco che, mentre se ne stava seduto con lo sguardo rivolto verso il mare, come dal nulla, apparve vicino all'isolotto una figura umana che in principio si presentava confusa, indistinta, quasi surreale: ebbe l'impressione che, lentamente, sabbia e acqua le avessero dato vita.

    <> pensò.

    Poi l'immagine si fece più chiara e incominciò a vedere, sempre più distintamente, una giovane donna che correva verso di lui: era affascinante, coperta da un sottile velo di seta color rosso porpora. Sorpreso e ancora incredulo per una tale improvvisa apparizione, balzò in piedi.

    Benché intontito dal troppo sole preso senza alcuna prudenza e disorientato per la visione inaspettata, ebbe la chiara sensazione che la donna stesse pronunciando qualcosa che lui, però, non riusciva a decifrare, per la distanza che ancora li separava. Istintivamente le andò incontro correndo, ma con grande fatica, come se una forza misteriosa lo spingesse verso di lei e allo stesso tempo lo trattenesse. Per quanto s'impegnasse non riusciva a muoversi con la stessa scioltezza e destrezza dell'altra.

    <> continuava a gridare la donna, ansante per la corsa. L'uomo, ormai vicino, avvertì una strana sensazione. Ancora incredulo, tentò di gridare il nome di lei, ma invano. Riuscì solo a pronunciare: Ri e non ebbe il tempo di dire altro: ormai erano uno nelle braccia dell'altra. Rufo solo in quel momento si rese conto che stava abbracciando la donna dei suoi desideri.

    Raggiante e incredulo come un bimbo che finalmente aveva ricevuto il giocattolo desiderato invano per lungo tempo, la sollevò sulle braccia e, stringendola al petto, si avviò verso l'acqua. Lei sorrideva felice, tenendosi ben aggrappata all'uomo, con le braccia avvinghiate attorno al suo collo. A un tratto lui ci ripensò, volse le spalle al mare e si diresse verso la pietrosa e ripida salita. Man mano che procedeva, per il gran caldo, per il peso che portava e per la forte presa di lei, si sentiva sempre più affaticato.

    Di lì a poco le gambe gli divennero pesanti come massi e non riuscì più a muovere un passo, come se i suoi piedi avessero messo salde e profonde radici. Allo stesso tempo avvertì una strana sensazione: ebbe l'impressione che la donna gli stesse sfuggendo dalle braccia e dalle mani, scivolando lentamente via senza che lui, per quanto si adoperasse, riuscisse ad impedirlo.

    Proprio in quel momento i rintocchi dell'orologio della vicina torretta del municipio lo svegliarono di soprassalto.

    I raggi del sole mattutino filtravano attraverso le imposte socchiuse del balconcino, inondavano la stanza e battevano sulla sua testa.

    Ansante, esausto e fradicio di sudore, con l'immagine della donna ancora negli occhi, si mise a sedere con la schiena appoggiata alla spalliera, evitando i raggi del sole che insistevano alla testa del letto che era tutto sottosopra, come se l'uomo avesse lottato tutta la notte con i cuscini e le coperte; perfino i due materassi erano fuori posto.

    Era come in preda a un'allucinazione, confuso, stordito e tutto dolorante.

    <> esclamò. Non si alzò subito, ma rimase in quella posizione per un bel po' di tempo, a rimuginare.

    Rufo credeva nei sogni e nei loro segni premonitori e da quella notte interpretare quanto aveva sognato e dargli un significato plausibile, per lui, era diventato un'assoluta priorità, ma allo stesso tempo una tortura continua. A dire il vero c'era una parte del sogno che poteva essere di facile interpretazione, ma lui non intendeva prenderla in considerazione.

    Dopo quella notte, fu assillato da un pensiero fisso che gli impediva di riposare durante la notte e lo tormentava

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