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Bagaglio a mano
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E-book148 pagine1 ora

Bagaglio a mano

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Info su questo ebook

Il bagaglio a mano è quello che ognuno può portare sempre con sé. Contiene le cose essenziali, quelle che ti sono necessarie per un viaggio e le chiavi per aprire la tua casa, al ritorno. Le valigie sono destinate prima o poi ad arrivare in ritardo, se non proprio a smarrirsi. Il bagaglio a mano, no: resta sempre nella tua disponibilità, anche durante un volo. Per questo può essere considerato esso stesso la metafora del viaggio: conserva durante, ma anche dopo, tutto quanto hai preso con te e in te, l’esperienza della gente e del mondo che hai potuto fare. E, dunque, le impressioni che hai tratto dal tuo cammino. Anche se è poco o se lo hai vissuto quasi inconsapevolmente, o in modo parziale, esso va a comporre e nutrire il libro della vita, quello che tu solo puoi sfogliare. Magari, ricominciando ogni volta da capo.
Città, regioni e paesi visitati: Argentina, Asinara, Budapest, Canada, Egitto, Galapagos, Granada, Islanda, Lisbona, Nizza, Praga, Russia, Sicilia, Sud Africa, Stati Uniti di America.
LinguaItaliano
Data di uscita3 apr 2014
ISBN9788869092169
Bagaglio a mano

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    Bagaglio a mano - Vincenzo Troiani

    Vincenzo Troiani

    Bagaglio a mano

    ISBN: non disponibile

    Questo libro è stato realizzato con BackTypo

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    Nota dell'Autore

    Galàpagos

    Sul Nilo

    Budapest

    ​L’America che ho visto

    Praga

    Aspettando S. Pietroburgo

    Come l'Aloe

    Islanda

    Il Porto

    Nizza

    Granada

    Lisbona

    Asinara, Sardegna

    Argentina

    Quarta di copertina

    INTRODUZIONE

    di Rossella Coarelli

    Una strana sensazione suscita la lettura di un Vincenzo Troiani in prosa, assorto in un diario di viaggio che suona privato o per i pochi che con lui hanno condiviso il suo andare.

    Non ho potuto fare a meno di cogliere una similitudine tra l'andare per mete lontane e tanto difformi e lo scivolare da un libro all'altro che fa chi, invaghitosi di Calliope, parte alla scoperta di poeti infinitamente diversi tra loro e vissuti in differenti epoche, in un viaggio letterario apparentemente senza criterio di scelta. Solo apparentemente, scrive infatti Troiani: «Un viaggio comincia molto prima della sua partenza. Nella cultura, o nei pregiudizi che un paese porta con sé, ed esprime nelle sue cose, in ciò che noi cerchiamo, senza saperlo, nello stesso configurarsi del suo paesaggio». Niente di più vero, tenendo sempre d'occhio il bagaglio a mano che ognuno di noi porta con sé, ossia la propria cultura e i propri pregiudizi.

    Tante ed intense sono le emozioni fissate nel taccuino, dove il tema dell’immortalità e della caducità costituisce un intreccio espresso attraverso un’immagine ricorrente: la pietra.

    La visita in Egitto ne è un ottimo esempio. Lì il senso di tanta memoria resta anche una domanda sospesa nel confronto fra religioni: «...manca un qualche accenno alla redenzione...». Le pietre sono il passato inabissato nel silenzio, nell'ignoto silenzioso come «l'obelisco immerso nella sua stessa pietra e ad essa legato». Osservate acutamente esse restano altro da ciò che si volle che fossero. Vano lo sforzo di affidare loro la grandezza immortale, e particolarmente efficace è l'idea del sarcofago che appare piuttosto «un sudario di pietra nera per qualcuno che sembra stringersi nelle spalle, sfilarsi da tanta monumentalità!».

    Ugualmente toccante il senso di precarietà di fronte al silenzioso e perenne defluire dei grandi corsi d’acqua; così sulle rive del Nilo come sulle sponde del Danubio si medita: «si sta e si passa altrove, e resta a memoria qui nel mondo solo pietra».

    E nel raggiungere e poi percorrere paesi lontani, a volte accade che, assieme alla curiosità, dal bagaglio spunti un lembo di diffidenza che Troiani, in verità, non si affretta a celare. America: qui il viaggiatore giunge prevenuto; si avvicina al nuovo mondo con prudenza e spirito decisamente critico. Ma è tutto vano: dalla valigia pressata da cautela e sospetto iniziano a uscire, come fragranza, le immagini della mente: l'impeto della cascata, dapprima impetuosa, si stempera ma non muore e una nuvola si leva e sale verso il cielo come un'idea; e nella prateria si tenta di ascoltare lo spirito del popolo indiano. E' la natura che riconcilia con questa terra, con questo popolo che, si legge, «parla il linguaggio dei films, con questi perenni adolescenti che esagerano in tutto ciò che costruiscono; la natura che si estende tra l'oceano e le distese del deserto».

    Nell’andare attraverso i paesi dell'Est europeo (Praga, la Russia) torna ancora con evidenza la suggestione personale dello sguardo con cui viene scrutato il territorio, su ciò che si cerca, senza saperlo, e si vorrebbe trovare. Si inseguono chiese e cupole, si sente ancora il profumo della religiosità che ha pervaso quelle città, le strade; è quella che viene cercata, rincorsa: «il nostro andare somiglia sempre più, nella sostanza, ad un pellegrinaggio […] Cerchiamo di avvicinarci all'attualità della vita di un popolo e inciampiamo invece nelle pietre e negli ori di un tempo che sembrava ormai remoto».

    Ma improvviso un nuovo scenario. Un abbagliante insieme di colori e un diverso luccichio colpiscono gli occhi quando il contrasto tra le emozioni date dall'immobilità delle antiche pietre e l'entusiasmo eccitato di fronte alla pienezza della vita animale e vegetale si mostra appieno. Nelle Galapagos, le isole da cui si ergono i vulcani, maestosi custodi; quello di Quito avvolto dalle nuvole: «ancelle capricciose per un vecchio gigante che sonnecchia, con la sua mantella di neve e, di tanto in tanto, sussulta e si scuote quando esse dileguano, scacciate dall'invidia del sole».

    O in Africa, dove la natura è sovrana e prende tutta l'attenzione, dove «le gazzelle ti osservano con curiosità e distacco, a dirti che, in questa terra senza visibili confini e senza tempo, c'è posto anche per te […] dove nella notte scopri un cielo così vicino e così limpido che ti sembra un altro cielo,[…] dove il creato è poesia tanto appagante che l'anima stordita si limita a dire: nel silenzio quasi assoluto di questa terra sconfinata puoi comprendere come il tempo sia un'entità puramente convenzionale e l'eternità molto meno misteriosa di quanto si è portati a credere».

    E muove alla commozione anche un tenero ciuffo di timo spuntato dalle pietre frantumate del ghiacciaio di Vatnajokull, in Islanda.

    Infine l’Italia. Tra le nostre isole, soleggiate e bagnate dal mediterraneo, la Sicilia evoca meglio la vita e il respiro racchiusi nella terra. Qui si sente forte la "suggestione delle pietre, che di volta in volta sono pietre a terrazzo; pietre che si fanno macine per trasformare il grano; pietra friabile e calda; pietre eleganti e mute, tradite però dagli dei; pietre di arenarie che conservano la nostalgia del mare; pietre autorevoli e allo stesso tempo patetiche". Mentre in Sardegna vivono ancora antichi eroi, i nuraghi «che hanno resistito al vento dei millenni, perchè sono sempre i sassi che sono chiamati dagli uomini a resistere».

    Come ho cercato di dire, chi segue il viaggio si trova ad attraversare anche il lussureggiante territorio interiore del nostro narratore il quale, a momenti di cruda realtà (Mandela, Borsellino, L'Asinara, lo sterminio degli Indios di cui, si legge, non c'è segno neanche nelle pietre) alterna, quietando l’animo, le sue belle poesie (es. Tutankamon, Gran Canyon, Argentina) e tante e tante agili metafore che a mio parere vanno a formare il vero corpo del diario; basti come esempio quella bellissima con cui l’autore presenta Lisbona: «aperta al grande mare e alle sue magie, indifesa come una madre bambina che vede i suoi figli scherzare e giocare, dalla nascita, con l’oceano e le sue fiabe, con quelle acque che restano appena più in là del giardino dei sogni della propria casa».

    Il viaggio, dunque, diviene anche luogo dell'anima e occasione per Troiani di poter giocare con innata facilità tra immagini e parole, elaborando così quel sentirsi lontani e fuori da casa «debitori, anzi questuanti, in qualche modo incompiuti e con il ritorno nel cuore».

    Rossella Coarelli

    Nota dell'Autore

    Il bagaglio a mano è quello che ognuno può portare sempre con sé.

    Contiene le cose essenziali, quelle che ti sono necessarie per un viaggio e le chiavi per aprire la tua casa, al ritorno.

    Le valigie sono destinate prima o poi ad arrivare in ritardo, se non proprio a smarrirsi.

    Il bagaglio a mano, no: resta sempre nella tua disponibilità, anche durante un volo.

    Per questo può essere considerato esso stesso la metafora del viaggio: conserva durante, ma anche dopo, tutto quanto hai preso con te e in te, l’esperienza della gente e del mondo che hai potuto fare.

    E, dunque, le impressioni che hai tratto dal tuo cammino.

    Anche se è poco o se lo hai vissuto quasi inconsapevolmente, o in modo parziale, esso va a comporre e nutrire il libro della vita, quello che tu solo puoi sfogliare.

    Magari, ricominciando ogni volta da capo.

    Galàpagos

    .1.

    Ci avviciniamo ad un rigurgito di terra: isole, isolotti e scogli aggruppati a cavallo dell’equatore, mille chilometri ad ovest dell’America del Sud.

    E’ come se cercassimo il cuore incorrotto del mondo, l’emozione ingenua di ogni inizio, gli istanti che il nostro delirio brucia indurendo di calce la terra. E, dunque, i segni misteriosi di ciò che invece fa nuova la terra.

    Il traghetto si avvicina lentamente, quasi riluttante a tessere la sua trama fra le isole.

    Oggi, qui, il mare somiglia ad un braccio di fiume: se non fosse per una mangrovia, una specie di nuvola verde carica di uccelli, sospesa nella corrente, quasi a metà, incapace di scegliere una riva. E se le sule non avessero deciso che quella era l’ora di andare a pesca, tuffandosi tutte assieme, in picchiata, come squadriglie di aerei da combattimento.

    Sorrido: non è vero che abbiamo il monopolio dell’organizzazione.

    Esse spingono e compattano i pesci impauriti perché altri possano catturarli più facilmente.

    Per tutti.

    .2.

    Avevamo trascorso una settimana visitando l’Equador, immergendoci nella realtà che si propone ai turisti, sempre colorata, mai totalmente vera.

    Il mercato e le chiese: solo essi lasciavano intravedere quella sorta di discontinuità che fa vive le cose, che ti accosta ai problemi dei luoghi e della gente.

    Quito e la chiesa dei Francescani, con il pavimento di legno ruvido, al naturale, come se dovesse essere ancora completata. Dopo cinquecento anni.

    Con i suoi poveri alloggiati in una costruzione adiacente al chiostro, che uscivano attraverso di esso, tutti in ordine al mattino, con un panino e un soldo nella mano.

    E una benedizione impartita al termine della messa che era quasi un battesimo, considerata la quantità d’acqua riversata sui fedeli.

    I mercati, invece, esprimevano la condizione normale, comune a tutti i popoli della terra, del luogo dal quale devono trarsi alimenti, vestiario e il piccolo profitto degli scambi.

    Il luogo dove puoi cogliere alcuni dei costumi e l’indole di un popolo anche nel riserbo di chi espone la sua mercanzia ma non si lascia fotografare dai turisti, o nella intraprendenza di chi invece cerca di cavarsela domandando un dollaro per far riprendere il suo lama.

    Non mancano certo, nelle grandi città, supermercati ben organizzati e pieni di merce, custodita

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