Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'uomo che parlava all'universo
L'uomo che parlava all'universo
L'uomo che parlava all'universo
E-book287 pagine4 ore

L'uomo che parlava all'universo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un uomo in un paio di settimane circa, passa in rassegna la sua vita: c’è però un piccolo particolare che l’ha resa impossibile. Un segreto che sentirà il bisogno di condividere con la prima persona fidata che incontrerà durante il suo cammino: un vecchio sacerdote. Il prete sconvolto da questa rivelazione, deciderà, dopo averci visto chiaro, di aiutare la pecorella smarrita a ritrovare l’ovile. In tutto questo, il protagonista del romanzo continuerà a condurre con la famiglia una vita ordinaria, nascondendo, come ha sempre fatto, quel lato paranormale che gli appartiene. Un mistero in cerca di risoluzione, che si infittirà fino alla fine, insinuando dubbi e lasciando interrogativi, a cui forse solo il tempo saprà rispondere. Una storia senza fine, dove siamo condannati a ripetere gli stessi errori a cui trovare mille giustificazioni; ma i nodi prima o poi si scioglieranno, magari alla fine dei tempi
LinguaItaliano
Data di uscita23 mag 2023
ISBN9791222410494
L'uomo che parlava all'universo

Correlato a L'uomo che parlava all'universo

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su L'uomo che parlava all'universo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'uomo che parlava all'universo - Cinzia Perrone

    Cinzia Perrone

    L’uomo che parlava all’universo

    Atile edizioni

    A tutte le anime perse

    che non riescono a trovare

    la dimensione, lo spazio e il tempo

    Prefazione

    Che cosa succederebbe se vi svegliaste senza più avere il controllo del vostro corpo? Sandro Striano, il protagonista del libro di Cinzia Perrone, vive questa sensazione da anni. A controllare il suo corpo sono anime disperse, defunti a cui viene data la possibilità di un’ultima azione sulla terra, qualcosa che per diverse ragioni non sono riusciti a fare in vita. Una situazione incredibile, tanto che Sandro deve tenere questo segreto per sé, visto che nessuno gli crederebbe se anche provasse a confidarsi.

    Questo finché un episodio non lo porta a cambiare direzione, cercando finalmente aiuto. Il sostegno arriverà da personaggi che mai avrebbe pensato di frequentare, in un susseguirsi di situazioni fuori dall’ordinario che, prima di tutto, lo porteranno a riflettere proprio su cosa sia definibile come normale. Ma soprattutto questa avventura insegnerà al protagonista – e al lettore – a dare valore a ogni istante della propria vita, che assume un senso solo se usata per il bene, nostro e di chi ci sta accanto.

    L’autrice racconta dunque una storia decisamente atipica. Viene descritta la quotidianità di una normale famiglia, all’interno della quale, però, un uomo vive qualcosa di così assurdo da non poterlo nemmeno raccontare. Realtà, soprannaturale e riflessioni sulla condizione umana si alternano nella ricerca della soluzione di un mistero, che porterà il protagonista a sviluppare una nuova visione dell’Universo, in una crescita che non vuole arrendersi alle difficoltà che la vita ci mette davanti.

    Giangiacomo Bonaldi

    Il nuovo arrivato

    Breve prologo

    C'è un posto che non ha eguali sulla terra...

    Questo luogo è un luogo unico al mondo, una terra colma di meraviglie mistero e pericolo.

    Si dice che per sopravvivere qui bisogna essere matti come un cappellaio.

    E per fortuna... io lo sono.

    Il Cappellaio Matto

    Dal film: Alice in wonderland

    Il tempo sembra scorrere lento, lentissimo, quando fai sempre le stesse cose e non hai mai uno slancio nuovo verso qualcosa di diverso.

    Ecco perché il suo arrivo ha suscitato in tutti noi curiosità e interesse, miste a una gioia inconsueta, per quel nuovo ospite da scoprire. Tutti abbiamo pensato che si trattasse di una persona simpatica e allegra: quando è arrivato rideva sempre, quasi non riusciva a smettere. La sua risata ci rallegrava, forte e fragorosa, ma tutti abbiamo intuito che dietro quell’apparente ilarità doveva esserci anche qualcosa di triste; in fondo ridere è il modo più semplice per nascondere la tristezza. Ma ci piaceva quell’uomo sulla cinquantina, magro, slanciato, capelli scuri, ci piaceva molto. Aveva un pizzetto ben definito e curato che portava con molta eleganza. Ora se l’è tolto. Dice che lo invecchiava. Quanto siamo legati all’apparenza del tempo, piuttosto che alla sua sostanza.

    È una persona colta, ha molti libri con sé. Qualche volta si offre di leggercene alcune pagine. Lo fa in un modo molto espressivo e noi ne rimaniamo sempre incantati; cambia la voce a seconda dei personaggi nei dialoghi, fa i rumori di fondo delle varie scene e a volte si muove anche come per interpretare l’intera azione. Insomma più che leggere un semplice libro, sembra che stia recitando in un film.

    Ci intrattiene anche con delle storie avvincenti. Dice che le prende dai suoi diari, che sono tutti fatti reali che gli sono capitati; sarà… ma non ci importa poi tanto, basta che tra di noi ci si aiuti a passare il tempo. Anzi, qui tutti vogliamo la sua compagnia e speriamo che si trattenga con noi in istituto ancora per un po’.

    Forse attraverso le sue storie capiremo il percorso che lo ha portato qui, perché un lungo e tortuoso percorso che segna le nostre destinazioni e i nostri incontri c’è sempre.

    Tutte le decisioni che prendiamo nel passato ci portano inesorabilmente verso il futuro.

    Ci racconterà anche della sua risata, che nasconde quel sottile dolore dell’anima con il quale ognuno di noi convive e con il quale purtroppo qualcuno non ha imparato ancora a convivere.

    Qualcuno magari trova un modo per conviverci strambo, poco ortodosso, che è meglio correggere.

    Chissà questo Sandro a quale categoria appartiene; è presto per dirlo, lo conosciamo da troppo poco per riuscire a svelare il mistero che nasconde: tutti ne nascondiamo uno.

    Il tempo è il solo che saprà rispondere ai nostri interrogativi, a darci torto o ragione.

    Cosa nasconde questo Sandro Striano e soprattutto per quale motivo si trova qui?

    La confessione

    " Confessione e bugia sono la stessa cosa. Per poter confessare, si mente. Ciò che si è non lo si può esprimere, appunto perché lo si è; non si può comunicare se non ciò che non siamo, la menzogna."

    Franz Kafka

    Torino, 21.10.2019

    Mi ritrovo come sempre solo, a pensare a tutto, che poi è come pensare a niente.

    Vorrei stracciare il foglio e ricominciare da capo a scrivere il mio racconto, ma la vita non è un romanzo, dove tutto è calcolato e perfettamente incastrato.

    Qua non si incastra proprio niente!

    La mia vita non è un romanzo, è peggio, oppure meglio, dipende dai punti di vista.

    È un intreccio senza fine che fa perdere la testa, così come ora sta succedendo a me, che randagio vago sperduto tra le mille luci della città ormai rabbuiata, come i miei pensieri.

    Vago per la strada, senza una meta, senza una direzione, che forse neanche voglio avere e nemmeno cerco. So solo una cosa: il mio tormento non mi dà pace, affliggendomi anima e corpo oltre il consentito.

    Oltre quel limite si può perdere il senno e io comincio a credere di aver smarrito il mio. Povero me, perché doveva capitarmi tutto questo?!

    Ho cercato sempre di vivere nel giusto, fedele ai miei principi e ai miei doveri, mantenendo la mia integrità nonostante gli scherzi che questo universo mi ha giocato; invece ora sento vacillare anche quella.

    La mia mente è in completo subbuglio e ora come ora desidererei solo silenzio e quiete: una qualche oasi di tranquillità che possa acquietare il tormento che vivo, almeno per un momento.

    Chiedo solo un po’ di calma nella testa, per poter rimettere ordine a questa confusione, causata dagli eventi di questi ultimi giorni maledetti; lo so, non dovrei maledire nessun giorno, ma credetemi, se foste nei miei panni mi capireste.

    Forse devo svuotarmi, parlare con qualcuno, per condividere questa angoscia. Solo così, forse, potrei trovare una qualche consolazione a questa situazione insostenibile e bizzarra che da anni mi perseguita, ma che fino adesso sono riuscito quasi sempre a gestire e soprattutto a tenermi dentro.

    Un segreto che mi sarei portato nella tomba.

    Ma ora è successo qualcosa di più grande di me, qualcosa che va contro tutto ciò in cui credo, qualcosa che non posso e forse non voglio tollerare.

    Non riesco proprio a sopportarlo, mi dà quasi la nausea, e solo vomitando tutto questo schifo, magari su qualcuno dalle spalle forti, potrei cercare di riordinare i pensieri e le altre cose, tornando a gestire le tante vite che di continuo, ogni giorno, anche contro la mia volontà, mi precipitano addosso.

    Come quelle piogge improvvise, continuano a toccare e tormentare la mia di vita, trasformandosi talvolta in tempeste devastanti.

    Avevo sempre scartato l’eventualità di aprirmi con qualcuno rivelando il mio intimo e oscuro segreto; ora però il mio istinto mi sta chiedendo di rivedere questa mia posizione.

    La voglia di sfogarmi è diventata più forte del rischio di non essere creduto.

    In fondo qualche rischio nella vita bisogna pur correrlo e io sono pronto a qualsiasi cosa, ormai dopo tutto quello che mi è capitato niente mi spaventa, o meglio, ho imparato ad affrontare tutto con coraggio. Forse la paura non ti abbandona mai, devi imparare a conviverci: nel mio caso ormai è diventata così presente nel mio quotidiano, che la considero quasi come un’amica inseparabile.

    Ma degli amici invadenti a lungo andare ci si stanca e quella costante tensione che provo tutte le notti andando a dormire mi ha decisamente stufato.

    Così, dopo ore passate a girare e rigirare, pensando che fare due passi all’aria aperta possa ossigenarmi il cervello e schiarirmi le idee, ho una folgorazione.

    All’improvviso vedo una chiesa alla mia sinistra e decido che quello sarà il posto dove darò sfogo a tutte le mie ansie e inquietudini: sì, quello è il posto giusto.

    La facciata di questa chiesa che interrompe la sequenza del lato sud di via Po, sulla quale è lento il mio peregrinare, sembra quasi chiamarmi, desiderosa di fare la mia conoscenza.

    Strano, anche se è vicina a casa mia credo di non esserci mai entrato in tutti questi anni; ma di questo non mi stupisco poi tanto, visti i miei ultimi rapporti con la Chiesa e la religione in genere. Dal punto di vista della frequentazione o di altre cose del genere, direi che non mi posso definire un buon cristiano. Però che io sappia lì dentro ci sono persone pronte ad ascoltare il prossimo e a dargli conforto, proprio quello che sto cercando io in questo momento.

    A dir la verità, come ho detto, non sono mai stato un gran cattolico di quelli attenti e osservanti, nonostante la mia famiglia e l’educazione che hanno cercato di impartirmi; né ho avuto mai simpatia per il sacramento della confessione. Ma in cuor mio sento di essere credente e fiducioso nella misericordia di un Dio e dell’universo intero, anche se l’universo da un po’ di tempo sembra avercela con me.

    Mia madre mi diceva sempre che le porte di una chiesa sono aperte a tutti; lei ha avuto sempre una profonda stima per tutti i sacerdoti, tale da trasfigurare Gesù Cristo in persona sui loro volti. Cercherò di fare quello che fa lei quando mi confesserò, perché due chiacchiere con Dio è quanto di meglio possa chiedere; Lui certamente potrà capirmi e credermi, ma il suo ministro sarà capace di fare altrettanto?

    Non mi resta che entrare e provare, male non mi farà, magari il prete mi prenderà per un pazzo furioso ma non credo che possa richiedere per me un TSO, dato che vige il segreto del confessionale.

    Varco l’entrata della chiesa e mi faccio il canonico segno della croce, senza quell’antipatica usanza popolare del bacetto finale, che ho sempre apprezzato unicamente nei bimbetti piccolissimi alle prese con le loro prime preghierine. I bambini forse sono gli unici degni di poter mandare un bacio a Gesù agonizzante sulla croce o alla Madonna sua madre; noi adulti potremmo mandare solo baci ipocriti, che quello di Giuda a confronto potrebbe essere considerato un’attestazione di stima.

    Mi ritrovo all’interno di una graziosa chiesetta in stile barocco, decorata con marmi policromi settecenteschi che enfatizzano la solennità dell’edificio di culto.

    All’entrata ho letto che la chiesa è intitolata a San Francesco di Paola, così la memoria mi porta inevitabilmente alla maestosa basilica della mia città: Napoli.

    La basilica di San Francesco di Paola a Napoli si trova in piazza del Plebiscito, una delle piazze più belle e più grandi della città, dove da ragazzi andavamo a trascorrere le domeniche, per poi passeggiare fino al lungomare. Me ne ricordo bene. Lì noi ragazzi lasciavamo che il vento spazzasse via tutte le nostre preoccupazioni della scuola e della famiglia, respirando a pieni polmoni l’aria fresca del mare e concentrandoci solo su noi stessi, con l’affascinante illusione di avere tutto in quel momento. Avevamo il mare, che ci parlava attraverso il ritmico movimento delle sue onde; nello stesso modo ci stava ad ascoltare e ci rispondeva. Con gli anni poi si capiva che quello non bastava, che non si poteva vivere di quei pochi momenti di beatitudine. Perché chi ha creduto per anni di possedere tutto, chi ha creduto in quel mare e in quelle onde, in quel cielo e in quel sole, a un certo punto, disilluso, si accorge di non possedere niente. Proprio come me.

    E allora eccomi qui, a cercare di possedere altro, ma anche a rimpiangere ciò che avevo e in cui credevo.

    Ebbene sì, sono uno di quegli emigranti malinconici, per i quali ogni scusa è buona per pensare alla sua amata terra e perdersi nei ricordi.

    Penso che l’Universo stia cercando di mandarmi qualche segno, per farmi capire che sto sulla strada giusta e che questa chiesetta dedicata a quello stesso santo, protettore un tempo di quell’antico regno del Sud dal quale provengo, non sia una semplice coincidenza del caso.

    Che poi alle coincidenze non credo neanche tanto.

    Attraverso la navata, butto un occhio ai confessionali posti sui due lati; non scorgo nessuno, allora penso che sia il caso di arrivare fino all’altare e intrufolarmi in sagrestia per accertarmi della presenza di qualcuno.

    Trovo un sacerdote intento a riporre i suoi paramenti liturgici nell’armadio ligneo davanti a sé; si accorge di me e forse intuisce il mio turbamento perché subito mi fissa e mi dice con tono preoccupato:

    «Cosa ti occorre figliolo?»

    Rimango alquanto interdetto da quel tono e quell’espressione così accorata e premurosa; devo proprio aver scritto in faccia che sono un’anima in pena.

    È un vecchio sacerdote che deve aver passato la settantina, con un appiglio dolce e cordiale; mi ricorda quasi mio nonno e forse questa somiglianza mi spinge ancor di più verso di lui, con un appello altrettanto accorato.

    «Padre, ho bisogno di confessarmi, ci sono cose che mi tormentano e che non riesco più a sostenere da solo.»

    «Sei nel posto giusto mio caro, la casa del Signore. Mi sono accorto subito dell’angoscia dipinta sul tuo viso. Aspettami di là in chiesa, finisco di cambiarmi e sono da te.»

    Dopo aver detto ciò, mi fa segno con la mano di accomodarmi all’interno della chiesa; mi siedo su una panca ad aspettarlo. A un certo punto ricompare e mi fa cenno di seguirlo.

    Raggiungiamo un confessionale dove entrambi entriamo; col cuore in gola mi chiedo se riuscirò a raccontare ogni cosa di questa mia strana storia, così decido di cominciare dall’ultimo episodio che ha sconvolto il mio già precario equilibrio in tutta questa inimmaginabile vicenda.

    Inizia lui, come da copione.

    «Da quanto tempo non ti confessi figliolo?»

    «Le dico subito padre che non sono un fervente praticante e che saranno più di dieci anni che non mi confesso. Non ho mai visto con grande simpatia questa pratica.»

    «Non è una pratica, ma un Sacramento. Eppure adesso sei qui a chiedere conforto in un confessionale; grande deve essere allora la tua pena per farti giungere da me a cercare qualcosa in una pratica cui dici di non credere.»

    «Non è esattamente così, è solo che confessarmi mi ha sempre intimorito, ora invece sono ben altre le cose che mi intimoriscono. La mia oltre che una confessione per i miei peccati, vuole essere anche un completo svuotamento, la condivisione con qualcuno di una situazione che sto subendo ormai da anni, sempre in silenzio e tenendomi tutto dentro.»

    «Parla pure, ti ascolto. Quali sono i peccati che ti tormentano?»

    «Padre, per la prima volta in vita mia, ho tradito mia moglie e questa cosa mi crea un gran rimorso, anche se non è stata colpa mia.»

    «Come fai a dire una cosa del genere, eri forse in preda ad alcool o droghe?»

    «No, non ho mai fatto uso di droghe né bevo.»

    «Allora eri cosciente? Comunque, anche qualora tu non lo fossi stato, saresti stato colpevole dello stato in cui ti trovavi. Non mettere freni al tuo sincero pentimento accampando inutili scuse.»

    «Le ripeto che sono stato sempre lucido, ma cosciente non credo; infatti mia moglie l’ho tradita col corpo, ma né con l’anima né con la mente.»

    «Capisco; sei un marito pentito in cerca di un’assoluzione, che dà la colpa di tutto alle sue pulsazioni sessuali. Purtroppo non possiamo giustificare tutto in nome dell’istinto, noi non siamo animali.»

    «Mi rendo conto che comprendermi è difficile, ma è proprio come le ho detto. La mia coscienza, o quella che di solito voi chiamate così, non c’era, o meglio era stata annullata, ma non da alcool o droga.»

    «Spiegati meglio, proprio non capisco cosa vuoi dire. Quello che mi racconti suona strano e incomprensibile, non riesco a starti dietro.»

    «Proverò ad essere più chiaro ed eloquente possibile ma non si spaventi, quella che sto per raccontarle è una storia inverosimile, eppure è la mia vita da molti anni a questa parte.»

    «Figliolo, io debbo essere pronto a tutte le evenienze, ma tu mi stai davvero spaventando e incuriosendo allo stesso tempo.»

    «Infatti è proprio così padre, la mia esperienza desta curiosità, ma anche tanta paura. Io l’ho affrontata fino adesso con fermezza, per quanto fosse umanamente possibile. Ma ora sono esausto di tutto quello che mi fanno fare, soprattutto di quest’ultimo desiderio che ho dovuto esaudire e che ha portato il mio corpo tra le braccia di un’altra donna che non fosse mia moglie, la mia amata Silvia.»

    A questo punto scoppio a piangere e capisco di aver fatto entrare in piena crisi il mio povero interlocutore, che sempre più disorientato mi incalza con le sue domande.

    «Ti costringono? Stai forse parlando di un’organizzazione criminale? Ti ricatta qualcuno? Sii sincero con me, altrimenti come posso aiutarti?»

    Mi asciugo le lacrime, con un paio di colpi di tosse mi schiarisco la voce, perché so che dovrò parlare tanto per riuscire a spiegare la mia strana avventura a questo vecchio e caro sacerdote.

    Già so che continuando il mio racconto lo disorienterò sempre di più; andrà in confusione, proprio come gli anni della mia vita successivi a quel maledetto giorno in cui imprecai contro l’universo, che mi regalò in cambio tanti amici invadenti e fastidiosi.

    «Padre è fuori strada; non c’entra niente questo mondo ma piuttosto l’altro. I criminali vivi sono fuori dalla mia vita per fortuna, in compenso vi sono entrate, e quando dico entrate intendo letteralmente, tante persone morte. Sto parlando di possessione, se non sbaglio anche voi di Chiesa studiate e discutete di queste cose, vero?»

    «Non mi starai parlando di una possessione malefica che ha a che fare col demonio?»

    «No padre, per dirle la verità non ho mai creduto neanche a queste cose, agli esorcismi e a tutto il resto. Il mio caso è ben diverso; io non sono dominato dal male, anzi il più delle volte i miei ospiti, ormai da anni li chiamo così per sdrammatizzare, sono anime buonissime e magari proprio per questo viene concessa loro questa possibilità.»

    «Vuoi forse farmi credere che tu sia posseduto da persone trapassate? È assurdo, non so se riuscirò a seguirti in questo racconto, mi chiedi uno sforzo notevole. Sei sicuro che tu mi stia dicendo la verità, o vuoi solo nasconderti dietro queste bugie che ti sei costruito e delle quali ormai ti sei persuaso?»

    «Non sto mentendo, sono lucidissimo, la prego non mi deluda, non mi lasci solo; mi rendo conto che è difficile. Le chiedo solamente di ascoltare tutta la mia storia dall’inizio, non ci vorrà molto, cercherò di essere sintetico ma chiaro.»

    Ecco lo sapevo, non mi crede, sta prendendomi per pazzo, ma non voglio arrendermi così facilmente. Sento che riuscirò a portarlo dentro la storia alla fine.

    «E sia, ti ascolterò; la nostra attenzione non si nega a nessuno, spero solo di poterti essere d’aiuto.»

    «Solo ascoltandomi lo farà, mi creda. Mi ha spinto alla confessione questo tradimento corporale nei confronti di mia moglie, ma in realtà avevo anche tanto bisogno di parlare con qualcuno di questa storia assurda che da anni vivo e di cui non ho mai parlato a nessuno per timore di non essere creduto, così come adesso sta accadendo con lei; del resto come avrebbero potuto credermi. Ma il mio comportamento, a causa di queste visite periodiche, ha sempre destato negli altri delle perplessità, per questo mi sono guadagnato il soprannome di Striano lo strano. Striano è il mio cognome. Mi chiamo Sandro Striano, e l’anno prossimo compirò cinquant’anni.»

    L’anziano prete è pronto a continuare ad ascoltarmi; ha capito che ho tanto da raccontare, e fortunatamente per me, deve essere abbastanza libero, visto che ha anche celebrato l’ultima messa della sera.

    Penso che sia meglio partire dall’inizio, da quel famoso un po’ del mio tempo, che forse condizionò per sempre la mia vita.

    Anzi, da qualche mese prima, giusto il necessario per far filare meglio la storia. Dall’estate del 1986, quando avevo 16 anni, i calzoncini corti e i capelli lunghi, con quei riccioli perfetti che piacevano tanto a una mia zia.

    A quei tempi frequentavo l’istituto alberghiero, in un paese non molto vicino al mio. La scuola si trovava a Vico Equense, sulla Penisola Sorrentina, e io dovevo fare un’ora e più di treno per raggiungerla ogni mattina.

    Dopo un anno di trasferte mattutine, di alzatacce quasi all’alba e di pranzi consumati a tarda ora, ero stremato e distrutto. Avrei tanto desiderato una vacanza che mi portasse lontano dalla città, per evitare gli indolenti giorni che si prospettavano dopo la chiusura della scuola, per chi come me rimaneva relegato alla periferia, scenario quotidiano di una magra esistenza, in cui solo tanta immaginazione e inventiva ci salvavano.

    Ricordo benissimo ancora adesso la sensazione di vuoto che si ripresentava ogni estate nel mese di agosto, quando il parco condominiale dove sono cresciuto si desertificava in concomitanza delle ferie, che a quell’epoca tutti, ma proprio tutti, prendevano ad agosto.

    Non solo! Negli anni ottanta le famiglie potevano anche permettersi un intero mese di villeggiatura, in case al mare prese in affitto per il periodo estivo o che appartenevano al patrimonio immobiliare della famiglia allargata, arrivando fino ai nonni o agli zii.

    La vita costava molto meno di oggi e ci si sapeva accontentare anche di poco, così poteva capitare che un misero bilocale a Scalea potesse diventare una superba residenza estiva, pronta ad accogliere tutto il parentado.

    Nonostante questo relativo benessere sociale, in cui tutti sembravano avere un qualche diritto alla felicità, la mia famiglia non poteva permettersi una villeggiatura, condannandomi a estati torride

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1