In altalena su un granello di sale. Storia di un cervello spettinato dall’ansia
Di Elsa Di Gati
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Info su questo ebook
Elsa Di Gati, laureata in Lettere, ha percorso una lunga carriera da giornalista radiofonica e televisiva. Autrice e conduttrice, per la RAI ha condotto programmi come Cominciamo bene, Apprescindere, Codice a Barre e Mi manda Raitre. Ha curato il volume Penultime parole famose (2008) e attualmente è Vicedirettrice del Daytime Rai.
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Anteprima del libro
In altalena su un granello di sale. Storia di un cervello spettinato dall’ansia - Elsa Di Gati
Elsa Di Gati
In altalena
su un granello di sale.
Storia di un cervello spettinato dall’ansia
© 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-852-08
I edizione settembre 2023
Finito di stampare nel mese di settembre 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
In altalena su un granello di sale.
Storia di un cervello spettinato dall’ansia
A tutte le persone che mi sopportano, cani compresi.
Sono un uomo molto vecchio. Ho avuto un gran mucchio di guai.
La maggior parte dei quali non mi sono mai capitati.
Mark Twain
Prefazione
In altalena su un granello di sale è la storia appassionata di un sintomo che trasforma la vita di Serena in una modalità dell’esistere che spettina il cervello e ti fa sentire responsabile di un muro da dipingere senza poter scegliere i colori, per usare le stesse parole dell’autrice. Eppure chi ha la fortuna, l’opportunità o semplicemente il piacere di incontrare Elsa, si trova ad interagire con una persona dallo sguardo che sprizza sensibilità, passione, disponibilità, eleganza di spirito e dei suoi modi, difficile da trasferire nel cassetto dei luoghi comuni. In questa storia, testimonianza o romanzo, ognuno è libero di scegliere la definizione che sente più appropriata. L’autrice si mette a nudo con l’umiltà di chi è intelligente e di chi comunque vuole darci un messaggio oltre che un esempio accorato di una persona, come lei, che malgrado l’ansia che ti spettina il cervello, riesce non soltanto a vivere ma soprattutto a superare le tante prove che la vita ti mette davanti senza avergliele mai chieste. E l’assoluta novità di questo racconto è aver dato al sintomo un potere terapeutico come colui che ti sta accanto e tacitamente ti sussurra: lo so che la mia presenza ti fa male ma tu sei più forte di me e ce la puoi fare
. L’ultima pagina poi, a firma del marito, racconta un amore espresso attraverso la presenza silenziosa del non fare apparente, tipica di chi sa che a volte l’essere silenzioso e comunque attento, non esclude una appassionata partecipazione emotiva perché, come direbbe il buddhismo, esprime un sentimento altro ma sempre un sentimento decisamente speciale ed unico almeno per chi lo prova. Il testo è da leggere con la testa e con il cuore perché è una storia che dimostra come il cuore ha le sue ragioni che la ragione non intende.
Un profondo, semplice grazie ad Elsa Di Gati.
Prof.ssa Maria Malucelli
Premessa
C’è un momento nella vita in cui lotti contro te stesso e non puoi più girarti dall’altra parte né voltarti indietro. C’è una forza potente e salvifica che ti inchioda lì dove sei e sai che non puoi sfuggire alla necessità di comprendere cosa ti stia accadendo. Lo sai dentro di te, lo sai e basta, come se lo sapessi da sempre. Questo è quello che mi è capitato. In questo libro c’è sì la mia fantasia, ma ci sono anche io con brandelli di vita autentica perché non ci si può nascondere sempre e perché il nostro male per altri può essere un bene che aiuta a capire, magari a risolvere.
A volte il dolore lo vediamo, magari ha un taglio visibile o è nascosto sotto una fasciatura, ma poi c’è un tormento che brucia dentro e ti prosciuga le lacrime, quelle che fai scorrere lontano dagli occhi degli altri. È un male che crea patimento di cui arrivi quasi a vergognarti, perché ti fa sentire inferiore, incapace di essere lucida per affrontare la vita, ti rende insicura e credi di non essere all’altezza, perché sai che quel nemico vive dentro di te. Ma non sai mai quando busserà nella tua testa, visto che non ha nemmeno la buona educazione o il garbo di avvisarti. È un dolore sordo, infido, che colpisce l’anima, ma graffia il corpo. Ti appare come un mostro invincibile e lo consideri già come fosse il vincitore. In realtà ogni ferita ci fortifica, perché ci avvicina agli altri e ci rende più umani, più veri. Sì, senti che la tua anima è bucata, ma non sai che puoi rattopparla. Devi chiedere aiuto e, soprattutto, non devi vergognarti. Mai.
Conosciamoci
Mi chiamo Serena. Questo è il mio nome. Da bambina, a casa, mi chiamavano Attrice
per via di quella mia attitudine così naturale a dire le bugie. A scuola, invece, ero per tutti Fiammifero
per via delle mie gambe così lunghe e sottili. Sono la seconda di quattro figli, l’unica deputata a portare la gonna ma che amava i pantaloni. In realtà, da piccola ero grassa, molto grassa, tanto grassa che un giorno mia madre mi minacciò di farmi entrare in una pancerina
. La chiamava proprio così: pancerina
. Non sapevo neanche cosa fosse. Ma il solo nome, e nonostante quel buffo diminutivo, mi spaventava come un’ombra nella notte. Fu così che nel giro di qualche mese diventai secca come un gambo di sedano.
Anzi un fiammifero
, per dirla, appunto, con il soprannome che mi fu poi affibbiato al liceo. Non sono mai stata una secchiona o la prima della classe, ma nemmeno l’ultima. Ero a tutti gli effetti una perfetta equilibrista. In realtà quelli sono anni che non rimpiango, come invece capita a tanti. Per me sono stati faticosi, mi sentivo fuori posto, forse fuori tempo, comunque a disagio. Avrei voluto cimentarmi negli studi classici, ma a casa fu deciso che Per sicurezza andrai nella stessa scuola di tuo fratello
– così fu sentenziato – che naturalmente era stato spedito allo scientifico. Comunque un liceo, su questo non c’era dubbio da parte di nessuno, perché Se non è un liceo allora non vale nulla
. Frasi lapidarie sulla mia tenera età.
In ogni caso, sono stati cinque anni difficili. Con la matematica avevo una contesa aperta, feroce. Qualcosa tra noi non ha mai funzionato. Per cinque anni sono salita sul ring e abbiamo fatto a pugni e solitamente quella che andava al tappeto ero io, di certo non lei che continuava a guardarmi dall’alto della sua scienza. Adoravo però la letteratura, il latino, la storia, persino le scienze, insomma tutto ciò che raccontava qualcosa che era in grado di suscitarmi un’emozione, una fantasia, un immaginario, uno sguardo sul mondo e sulle cose diverso dal mio, come la trama di un film o di una serie Tv che ti immerge in una realtà che non è la tua. I numeri li trovavo invece del tutto freddi, per me inutili, roba da cervelli meccanici, non mi dicevano assolutamente niente, li guardavo e non li capivo, non avevano niente da dirmi. Io al contrario ho sempre avuto il cervello in fuga, sempre in bilico tra ciò che era e ciò che sarebbe potuto essere.
Questo non significa che non siano stati anni sereni; lo sono stati eccome, decisamente spensierati, anni da adolescente-adulta. «Serena è una ragazza posata», ripeteva mio padre, posata… tipo una forchetta
, pensavo ogni volta. Tanti amici, lo studio, le serate scanzonate e qualche fidanzato, ma mai troppo impegnativo. A vent’anni però, qualcosa cambiò. Nella mia vita spuntò Francesco, due lustri più grande di me. Sarebbe poco interessante raccontarvi gli anni, cinque in tutto, trascorsi insieme. Lo è di più sapere che il nostro addio è arrivato dieci giorni prima del matrimonio, con tanto di regali in casa, di chiesa e prenotazione nel roof di un hotel super gettonato. Fu mio padre a salvarmi da quel disastro annunciato.
Ricordo benissimo che a un certo punto lo presi da parte e con voce fioca gli dissi: «Papà, senti, non so come dirtelo, ma se non lo faccio ora non lo faccio mai più: io non voglio sposarmi così presto. Lo so, lo so… ho sbagliato… ma non ho avuto il coraggio di spegnere il sorriso a Francesco, non me la sono sentita, ma so che non posso sposarmi ora…».
Francesco aveva sulle spalle un decennio più di me di esperienze e divertimento. Ora reclamava stabilità e la costruzione di una famiglia, che tutto andasse a posto, che tutto andasse proprio lì dove doveva andare. Ma non faceva per me. L’amore è anche un immaginario che collima, se non c’è non è possibile andare avanti. L’idea di ritrovarmi a passeggio, spingendo una carrozzina, mi scatenava il desiderio di una fuga subitanea, senza esitare avrei chiesto una cittadinanza straniera, una qualsiasi, pur di andarmene il più lontano possibile.
A quelle mie