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Scivolo sull'arcobaleno
Scivolo sull'arcobaleno
Scivolo sull'arcobaleno
E-book318 pagine5 ore

Scivolo sull'arcobaleno

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Info su questo ebook

Matteo è alla finestra, guarda il mondo che scorre davanti a lui. Davanti ai suoi occhi gli ultimi tre anni, le persone e gli strani avvenimenti che gli hanno stravolto la vita e le convinzioni più radicate dentro. Tre anni di droghe, ossessioni, amori, errori; tre anni nei quali tutto quello che lo ha attratto e al quale non ha saputo resistere gli ha presentato il conto, stravolgendo il suo comunissimo equilibrio da trentenne fiorentino.
È alla finestra, le immagini gli scorrono davanti confuse, profonde, scie di colori, emozioni e ricordi che piano piano si ricompongono dentro di lui e ritrovano un senso.
La storia ruota attorno alla sua relazione con Serena, una ragazza completamente fuori dalle righe, con la quale ha una relazione che lo devasta completamente, trasformando la sua vita in una confusione totale. Serena è una persona magnetica, estremamente profonda e intelligente; il problema è che la sua anima è come in balia di se stessa, come impossibilitata a stare alle regole del mondo che la circonda.
Amandola Matteo, dopo due anni di sofferenza, impara che l'amore è qualcosa a cui non ci possiamo attaccare come fosse eterno, e che non possiamo controllarlo. L'amore è ovunque i nostri sensi e la nostra mente arrivano. Il suo contrario non è quindi il non amore, come recitano i protagonisti dei romanzi rosa: il vero contrario dell'amore è la paura, quell'istinto di sopravvivenza che ci impedisce di abbandonarsi a un'energia così profonda da mettere a repentaglio un equilibrio che, per quanto lo riteniamo essere imprescindibile, in realtà è piccolo e limitante .
Matteo è alla finestra, scorrendo la storia con Serena si rende conto di come la sua luce lo abbia profondamente cambiato, liberandolo da tutte quelle convinzioni e paure che gli impedivano di essere se stesso.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2014
ISBN9788869091094
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    Anteprima del libro

    Scivolo sull'arcobaleno - Matteo Cianci

    reale

    SCIVOLO SULL’ARCOBALENO

    Guardo da sempre la realtà con aria un po’ emozionata, come fossi innamorato di qualcuno che ancora non conosce i miei sentimenti.

    Non ci sono motivi particolari per cui mi porto dentro questa sorta di lieve tensione continua. Mi piacerebbe ogni tanto avere uno psicologo davanti, vorrei delle risposte a tutto, Freud la chiamerebbe forse razionalizzazione, quel meccanismo che consiste nel trasformare un sentimento considerato scomodo in una serie di spiegazioni razionali con l’obiettivo di non sentire tale stato d’animo. Oddio, non è esattamente una spiegazione scientifica e si può dire che, nonostante la semplicità del concetto, a livello prettamente cognitivo non è così semplice capire come mai agiamo in determinati modi. È proprio questo che mi emoziona: la natura umana, trovo una cosa eccitante scoprire i nascondigli che le persone si costruiscono per adattarsi alle circostanze. Forse sono anche bravo a farlo, questo non lo so; il fatto è che mi reputo una persona piuttosto intuitiva ma al di là di questo resto comunque un uomo (certo che quando mi impegno sono proprio chiaro). Pi esse, sto pensando ad alta voce, o meglio, sto scrivendo quello che mi passa per la testa un po’ a random (tanto per usare un termine moderno), quindi non sto dando spiegazioni con base scientifica, si tratta di pensieri che scivolano lievi nella mente. Insomma, volevo dire che noi uomini siamo più razionali, più portati per natura a credere alla ragione che all’istinto, esatto contrario del nostro acerrimo amico sesso femminile.

    Ok, adesso i miei pensieri hanno preso una strada senza sfondo e questo è un tipico esempio di razionalizzazione di cui parlavo prima (spero che nessun bravo psicologo legga mai questa roba): sono partito parlando di uno stato d’animo e sono finito a cercare spiegazioni razionali sulla natura umana miste alla mia ipotetica sensibilità. Se la memoria non mi inganna potrei coinvolgere un altro meccanismo di difesa simile, detto intellettualizzazione. Va bè, mi sto intortando, per chi vuole ulteriori spiegazioni esiste Wikipedia.

    Sono in piedi davanti alla finestra, guardo incantato il mondo che scorre: ho bisogno di razionalizzare.

    Serena, la persona più immensa e incomprensibile che abbia mai conosciuto.

    Bassa e bionda, capelli lunghi fino a metà schiena, gambe corte e vivaci nei movimenti, faccia fondamentalmente persa nel niente, come stesse capendo importanti verità di cose sfortunatamente non riguardanti questo pianeta; spesso portava i capelli raccolti, cosa che sa di ragazzina o tenuta casalinga per tanti, ma a me piace da morire. Può sembrare contraddittorio ma è proprio la semplicità dei tratti e la leggerezza degli atteggiamenti che scatenano l’animale che c’è in me (sessualmente parlando intendo). Sono un po’ timido, per cui ad entrare nei dettagli mi ci vorrà un po’ di tempo; sembrerà assurdo, ma, secondo me, scrivere è come relazionarsi con una persona, per prendere confidenza ci vuole un po’. Siamo all’inizio, non è neanche detto che succederà comunque, dipende dal feeling che si creerà con la storia che sto raccontando. Se qualcuno non credesse al fatto che tra chi scrive e la storia che sta scrivendo possa esserci imbarazzo, allora si fotta! Non ha un cazzo di fantasia, che legga i trattati d’economia. L’altro giorno un amico, gli voglio bene tra paretesi, mi ha fatto una scenata assurda perché sostengo da sempre che il sapore del ketchup mi sta antipatico. Lui dice no, che cazzo vuol dire? Il ketchup non è una persona, come cazzo può starti antipatico? È una persona che ha un carattere a tratti da prendere con le molle, ma il concetto è questo: invece di leggere la mia storia, che si legga dei libri sulla sovrapproduzione di scarpe in Cina. Io rigiro tutto quello mi che passa per la mente, lo apro, lo sciabordo bene, lo metto nel verso contrario e poi ci fo luce. E vaffanculo.

    Serena, una forza della natura, mi faceva ridere, quando s’arrabbiava e soprattutto quando parlava seriamente, come avesse la dote di colorare di allegria le cose complicate. Ogni volta che la penso arrabbiata ho in testa l’immagine di lei che dipinge la persona che sta prendendo di mira su un muro e poi la spregia che ne so..con dei piselli nel naso e negli orecchi. Mi dava l’impressione che non potesse essere mai seria fino in fondo e, per quanto lei facesse finta di risentirsi quando glielo dicevo, credo ne fosse perfettamente consapevole anche lei.

    Ma c’è una cosa che nessuno mai per me come lei: la serenità (e non è un gioco di parole) che mi faceva sentire dentro. Io sono un tipo apparentemente tranquillo ma sotto sotto sono molto emotivo, una persona un minimo empatica lo vede che c’è del rifrullo nel mio stomaco. Ecco, quando lei era con me lo trasformava da frullatore impazzito in silenzioso mattino sulla spiaggia d’estate.

    Quel giorno la guardavo così, in un modo un po’ sfuggente, probabilmente anche un po’ serio, e lei come niente fosse mi riguardava distratta, tirando a volte su la parte inferiore della bocca e gli occhi quando poi si voltava. Mamma mia quant’era carina, sento la vista e una parte della mia anima svanire al solo pensiero, ho bisogno di respirare a fondo per rimanere attaccato al mio corpo e non perdermi nella valanga dei miei sentimenti.

    Era mattina presto, ero a farmi le analisi del sangue in ospedale. Era il numero prima del mio per cui uscimmo insieme da due stanze adiacenti. Mi chiese di riaccompagnarla a casa e lo feci. Era buffa, parlava con un tono che era al tempo stesso distaccato e confidenziale, come si può parlare ad un fratello o ad una sorella la mattina appena svegli. Stavamo arrivando a destinazione e gli chiesi di fare colazione insieme.

    Ero in un periodo sentimentalmente statico, trombavo quindi tra poco e nulla e il casino ormonale che avevo addosso (comunemente detto voglia di fica) mi aveva portato ad approcciarmi a ragazze facili ma tristi, di quelle che ostentano sicurezza in se stesse e la danno a tutti solo perché devono tappare un vuoto interiore che se ne sta al buio, in un vago silenzio interiore. Ecco, tramite una dose continua di freddissimo sesso si crea probabilmente dentro di loro un ronzio e una foschia che permette di nascondere lo spauracchio della nullità interiore che le appartiene. Spero non me ne vogliano, mi dispiace per l’eccesso di franchezza ma erano tutte così stronzette e sicure di se che proprio non riesco a non essere spietato.

    Esattamente un secondo dopo che la soddisfazione pura e semplice arrivava, esattamente un secondo dopo, mi guardavo intorno e tristemente mi chiedevo, o mio dio, ma che cazzo ci faccio qua? Era un periodo buio, ogni qualvolta mi piaceva una ragazza mi svaniva il coraggio, non stavo bene e questo mi portava a non cercare le cose giuste per me.

    Con Serena è stato come un arcobaleno improvviso, mi trovavo in macchina con questa sconosciuta e mi prese improvvisamente voglia di chiacchierare, di fare, di.. non lo so, mi ricordo che appena mi ha detto ok, conosco un posticino che fa delle paste buonissime, il primo pensiero è stato cazzo, tra una mezz’ora vorrà tornare a casa! E già mi dispiaceva.

    Quella mezz’ora andò come da premessa, mi ero acceso e non riuscivo a spengermi, volevo chiacchierare e ascoltarla nello stesso tempo, come se divorando il tempo questo potesse durare più a lungo.

    Tornai a casa con l’arcobaleno negli occhi e ancora adesso quest’immagine la custodisco gelosamente dentro di me, è quello che mi porto nel cuore di lei.

    Ci sono luoghi dentro di noi in cui tutto è come incantato e assoluto, in cui qualsiasi cosa prende il suo posto come in un tetris, dove i pezzi scendono lentamente sfumando in tutti colori possibili. Mi guardavo intorno e mi domandavo se avessi mai visto le case, guidato una macchina; chissà se avevo mai lavorato o preso un treno, ero realmente convinto di aver mai camminato per strada? Niente, era come se il mondo non l’avessi mai visto, anzi, ero sicuro di non averlo mai fatto.

    I giorni seguenti sono stati una scoperta continua, viaggiavo a mezz’altezza. In faccia avevo stampato continuamente un’espressione da ebete, ricominciavo a filosofeggiare sulla vita come facevo a vent’anni, come se cose tipo lavoro, stabilità, posizione sociale o cagate del genere non fossero più importanti, cosa che in teoria pensano tutti ma, in pratica, io realmente mi sentivo abbastanza sfrontato da poter mollare tutto per un sogno o ribaltare qualsiasi tavolo per una profonda convinzione. Parlo a livello ipotetico ma il concetto è quello. Avevo un’energia così forte e pulita dentro di me che l’unica cosa importante era vivere, e mi sentivo disposto a fare qualsiasi cosa pur di farlo.

    Serena, che cos’era? Non riesco a spiegarlo, esplodeva di pace, ti travolgevano i suoi silenzi e soprattutto il sesso.. no dai, era un genio, sapeva cosa fare, quando e come farlo, può sembrare banale ma era pazzesca; non entro nei dettagli perché non sono quelli che mi sono rimasti dentro in modo nitido, ma era una che ne aveva conosciuti di uomini e lo capii subito. Mi guardava dentro, trovava la legna da ardere, l’acqua per spengere il divampare di un incendio, curava le ferite e parlava dove sentiva il suono del silenzio, lo faceva in modo naturale. In testa ho il suo sguardo nel momento in cui sfuggiva, la sua risata mentre si scioglieva lieve, la tranquillità che emanava e quell’uragano che divampava improvviso dal suo corpo, come la sua anima la travolgesse senza controllo.

    Non riesco a smettere di guardare il cielo.

    Dopo tre giorni mi chiamò da un numero fisso, il prefisso non era del mio distretto ma non ci feci caso.

    - Ciao – il tono era apparentemente imbarazzato ma in realtà non lo era per niente. - Senti, alle 8 passeresti a prendermi alla stazione? – non disse altro.

    Abbiamo fatto se non mi sbaglio circa 250 km quella sera. A me piace guidare, cominciammo a parlare e io non mi fermai per 3 ore, lei non disse niente. A tratti ci prendevamo per la foga di dire la propria opinione prima dell’altro, eravamo sconcertati dalla meraviglia di scoprire di essere sempre d’accordo e litigavamo di continuo sulle nostre più stupide convinzioni: sembravamo due adolescenti.

    - Ti fermi da me?

    - E me lo chiedi anche?- quella fu la sua risposta, c’era un misto di ironia e profonda serietà nel suo sguardo. Abbiamo fatto l’amore ma i dettagli si nascondono dentro di me, non hanno ancora voglia di morire e trasformarsi in ricordi vaghi.

    Il suo telefono squillava continuamente, sentivo la vibrazione ma non ha mai neanche guardato chi fosse.

    Ho una tempesta nella testa e un uragano nel cuore.

    L’arte moderna non l’ho mai capita, anzi, sono sempre stato convinto che sia una gran cagata. Ma in questo preciso istante, nel quale sono piantato davanti alla finestra e osservo il mondo che scorre con occhi penetranti, sprazzi di colore sparsi senza una forma apparente, puntini in mezzo al nulla, un oggetto comune che fluttua nell’aria mi sembrano avere un senso, sento la grandezza di un dettaglio insignificante, l’importanza dell’essenziale.

    Non sapevo cosa facesse nella vita di preciso, glielo chiesi ma fu vaga. Disse che suo padre aveva un camion come padroncino e lei gli gestiva i contatti con le aziende per cui lavorava volta volta, gli teneva l’amministrazione; non avevo mai sentito dire che un padroncino avesse bisogno di una segretaria ma ci credetti. Ero talmente preso da lei che non vedevo altro che la sua anima leggera vagare nell’aria. Per un mese ci siamo visti quasi tutti i giorni, veniva da me, ci chiudevamo in casa, facevamo l’amore e mangiavamo, mi parlava dei viaggi che aveva fatto fin da ragazzina: sud America, Canada, Africa. Viaggiava sempre da sola. – Ho bisogno di non farmi programmi – diceva – vivo alla giornata adesso, figuriamoci all’epoca - . Parlavamo delle droghe che avevamo provato, dei nostri errori, dei nostri sogni. Faceva l’amore in modo molto dolce, come avesse bisogno di ripulirsi da qualcosa, come se ogni volta stesse tornando a casa da un viaggio troppo lungo. Voleva essere baciata sul collo sempre, avrebbe passato le ore a occhi chiusi, sospirando mentre io gli baciavo e le accarezzavo il collo, dormivamo abbracciati.

    Lei era molto sicura di se ma sentivo il suo bisogno di non staccarsi da me, come fossi un rifugio sicuro, un nascondiglio dalla realtà della sua vita.

    A volte mi recitava delle poesie nell’orecchio, non mi ha mai risposto quando le chiedevo se erano sue ma sapevo che lo erano: parole visionarie, rinascita continua, cielo, colori, sogni, tempo che passa, voli lontani e strade che riportano sempre a casa. Una di queste mi è rimasta così impressa che l’ho riscritta, parla della lontananza di 2 innamorati, la trascrissi dopo 3 minuti con la scusa di andare in bagno.

    Poi un giorno partì, ci frequentavamo da un mese e mezzo. Non disse niente, partì e basta, il telefono spento e via. Negli ultimi giorni avevo notato delle stranezze nel suo comportamento, parlava poco, era assente, c’era qualcosa di diverso, sentivo che non era soltanto questione di atteggiamento, era come persa nei suoi pensieri, come fluttuasse nell’aria. Non inquadravo la situazione. Notavo che mangiava poco quando eravamo insieme, era particolarmente pallida, pensavo di trattasse di mal di testa o roba simile . Ma poi sorrideva e niente, il suo sorriso cancellava tutte le mie strane sensazioni.

    Dopo 2 giorni dalla sua partenza ero nel pallone, anche perché di lei sapevo nome e cognome, non conoscevo né amici né parenti né genitori, non era iscritta a facebook, cosa che sarebbe tornata molto utile in quel caso. Ero in una situazione del cazzo, andare a denunciarla era cagata incredibile, nel senso, che cazzo dovevo fare? Poteva essere andata in Nuova Zelanda e aveva deciso di non dirmi niente perché si era rotta il cazzo di me, sapevo un corno.

    Era tanto tempo che non soffrivo per qualcuno, non mi ricordavo fosse così doloroso. Parlavo da solo, riuscivo a dire solo accidenti a me o accidenti a te, c’erano punte di fottiti ma non ho mai capito se era riferito a me stesso o a lei. Presi qualche giorno a lavoro, spensi il telefono e mi rinchiusi in me stesso; mi mancava l’aria, la terra sotto i piedi, mi resi conto che l’energia che mi aveva mosso in quel mese e mezzo me l’aveva data lei oppure nasceva da noi due insieme oppure era energia mia ma senza di lei mancava il combustibile oppure… no! Meccanismo di difesa: razionalizzazione, stop. Niente, per due giorni stetti in casa praticamente quasi sempre a letto sdraiato a pancia in giù come per contenere il dolore che avevo nello stomaco premendolo contro il materasso. Mangiavo poco, giusto 2 pastine e forse 2 biscotti; non mi ricordo, ero completamente distrutto, mi sentivo come costretto in uno sgabuzzino di un seminterrato per il passaggio di un tremendo uragano, sentivo i vortici e non potevo muovermi.

    Dopo 3 giorni resuscitai, disdissi ancora tutti gli appuntamenti di lavoro dicendo che non c’ero ancora per qualche giorno, m’inventai una mononucleosi alla quale nessuno ha mai creduto e m’infilai sotto la doccia.

    Primo passo fondamentale: potevo reggermi sulle gambe per più di 4 minuti, fondamentale per una buona ripresa, potevo compiere ancora gesti che corrispondevano ad azioni le quali per lo più avevano una certa consequenzialità tra di loro. Dai cazzo! Alla grande! Ero ancora normale, non ero impazzito del tutto. Non ne ero tanto sicuro lì per lì, i miei pensieri erano un garbuglio di fili annodati tra loro più che una tela ma insomma dai, le azioni fondamentali riuscivo a compierle senza problemi, sembrerà una cazzata incredibile ma ne gioivo come avessi vinto la coppa del mondo: ero sprofondato nella disperazione ma ebbi una parentesi di gioia pura. Mi misi i pantaloncini e andai a correre, fuori era una bella giornata, di quelle perfette giornate autunnali con il sole che riscalda e 20°, almeno il tempo giocava a mio favore.

    Mi si schiarirono un po’ le idee, mentre correvo nella mia testa scorrevano immagini sparse dei sogni confusi fatti in quei giorni in casa: luci sparse, sconosciuti che parlavano tra di loro senza capirsi, luoghi mai visti tutti a mezz’aria, distese di prati verdi che fluttuavano nel cielo, colline e montagne che si rigiravano tra le nuvole leggere come piume. Serena compariva all’improvviso, sorridendo con la sua solita incomprensibile saggezza negli occhi, che cazzo avrà capito mai di questa vita? pensavo mentre correvo. Muovermi mi stava facendo bene, fantasticavo su dove poteva essere andata, ripensavo ai suoi racconti sul Perù, mi tornava a mente quella cosa assurda di un’isola di cui non ricordo il nome in cui gli uomini camminavano 2 metri davanti alle donne in segno di superiorità, è un’usanza della loro cultura; me la immaginavo mentre, con tranquillità e senza nessuna remore, domandava il senso di tale usanza, chiedendo delucidazioni sui vantaggi di tale modo di camminare rispetto a 2 esseri umani normali che camminano fianco a fianco, magari tenendosi per mano. Per lei ci sarebbe stata speranza per tutti, in questo senso era quasi ottusa, si fosse trovata davanti un non vedente avrebbe provato a fargli aprire gli occhi o magari piegare la testa in modi assurdi per vedere (per l’appunto) se casomai qualche ombra sarebbe potuta scappare.

    Magari era in Africa a tu per tu con quella tribù fantastica di cui mi aveva parlato settimane prima. Questi tizi sono studiati anche da diversi gruppi di psicologi perché rappresentano la punta estrema di liberalizzazione sessuale: tutti trombano con tutti, attenzione attenzione… anche madre – figlio, zia – nipote, babbo – figlia, vicina – ragazzo che ha visto crescere, magari gli portava le lance giocattolo da piccolo, appena ha messo poi 2 peli pubici dagliene Dio bono. Lì il concetto di migliori amici che tanto mette in crisi gli adolescenti l’hanno ampiamente supetato già all’età di 10 anni; mi piaci si ma come un amico, come un fratello magari.. li amici e fratelli ci si fanno, e vaffanculo. Mah.. ma che sarà vera sta’ cosa? Il movimento hippie a confronto era composto da un gruppo di preti, va bè, di quelli un po’ più svegli, magari che sostengono addirittura che se ti masturbi entro un certo limite i problemi alla vista non insorgono. Comunque diceva fossero brutti come il peccato, quindi, in un certo senso fosse stata lì non mi sarebbe dispiaciuto, potevo non essere geloso. Continuavo a ripetermi accidenti a me, accidenti a te con punte di fottiti.

    Il cielo si è lievemente scurito, penso a quanta di questa gente che vedo dalla finestra si troverà vecchia e gli auguro in pace con se stessa a pensare: ma quel cazzo di giorno in cui il cielo si stava scurendo ma dove cazzo andavo così di fretta?

    Un mese dopo la situazione era rientrata. Serena era di nuovo qua, uscivamo di nuovo insieme e le sue stranezze ogni giorno di più mi apparivano tali. Non ho mai saputo dove fosse stata, al suo rientro la chiamata fu concisa

    - Dove sei? – ho realizzato solo qualche giorno più tardi l’assurdità della domanda che lei stava ponendo a me.

    - … dove sono? Cioè, in questo momento non lo so, cosa vuoi che ti parli di cosa sto facendo? … –

    - Dai, per cena sono da te, faccio spesa e cucino io –

    - No – avevo una crisi d’orgoglio, morivo dalla voglia di vederla, il suono della sua voce, la sorpresa inaspettata avevano spazzato via in un secondo più di una settimana di sofferenza

    - Ah.. capisco. Non importa allora. Però qualcosa dimmi di te al volo dai. Che fai? Tutto bene? – sconcertante, avevo una voglia matta di riattaccare. Cosa avrebbe fatto, sarebbe veramente sparita dalla circolazione? Veramente non gli sarei mancato per niente? Avrebbe messo un punto e basta: sarei stato semplicemente un capitolo chiuso? Sono domande che tutt’ora mi pongo, credo che certi tipi di persone abbiamo un istinto o un energia o, che ne so, un karma che gli permette di tenere un atteggiamento sfrontato; probabilmente sono così consapevoli del proprio magnetismo che hanno dentro la sicurezza di avere il gioco in mano in fondo. Oltre che un pensiero profondo questa è anche dai, un po’ una giustificazione che sto dando al mio orgoglio per quello che chiaramente le ho detto mezzo secondo più tardi.

    - Dai.. che devo dirti. Vaffanculo vai! Fai spesa e cucina, casa mia è aperta dalle 8 e mezzo. Io non muovo un dito se non per mangiare –

    - Vedremo, devo salutarti. Diti e mani a posto allora eh… -

    Mi scappò una risata, finita la crisi d’orgoglio: 3-0 per lei senza partita.

    Era mattina, inutile dire che il battito cardiaco non è mai sceso sotto i 70 battiti al minuto, avrei tenuto il tempo agli AC-DC senza problemi.

    Ancora non ho parlato del mio lavoro, di dove vivo, se ho una famiglia, un cane o un gatto, hobby, passioni, speranze, con chi vivo e se ho degli amici. Nulla, l’unica cosa che si sa è che ho perso la testa per una della quale si presume io sappia poco di più. Va bè, non è scritto in nessun trattato che è obbligatorio farlo e se esistesse tale documento che lo leggano i soliti di prima che ho invitato a leggere i trattati di economia e sulla sovrapproduzione di scarpe in Cina, lì è sicuramente tutto chiaro e lineare. Mi piace sentirmi libero di non avere delle regole precise, di lasciare che i miei pensieri siano portati in giro dal vento ribelle del mio istinto.

    La giornata fu lunga, ero euforico, sprazzi di confusione a momenti mi scurivano ma in generale devo riconoscere, vergognandomi un po’, che ero felice come un bambino a cui viene regalato un abbonamento giornaliero a tutte le giostre della fiera, magari anche di mattina e valido fino a chiusura, pranzo e schifezze comprese. Rientrato a casa ero stanco, l’attesa mi aveva distrutto, l’emozione aveva prodotto una quantità di film imbarazzante, il cervello ormai era in tilt, il mio stato d’animo ormai era ridotto a una vaga sensazione di fusione generale.

    All’inizio era sulle sue, io ero imbarazzatissimo, lei per niente; si limitava a studiarmi. Abbiamo chiacchierato, mi disse che aveva bisogno di staccare un po’ ed era andata a farsi un bel viaggio tra Amsterdam, Bruxelles e, già che c’era, si era fatta un giro in Norvegia dove ci sono, a detta sua, paesaggi meravigliosi.

    Ci siamo fatti due risate sulle mie fantasie che la davano a scopare a 3 con madre e figlio in Africa oppure a insegnare la parità dei sessi a popoli nei quali le donne camminano dietro all’uomo un paio di metri circa come dimostrazione d’inferiorità. Ecco, queste risate ruppero la pseudo freddezza che sembrava esserci all’inizio, abbiamo avuto la lucidità di spegnere i fornelli e la cena è rimasta lì.

    Che belle sensazioni.. scuoto la testa con un misto di malinconia e incanto, non riesco a dire altro che che belle sensazioni che ho provato e che mi sono rimaste dentro. I discorsi sono i soliti, il tempo si era fermato, lo spazio intorno era colorato di magia e bla bla bla, ma questi discorsi rendono smielato qualcosa che per me è leggero, libero e incantato, perciò riesco a esprimerlo soltanto chinando la testa all’indietro e appoggiandola al muro, alzando gli occhi al cielo, tirando in su il labbro inferiore e gli occhi e sospirando, sentendo dolcissime scosse elettriche che percorrono il mio corpo lungo la schiena, su per la testa, di nuovo giù per la gola, il cuore, la pancia, il fondo schiena.

    Durante una passeggiata sui colli senesi mi raccontò della sua famiglia. I suoi genitori si erano conosciuti durante gli innumerevoli viaggi di lavoro di suo padre. Faceva e fa tutt’ora il camionista. Fu un amore breve, lei usciva da una relazione molto difficile durata 8 anni, una di quelle storie complicate, fatte di dipendenza e ossessione, distruttive psicologicamente; negli ultimi tempi litigavano fino ad arrivare spesso alle mani. Non che lei ci rimettesse, era esile, gli raccontava spesso suo padre, ma aveva la grinta di una leonessa, sarebbe sopravvissuta anche nella giungla.

    In quel periodo lui si fermava un paio di volte a settimana nel bed and breakfast in cui lavorava lei; in un anno avevano istaurato un buon rapporto, suo padre era uno che lavorava duro fin da piccolo. Era un buono, una di quelle persone tutto cuore un po’ vecchio stampo, di quelli che sono ignoranti dal punto di vista di una persona erudita ma hanno nell’umanità la propria forza, di quelle persone che non hanno mai letto un libro ma danno l’impressione di essere più sagge di un professore di storia, e forse lo sono davvero.

    Facevano spesso tarda notte a parlare, lui rimaneva da solo nel tavolo dell’altrio con un calice di Chianti sul tavolo e una sigaretta in bocca, l’aspattava pazientemente fino alle una, girottalando talvolta nel giardino, guardando le stelle, a volte addentrandosi nel boschetto del bed and breakfast. Niente lo rilassava come i suoni incantati del bosco di notte, con l’andare dell’età chiedeva a Serena sempre più spesso di non buttare assolutamente soldi per il suo funerale. – Fatti prestare una pala, magari ti porti un uomo muscoloso dietro, cosa che ti farà magari anche piacere, vai nel mio bosco, sai dove, e fai una buca. Sarò felice di passare l’aldilà immerso nel suono degli arbusti, con volpi e cinghiali che vivono sopra di me – Serena gli rispondeva con un sorriso dolce, hanno gli stessi occhi profondi, la stessa voce lontana che li guida chissà da dove e, soprattutto, chissà per dove.

    Passavano le ore a chiacchierare, lei gli raccontava della sua storia e dei suoi sogni di gloria infranti. Negli anni ‘70 cantava in un gruppo che faceva musica progressive, suonavano un genere sperimentale molto simile a Le Orme, in quegli anni anche in Italia c’erano delle idee innovative di quel tipo; le cose andavano bene, aprivano regolarmente i concerti della Premiata Forneria Marconi i quali li avevano aiutati ad incidere un album di 6 tracce. Furono rifiutati a Sanremo ma cominciavano ad avere un seguito di pubblico, non ancora molto ampio ma di qualità; componevano musiche e opere per spettacoli teatrali anche di livello. Suo padre l’ascoltava incantato, le chiedeva che tipi fossero quello della PFM, se avesse mai cantato Impressioni di Settembre accompagnata da loro, si perdeva nei suoi racconti, li rivedeva riflessi nel parabrezza del suo camion nelle interminabili giornate di lavoro. Fu una disgrazia a mettere fine a tutto, un incedente in moto del chitarrista, suo amico da molti anni; morì sul colpo, un frontale contro un camion per l’appunto. Sua madre non riuscì a riprendersi, ebbe un blocco creativo, non riusciva più a scrivere canzoni né a interpretarle come prima; dopo 2 anni si prese una pausa, uscì dall’ambiente e cominciò a lavorare nel bed and breakfast dove ha conosciuto suo padre. Lo stronzo del suo fidanzato, come lo definiva lei, lo conobbe negli ultimi tempi in cui provava invano a far ripartire il suo progetto musicale, lui le dava l’impressione di credere in lei, ma era un’impressione. Dopo qualche anno

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