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I delitti di Napoli
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E-book290 pagine4 ore

I delitti di Napoli

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Un viaggio tra omicidi a sfondo mafioso, raptus di follia, casi di pedofilia, avvelenamenti, decapitazioni, sequestri, raid punitivi e pallottole vaganti 

Molto probabilmente in nessun’altra area metropolitana del mondo occidentale c’è una “produzione” così copiosa di materiale da cronaca nera come a Napoli. E anche se è impossibile raccontare tutto ciò che qui è accaduto negli ultimi anni, questo libro vuole essere un viaggio in un ampio e variegato campionario del male, un percorso che parte dal 1980 per concludersi ai giorni nostri. Un viaggio le cui tappe sono segnate da omicidi a sfondo politico-mafioso, raptus della follia, casi di pedofilia, avvelenamenti, decapitazioni; e ancora, sequestri anomali, raid punitivi, delitti della lupara bianca, pallottole vaganti.
E tra i protagonisti, oltre a quelli che potremmo generalmente definire “i cattivi” – gli assassini, i mandanti e i loro complici – purtroppo spesso ci sono anche bambini, adolescenti, poliziotti incorruttibili, professionisti dalla schiena dritta, madri coraggiose, onesti padri di famiglia: uomini, donne e ragazzi finiti all’altro mondo senza alcuna colpa. Perché, e anche qui bisogna dire purtroppo, a Napoli continuano a morire tanti, troppi innocenti.

Si può raccontare una città attraverso i suoi crimini?

Un viaggio inedito alla scoperta della faccia sporca di Napoli

• Raffaella, la bambina “vendicata” dai camorristi
• Il poliziotto odiato dalla camorra e ucciso dalle BR
• Il prete che conosceva i segreti del boss Cutolo
• Il giallo del finanziere chiamato “Rambo”
• Quell’avvocato troppo amico del boss
• Gli “eroi” per caso che (non) sventarono lo scippo
• L’assassinio (impunito) del consuocero del Premio Nobel
• L’ex poliziotto che si lanciò dal ponte della Tangenziale
• L’ex calciatore, vittima del Far West napoletano
• Il papà della giornalista ucciso per sbaglio
• Raffaele, massacrato di botte e morto di omertà
• Suicida per una mazzetta da 20 euro
E tanti altri delitti…
Bruno De Stefano
Giornalista professionista, ha seguito la cronaca nera e giudiziaria per diversi quotidiani. Ha lavorato per il «Corriere del Mezzogiorno», «City», il «Corriere della Sera» e «La Gazzetta dello Sport». Tra le sue pubblicazioni per la Newton Compton, ricordiamo: Napoli criminale, I boss della camorra, La casta della monnezza, La penisola dei mafiosi, 101 storie di camorra che non ti hanno mai raccontato e I delitti di Napoli. Insieme a Vincenzo Ceruso e Pietro Comito ha scritto I nuovi boss. Mafia, ’Ndrangheta e Camorra: le nuove frontiere della criminalità in Italia. Ha vinto il “Premio Siani” con il volume Giancarlo Siani. Passione e morte di un giornalista scomodo.
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2015
ISBN9788854183919
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    Anteprima del libro

    I delitti di Napoli - Bruno De Stefano

    Il medico comunista che non si faceva gli affari suoi

    È come il capitano di una squadra che gioca sempre in trasferta sui quei campi di periferia polverosi e irregolari, dove hai tutto contro: gli avversari scorretti, un arbitro decisamente poco imparziale, nessun tifoso che ti sostiene.

    Mimmo Beneventano è consapevole di giocare fuori casa, avverte il senso di solitudine di chi può contare solo su qualche buon amico ma, nonostante la sua squadra sia in evidenti condizioni di inferiorità numerica, non ha mai fatto un passo indietro. A Ottaviano, dove vive, il suo coraggio lo ha esposto a una serie di pericoli, visto che da quelle parti conta una sola legge, e non è certo quella dello Stato.

    Di professione fa il medico ma la sua vita è particolarmente intensa perché è una persona ricca di interessi. In cima alle sue passioni c’è la politica, poi la poesia e le buone letture. Se si limitasse a buttar giù terzine e quartine, potrebbe vivere senza patemi d’animo, invece è anche consigliere comunale del PCI, sta all’opposizione e insieme ai suoi compagni di partito un giorno sì e l’altro pure si scaglia contro una maggioranza composta da socialdemocratici e democristiani, accusandola di far di tutto tranne che gli interessi della collettività. Uno dei bersagli preferiti è il PSDI, un partito che mentre in tutta Italia raggiunge percentuali che oscillano tra il 2 e il 4%, a Ottaviano conquista numeri da ineguagliabile record: alle Comunali ha preso il 31,66%, poco meno della DC (32,2%) e molto di più dei comunisti (18,7%). Se il partito di Giuseppe Saragat ottiene risultati così strabilianti lo deve a Salvatore La Marca, imprenditore facoltoso e soprattutto politico di lungo corso. La sua fedina penale è immacolata e lui non perde occasione per ricordare a tutti di non aver nessun conto in sospeso con la Legge.

    Mimmo è stato eletto nella tornata elettorale del 1975 e in breve tempo si è fatto notare per il modo impetuoso con il quale interpreta il ruolo di rappresentante dell’opposizione. A qualcuno, però, questo giovanotto istintivo ed esuberante non piace e c’è chi gli ha fatto chiaramente capire che deve darsi una calmata. In un articolo sul periodico «L’altra voce», pubblicato il 26 novembre del 1975, Andrea Oriolo fa il resoconto di una convulsa seduta consiliare, dal quale si deduce il clima che si respira a Ottaviano:

    La DC e il PSDI arrivano ad impedire qualsiasi dibattito politico sull’operato della maggioranza perché sanno di non poterlo sostenere. Mobilitano i loro sgherri e li sguinzagliano tra il pubblico, pronti a tutto. Instaurano nell’aula un clima torbido di intimidazione e di minaccia e si scagliano in modo canagliesco contro il compagno Beneventano, reo di aver detto cosa pensa degli uomini che ci governano.

    Mimmo, però, tutto ha fatto tranne che starsene buono, guadagnandosi la mai troppo celata ostilità di chi gestisce il potere. L’ardore col quale interpreta il suo impegno politico viene mal tollerato pure per un’altra ragione: Beneventano viene da fuori. Infatti è nato e cresciuto – fino all’adolescenza – a Sasso di Castalda, in provincia di Potenza, e per questo motivo c’è chi non riesce a spiegarsi perché un estraneo come lui coltivi il brutto vizio di occuparsi di una realtà che non gli appartiene.

    Benché la politica assorba buona parte delle sue energie, non trascura mai i suoi impegni professionali, anzi li affronta con grande dedizione, curando anche chi non può permettersi di pagare un medico. Inoltre è da sempre in prima linea nell’aiutare chi si è fatto risucchiare nel gorgo dell’eroina. Sul versante privato, invece, la sua vita sentimentale non può essere definita tranquilla, come dimostra la sua ultima e tormentata storia con un’insegnante. Ma dalla metà degli anni Settanta in poi, a Ottaviano il problema principale non è solo la malapolitica. Chi si batte per la legalità ha un altro avversario assai più insidioso: si chiama Raffaele Cutolo, il capo della Nuova Camorra Organizzata (NCO), una banda di delinquenti che si distingue per la ferocia con la quale elimina fisicamente chiunque ne metta in pericolo gli affari. Cutolo ha occhi e orecchie dappertutto grazie a una rete di fedelissimi, molti dei quali sono dei disperati senza arte né parte. Tra i suoi fiancheggiatori ci sono pure imprenditori legati alla politica, insieme ai quali vorrebbe realizzare speculazioni milionarie, in particolare nel campo dell’edilizia. A Ottaviano chi attraversa l’incrocio politica-camorra rischia di farsi seriamente del male, come dimostra l’omicidio dell’avvocato Pasquale Cappuccio (47 anni), un consigliere comunale del Partito socialista assassinato nel settembre del 1978 per aver denunciato le collusioni tra i cosiddetti colletti bianchi e la criminalità organizzata. L’omicidio di Cappuccio ha rappresentato uno spartiacque. Il già diffuso clima di omertà e di paura, infatti, ha assunto da quel momento i contorni del terrore: il terrore che qualcuno possa mandarti al camposanto a colpi di pistola. Il PCI, seppur con qualche titubanza, ha sempre fatto la sua parte contro la camorra, trascinato non solo da Mimmo ma soprattutto dal fervore di Raffaele La Pietra, un uomo di grande temperamento. Cutolo tuttavia ha rafforzato ed esteso la sua influenza, facendosi strada con un’interminabile sfilza di omicidi. Uno sterminio dei nemici avvenuto fuori e dentro gli ambienti malavitosi. Delle gesta criminali di Cutolo, che tutti chiamano o’ professore, si parla soprattutto nel 1980, anno in cui a Napoli e in provincia si spara con maggiore frequenza, talvolta solo per gambizzare, ma spessissimo per uccidere. Il boss, pervaso da incontenibili manie di grandezza, ha deciso di fare la guerra al mondo e i suoi adepti premono il grilletto contro ogni avversario, reale o potenziale che sia. Dal primo gennaio alla fine di ottobre del 1980 i morti ammazzati sono arrivati a quota 107, un numero impressionante che secondo poliziotti e carabinieri potrà solo lievitare.

    immagine

    Domenico Beneventano – medico, poeta, esponente del Partito comunista di Ottaviano (Na) – perse la vita in un agguato mortale il 7 novembre 1980.

    Beneventano non sa che la vittima numero 108 sarà proprio lui. Non lo immaginano neppure alcuni suoi compagni di partito, che la sera del 6 novembre si trattengono a chiacchierare con Mimmo fino a tardi.

    La mattina del 7 il medico si sveglia poco dopo l’alba, fa colazione, prepara la borsa ed esce di casa per andare al lavoro. In strada è parcheggiata la sua Simca di colore verde. Appoggia la borsa sul sedile posteriore, fa un gesto di saluto con la mano alla madre che lo guarda dalla finestra e, mentre apre la portiera per mettersi al volante, un tizio lo chiama ad alta voce: «Dottore!». Sono le 7 meno un quarto e a quell’ora è davvero singolare imbattersi in qualcuno che ti conosce e sta passando proprio sotto casa tua. No, non è una coincidenza. Il tizio che urla «Dottore!» non è un amico e neppure un paziente: è un killer. Mimmo si gira e dal finestrino di una Fiat 128 alle sue spalle spunta una pistola. L’assassino preme il grilletto più volte, Mimmo viene colpito alla gola e alla testa e si accascia davanti alla Simca. La 128 riparte a tutta velocità: sarà ritrovata qualche ora dopo nei pressi del cimitero di Ottaviano, completamente bruciata; era stata rubata due settimane prima ad Angri, nel Salernitano. La madre ha assistito alla scena e lancia delle grida disperate che svegliano l’altra figlia, Rosalba, di 23 anni. La ragazza si precipita alla finestra per capire cos’è successo: la scena è raggelante, mentre la mamma si dispera, lei resta impietrita.

    Nonostante i proiettili lo abbiano raggiunto in parti vitali, il consigliere comunale del PCI non è ancora morto. Una donna è scesa in strada per soccorrerlo, gli slaccia la cravatta e lui fa un gesto come se volesse prendere aria. Sono gli ultimi istanti di vita del medico-poeta, che spira poco dopo l’arrivo in ospedale. Aveva compiuto 32 anni a luglio.

    La dinamica dell’agguato sembra portare in calce la firma della camorra, tanto più che l’utilizzo di un’auto rubata due settimane prima lascia chiaramente intendere che l’assassinio sia stato pianificato da professionisti.

    La morte dell’esponente del PCI suscita reazioni fortissime, soprattutto perché è la seconda volta, dopo l’imboscata a Cappuccio, che a Ottaviano viene massacrato un politico impegnato sul fronte della lotta all’illegalità. Benché l’ipotesi di un delitto eseguito dalla NCO appaia la più probabile, l’inchiesta imbocca diverse direzioni. Si comincia a scandagliare la vita professionale della vittima, avanzando il dubbio che a premere il grilletto possa essere stato uno spacciatore che non aveva gradito il sostegno offerto ad alcuni ragazzi schiavi dell’eroina. Oppure, secondo un’altra supposizione, il dottore avrebbe saputo qualcosa che non doveva sapere sulla provenienza della droga che sta rovinando la vita a centinaia di giovani. Dall’attività professionale alla vita privata, il passo è breve: quei colpi di pistola potrebbero essere collegati a un’imprecisata storia di donne. Sono tutte congetture prive di una qualsivoglia pezza d’appoggio, ma è su questo terreno che si concentrano le attenzioni degli investigatori.

    In realtà, ci sarebbe un movente molto più convincente, che conduce all’impegno politico, eppure questa pista sembra una delle tante, addirittura marginale. Ed è molto strano perché a Ottaviano pure le pietre sapevano che Mimmo si era guadagnato l’odio mortale dei camorristi. In virtù della sua appartenenza al PCI, lo sviluppo delle indagini è seguito con puntuale attenzione dall’«Unità», e proprio sul quotidiano comunista il giornalista Vito Faenza rivela una circostanza probabilmente sconosciuta a molti e che apre nuovi scenari:

    [La vittima] aveva raccontato che non tanto tempo fa all’ospedale di Castellammare, dove ha lavorato al pronto soccorso fino a sei mesi fa, era arrivata la famiglia di un pregiudicato per pretendere una dichiarazione in cui si attestasse che il suo congiunto era ricoverato nel reparto prima e dopo un preciso orario di un tale giorno. Si trattava di fornire un alibi ed il compagno Beneventano rifiutò. Anche in quella occasione venne minacciato, ma cambiò ospedale e le minacce vennero dimenticate anche dai pochi amici ai quali aveva raccontato l’episodio¹.

    «L’Unità» raccoglie, inoltre, la testimonianza di un amico di Mimmo, secondo il quale il consigliere comunale aveva capito che tirava una brutta aria e aveva quindi adottato delle precauzioni:

    Era stato minacciato più volte, con me e con qualche altro suo amico non ne aveva fatto mistero. Era stata minacciata anche la sorella e allora chiese il porto d’armi. Era il 30 settembre del ’78, lo ricordo bene, quindici giorni dopo l’uccisione dell’avvocato Cappuccio. Dopo averlo ottenuto, comprò immediatamente una pistola che però teneva sempre in casa².

    Il 17 novembre il PCI si mobilita e organizza una manifestazione contro la camorra. Sul palco salgono in tanti, l’intervento più appassionato è quello di un giovane funzionario, si chiama Antonio Bassolino ed è segretario regionale e componente della direzione nazionale.

    immagine

    Un giovane Antonio Bassolino. Quand’era segretario regionale e componente della direzione nazionale del PCI, intervenne nella manifestazione anticamorra organizzata dal suo partito dopo l’uccisione di Beneventano.

    Il futuro sindaco di Napoli, nonché ministro del Lavoro e presidente della Regione Campania, urla al microfono:

    Questa manifestazione deve essere un’occasione per far crescere ancora di più il muro contro la mafia e la camorra che a Napoli e nel Mezzogiorno producono gli stessi drammatici effetti che il terrorismo ha prodotto e produce nelle altre parti del Paese. Una sfida alla gente che deve rispondere come ha fatto oggi, uscendo dalle case senza timori, che deve sapere che al suo fianco troverà sempre il Partito comunista. Che deve sconfiggere l’ambizione della mafia e della camorra di organizzare a modo loro la società³.

    Nell’attesa che le indagini compiano qualche passo in avanti, Rosalba, la sorella di Mimmo, prova a guardare avanti:

    Vendetta? Odio? Non provo nessuno di questi sentimenti. E chi dovrei odiare? Quelli che hanno sparato a mio fratello non sono stati che strumenti nelle mani di altri. I mandanti certo non li perdonerò mai, ma non li odio. Quando saranno smascherati, però, chiederò un faccia a faccia per chiedere, guardandoli negli occhi, ragione di quello che hanno fatto. Io, noi, vogliamo sapere perché. Vogliamo capire⁴.

    I funerali e le lacrime precedono – come accade di frequente – l’oblio. Il nome di Beneventano scompare dal radar della magistratura e delle forze dell’ordine e la guerra di camorra finisce in secondo piano quando, il 23 novembre, l’Irpinia viene devastata da un pesantissimo terremoto, un evento tragico che impone di dirottare attenzione, uomini ed energie nei luoghi colpiti dal sisma. Mentre nell’Avellinese lo Stato arranca dietro alla catastrofe, la banda di Cutolo continua ad annientare i nemici.

    L’omicidio del consigliere del PCI viene progressivamente dimenticato ma a Ottaviano i killer seguitano a sparare contro chi, in qualche modo, tenta di contrastare l’avanzata della criminalità organizzata. Come il pretore Antonio Morgigni, considerato troppo pignolo per chi è abituato ad agire indisturbato. Il magistrato è consapevole di aver pestato i piedi a qualcuno, per cui gira armato. Una precauzione che si rivela decisiva quando il 2 marzo del 1981, nella centralissima piazza San Francesco, viene affrontato da due sicari. Morgigni, però, è fortunato: il mitra che avrebbe dovuto abbatterlo, s’inceppa; lui ha il tempo di estrarre la pistola e di sparare per primo, mettendo in fuga il commando. Non c’è scappato il morto, ma oramai è evidente che a Ottaviano le persone perbene rischiano di andare al camposanto. A due mesi e mezzo dal fallito agguato al magistrato, si verifica un episodio che apre gli occhi anche a chi si è sempre ostinato a tenerli chiusi: il 20 maggio Raffaele La Pietra, il combattivo segretario cittadino del PCI, viene affrontato da due assassini che gli sparano un colpo alla nuca e uno al petto. La Pietra riesce miracolosamente a sopravvivere, ma l’agguato conferma in modo inequivocabile che c’è un filo rosso a legare politica e camorra, e chi denuncia imbrogli e speculazioni viene punito con la morte.

    L’imboscata a La Pietra, che andrà via da Ottaviano, viene rapidamente rimossa, così com’era stata rimossa l’eliminazione di Beneventano. Nel frattempo, esplode la guerra di camorra tra la NCO di Cutolo e il cartello emergente della Nuova Famiglia, capeggiato da Carmine Alfieri. Se il 1980 si è chiuso con 149 omicidi, il 1981 ha raggiunto quota 193 e nel 1982 i cadaveri saranno 237, senza contare un numero imprecisato di feriti. A Napoli e in provincia c’è ormai un clima di terrore diffuso, e nell’immaginario collettivo Ottaviano diventa l’epicentro di una mattanza truculenta e inarrestabile.

    Il disastro provocato dal terremoto moltiplica la disperazione di una terra già alle prese con problemi atavici, e solo quando la situazione diventa palesemente ingovernabile lo Stato comincia ad abbozzare qualche azione repressiva degna di questo nome. Intanto, agli inizi del 1983 la Arnoldo Mondadori Editore dà alle stampe Camorra. Un mese ad Ottaviano, il paese in cui la vita di un uomo non vale nulla, un libro scritto dal giornalista Luca Rossi. Nel volume c’è una serie di interviste, molte delle quali disegnano uno scenario cupo all’interno del quale regnano omertà e paura. Rossi intervista pure la sorella di Beneventano, Rosalba:

    Anche Mimmo non si rendeva conto, diceva: noi veniamo da fuori, forse non sappiamo tutti gli imbrogli. Nel ’75 ebbe delle minacce, l’assessore Saviano gli disse di stare attento a come parlava, ma lui minimizzava. Lui diceva che non aveva paura della mafia, perché se non hai paura ti rispettano. All’inizio nemmeno la polizia capiva niente. Il motivo era molto vago. Dicevano che forse era una questione di donne, forse aveva aiutato qualcuno che non doveva aiutare. Siccome Mimmo aiutava i drogati. Poi il fatto di Raffaele La Pietra ci ha fatto capire che era solo un motivo politico. Mimmo era molto coerente, non era comunista solo perché andava in sezione. Come medico aiutava quelli che non avevano soldi. Non si faceva pagare, non faceva traffici con le ricette. Litigò con altri medici quando fissarono il prezzo delle visite a ventimila lire. Lui non le voleva, diceva che già lo pagava la mutua. Dava fastidio questa sua rigidità, lui non cedeva, diceva se appena cedi un millimetro quelli ti fottono. Anche verso il partito, diceva sempre di volersi dimettere perché non voleva fare politica a tempo perso. E poi non si sentiva preso in considerazione, anche se era il secondo eletto. Li voleva più sicuri, più decisi, e non solo il consiglio comunale.

    Dopo aver fatto quasi sempre solo da becchino contando i morti, lo Stato finalmente manifesta la sua presenza e la sua sovranità attraverso una massiccia offensiva. Nella notte tra il 16 e il 17 giugno del 1983 (con l’impiego di ottomila uomini, tra poliziotti, carabinieri e finanzieri, mobilitati in 33 province) vengono eseguiti 856 ordini di cattura, 337 dei quali notificati a persone già in carcere. Gli indagati sono 1040; una dozzina gli arresti «eccellenti», tra i quali c’è lo stesso Salvatore La Marca, in quel periodo assessore provinciale al Turismo. Il ras del PSDI, però, riesce a evitare le manette e si dà alla fuga prima dell’arrivo dei carabinieri.

    L’inchiesta, durata cinque mesi, è stata realizzata grazie alla collaborazione di alcuni ex fedelissimi di Cutolo che agli investigatori hanno rivelato un’infinità di segreti della cosca di Ottaviano, consentendo di fare luce soprattutto su omicidi ed estorsioni. Si tratta perlopiù di gente che ha deciso di passare dalla parte dello Stato perché spaventata dall’idea di invecchiare dietro le sbarre. Nella folta pattuglia di camorristi che ha voltato le spalle al professore, ce n’è più di uno che dice di sapere chi e perché ha ucciso Mimmo Beneventano. E più d’uno sostiene che l’assassinio del medico, quello di Cappuccio e il tentato omicidio di La Pietra, siano stati scatenati dallo stesso movente: davano fastidio a Cutolo e ai suoi amici al Comune, e il capobastone li ha puniti. Dunque, stando a quanto dichiarano i camorristi pentiti, l’esponente socialista e i due rappresentanti del PCI hanno pagato col piombo il tentativo di opporsi al patto politico-malavitoso che condizionava l’attività dell’amministrazione comunale di Ottaviano.

    La sensazione, insomma, è che finalmente si possa uscire dal buio nel quale sembrano essere sprofondati alcuni delitti cosiddetti eccellenti. Dopo tante parole al vento e tanti dubbi, si va finalmente verso un processo che potrà fare giustizia una volta per tutte e dare un nome e un volto a chi ha trucidato Mimmo. Almeno questo è l’auspicio.

    Il dibattimento comincia il 2 maggio del 1986 e, oltre a Cutolo, sul banco degli imputati ci sono Angelo Auricchio, Antonio Fontana e i fratelli Luigi e Raffaele Polito, tutti ritenuti coinvolti nell’agguato a Beneventano; Davide Sorrentino e Sabato Saviano sono invece accusati di essere i responsabili del tentato omicidio di La Pietra. Cutolo si scrolla subito di dosso ogni responsabilità e ai giudici dice: «Non ho mai conosciuto il dottor Beneventano. Se fossi stato il mandante dell’omicidio lo avrei ammesso. Così come per il ferimento di La Pietra, del quale sono stato compagno di scuola»⁵. Il capoclan aggiunge, inoltre, che per lui Beneventano era un signor nessuno. Nell’udienza del 9 maggio il pentito Pasquale D’Amico, detto o’ cartunaro, spiega alla Corte che in una cella del carcere di Poggiorale l’assassinio del consigliere comunista era stato festeggiato con un brindisi⁶. Il processo imbocca subito la strada che sembra condurre alla verità e il contributo dei collaboratori convince i giudici che dietro la morte del consigliere comunale comunista ci siano Cutolo e la sua NCO. Nella sentenza di condanna per tutti gli imputati, i giudici scrivono che Beneventano era una persona

    intransigente e decisa non solo nella enunciazione verbale di ideologie e principi, ma anche nell’agire pratico nel quale si sostanziava la volontà di concretamente attuare le linee programmatiche e i disegni preannunciati, generosa e talvolta impulsiva, in una lotta spesso impari contro fenomeni di corruttela specifica e di delinquenza comune. Tenace sostenitore del suo credo politico, il Beneventano non esitava a sfidare, nella foga oratoria dei pubblici comizi o nell’aula consiliare di Ottaviano, la camorra locale, denunciandone prepotenze e soprusi e più in generale a combattere la violenza come fenomeno sociale di carattere nazionale. Tale strategia politica del Beneventano, sostanzialmente innocua, ancorché irritante per l’organizzazione camorristica locale, fin quando restava sul piano di una dialettica puramente verbale, per la marginale incidenza di una coraggiosa ma sterile denuncia meramente orale, venne tuttavia sagacemente utilizzata allorché dalle astratte affermazioni di principio il Beneventano passò con diversa e più penetrante efficacia all’agire pratico, ostacolando in modo tangibile i concreti interessi economici di quel gruppo organizzato operante in Ottaviano.

    Scartate senza se e senza ma le piste alternative – l’attività professionale e una fumosa storia di donne – la Corte di Assise individua la precisa ragione per la quale

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