Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Operazione tallone d'achille
Operazione tallone d'achille
Operazione tallone d'achille
E-book218 pagine2 ore

Operazione tallone d'achille

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La fiction politica è poco diffusa in Italia, forse perchè nel nostro paese la realtà spesso supera la fantasia.
Questo romanzo è una felice eccezione: mantenendosi al confine fra realtà e fantasia, ipotizza una campagna elettorale per la prima elezione diretta del Capo dello Stato in Italia.
Maggio 2015. B fugge da Palazzo Chigi per destinazione ignota: ha perso le elezioni per diventare il primo Presidente di una Repubblica presidenziale, che gli avrebbe consentito una vera libertà nella gestione del potere, come aveva sempre desiderato.
La sua straordinaria abilità di controllare il mezzo televisivo, facendo credere a chiunque qualunque cosa, è stata schiacciata da due forze: quella reale della vecchia politica, che ha messo in campo persone serie ed esperte e quella immateriale del Web, della rete di microrelazioni virtuali spontanee, che si creano e si distruggono nello spazio di un’emozione.
Almeno due personaggi, B e l’Inquilino del Quirinale, fra i quali si gioca in sostanza la partita, sembrano identificabili in soggetti reali. Ma, è ovvio, ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale.
E' da leggere subito, perchè domani potremmo già trovarci in una situazione simile a quella descritta e questo libro potrebbe esserci utile!

L’autore si cela dietro l’evidente pseudonimo di ‘Adriano’. Questa figura di uomo colto e di politico, autore di significative riforme - ricostruita in modo insuperabile da Marguerite Yourcenar - evoca ambienti romani, lotte di potere, intrighi. L’ Operazione Tallone d’Achille, del resto, è un piano per l’eliminazione politica di un avversario. Forse nel testo c’è qualche indizio per scoprire lo scrittore del racconto.
LinguaItaliano
EditoreAdriano
Data di uscita2 ago 2013
ISBN9788868553241
Operazione tallone d'achille

Correlato a Operazione tallone d'achille

Ebook correlati

Narrativa politica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Operazione tallone d'achille

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Operazione tallone d'achille - Adriano

    L-LII.

    Prologo

    6 maggio 2015, la notte dopo le elezioni presidenziali, in un luogo imprecisato, sul Web

    La notizia si diffuse sulla Rete in pochi minuti: B stava fuggendo. Gli ordini da Palazzo Chigi erano di preparare l’aereo del Presidente per un volo intercontinentale.  La destinazione era ignota, sarebbe stata comunicata all’arrivo di B nell’aeroporto militare di Ciampino.

    Anche ai meno smaliziati la notizia apparve chiara: il Presidente del Consiglio dava per perse le elezioni e non intendeva sottoporsi agli inevitabili riti di ogni transizione di potere. Prima di tutto le congratulazioni all’avversario, poi le dichiarazioni ai giornali, il passaggio delle consegne, i saluti ai collaboratori, la salita al Quirinale per le dimissioni. Non avrebbe mai accettato di recarsi dal suo nemico di sempre, che lo avrebbe accolto con il sorrisetto del vincitore e gli avrebbe offerto, cortesemente, la sua poco sincera compassione. Infine, un decoroso ritiro, neppure la soddisfazione di essere senatore a vita. Questa spettava all’inquilino del Colle, che ne sarebbe sceso con tutti gli onori, per insediarsi nell’alto, onorifico, ruolo che attendeva tutti gli ex presidenti.

    Per chi, come B, aveva controllato per oltre vent’anni, tutto il potere in Italia, un paese che aveva davanti a sé un futuro certo meno glorioso del suo passato, non c’era altra alternativa. Fuggire, lasciare dietro di sé le tracce di una straordinaria parabola che lo aveva condotto, attraverso gli oscuri meandri del sottopotere prima e del potere vero poi, a ciò che aveva sempre desiderato: cambiare la Costituzione per diventare il primo Presidente di una Repubblica presidenziale, quella che gli avrebbe consentito una vera libertà nella gestione dello Stato.

    E ora invece doveva rinunciare a tutto, si sentiva braccato da migliaia di cani virtuali che gli stavano dando la caccia, sulla Rete, individuando in anticipo le sue mosse per attenderlo al varco. Era stato fino ad allora poco consapevole di quella rapida evoluzione dei nuovi media, lui, il re del piccolo schermo, il produttore di quei messaggi a senso unico che avevano fatto sognare migliaia di giovani italiani, italiane soprattutto, in ansiosa attesa di portersi produrre, seminude, negli show che avevano tanto contribuito a cambiare il paese. Anche lui, adesso, aveva scoperto quanto fragile fosse stato il suo potere e come quell’oggetto per lui poco rilevante, il web, avesse cambiato gli italiani e stesse cambiando la sua vita….

    Non se ne era reso subito conto, ma quella campagna elettorale era stata diversa, fin dall’inizio qualcosa era andato storto: i suoi avversari di sempre erano riusciti a trovare, per la prima volta, un candidato eccellente e, cosa quasi incredibile, nessuno dei capetti della coalizione avversa si era dato da fare per affossarlo. Così, a poco a poco, lo aveva sentito avvicinarsi, morderlo ai calcagni, creandogli un’ansia cui non era abituato; per un paio di volte si era persino sentito male: fastidiose palpitazioni gli avevano brutalmente ricordato che gli anni erano passati dai giorni esaltanti della prima vittoria. I sondaggisti avevano cominciato a esitare, a presentargli inquietanti segnali di recupero di posizioni… La muta dei cani che inseguivano si era fatta più vicina.

    E poi qualcos’altro era successo. Non avrebbe saputo dire quando… Un altro candidato, un qualunque showman delle sue televisioni, presentatosi quasi per gioco, era diventato l’eroe del Web, scatenando passioni, muovendo migliaia di fan, dirottando su di sé l’attenzione dei media. Un balletto virtuale che aveva iniziato a produrre risultati. Lui non ci aveva creduto, non poteva credere che qualcuno lo combattesse con le sue stesse armi, seppur aggiornate. La campagna partiva dalla televisione ma era amplificata dalla Rete. Ai suoi tempi Internet, Tweet, Facebook, YouTube, non esistevano. Eppure, il genere di messaggi che quel tipo mandava era lo stesso: populismo, denigrazione dei potenti, sollecitazione alla rivolta, creazione dell’illusione di poter profittare un po’ di quel bengodi che pareva a portata di mano di molti, senso di appartenenza a una comunità di diversi rispetto agli altri. No, non poteva essere vero! Quel tipo stava imitando il B di un tempo che lui stesso aveva un po’ dimenticato!

    La fama di quel provocatore si era estesa sempre di più, grazie anche a un suo maldestro tentativo di farlo uccidere e lui si era lasciato distrarre, quasi affascinare da quello strano avversario; aveva per pochi decisivi giorni, trascurato di seguire le mosse del suo competitor vero, perdendosi dietro a quello virtuale. E intanto l’altro aveva messo a segno qualche mossa magistrale.

    Fino alla fine, tuttavia, era stato ancora convinto di potercela fare, aveva sottovalutato la pervasività della Rete, la sua rapida capacità di penetrazione nel mondo giovanile, che ormai viveva più nel mondo virtuale che in quello reale.

    Paradossalmente era stato sconfitto da una sorta di allenza fra la vecchia politica, che metteva in campo persone esperte e capaci e cercava il consenso con la parola e l’esempio e quella nuova, orientata alle rapide incursioni tramite il web, alla rete di microrelazioni virtuali spontanee, che si creavano e si distruggevano nello spazio di un’emozione.

    La sua straordinaria abilità di controllare il mezzo televisivo, facendo credere a chiunque qualunque cosa, era stata schiacciata da due forze: quella reale della politica vera e seria e quella immateriale del Web.

    Eppure, anche se virtuale, tentacolare, diffusa, la Rete non era così spontanea come potevano credere i più ingenui fra i suoi adepti. Chi avesse avuto voglia di seguire, con un po’ di impegno, le mille giravolte dei suoi tentacoli, avrebbe prima o poi trovato un bandolo, che conduceva verso una selva di punti d’ascolto e di trasmissione localizzati in un piccolo villaggio sconosciuto nell’entroterra ligure.

    Forse nessuno lo avrebbe mai saputo, e meno di tutti quell’ometto, che ormai appariva per quello che forse era sempre stato e che solo i suoi soldi e il suo potere avevano mascherato; un vecchio cattivo, lubrico, ansioso di piacere, restaurato fino all’inverosimile. Dietro a quella mobilitazione spontanea che aveva portato al successo un candidato normale, destinato altrimenti a soccombere alle trame del suo avversario, c’era un’operazione studiata a lungo a tavolino, anzi al computer, da un gruppo di giovani, che l’aveva chiamata, fedele alle proprie reminiscenze scolastiche, Operazione Tallone d’Achille.

    1

    30 ottobre 2014, Quirinale, ufficio privato del Presidente

    Il Segretario generale bussò discretamente alla porta dello studio privato del Presidente. Portava con sé un contenitore per documenti e lo porse in silenzio all’anziano signore che stava attendendolo.

    Le ho fatto stampare una copia del testo appena approvato, in seconda lettura, dal Senato. Ormai la modifica costituzionale è legge, manca soltanto la sua firma. Ho passato una copia anche all’Ufficio legislativo, per la verifica finale, ma Lei sa che questa volta non si possono fare rilievi sostanziali e, mi pare, neppure formali. Dovrà darmi le disposizioni per la firma. Il Presidente del Consiglio ha già fatto sapere che vorrebbe essere presente, insieme ai Presidenti di Camera e Senato, e che ritiene occorra dare una certa solennità a quest’atto che cambia in modo radicale l’assetto di governo del Paese.

    Il Presidente annuì:

    Certo, certo, non ne dubitavo. Mi lasci il tempo di scorrere il testo un’ultima volta, anche se non spero di trovare pretesti per rifiutare la firma.

    Guardò l’orologio appoggiato alla consolle barocca collocata davanti alla scrivania:

    Sono ormai le 7. Domattina sentirò il parere dell’ufficio legislativo e fisserò l’ora per la firma ufficiale. E lei potrà comunicarla al capo del governo, alle altre autorità e, naturalmente, alla stampa. Adesso mi lasci; fra tre quarti d’ora ho promesso a mia moglie di salire nel nostro appartamento per prendere un aperitivo con lei e prepararmi per la cena che ha organizzato con alcuni vecchi amici. Credo voglia cercare di tirarmi su il morale e confesso che un po’ ne ho bisogno.

    Si appoggiò allo schienale, inforcò gli occhiali da lettura e tirò a sé il dossier. Il Segretario uscì senza aggiungere altro.

    Il Presidente non iniziò subito a leggere. Chiuse gli occhi e ripensò ai lunghi anni di carriera politica, che lo avevano portato alla più alta carica dello Stato proprio in uno di quei momenti in cui una persona può fare la differenza. Ma lui non era riuscito a farla, la differenza. Il Capo del Governo, arrogante, potente, ricco e, soprattutto proprietario della quasi totalità dei media del Paese, oltre che controllore delle radio e tv di Stato, da sempre ambiva alla sua carica, ma non si accontentava del ruolo di garante della legalità e di arbitro delle vicende politiche che la Costituzione assegnava al Presidente della Repubblica. Quello che voleva era diventare un Presidente all’americana, o alla francese, dotato di vero potere e al tempo stesso provare l’emozione di avere raggiunto il suo obiettivo: diventare almeno pro tempore (che per lui significava fino alla fine di una vita che, si aspettava, sarebbe stata lunghissima) il padrone del Paese.

    Come potevano - si disse il vecchio signore, dal portamento elegante e dal profilo aquilino, che ancora per pochi mesi sarebbe stato l’ospite del magnifico palazzo appartenuto ai Papi - i suoi concittadini essere così facilmente abbindolabili da una persona che, per oltre vent’anni, aveva interpretato il governo come la cura dei propri interessi personali? Eppure i sondaggi parlavano chiaro: se si fosse votato l’indomani l’eletto sarebbe stato Lui, senza alcun dubbio. Gli elettori si dimostravano molto contenti della novità istituzionale dell’elezione diretta e si riconoscevano in quell’ometto tronfio e contento di sé, che in un certo senso riusciva a interpretare i loro sentimenti e i difetti peggiori, a farli quasi sembrare delle qualità.

    Eppure, ricordò l’Inquilino del Quirinale, solo un paio di anni prima era sembrato che fosse possibile sconfiggere la sempre più sgangherata coalizione che sosteneva il capo del governo, che in quel momento era composta da tanti capi e capetti rissosi, unificati solo dai soldi e dal potere che B era riuscito a garantire loro. In seguito alle elezioni in alcune città importanti e alla schiacciante vittoria ottenuta dalle opposizioni nei referendum contro la privatizzazione dell’acqua e contro le centrali nucleari, il trono di B era sembrato vacillare. Solo un’abile manovra del Colle, complice la grave crisi economica, era poi riuscita a ottenere le dimissioni del Premier e a costringere le maggiori forze politiche a dar vita a un governo tecnico.

    Dopo che anche questo esecutivo era stato silurato da B, si era andati a nuove elezioni, alle quali la coalizione di sinistra era data per vincente.

    Il Presidente aveva sperato di potersi prendere un meritato riposo, ma la situazione politica era di nuovo precipitata: con un’incredibile energia B era come risorto, recuperando in pochissimo tempo il consenso perduto, aveva costretto gli avversari a una quasi parità, era riuscito a imporre un governo di grande coalizione.

    E io, si disse il vecchio signore, sono stato oggettivamente suo alleato, ho accettato una rielezione che non volevo e ho costretto il mio partito a un governo con B, che dopo una breve fiammata di consenso ha portato la sua maggioranza schiacciante in caduta libera.

    Occorreva ricordare che, in quelle sventurate elezioni, era apparsa dal nulla un nuovo movimento populista, formato da giovani abilissimi nell’usare Internet e guidato da un vecchio uomo di spettacolo, che aveva ottenuto un successo strepitoso sottraendo molti voti a entrambi gli schieramenti.

    Che altro avrebbe potuto fare un Presidente dai poteri limitati come i suoi? Si chiese una volta di più, come aveva fatto quasi tutte le notti dopo la sua rielezione.

    E una brutta mattina di un anno prima era successo l’inevitabile: il governo di coalizione si era visto ritirare la fiducia. Si era andati a nuove, convulse elezioni e B, che nel frattempo era anche riuscito a mettere una pezza sulle sue rocambolesche vicende giudiziarie, aveva trionfato una volta di più.

    A poco era servito il buon lavoro fatto dal giovane Primo Ministro, in cui anche il Presidente aveva riposto molte speranze.

    La rissosa alleanza di centrosinistra, riformatasi dopo la rottura del governo di coalizione, era stata duramente battuta. Anche il movimento pop-web era stato travolto dalle dispute finanziarie e di potere fra i suoi eletti, che poco avevano in comune se non l’abilità nel maneggiare i social network. Ma anche a causa del pervicace rifiuto del suo strampalato leader di accettare qualunque dialogo con altre forze politiche, si era ridotto a un modesto 7-8%.

    E così B era riuscito a vincere le elezioni e a tornare al governo. Ma ben presto aveva abbandonato l’atteggiamento da statista esibito nel periodo elettorale, ricominciando a farsi allegramente gli affari propri.

    Quel nuovo mandato di governo tuttavia non gli bastava più. Dal giorno in cui si era insediato a Palazzo Chigi, la sua ossessione era diventata la riforma costituzionale, di tipo presidenziale: non voleva più nulla fra sé e il potere totale, soprattutto mal tollerava la presenza al Quirinale dell’ingombrante inquilino, il cui prestigio presso gli Italiani non faceva che crescere.

    Così, disse fra sé il Presidente, alla fine B c’era riuscito! E lui l’indomani avrebbe dovuto firmare quella riforma della Costituzione, che introduceva l’elezione diretta del Capo dello Stato e lo dotava di poteri rilevanti, più o meno sul modello francese. Come moneta di scambio nei confronti del suo eterno alleato federalista, la riforma prevedeva anche la possibilità che, su richiesta di una Regione e con voto a maggioranza assoluta delle Camere, le si potesse concedere uno statuto speciale e autonomi poteri fiscali.

    A questa novità tutti associavano i nomi delle grandi regioni del Nord, che da sempre aspiravano a una forma di secessione di fatto. Con lo statuto speciale, avrebbero ottenuto una condizione simile a quella delle piccole regioni di frontiera, come la Valle d’Aosta o il Trentino- Alto Adige, che tenevano per sé la quasi totalità delle entrate fiscali.

    Che cosa sarebbe successo se la Lombardia e il Veneto e poi magari anche il Piemonte e l’Emilia-Romagna, avessero ridotto drasticamente il proprio contributo al Bilancio dello Stato? Con quali risorse il Governo avrebbe potuto riuscire a far fronte al servizio del sempre più ingente debito pubblico e alla perequazione fra Nord e Sud del Paese?

    Il Presidente si riscosse: questi sarebbero stati i problemi del futuro. Quelli di adesso erano due: la lettura della riforma costituzionale, per scoprire se ci fosse ancora qualche margine per un rinvio e la gestione politica fino alle elezioni del nuovo Presidente, che sarebbero avvenute fra sei e otto mesi dall’entrata in vigore della nuova Costituzione.

    Siamo al 30 ottobre, pensò, i comizi elettorali dovranno essere convocati fra fine aprile e metà giugno. Dopo le vacanze di Natale saremo in piena bagarre pre-elettorale. L’opposizione, se vuole farcela, deve scegliere al più presto una strategia e un candidato!

    Sentiva confusamente che il suo compito non era ancora finito. Era vecchio e anche un po’ stanco

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1