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L'isola delle correnti
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L'isola delle correnti
E-book203 pagine1 ora

L'isola delle correnti

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Info su questo ebook

Sono gli orizzonti urbani a percorrere le pagine di questa raccolta, dove il reportage di viaggio tralascia il ritmo del diario per catturare l'impressione di un momento: a Budapest è il calore di un bagno termale, ad Aleppo l'odore del suo sapone… dettagli che misurano la dimensione emozionale dell'andare rivelando l'identità delle città incontrate. Alcune sono fatte d'acqua e vivono affacciate all'oceano, invitando alla partenza; altre sono percorse da venti e da gabbiani; altre ancora, infine, sono legate alla terra ed è camminandoci dentro, tra gli odori di cibo e di mercato, che si incontra la strada per tornare a casa.
LinguaItaliano
EditorePOLARIS
Data di uscita20 nov 2015
ISBN9788860591678
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    Anteprima del libro

    L'isola delle correnti - Manuela Curioni

    L’ISOLA DELLE CORRENTI

    racconti di viaggio

    Di

    Manuela Corioni

    I disegni sono dell’autrice

    Prima edizione cartacea: 2014

    Prima edizione ebook: 2015

    Copyright ©2015 Polaris

    ISBN 9788860591678

    Casa Editrice Polaris

    www.polariseditore.it

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte dell’opera può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, o registrata in database, senza il permesso scritto dell’editore.

    Benché sia stata prestata la massima attenzione nella raccolta delle informazioni contenute nella guida, nessuna responsabilità per eventuali danni o inconvenienti occorsi a cagione del suo utilizzo potrà essere imputata all’autore, all’editore o a chi, sotto qualsiasi forma, la distribuisce.

    Sommario

    Prologo

    La partenza

    Le Norie dell’Oronte

    Inverno veneziano

    Sulle rive del lago Turkana

    Luce del Nord

    Il bagno turco

    Le anatre del Regnitz

    La peche c’est mauvaise

    Il profumo dei chocos

    La sposa bambina

    Il paradiso terrestre

    Acqua e cenere

    Il villaggio bavarese

    Aguateca

    La fotografia

    L’oasi

    La città più piccola del mondo

    All’ombra del vulcano

    Il cantastorie

    La tomba fantasma

    L’orto dei frutti dimenticati

    Odore di suq

    Templi, scimmie e foreste

    La pizza volante

    Le voci di Granada

    Preghiera tibetana

    La città sul Bosforo

    Il cielo di Tozeur

    Il deserto più triste del mondo

    Alla ricerca del sapone perduto

    La Casa dos Pastéis de Belém

    Stupore africano

    Columbia Road

    Il paese fra le montagne

    La via dei presepi

    Puna andina

    La capitale dei Nabatei

    Il mercato dei fiori

    I cortili della storia

    Louis

    Notte bianca

    Calma berbera

    I sentieri del colore

    Uova di Pasqua e ricordi di bambina

    Il letame di Thame

    Il viaggio

    Il ritorno

    Prologo

    I capperi dovevano profumare di sale, sull’Isola delle Correnti, perché lì intorno tutto era intriso di salsedine, l’aria, la sabbia, le rocce che affioravano dai due mari... quel gusto salino ti si appiccicava addosso come una seconda pelle.

    Mi era piaciuta l’idea di camminare su quella minuscola isola davanti alla quale si fermava uno dei sentieri più lunghi al mondo, dopo un viaggio di oltre seimila chilometri attraverso le Alpi e gli Appennini. Anche se il Sentiero Italia non l’avevo percorso, bastava arrivare in vista dell’Isola per capire che quello era il finis terrae, l’ultimo approdo per occhi e piedi prima del confine incerto dell’acqua.

    Quando era la pazienza dell’uomo a vincere, la terra entrava nell’acqua con una lingua di pietra e raggiungere l’Isola diventava una sfida tra ragazzi, con le correnti che annodavano spirali liquide intorno alle gambe. Ma quando era la forza dei due mari a prevalere, quel guscio di conchiglia su cui crescevano capperi e porro selvatico rimaneva isolato. L’avevo vista così, l’Isola delle Correnti, circondata dal Mediterraneo e dallo Ionio che l’abbracciavano come due amanti gelosi, rendendola irraggiungibile.

    Respinta dai flutti mi ero accucciata in vista dell’Isola e del profilo del suo vecchio faro, che occupava, con la mole di un fortino in stato di abbandono, quasi l’intero perimetro. Le onde del Mediterraneo lambivano le coste occidentali, solcate da appassionati di kite surf i cui aquiloni vibravano come polmoni gonfi d’aria: erano onde adulte e cattive. Quelle dello Ionio, invece, bagnavano l’Isola da oriente, dopo aver viaggiato lungo un tratto di costa dai bassi fondali che non offriva il riparo di una spiaggia: erano onde bambine e capricciose. Assistevo, proprio di fronte a me, all’incrocio dei due mari che dava il nome all’Isola: nello scontro ciascuno smorzava la rincorsa e lasciava che le correnti si annullassero in uno strano mugghio di acqua che ribolle. Pochi secondi di tregua e già intravedevo lo slancio delle onde successive, in una marcia ostinata e senza senso come lo sono certi destini. La lotta tra i flutti gettava al vento riverberi d’acqua che raccontavano di arrivi e di partenze. Era stato allora che avevo ripensato ai miei viaggi, agli arrivi e alle partenze con cui avevo attraversato confini e città per scoprire come l’uomo si fosse adattato all’ambiente finendo per addomesticarlo. Mi tornavano in mente le città da cui si parte, protese verso l’orizzonte come la cittadella di Bonifacio, e le città a cui si fa ritorno, come quella natale. Rivedevo le città cresciute intorno all’acqua, ragnatele di fiumi e di canali tra cui Budapest e Venezia, e le città che appartenevano invece all’aria, come Granada e Istanbul, percorse da voci e da gabbiani. Ripensavo a luoghi leggendari generati dalla terra e dalla fantasia degli uomini, Aleppo... Timbuctù..., per inseguire i quali in molti avevano rischiato la vita; ma pensavo anche a minuscoli posti sconosciuti come Chaunaca e Thame, così nascosti nel grembo di vallate di montagna da non sfiorare neppure in sogno i viaggiatori.

    E sopra l’insieme dei ricordi, sopra le piazze e i mercati, le strade, gli odori di cibo e i volti della gente, sopra a tutto questo si accavallavano le immagini delle città magrebine e del Medio Oriente, dopo quei mesi di sangue che avevano dato ai miei appunti di viaggio il senso che qualcosa fosse finito per sempre, un certo modo di andare in giro per il mondo che ci aveva lasciato ignoranti, noi viaggiatori occidentali, sulla sete di libertà che serpeggiava in quelle terre. Chissà se le parole del signor Rashid Al Halak risuonavano ancora nella penombra dell’antico caffè, davanti al fumo dei narghilè e all’odore di felafel, e se sarebbe esistito un tempo in cui il Cantastorie di Damasco avrebbe narrato le gesta non di personaggi di fiaba ma di uomini in carne ed ossa, che un giorno avevano dato la vita perché credevano in un mondo migliore.

    Il vento vorticava intorno all’Isola delle Correnti, mischiando ricordi e albatros sulla costa della Sicilia; su quella sabbia bagnata, dove si era arenato il mio viaggio, le labbra del mare depositavano conchiglie.

    Un viaggio parte dall’acqua, fin dalla notte dei tempi.

    Prima di ogni mezzo di trasporto fatto da ruota di bicicletta,

    dorso d’animale o veicolo a motore,

    c’è sempre stata un’onda ad aspettare il piede dell’uomo

    che desiderava andare oltre la geografia dei continenti,

    diventando esploratore.

    Le città d’acqua hanno movimenti insoliti:

    sciabordii, risacche, gorghi e marosi;

    vivono affacciate all’oceano o sono attraversate da fiumi e canali

    che separano e uniscono, come le maree.

    Sono città che vanno alla deriva portandosi dietro

    altalene di onde trascinate come pesci, all’infinito.

    Il mare che circonda Bonifacio, nel sud della Corsica,

    è acqua che invita alla partenza, alla fuga in avanti

    con lo sguardo per cercare quello che non si vede ancora,

    ciò che si nasconde oltre la linea dell’orizzonte.

    La partenza

    Da qualunque punto la osservavi, non importa se di mare o di terra, la cittadella appariva sempre irraggiungibile, maestosa e fragile al tempo stesso come le falesie su cui era stata costruita. I suoi balconi protesi sopra il vuoto lasciavano lo sguardo libero di dilagare sino all’orizzonte, ma era impossibile varcare quel confine d’acqua senza immaginarsi una partenza, di quelle che ogni persona sa essergli riservata almeno una volta nella vita.

    Una partenza così improvvisa da non lasciare nemmeno il tempo di un saluto, ché sarebbe sufficiente a conoscere rimpianti e a provare paura per lo sconosciuto che ci aspetta. Una partenza da sognare come il volo d’un gabbiano, forte e teso contro il vento che la sera sospinge verso il calcare bianco.

    Una partenza che non conosce arrivi, e supera d’un fiato la costa dell’Italia che la foschia avvolge in penombre fumose, e si lascia alle spalle i riflessi delle acque, le falesie mangiate da venti secolari, le case alte e strette a inventare lo spazio per viverci, in cima a scale ripide di cui non vedi la fine, le persiane aperte su fili di bucato che qualcuno ha dimenticato ad asciugare, e sul corpo di una donna araba che si gode il passaggio della gente sotto la sua finestra, mentre forse prova nostalgia ripensando a una strada di sassi bianchi che attraversa una città

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