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LA MIA RAI dalla Lottizzazione alla Occupazione 25 anni di storia in Calabria
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E-book251 pagine3 ore

LA MIA RAI dalla Lottizzazione alla Occupazione 25 anni di storia in Calabria

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La storia della RAI in Calabria e la storia della Calabria raccontata dalla RAI: quella parte infinitesimale di storia, cioè, che mi ha visto impegnato, sul campo, in prima persona.
Venticinque anni: i venticinque anni che vanno dalla Lottizzazione (figlia del compromesso storico che attraverserà, fino ai giorni nostri, le alterne vicende della politica) alla Occupazione; dalla Prima alla Seconda Repubblica. Li racconto, almeno mi sono sforzato di farlo, sotto la lente d’ingrandimento di giornalista lottizzato che ha, però, sempre cercato di mettere al centro del proprio impegno professionale il rigore, l’imparzialità, l’oculatezza, la pari dignità.
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2016
ISBN9788868224233
LA MIA RAI dalla Lottizzazione alla Occupazione 25 anni di storia in Calabria

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    Anteprima del libro

    LA MIA RAI dalla Lottizzazione alla Occupazione 25 anni di storia in Calabria - Santi Trimboli

    Einstein)

    Introduzione

    Raccontare da un avamposto di periferia la RAI, l’Azienda per la quale ho lavorato per 25 anni. Tratteggiarne la mutazione genetica avvenuta in questo quarto di secolo e, al tempo stesso, contestualizzarla nella realtà storica calabrese. Un’idea, o meglio, un’esigenza che ho maturato in maniera dirompente il giorno in cui (era il 6 Novembre del 2010) mi sono lasciato alle spalle, per l’ultima volta, lo scatolone di viale Marconi, quella che per 25 anni era stata la mia seconda casa. Nessuna presunzione di invadere la già ricca e preziosa raccolta antologica che, sull’argomento, ha visto impegnati nel tempo illustri critici, storiografi, massmediologi, glottologi e… tuttologi. Soltanto il bisogno di far sapere, di svelare il volto nascosto di una delle tante postazioni lontane dal centro dell’Impero che arricchiscono l’universo RAI. La storia della RAI in Calabria e la storia della Calabria raccontata dalla RAI: quella parte infinitesimale di storia, intendo, che mi ha visto impegnato, sul campo, in prima persona. Pillole di storia, naturalmente. Raccontarli tutti, i capitoli, nella loro compiutezza sarebbe stata impresa titanica. Oltretutto, molti dei testi da me elaborati a sostegno dei servizi radiofonici e televisivi sono andati smarriti e, conseguentemente, il supporto storiografico risulta incompleto e lacunoso (gli scritti qui proposti, in breve sintesi, rimandano soltanto ad alcuni dei servizi da me firmati). È dunque, questo, un racconto ricostruito faticosamente, da un osservatorio assolutamente personale, se volete, assolutamente interessato, di parte. Un racconto che, per questo, non può prescindere dall’alternarsi di sentimenti, emozioni, di stati d’animo che hanno accompagnato il mio percorso di giornalista in quella che è, giustamente, considerata la più grande Azienda culturale d’Italia.

    Venticinque anni: i venticinque anni che vanno dalla Lottizzazione (figlia del compromesso storico che attraverserà, fino ai giorni nostri, le alterne vicende della politica) alla Occupazione; dalla Prima alla Seconda Repubblica. Li racconto, almeno mi sono sforzato di farlo, sotto la lente d’ingrandimento di giornalista lottizzato che ha, però, sempre cercato di mettere al centro del proprio impegno professionale il rigore, l’imparzialità, l’oculatezza, la pari dignità.

    Non tragga in inganno l’incipit assolutamente autobiografico. Non si tratta di compiacente autoreferenzialità ma di una impostazione semantica, a mio giudizio, imprescindibile per poter sviluppare, dall’interno, la trama del racconto. Una chiave d’ingresso, insomma, che non ha, però, la pretesa di accedere nelle sfere di una galassia senza confini. Tanto è stato scritto, tanto è stato detto sulla RAI. La mia vuole essere solo una voce di dentro, una testimonianza. La testimonianza di un protagonista che tanto ha dato, ma che tanto ha anche ricevuto. Nonostante tutto e tutti.

    Incompleto, dicevo, il supporto cartaceo, lacunosa, molto probabilmente, anche la ricostruzione storica riferita alla evoluzione degli organici redazionali. Una redazione, per definizione, è un porto di mare. Gente che va, gente che viene. E da via Montesanto a viale Marconi tanta gente è passata nel corso di questi lunghi, affascinanti venticinque anni. Ricordare tutti, anche in questo caso, sarebbe stato un puro esercizio di equilibrismo della memoria.

    In ricordo dei miei genitori

    L’attesa

    Il telefono squilla. È la telefonata che aspettiamo con grande trepidazione, con la stessa ansia che accompagna le lunghe attese, i lunghi silenzi. Il silenzio, il vuoto sospeso, il buco nero dei pensieri più remoti accarezzati ora con forza, ora con delicatezza. Il tempo immobile in quella piccola stanza di via dei Mille, ricovero intimo e segreto, quasi un’alcova nascosta agli occhi indiscreti. Io, mia moglie, mia madre, mio padre, tutti in angosciante attesa.

    Il lungo pomeriggio è stato preceduto da una telefonata del caporedattore del tempo, Ciccio Falvo (ci ha lasciati nel novembre del 2011). «Il Consiglio di amministrazione si è appena riunito. È tutto deciso, non dovrebbero esserci problemi. Ti richiamo quando avranno finito».

    Siamo sul finire del 1979. A dicembre, esattamente il 15 dicembre, partirà la televisione sperimentale, la Terza Rete. Nelle case degli italiani arriveranno i primi telegiornali regionali (alle 19 partirà l’edizione nazionale; dieci minuti dopo la linea passerà alle Sedi regionali per un TG che sarà poi riproposto in maniera integrale alle 22,30). Una svolta storica per l’Azienda di Stato, quella che nell’immaginario collettivo viene individuata, per definizione accettata e abusata, come Mamma Rai. Una piccola, grande rivoluzione anche per la Sede di Cosenza dalla quale, sin dal primo dicembre del 1958, parte ogni giorno, interamente realizzato e messo in onda da via Montesanto, il Corriere della Calabria, il mitico appuntamento quotidiano con la radio.

    Direttore della Terza Rete è Giuseppe Rossini; direttore della TGR Biagio Agnes. Direttore della Sede di Cosenza Alessandro Passino; Responsabile della Redazione è Gegè Greco. Alla cucina Ciccio Falvo (che di lì a poco assumerà l’incarico di caporedattore) e tre giornalisti di lungo corso: Vincenzo d’Atri, Emanuele Giacoia, Enzo Arcuri (toccherà a lui condurre il primo TG della Calabria). Un organico numericamente insufficiente per poter affrontare la sfida della Terza Rete. Servono rinforzi, giornalisti rigorosamente professionisti. Un primo assaggio, per la verità, c’è già stato nel gennaio del ’78 con l’assunzione di Franco Martelli (in quota PCI) e Domenico Nunnari (in quota DC). Ma non basta. Ecco, allora, prendere corpo una nuova infornata, anche questa ispirata alla logica della spartizione (anche in Calabria siamo in regime di compromesso storico). Lottizzazione in forma elegante, manuale Cencelli in maniera più (volgarmente?) esplicita[1].

    Nel 1975 il controllo della RAI passa dal Governo al Parlamento: nasce, così, anche a Viale Mazzini la Lottizzazione.

    Il criterio di scelta era semplicissimo. I partiti politici, o meglio i padrini politici del tempo, segnalavano i loro candidati al CdA. Il CdA interloquiva con il caporedattore di turno che, a sua volta, veniva sollecitato a indicare egli stesso i suoi candidati: un eufemismo (una presa in giro?) visto che tutto era stato preventivamente concordato a tavolino. Ma sapete com’è, bisognava salvare la forma e le apparenze. Nella Prima Repubblica queste cose contavano.

    Entrano così in cinque: Raffaele Malito ed Elio Fata in quota PSI; Tonino Raffa, Franco Bruno e Camelo Malara in quota DC (Malara morirà giovanissimo stroncato da un male incurabile). Due mesi dopo toccherà a Oloferne Carpino (PCI) e a Michele Gioia (PSDI), mentre nel maggio dell’82 chiuderanno il cerchio Gregorio Corigliano e Pino Nano, entrambi sponsorizzati dalla DC.

    La riunione del Consiglio di amministrazione dura poco meno di due ore. Due ore che nella piccola stanza di via dei Mille sembrano non passare mai. Finalmente arriva lo squillo tanto atteso. È lui, il buon CiccioFalvo. Parla con voce bassa, quasi sussurrando. Il ritmo è lento, il tono greve. Leggo un qualche imbarazzo, un certo impaccio. «Hanno finito, ma c’è una novità. Mentre erano in riunione ha telefonato il presidente del Senato Amintore Fanfani. Ha chiesto che fosse assunto un suo raccomandato. Potevano dire di no a uno come lui? E allora hanno dovuto sacrificare il più debole dal punto di vista politico. Mi dispiace, è toccato a te. Ma non prendertela. Vedrai che ci sarà un’altra occasione».

    Non ricordo altro di quel giorno e di quella telefonata. Ci eravamo dati appuntamento nella casa dei miei genitori per celebrare quella che avrebbe dovuto essere una festa e invece ora scoprivamo il sapore atroce della beffa. Amarezza, delusione, rabbia. Non ricordo altro. Soltanto lo sconforto sul volto di mia moglie e il mezzo sorriso rassegnato, quasi consolatorio, di mia madre. E le lacrime nascoste di mio padre.

    [1] In politica, il termine Lottizzazione sta ad indicare la spartizione concordata di commesse pubbliche, di cariche dirigenziali e impiegatizie in aziende ed enti pubblici o direttamente controllati dagli enti pubblici, tra le diverse fazioni di un partito politico o tra i partiti di una coalizione, al fine di distribuire tali risorse agli appartenenti e ai sostenitori dei partiti stessi. È conseguenza diretta delle forme più clientelari di patronato politico. L’attribuzione di una carica o di una commessa per mezzo di un vincolo di Lottizzazione avverrebbe, dunque, ignorando i criteri di buona amministrazione e di merito. Non si sceglierebbe, in altri termini, il dirigente più capace, ma l’amico, l’esponente politico, il parente che si vuole piazzare.

    Per manuale Cencelli s’intende una formula algebrica-determinatistica per regolare la spartizione delle cariche pubbliche in base al peso specifico di ogni singolo partito o corrente politica. È attribuita a Massimiliano Cencelli, un funzionario della Democrazia Cristiana. In un’intervista ad Avvenire del 25 luglio 2003, Cencelli svelò i retroscena della nascita del famoso manuale, in occasione del congresso della DC del 1967.

    «Nel 1967 Sarti, con Cossiga e Taviani, fondò al congresso di Milano la corrente dei pontieri, cosiddetta perché doveva fare da ponte fra maggioranza e sinistra. Ottenemmo il 12% e c’era da decidere gli incarichi in Direzione. Allora io proposi: se abbiamo il 12%, come nel consiglio di amministrazione di una società gli incarichi vengono divisi in base alle azioni possedute, lo stesso deve avvenire per gli incarichi di partito e di governo in base alle tessere. Sarti mi disse di lavorarci su. In quel modo Taviani mantenne l’Interno, Gaspari fu sottosegretario alle Poste, Cossiga alla Difesa, Sarti al Turismo e Spettacolo. La cosa divenne di pubblico dominio perché durante la crisi di governo, Sarti, che amava scherzare, rispondeva sempre ai giornalisti che volevano anticipazioni: «Chiedetelo a Cencelli». (Cfr. Wikipedia)

    Un salto indietro

    Regione divisa e spezzettata in vallate e campanili nell’età Medievale e fino alla costituzione dello Stato Unitario, terra di sperimentazione e di indagine nella fase immediatamente successiva, ben nove quotidiani trovano battesimo in Calabria fra il 1945 e il 1948. Ma uno dopo l’altro, così come erano nati, spariscono tutti senza lasciare traccia[1].

    E arriva così il 31 luglio del 1973. Dallo stabilimento di Piano Lago, alle porte di Cosenza, parte il primo numero de Il Giornale di Calabria (in realtà il battesimo vero e proprio c’era stato un anno prima a Roma, in occasione delle elezioni politiche del 7 maggio del 1972, utilizzando le strutture tipografiche e redazionali di Momento Sera). Un avvenimento storico, che riempie un vuoto lungo 17 anni (l’ultimo vero quotidiano stampato in Calabria aveva chiuso i battenti nel 1956) e che rompe con fragore quella perifericità informativa che pesa su ogni iniziativa, condizionandola fin dal suo primo sorgere e manifestarsi.

    Il direttore, Piero Ardenti, titola il suo articolo di fondo «Siamo in Calabria». Sempre in prima pagina, taglio centrale, un lungo servizio del caporedattore, Paolo Guzzanti, dal titolo: «L’odissea di chi sulle autostrade sta scendendo dal Nord verso la Calabria». A pie’ di pagina un messaggio di Indro Montanelli: «Cari colleghi, state affrontando un’impresa da pionieri. Vi ammiro e un poco vi invidio. Se riuscite a svegliare l’interesse per il giornale in una popolazione che – non per sua colpa – non l’ha mai conosciuto avrete reso un grande servigio non solo alla professione ma anche al progresso civile del nostro Paese».

    Di quel manipolo di pionieri faccio parte anch’io. Completerò il praticantato presso la redazione di Cosenza, in Piazza della Vittoria, e cinque mesi dopo, esattamente il 22 novembre, superate entrambe le prove di idoneità, conseguirò il titolo di giornalista professionista.

    Gradatamente il Giornale, che si porta dietro la patente d’essere il giornale di Mancini, riesce a conquistare una fetta importante di mercato e a ritagliarsi un suo spazio rilevante. Sotto la guida di un direttore dalla penna impareggiabile e di un caporedattore esperto e illuminato come Lorenzo Salvini (subentrato nel ’76 a Paolo Guzzanti, a sua volta incamminatosi sulla strada di una brillantissima carriera, prima da giornalista e poi da esponente politico) la redazione è cresciuta. La palestra ha funzionato e il Giornale ha saputo svolgere un ruolo significativo nel processo di crescita della società calabrese, scardinando posizioni consolidate, offrendo una informazione alternativa, certamente meno paludata e monocorde di quella proposta da Gazzetta del Sud.

    Sei anni di crescita lenta ma continua, poi le prime avvisaglie della crisi. Che coincide con il brutto momento vissuto a Lamezia Terme dalla SIR (Società Italiana Resine) e soprattutto dal suo presidente Nino Rovelli, amico personale di Giacomo Mancini e sponsor generoso del giornale di Piano Lago. Si chiudono, così, i cordoni della borsa. Invano Mancini cerca solidarietà e soprattutto finanziamenti; il Giornale è patentato e, a chi la patente non ce l’ha, non sembra vero di poter consumare rivincite e vendette.

    Gravissimo, tragico errore dei politici del tempo! Il nodo non era difficile da sciogliere. Bisognava salvare strutture tecniche e risorse umane; gli assetti si sarebbero potuti ridiscutere a tavolino. E invece la Politica ha deciso: muoia Sansone con tutti i filistei.

    Siamo sul finire del 1979. I primi mesi dell’anno successivo non cambiano il quadro della difficile situazione. E nell’estate dell’80 l’agonia del Giornale prende corpo in tutta la sua drammaticità. Il 7 luglio scatta la cassa integrazione: l’anticamera di quella che sarà una vera e propria sentenza di morte.

    Fra interminabili riunioni sindacali (a Piano Lago arriva anche il segretario nazionale della Fnsi, Sergio Borsi) e contatti informali (c’è anche l’ENI, attraverso la mediazione del suo vicepresidente Leonardo Di Donna, un cosentino DOC, segnalato fra i possibili acquirenti del Giornale) si arriva a così ai primi di settembre. Il Giornale continua a essere nelle edicole, sia pure in formato ridotto. Il comitato di autogestione, di cui faccio parte insieme ad Antonio Scura ed Enzo Costabile, infittisce i contatti telefonici con i vertici romani sindacali e ordinistici. Ma senza esito. E dopo 110 giorni di autogestione, allo stremo delle forze e ormai sfiduciata, l’assemblea di redazione decide di sospendere le pubblicazioni. È il 16 ottobre del 1980: con l’ultima copia in edicola Il Giornale di Calabria muore nell’indifferenza generale.

    Saltata in maniera beffarda l’assunzione alla RAI, morto e sepolto miseramente Il Giornale di Calabria, ecco che all’improvviso mi scopro a dover fare i conti con l’amara, amarissima condizione di disoccupato. Non starò qui a raccontare i miei anni bui (gennaio 1981-gennaio 1985) attraversati da opprimenti angosce e insopportabili tormenti. Mi hanno aiutato a guardare avanti, a non mollare, a non sprofondare nel tunnel della depressione il calore e il conforto di mia moglie; la vicinanza degli amici più cari (su tutti un collega troppo presto dimenticato, Massimo Marino); la solidarietà di quanti, negli anni, avevano avuto modo di conoscermi. E soprattutto il… lavoro. Proprio così, il lavoro. Perché sebbene non avessi la sicurezza e la tranquillità di un posto fisso, il lavoro non mi mancava. Nuovo per me nella sua concezione, inedito nella sua forma esplicativa, ma sempre e comunque lavoro.

    Intanto Il Corriere dello Sport, di cui dal 1977 ero collaboratore da Rende (quell’anno la squadra biancorossa era stata promossa in C2 e, nella stagione successiva, nella categoria superiore. Dal campionato di Promozione in Serie C1 in cinque anni, per poi retrocedere definitivamente nel torneo 83-84) e, dal primo luglio 1992, corrispondente da Cosenza con regolare contratto. Il Rende per incominciare, ma poi, strada facendo, anche il Cosenza, da sempre e fino a quel momento territorio incontrastato di due totem del giornalismo sportivo cosentino, Giuseppe Carci e don Peppino Baratta. E qui entra in gioco quel gran galantuomo e fior di giornalista che risponde al nome di Domenico Morace, Mimmo per gli amici, all’epoca vice di Giorgio Tosatti (direttore del Corriere dal 1976 e fino al 1986 quando gli subentrerà nell’incarico proprio Morace).

    Morace mi conosce, mi segue e, bontà sua, mi apprezza molto sotto il profilo professionale, tanto che sul finire del 1984 proporrà a Tosatti la mia assunzione a Roma. Mimmo intuisce il mio disagio esistenziale e decide di moltiplicare il mio impegno per il Giornale, arrivando addirittura a mandarmi spessissimo in trasferta, anche fuori regione (Sicilia e Campania).

    Ma Mimmo non è il solo a spendersi in questa sorta di crociata benefica in mio favore. Insieme a lui mi piace ricordare Antonio Minasi, all’epoca capo della struttura di Programmazione della Sede Rai della Calabria (una sorta di laboratorio sperimentale, una fucina di idee che affiancava per arricchirla, ma senza invasioni di campo, l’offerta informativa dell’Azienda di viale Mazzini).

    Minasi aveva avuto modo di conoscermi già al tempo de Il Giornale di Calabria. E in due momenti diversi mi aveva proposto di collaborare con la struttura da lui diretta attraverso due contratti a tempo determinato (dal 20 novembre al 30 dicembre 1978 il primo; dal 2 febbraio al 31 marzo 1979 il secondo). Piccoli assaggi, sporadici interventi radiofonici: argomento quasi obbligato lo sport. Ma attenzione, nulla di strettamente legato al fatto agonistico vero e proprio; piuttosto un viaggio dietro le quinte, nelle pieghe degli avvenimenti sportivi, soprattutto quelli meno celebrati. I personaggi, le storie, le curiosità, i retroscena, il parterre, il chiacchiericcio, insomma l’altra faccia dello sport. L’idea piace e convince tanto che, appena chiuso Il Giornale di Calabria, Minasi mi propone di partire subito con una rubrica tutta mia, naturalmente sempre con

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