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La Chiave d'Oro
La Chiave d'Oro
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E-book246 pagine3 ore

La Chiave d'Oro

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Info su questo ebook

Mar Mediterraneo, 1314.
Quando il crudele capitano Croix assalta la maestosa Arcadia, l'ultima cosa che si aspetta è di trovare la sua stiva vuota. La famiglia a cui appartiene, quella dei Chillemi, è infatti una delle più ricche e prestigiose di Roma. Sarà l'intuito a guidarlo verso il segreto che nasconde e che accomuna due individui all'apparenza inconciliabili.
L'amuleto al collo della giovane Evelina, figlia dell'uomo a cui è stato dato l'incarico di ripulire le acque del Mediterraneo dai pirati, è infatti perfettamente identico ad uno che Croix ha già visto addosso al capitano di una nave da guerra francese. Un uomo, le cui ultime parole sono state "Je n’ai pas parlé".
Non ho parlato.
LinguaItaliano
Data di uscita2 gen 2016
ISBN9788892533820
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    Anteprima del libro

    La Chiave d'Oro - Regina Pozzati

    Pozzati

    LA CHIAVE D’ORO

    ROMANZO

    Il vero pericolo del mare non è la tempesta,

    ma i segreti che riporta a galla.

    CAPITOLO I

    Ruse Deguerre

    *

    Mar Mediterraneo, 1314

    La chiamavano Eva. Aveva visto la terra migliaia di volte, ma non vi aveva mai posato i piedi sopra. Aveva gli occhi attenti e i seni nudi, accarezzati dalla spuma del mare. Il suo volto era da sempre teso al cielo e verso il cielo avrebbe continuato a guardare fino a che i suoi fianchi non avessero toccato le profondità degli abissi. Eva, come la prima donna corrotta dal serpente ingannatore, quella che aveva portato l’uomo a essere cacciato dal Paradiso Terrestre.

    Ed erano tutti rinnegati, in fondo, coloro che avevano il privilegio di poterla sfiorare, di poterla sognare o addirittura accarezzare prima di ritirarsi a dormire sotto le stelle, cullati dall’odore salmastro del mare e dal morbido incedere delle sue onde. Lei, che non aveva mai il volto freddo o le braccia stanche. Lei, che sorreggeva con le mani la prua della piccola caracca di cui era regina, che riempiva di speranza gli occhi e i sogni di coloro che non sarebbero mai potuti tornare a casa. Lei, che cancellava dalle menti di tutti gli stenti e i rimpianti e che baciava il vento senza mai stancarsi di vederlo soffiare.

    Eva. La più bella creatura della terra e del mare. La nave di coloro che non avrebbero mai smesso di cercare per mare le ricchezze che non avrebbero mai potuto portare a terra, e di guardare la terra con il desiderio che si trasformasse nel mare che aveva dato loro tutto: rispetto, speranza e libertà.

    Il vento soffiava ansioso, accarezzando le nodose coste di Tunisi. Era una mattina chiara e serena; uno di quei giorni in cui il mare concedeva all’uomo l’inganno di poter vedere oltre le sue onde. In lontananza, sulla terraferma, la sabbia bianca si alternava alla roccia come in un immenso ricamo. La vegetazione che si arrampicava sulle pietre era bassa, poco nutrita. Il deserto cominciava dove finivano le onde, e insieme a esse la libertà degli uomini.

    A poppa, con la testa avvolta da un turbante di lino grezzo, il timoniere portava la Eve – Eva, come la chiamavano alcuni – lungo il percorso più sicuro. In lontananza, oltre l’orizzonte, Hasan sentiva già i profumi della sua terra natia, benché ancora distante. Se chiudeva gli occhi poteva vedere le cime dei mandorli ondeggiare insieme al vento, il rosso degli anemoni colorare i confini striati del Negev. Sognava la sua Gerusalemme, non più devastata dalle crociate, depredata, ma ancora magnifica e splendente come un tempo. Era in giornate come quella che la Cupola della Roccia si bagnava dell’oro del sole, dominando il paesaggio e rasserenando il cuore degli uomini che credevano.

    Sorrise, ripensando all’ultima volta che aveva solcato le sue strade, a quando il capitano Croix, temendolo come nemico, l’aveva invitato a salire a bordo della sua nave. Tre lunghi anni erano passati da allora. Il capitano aveva imparato a non temere più il gigante dalla pelle mulatta che esponeva con tanto piacere i segni delle ultime cento battaglie e forse più; l’uomo dal duplice, temibile volto con il lato destro comune e il sinistro coperto di tatuaggi e pesanti orecchini d’avorio; l’uomo a cui aveva salvato per ben due volte la vita.

    Accarezzando il tatuaggio con il cobra che gli percorreva l’intero braccio sinistro, il timoniere alzò lo sguardo verso la cima dell’albero maestro, da cui la vedetta stava scrutando il mare. Sorrise di nuovo, riflettendo su quanto dovesse apparire strano vedere una ciurma male assortita come la loro. Alcuni marinai venivano dall’Olanda, la terra madre di tutti i migliori pirati, altri dal Portogallo, dalla Tunisia e persino dalla Spagna, cosa assai rara in tempi come quelli, in cui le navi spagnole e francesi erano le più depredate in assoluto.

    E, cosa assai strana, in tempi come quelli, in cui i sistemi di caste chiuse e di oligarchie dominavano le nazioni e i governi sulla terraferma, le cose, in una nave per mare come la loro, andavano esattamente all’opposto. Ogni singolo uomo collaborava con il proprio compagno senza curarsi del colore della pelle o del ceto sociale di provenienza. Ogni membro dell’equipaggio valeva tanto più quanto più era abile e capace. Ovunque regnava il rispetto per il compagno, anche se, è giusto ammetterlo, a volte le esclamazioni di filibustieri come loro erano tutt’altro che cordiali.

    «Figlio d’una cagna scozzese, vedi ancora o ti si è bruciato l’unico occhio buono con cui guardi l’orizzonte?»

    Hasan aveva una voce possente e tre volte su cinque le sue attenzioni erano rivolte a McDowen, la vedetta della Eve. Il gigante mulatto e lo scozzese erano l’uno il contrario dell’altro; uno scuro e l’altro bianco; uno taciturno e l’altro logorroico; uno istintivo e l’altro razionale; uno un guerriero e l’altro uno stratega. Forse per questo avevano preso a provocarsi sin dal loro primo incontro e non erano mai stati capaci di smettere.

    Dall’alto della coffa McDowen diede inizio al suo solito turpiloquio, strappando più di un sorriso alla maggior parte dell’equipaggio che assisteva quotidianamente alle loro zuffe. Erano quasi sette anni che seguiva i vessilli del capitano Croix. Era stato uno dei primi membri della sua ciurma e non esisteva un sol uomo, sulla Eve, che non lo conoscesse come la propria mano.

    McDowen, del resto, non era uno che passava inosservato, e non soltanto perché era uno scozzese più che atipico o perché aveva scelto di solcare il mare nonostante venisse dall’isola di Oak, terra di leggende e di fantasmi, di uomini rapiti dal mare o trucidati nei modi più terribili dai pirati. Lui era innanzitutto una vedetta atipica, in quanto era convinto che osservare l’orizzonte con un occhio soltanto gli avrebbe permesso di avvistare la terra o le navi prima che con i due occhi. Era d’età abbastanza giovane, come tutti coloro che si avventuravano per mare, moro e basso come tutti gli scozzesi, ma a forza di restare al sole, appollaiato sulla cima della nave con un occhio perennemente chiuso, aveva assunto una strana espressione ingobbita a metà tra lo sveglio e il sognante. Nonostante la sua aria stranita, però, non aveva mai smesso di essere il primo ad avvistare la costa o i vessilli delle navi nemiche. Come avrebbe detto Hasan, inspiegabilmente.

    «Voi due, finitela, o dovrò ridurre le vostre parti di tesoro.»

    Il capitano Croix, attirato dalle grida acute di McDowen, era improvvisamente uscito dalla propria cabina ed era apparso alle spalle del suo primo timoniere per riportare la pace. Sulla Eve, infatti, vigeva un rigido regolamento, che ogni membro dell’equipaggio aveva giurato di rispettare. Non erano ammessi liti, risse, gioco d’azzardo o furti. Ognuno era tenuto a compiere il proprio mestiere, altrimenti era il capitano in persona ad intervenire e a riportare l’ordine.

    La pena, se qualcuno trasgrediva, consisteva nel far calare la sua parte di tesoro o, in lunghi tempi di magra, nell’attribuzione di faticosi lavori supplementari da scontare direttamente a bordo. Raramente, però, Croix si era visto costretto a punire qualcuno. Di norma, quando si prospettava anche soltanto l’inizio di una contesa, provvedeva tempestivamente a sanarla. Anche in quella occasione, infatti, era intervenuto prima che potesse accadere qualcos’altro, rimproverando Hasan e McDowen dalla sua minora statura.

    Era un individuo piuttosto particolare, il capitano Croix. Il suo fisico era minuto, tanto che le puttane di Siracusa – l’ultimo porto in cui erano stati sotto falsi colori – lo avevano canzonato parecchio, prima che lui trovasse il modo più appropriato per farle tacere. Questo, però, non significava che fosse meno abile in battaglia o meno pronto di riflessi. La velocità delle sue mani e dei suoi ragionamenti era famosa tra coloro che gli davano la caccia. La sua ciurma rideva ancora, quando di notte qualcuno osava sussurrare il nome dell’ultimo ufficiale con cui aveva avuto a che fare; ormai non occorreva nemmeno più menzionare il modo in cui era riuscito a raggirarlo togliendogli persino i calzoni. Per lo stesso motivo anche gli altri pirati di solito facevano in modo di stargli alla larga, poiché il capitano della Eve era sempre stato un uomo piuttosto scaltro, capace di trovare una soluzione – e un congruo guadagno – in ognuna delle situazioni che si era trovato ad affrontare. Anche nella più difficile.

    Hasan ne era un chiaro esempio. Era stato inviato contro di lui per ucciderlo, ma con un’abile mossa Croix era riuscito a portarlo dalla sua parte, a salvargli la vita e a metterlo nella scomoda posizione di dovergli ben più di un favore. Era per questo che, anche se era meno forte degli altri e anche se sembrava molto più giovane di quel che era a causa dei disordinati capelli scuri che spesso gli ricadevano sul viso, alla fine aveva ottenuto il pieno rispetto e la piena fiducia di tutta la sua ciurma.

    «Forza, viriamo verso il Regno di Sicilia» ordinò sereno. «E chissà che non ci venga incontro qualcosa di buono…»

    Vinto dal caldo si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti, lasciando che emergesse il tatuaggio che aveva sull’avambraccio destro; quello da cui aveva preso il nome che si era dato quando aveva scelto di percorrere la via del mare. Raffigurava una particolare croce dai lembi smussati a cuneo, sovrastata da un pericoloso serpente a sonagli. Alcuni lo chiamavano Il serpente di Eva, alludendo al nome che aveva scelto per la propria nave.

    «Nulla in vista, McDowen?»

    Vi fu un frusciare di cime e tessuti. Nell’atto della vira per un istante la vela maestra aveva perso il vento, ma Hasan fu veloce a recuperarlo. «Nulla, capitano!»

    «Conosco questo tratto.» La voce dell’artigliere norvegese Sven arrivò bassa e strascicata alle orecchie del suo capitano. Era seduto poco distante, all’ombra dell’albero maestro. Aveva le braccia incrociate dietro al capo e il cappello scolorito calato sul viso. A lato del collo spuntava una lunga treccia bionda, al di sotto di un modesto orecchino d’oro. La sua camicia era per metà aperta e stava masticando un pezzo di radice di zenzero. Se non avesse parlato, probabilmente qualcuno avrebbe creduto che stesse dormendo. La verità, però, era che Sven si stava preparando. «Presto avvisteremo qualche nave, ne sono sicuro.»

    Da quando un nutrito gruppo di andalusi musulmani si era trasferito a Tunisi, il commercio con il resto del Mediterraneo si era fatto estremamente florido. Non era raro incontrare navi spagnole o veneziane lungo quella rotta, anche se in seguito agli ultimi attacchi dei pirati le grandi nazioni avevano deciso di prendere maggiori precauzioni e di rimescolare un po’ le acque.

    «Non sei l’unico ad annoiarsi quando non si combatte da tempo» aggiunse Croix alla volta del membro più cruento e incontrollabile dell’equipaggio. Poi, ad un tratto, un grido interruppe il vociare della ciurma al lavoro.

    «Nave in vista!»

    Senza perdere tempo Croix si voltò nella direzione indicata da McDowen. Aveva ragione. Proprio sulla linea dell’orizzonte era comparsa la sagoma di un’imbarcazione piuttosto pesante. Nel giro di un istante coprì la distanza che lo separava dal parapetto. Si sporse appena nel tentativo di riuscire a vedere qualcosa in più, ma ancora una volta la vista della vedetta fu più acuta della sua.

    «È un brigantino, capitano» gridò infatti. «Reca i colori dello Stato Pontificio e lo stemma della famiglia Chillemi..»

    Croix sorrise compiaciuto. La famiglia Chillemi era una delle più ricche e potenti di Roma. C’era chi diceva che fosse persino vicina al Papa e quella nave, che proveniva da Oriente, aveva tutta l’aria di puntare dritta a casa dopo avere acquistato qualcosa di prezioso.

    «Grande stiva, grandi grazie» cantilenò saggiando le dimensioni spropositate del brigantino. Si leccò le labbra, pregustandosi già la conquista e tutto ciò che ne sarebbe seguito. «Moore, innalza la loro stessa bandiera. Hasan, portaci là.»

    Il ponte della nave si inclinò lievemente. Lo scafo infranse qualche onda a causa dell’improvvisa vira ed Eva, la polena della nave, si ritrovò con metà del proprio volto adagiato sull’acqua. Il timoniere impugnò saldamente i pomelli di legno in modo da impartire la nuova rotta, mentre il resto della ciurma si preparava all’assalto.

    Il marinaio semplice Moore, uditi gli ordini del suo capitano, corse in sottocoperta. Aprì un baule pieno di ogni tipo di bandiere, con anche quelle delle nazioni più piccole. Prese quella dello Stato Pontificio, metà gialla e metà bianca, e corse verso l’albero maestro per issarla sul palo rimasto nudo fino a quel momento.

    Ogni pirata che si rispettasse, infatti, doveva conservare insieme alla propria bandiera anche quelle delle altre nazioni, in modo da essere pronto a innalzare la più appropriata alla situazione. Era la prassi che molti briganti del tempo seguivano: si batteva la bandiera della nazionalità della nave a cui ci si voleva avvicinare, si rallentava fino a raggiungere la velocità di un classico peschereccio e poi, all’ultimo, si issava la bandiera pirata e, approfittando dell’effetto sorpresa, si abbordava la nave nemica. Era uno stratagemma molto usato, chiamato in gergo "ruse deguerre".

    L’equipaggio si armò, le vele vennero lasciate gonfiare libere e il capitano Croix si sciolse le maniche arrotolate della camicia per indossare la divisa blu della battaglia. Attesero il momento giusto. Ebbero pazienza. E quando la piccola e in apparenza innocua Eve fu abbastanza vicino all’Arcadia da essere certi che non avrebbe potuto sfuggirle, il capitano diede l’ordine tanto atteso.

    «Issare la bandiera nera.»

    La ciurma urlante abbassò la bandiera pontificia, intimorendo fin dal principio la nave nemica. Al suo posto comparve all’improvviso il volto minaccioso di un teschio bianco, su cui era avvinghiato un pericoloso serpente a sonagli. Quello, unito alle due sciabole che si incrociavano poco più sotto, era l’emblema della Eve.

    Hasan bloccò il timone della nave già in affiancamento per impugnare la scimitarra. Quasi in contemporanea alcuni marinai prepararono una manciata di battagliole per l’assalto.

    Sul ponte dell’Arcadia fu battaglia.

    CAPITOLO II

    Il Medaglione

    *

    Evelina Chillemi era una ragazza piuttosto intraprendente e anticonformista. Era figlia di un ufficiale molto potente e temuto, non aveva mai avuto paura di solcare il mare o di portare a termine incarichi delicati per conto della propria famiglia. Aveva visto l’Oriente molte volte. Aveva viaggiato a bordo di elefanti e cammelli. Aveva imparato a camminare nella Santa Sede, poco distante dal Papa stesso, e conosceva almeno sette lingue diverse. Era capace di tenere di conto – cosa assai rara per una donna – e non aveva mai esitato a chiedere che le fosse spiegata qualsiasi cosa non conoscesse. Aveva negli occhi il fuoco della vita, ma era ancora troppo giovane per poter dire di conoscere gli uomini e, prima ancora degli uomini, i pirati.

    Forse per questo, una volta catturata insieme all’equipaggio dell’Arcadia, non aveva avuto il buon senso di restare in silenzio e nascondersi dietro alle ampie spalle del capitano Martini, ma era finita con il mettersi in mezzo ai due equipaggi, a meno di un passo dal capitano della nave pirata che aveva osato assaltarli e dal suo sguardo decisamente divertito.

    Evelina raddrizzò le spalle, alzando il mento con fare indispettito. La battaglia che si era svolta a bordo dell’Arcadia aveva rovinato i suoi bei riccioli neri e sgualcito le sue vesti color smeraldo. Una delle ampie maniche che le scendevano fino al ginocchio le era stata strappata. Lo scollo quadrato era umido di sangue e d’acqua, così come le sue mani e il coltello che aveva stretto fino all’ultimo nel disperato tentativo di salvarsi e di dare tutto l’aiuto che poteva agli uomini che viaggiavano insieme a lei. Era stato per puro miracolo se non era finita in mare durante lo scontro, altrimenti la ricca gonna che indossava l’avrebbe resa così pesante da trascinarla per sempre sul fondo. Ma di questo, lei, non doveva essersi minimamente accorta. Lo dimostravano il cipiglio orgoglioso e lo sguardo ostile e caparbio, che pretendeva il rispetto che nessun pirata – o uomo – le avrebbe mai portato soltanto perché trasudava arroganza e sfrontatezza da ciascun centimetro della sua pelle.

    «Le hanno mai detto che non è educato fissare le persone?»

    Il capitano Croix rise divertito davanti al suo tono seccato.

    «Forse la situazione non le è ben chiara, madame. Non siamo a un ballo, né ad un the. Non siamo noi ad essere stati assaltati e ad aver perso la nostra bandiera, ma, soprattutto, non siamo noi a dover contrattare la resa e invocare clemenza.»

    Croix si leccò le labbra, guardandola. Aveva sperato di vederla a disagio mentre ridicolizzava la sua figura, ma non si era lasciata minimamente intimidire. Non era arretrata e non aveva accennato a distogliere lo sguardo da lui, lasciandogli l’unica alternativa di essere ancora più chiaro.

    «Suvvia, fatevi da parte e permettetemi di parlare con l’ufficiale di bordo, da capitano a capitano.»

    Il capitano Martini, il responsabile dell’Arcadia, fece un passo in avanti barcollando appena. Era senza cappello e aveva la giacca strappata in più punti. La camicia bianca era intrisa di sangue poiché era stato ferito durante la battaglia. C’era un uomo al suo fianco che lo aiutava a reggersi in piedi, ma pareva ancora lucido. Evelina lo bloccò con un cenno della mano.

    «Per un ufficiale è lecito chiedere un colloquio con un altro ufficiale. Per un infame pirata basterò io.»

    Dalla ciurma della Eve si alzarono delle risate e dei fischi, che Evelina provò vanamente a mettere a tacere con una cruda occhiata.

    Croix fece un passo verso di lei, annullando lo spazio che li separava. Ancora una volta la ragazza non indietreggiò e non accennò ad abbassare il capo. Ricambiò invece lo sguardo del pirata con la medesima intensità, come se dopo aver combattuto con lui armata soltanto di un coltello la battaglia tra di loro non si fosse affatto conclusa, ma stesse continuando ancora.

    «Ne siete davvero certa, madame? Dalle risposte che mi darete dipenderanno le vite di quegli uomini.»

    Croix indicò con un cenno del mento tutti coloro che si trovavano dietro alla giovane. Si trattava di una sessantina di uomini in tutto, di età variabile tra i tredici e i quarant’anni. Erano uomini che Evelina conosceva bene, che erano salpati da Roma insieme a lei ormai due mesi prima e che dopo un interminabile viaggio era fermamente decisa a riportare a casa.

    «Fatemi le domande che dovete. Io vi darò le risposte che vi spettano. La condizione è una soltanto: la libertà dei miei uomini.»

    «E in cambio di cosa, di grazia?», sbottò Croix contrariato. «La vostra maledetta nave non trasportava nulla a parte qualche cima di ricambio, delle vele e una manciata di barili di polvere da sparo. Non avete alcuna merce da scambiare per le vostre vite.»

    Evelina gli sorrise, sfidandolo.

    «Questo lo dite voi. Una scialuppa, cibo e acqua per sette giorni. Questo è quello che chiedo in cambio.»

    «In cambio di cosa?»

    «In cambio di me. Io sono il carico dell’Arcadia.»

    «Voi?» Il capitano rise, seguito a ruota dai suoi uomini. «A La Rochelle ho trovato femmine molto più attraenti di voi e senza alcuna scopa infilata su per il culo!»

    Evelina arrossì appena davanti alla

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