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L'amico degli Eroi (Vita, opere e omissioni di Marcello Dell'Utri)
L'amico degli Eroi (Vita, opere e omissioni di Marcello Dell'Utri)
L'amico degli Eroi (Vita, opere e omissioni di Marcello Dell'Utri)
E-book366 pagine4 ore

L'amico degli Eroi (Vita, opere e omissioni di Marcello Dell'Utri)

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Info su questo ebook

Chi è Marcello Dell'Utri? Quali sono i fatti incontrovertibili che escono dal suo processo per concorso esterno mafioso? Chi è l'uomo che è stato l'anello di congiunzione tra Silvio Berlusconi e Cosa Nostra? Perché ce ne siamo dimenticati?

Giulio Cavalli (giornalista, scrittore e autore teatrale) ha preparato uno spettacolo sul processo per mafia di Marcello Dell'Utri e, insieme alla tournée, ha voluto preparare anche un libro che è "una cassetta degli attrezzi" per capire, studiare e sapere chi è stato l'uomo grigio degli ultimi vent'anni.

Dall'introduzione:

«Dell’Utri si è fatto dente, neo, pustola e ha reso liberi tutti. Scrivere, parlare, recitare e portare in tournée Marcello Dell’Utri quindi significa anche analizzare la morfologia di una dimenticanza che è accaduta con sconvolgente naturalezza. Riprendere in mano gli atti processuali, rimodellarli secondo i canoni del racconto e della scena, provare a tenerseli a memoria è un piccolo esercizio quotidiano che mi aiuta a sentirmi consapevole. Consapevole, ecco: quanto siamo consapevoli che Marcello Dell’Utri abbia creato uno dei più potenti partiti politici della nostra storia repubblicana grazie ai controversi rapporti con Cosa Nostra? Dico sul serio: quanto sappiamo che non si tratta di accuse di avversari politici ma certificati incontri, scambi di informazioni, passaggi di denaro avvenuti tramite Marcello Dell’Utri? Dice la sentenza che «la pluralità dell'attività posta in essere da Dell'Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l'altro offerta l'opportunità, sempre con la mediazione di Dell'Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici» e che «vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento Europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo processo penale.»
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2016
ISBN9788892588646
L'amico degli Eroi (Vita, opere e omissioni di Marcello Dell'Utri)

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    Anteprima del libro

    L'amico degli Eroi (Vita, opere e omissioni di Marcello Dell'Utri) - Giulio Cavalli

    Giulio Cavalli

    L'amico degli Eroi (Vita, opere e omissioni di Marcello Dell'Utri)

    Questo libro è la cassetta degli attrezzi di un progetto di spettacolo sulla vita di Marcello Dell'Utri e dei suoi rapporti con Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi. Un manuale per l'uso. Per allenare la memoria. E non essere indifferenti.

    Il libro e lo spettacolo sono prodotti da Bottega dei Mestieri Teatrali

    Via Orbassano 10

    10090 Bruino (TO)

    info@bottegadeimestieriteatrali.it

    C.F. 03305530960

    P.Iva 05684400962

    Illustrazione grafica: Marco Gifuni

    Per contattare l'autore

    giulio@giuliocavalli.net

    UUID: e7cad760-fdb2-11e5-b104-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Un produzione sociale

    Perché un libro (e uno spettacolo) su Dell'Utri.

    Chi è Marcello. Da dove viene. La sua vita.

    Il concorso esterno mafioso.

    La requisitoria.

    Essere Dell'Utri. Le frasi di una vita.

    A proposito del Dell'Utri bibliofilo.

    Una brutta abitudine a delinquere.

    Una riflessione oltre alla giustizia.

    Farne uno spettacolo.

    Il copione dello spettacolo.

    Note

    Ringraziamenti

    Un produzione sociale

    La cassetta degli attrezzi

    Questo libro non è un libro. Meglio: non è solo un libro. È la cassetta degli attrezzi per entrare preparati in una storia che si prova a rimuovere come se non fosse mai accaduta. Quando abbiamo deciso di preparare un’operazione culturale sul processo di Palermo che riguarda i rapporti mafiosi di Marcello Dell’Utri ci siamo convinti che l’abbinamento perfetto sarebbe stato uno spettacolo teatrale e un libro come manuale d’istruzioni. Come il bugiardino dentro le medicine, una cosa così, solo che qui il bugiardino c’è uscito di qualche centinaio di pagine perché ci teniamo che l’uso (e soprattutto perché le controindicazioni) siano chiari a tutti.

    ‘L’amico degli eroi’ (che è il titolo dello spettacolo e anche del libro) è un produzione sociale: un’idea culturale che è stata sottoposta ai lettori e agli spettatori prima di essere costruita. Abbiamo pensato che anche il percorso di produzione avrebbe dovuto rispettare lo spirito generale: non cadere nella troppo comoda tentazione di smussarci. E per farlo abbiamo deciso di farci produrre dal nostro stesso pubblico: se funzionerà significherà che ha un senso, ci siamo detti. E ha funzionato: abbiamo raccolto abbastanza fiducia perché l’idea diventasse forma. E se è vero che non è una novità che uno spettacolo o un libro nasca grazie al crowdfunding (ingarbugliatissima parola inglese per non rischiare di dover dire produzione sociale) è pur vero che per me si trattava di un azzardo: io che per lavoro ho il privilegio di scrivere per importanti editori o sostenuto da teatri riconosciuti mi sono buttato lì dove con troppa comodità di solito indichiamo il dilettantismo o al massimo il semiprofessionismo.

    Sono convinto invece che la produzione sociale sia il punto d’arrivo per un artista che voglia verificare l’empatia e la fiducia con il proprio pubblico. Questo libro e questo spettacolo, altrimenti, difficilmente sarebbero stati così: ci avrebbero fatto notare che la storia è vecchia, che è già stato scritto tutto o che ci sarebbe stato bisogno di un mezzo scoop, uno spicchio di scandalo per diventare vendibile. E invece questa storia è potente proprio perché è già pubblica eppure così impolverata, archiviata. Deposta. Una storia deposta senza discuterla.

    Mi sono detto «ma davvero solo io ritengo scandaloso che tutto questo sia finito così? Con un mezzo editoriale, qualche trasmissione e pace alla storia?.» Perché se non conosciamo Dell’Utri non riconosceremo i prossimi Dell’Utri. Non è giustizialismo, è memoria. Semplicemente. E allora ci siamo tuffati in questo gorgo di amicizie unte, amorosi sensi corrisposti, convergenti interessi particolari. Ci vuole stomaco, certo, ma è un viaggio che ci tocca fare. Per il nostro Bene. Quello maiuscolo.

    Perché un libro (e uno spettacolo) su Dell'Utri.

    Morfologia di una dimenticanza

    Succede solo in Italia. Personaggi sulla cresta dell’onda per qualche decennio, accompagnati da una narrazione spesso epica, che sono stati centrali nelle vicende politiche e imprenditoriali del Paese (ma anche di costume) finiscono irrimediabilmente nel dimenticatoio; ma nel dimenticatoio italiano non esistono stanze separate per colpevoli e innocenti e così anche un condannato per mafia può sperare di essere semplicemente non ricordato, non raccontato. In ombra, semplicemente. Non so esattamente quando ci siamo sclerotizzati al punto di non avere più cura della memoria; se forse sia il giusto risultato di una cultura sempre più feticista del nuovo a tutti i costi oppure se semplicemente è successo perché abbiamo affidato anche i ricordi, le cose importanti da tenere a mente, alla scaletta dei telegiornali o dei talk-show; certo Marcello Dell’Utri, che prima discettava amenamente in grigio stravaccato nel salotto di Bruno Vespa con una certa rassicurante regolarità, ora è sparito.

    Forse anche i tifosi più giovani del Milan oggi non sanno chi sia quel signore che ha contaminato Berlusconi con l’amore per il calcio, il potere e i soldi. Avete notato che ultimamente, soprattutto in questi ultimi decenni di berlusconismo, si è acutizzata l’abitudine di pretendere una sorta di pax del giudizio e dell’informazione per i condannati, se ormai anziani? Il meccanismo che si era messo in moto in difesa di Andreotti (quella tiritera del lasciatelo stare, ormai ha novant’anni) si applica con sorprendente regolarità ai colletti bianchi condannati per mafia, come se il giudizio penale sia solo una macchia passeggera che aspetta di essere diluita con l’età. È mafioso? Si, va beh, ma è anziano. Ha rubato? Sì, però, pensiamo ai ladri che abbiamo adesso.

    Per l’opinione pubblica italiana (che è sempre quella spocchiosa media borghesia che guardava con orrore Pier Paolo Pasolini) indagare e raccontare la vita di un politico che ha avuto rapporti osceni con le mafie è un atto di necrofilia. E sarà anche per questo che tra le molte cose siamo anche quello stesso Paese che ha regalato mostruose riabilitazioni di uomini e storie a cui è bastato semplicemente sommergersi un po’ per ripulirsi. Un Paese con la memoria corta difficilmente potrà imparare dai propri errori: svilupperà magari nuovi modelli di sdegno sempre più moderni ma rimarrà con una vecchia anchilosata coscienza buona solo per i rigattieri.

    Per questo quando mi hanno chiesto per quale strano motivo io mi sia messo in testa di raccontare la vita, le opere e le omissioni di Marcello Dell’Utri ho pensato subito a quanto quello del rigattiere sia un mestiere bellissimo; mi riporta a quel tempo delle cose da aggiustare ad ogni costo perdendoci magari gli occhi in una nottata insonne ma con l’obbligo si sistemare le cose, farsene carico; scavalcarle era uno spreco e un peccato mortale. E la vita di Marcello Dell’Utri è il vaccino obbligatorio per un’Italia che ancora oggi considera le frequentazioni all’origine di Forza Italia (poi PDL, poi ancora Forza Italia) un semplice peccato di gioventù, una sprovvedutezza dovuta alla fretta e al massimo alla superficialità di un momento. Insomma: per togliersi dai piedi l’incombenza di dovere giustificare avvenuti rapporti con Cosa Nostra a Silvio Berlusconi (e con lui tutta la vecchia classe dirigente di quel partito di cui è figlio anche il Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana mentre scrivo questo piccolo libro, Angelino Alfano) è bastato mettere in soffitta Dell’Utri. Marcello si è serenamente (e chissà perché) arreso ad essere il coagulo di mafia politichese e politica mafiosa. Via lui via il dolore.

    Dell’Utri si è fatto dente, neo, pustola e ha reso liberi tutti. Scrivere, parlare, recitare e portare in tournée Marcello Dell’Utri quindi significa anche analizzare la morfologia di una dimenticanza che è accaduta con sconvolgente naturalezza. Riprendere in mano gli atti processuali, rimodellarli secondo i canoni del racconto e della scena, provare a tenerseli a memoria è un piccolo esercizio quotidiano che mi aiuta a sentirmi consapevole. Consapevole, ecco: quanto siamo consapevoli che Marcello Dell’Utri abbia creato uno dei più potenti partiti politici della nostra storia repubblicana grazie ai controversi rapporti con Cosa Nostra? Dico sul serio: quanto sappiamo che non si tratta di accuse di avversari politici ma certificati incontri, scambi di informazioni, passaggi di denaro avvenuti tramite Marcello Dell’Utri? Dice la sentenza che «la pluralità dell'attività posta in essere da Dell'Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l'altro offerta l'opportunità, sempre con la mediazione di Dell'Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici» e che «vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento Europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo processo penale.» Eppure ci sono, sulla vicenda penale e politica di Marcello Dell’Utri, tutte le rappresentazioni delle reazioni tipo della politica italiana: da chi dice che è roba vecchia, a chi ci dice che è tutto già risaputo oppure chi si dichiara estraneo ad una vicenda così complessa e troppo distante, a chi ci dice che rubano tutti e che sono tutti mafiosi fino alla sentenza politica. Ognuno di questi, pur partendo da posizioni talvolta opposte, contribuisce all’ispessimento di questa coltre di fumo che in Italia permette di essere dimenticati oppure ricordati vagamente in modalità caricaturale ma comunque diluiti nelle colpe.

    «La vera arte della memoria è l'arte dell’attenzione⁠1» scriveva Samuel Johnson ed è proprio l’attenzione ad uscirne sconfitta: come in molti altri casi c’è un pezzo di cultura, politica e intellettuali che non è stata (e continua a non essere) abbastanza viva per evitare che l’attenzione potesse rammollirsi e finire tra l’interesse isolato di qualcuno. Io credo che avremmo il dovere di rendere ‘pop’ la vita e le malefatte di Marcello Dell’Utri (e dei suoi compari, dei padrini e del suo padrino politico) per poter dire di avere fatto la nostra parte. Almeno questo.

    Chi è Marcello. Da dove viene. La sua vita.

    da Palermo a Milano

    Marcello Dell’Utri nasce a Palermo l’11 settembre 1941. Ha un fratello gemello, Alberto, che rincontreremo. Del padre, Alfredo Dell’Utri, si sa che fu socio di Vito Guarrasi dal 1948 al 1950 nella società Ra.Spe.Me. Spa, operante nel settore medico; secondo un rapporto del 1944 custodito a Washington nell’archivio del Dipartimento di Stato Guarrasi è stato un degli uomini più influenti di Cosa Nostra in Sicilia⁠2. Poi poco altro: la famiglia Dell’Utri è riuscita a tenere nel tempo uno stretto riserbo sulle proprie vicende personali.

    Marcello consegue la maturità classica a Palermo e dal 1961 intraprende gli studi per laurearsi in Giurisprudenza presso L’Università Statale di Milano. All’università conosce Silvio Berlusconi che già ai tempi, come raccontano i suoi compagni, dimostrava un innato spirito imprenditoriale. Dell’Utri a Milano va a vivere nella residenza Torrescalla di proprietà della Fondazione Rui (Opus Dei) ed è proprio un prete, don Bruno Padula (oggi vicario dell’Opus Dei in Sicilia) a presentare Dell’Utri a Silvio Berlusconi. Nel 1964 Berlusconi vuole con sé il giovane Marcello come segretario personale (ha appena fondato un anno prima l’azienda Edilnord) e la comune passione calcistica porta Dell’Utri a diventare allenatore della squadra Torrescalla - Edilnord, un piccolo club dilettantistico milanese sponsorizzato da Berlusconi che giocava su un campo vicino alla Stazione Centrale di Milano. In quella squadra giocavano anche il fratello di Silvio Berlusconi, Paolo che all’epoca aveva 16 anni, Fedele Confalonieri e all’ala destra stava Adriano Galliani. Del resto Marcello Dell’Utri ha amato il calcio fin da giovanissimo e già a Palermo, prima di trasferirsi a Milano per gli studi universitari, aveva seguito l’attività della squadra fondata da suo fratello Giuseppe Dell’Utri nel 1957 nel quartiere popolare di Palermo de l’Arenella. Ma anche quella squadra, l'Athletic Club Bacigalupo ritornerà, in questa storia.

    Nel 1965 Dell’Utri si trasferisce a Roma per dirigere il ‘Gruppo Sportivo ELIS’ nel quartiere Tiburtino - Casal Bruciato presso il ‘Centro Internazionale per la Gioventù Lavoratrice’ gestito sempre dall’Opus Dei. La struttura è stata inaugurata proprio in quell’anno da papa Paolo VI. Come scrive Giuseppe Oddo ⁠3 «l’Associazione Centro Elis di Tiburtino-Casal Bruciato, che ha sedi anche a Palermo, Castel Gandolfo e Ovindoli, gestisce il Centro internazionale per la gioventù lavoratrice, costruito dall'Opus su mandato di papa Giovanni XXIII. E le sue attività sono considerate opere apostoliche promosse da fedeli e cooperatori della Prelatura».

    Nel 1967 Dell’Utri torna a Palermo dove opera di nuovo come direttore sportivo dell’Athletic Club Bacigalupo. Questo è un passaggio fondamentale nella vita di Marcello: qui coniuga la passione per il calcio con la possibilità di conoscere e frequentare personaggi di notevole spessore mafiosi come Vittorio Mangano e Gaetano Cinà. Per tutta la vita, Marcello, ha sempre indicato nella squadra Bacigalupo, il motivo di quelle conoscenze che gli verrano additate negli anni a venire. Lui, al solito, rimarca di quegli anni la grandezza della società calcistica e il ruolo fondamentale della squadra nello sviluppo della gioventù palermitana: « I calciatori provenivano quasi tutti da due scuole cattoliche, quella dei Salesiani del Don Bosco - scrive il giornalista Gian Maria De Francesco su Il Giornale⁠4 - e quella dei Gesuiti del Gonzaga. Nelle sue fila oltre a Marcello Dell’Utri, che ne sarà anche presidente, e a Piero Grasso militeranno anche il futuro senatore Carlo Vizzini, i figli del primo presidente della Regione Giuseppe Alessi e quelli dell''’ex ministro dc Restivo oltre all’ex rettore dell'’Università di Catania Fernando Latteri. Il campo era a Resuttana, colori sociali il biancorosso. I «ragazzi della Palermo bene» ebbero pure fortuna e sfiorarono addirittura l’ingresso nel professionismo. Riuscivano a vincere anche sui campi cittadini più difficili come quello di «zu Pé» dove a fine partita si rischiava il «linciaggio» della tifoseria avversaria. E con la Bacigalupo iniziò la sua avventura italiana anche il nipote dell'’allenatore delle giovanili del Palermo, Cestmir Vycpalek. Un ragazzo che di strada ne avrebbe fatta tanta: Zdenek Zeman. Ecco cos’era la Bacigalupo».

    Passano tre anni, siamo nel 1970, e Marcello inizia a lavorare per la Cassa di Risparmio delle Provincie Siciliane a Catania e poi alla filiale di Belmonte Mezzano nell’anno successivo. La storica Cassa di Risparmio (fondata nel 1861) viveva in quegli anni il suo momento di splendore: seconda solo alla Cariplo, tra le Casse di Risparmio nazionali, ospitava il conto corrente di un siciliano su cinque. Nel 1973 Dell’Utri viene promosso alla direzione generale della Sicilcassa (nuovo ‘slogan’ dell’istituto) a Palermo, responsabile del servizio del credito agrario.

    Nel 1974 cambia tutto: l’impero berlusconiano prende il via con la costituzione della società immobiliare ‘San Martino s.p.a.’, con sede legale in Salita San Nicola da Tolentino 1/B e amministratore unico Marcello Dell’Utri. Durante l’estate precedente infatti Berlusconi passa da Palermo con la sua lussuosa barca e invita Marcello a visitarlo. Dell’Utri rimase affascinato dalla facilità di fare i soldi del giovane Berlusconi e non ebbe nessun tentennamento nel rinunciare ad un sicuro e comodo posto in banca per lanciarsi a fianco dell’amico nella sua attività imprenditoriale. Comincia così la cavalcata berlusconiana di cui ancora oggi rimangono misteriose le origini. ⁠5

    Il ruolo di Marcello Dell’Utri comunque, al di là del risultare amministratore della società, consiste nell’occuparsi della gestione dell’abitazione di Berlusconi (Villa San Martino di Arcore) e nell’esserne il fedele segretario personale. Sull’acquisto della Villa c’è un articolo importante di Adriano Botta per l’Espresso ⁠6 che vale la pena rileggere:

    «Camillo Casati Stampa era quello che oggi viene chiamato un 'cuckold': insomma gli piaceva vedere la moglie che si intratteneva con altri uomini. Per anni, le fantasie sessuali del marchese ebbero soddisfazione senza particolari problemi: poi, appunto nel '70, accadde che la consorte si legò anche affettivamente a uno dei giovani con cui il marito la faceva incontrare, il Minorenti. Di qui l'omicidio-suicidio di via Puccini.

    Per l'eredità dell'immenso patrimonio del marchese si scatenò subito una guerra legale: infatti la famiglia Fallarino (cioè i parenti della moglie ammazzata) la rivendicarono, assistiti da un avvocato calabrese trentaseienne: Cesare Previti.

    La loro tesi era che la consorte del marchese - pur colpita dalle fucilate - aveva esalato l'ultimo respiro dopo il marito, quindi aveva fatto in tempo (seppur per pochi minuti) a ereditare, sicché la sua parte doveva passare ai parenti Fallarino.

    La controparte erano gli avvocati della figlia unica di Casati, la diciannovenne Annamaria, che riuscirono a dimostrare come la Fallarino fosse invece premorta al marito e quindi, al decesso del marchese, restava una sola erede: appunto la figlia.

    Nonostante la sconfitta in tribunale, a sentenza emessa il giovane Previti avvicinò la marchesina e le offrì di occuparsi della gestione del suo patrimonio: lei tra l'altro era minorenne, per le leggi dell'epoca, e quindi aveva bisogno di un tutore.

    Il tribunale, d'accordo con la ragazza, nominò invece suo tutore un altro avvocato, più anziano e già amico di famiglia, Giorgio Bergamasco, senatore del Partito liberale. Previti tuttavia riuscì a diventare protutore, cioè in sostanza vice di Bergamasco: al quale successe nelle funzioni quando, poco dopo, Bergamasco divenne ministro nel primo governo Andreotti.

    Nel frattempo (dal 1971) Previti aveva iniziato a lavorare come avvocato anche di Silvio Berlusconi, all'epoca giovane imprenditore edile che aveva già edificato a Brugherio (il quartiere Edilnord) e stava lavorando sul progetto Milano 2 a Segrate. Insomma, nordest di Milano: a pochi minuti da dove sorgeva il pezzo più pregiato dell'eredità finita ad Annamaria Casati, la villa settecentesca di 3.500 metri quadri chiamata San Martino. Con un parco immenso, scuderie e una biblioteca di oltre 10 mila volumi di cui un terzo antichi.

    Fu così che Previti consigliò a Berlusconi di acquistare dalla marchesina sua assistita (nel frattempo andata a vivere in Brasile) quella villa, per la quale fu stabilito un prezzo di 500 milioni di lire dell'epoca. Non in contanti, ma in titoli azionari e nemmeno di società quotate in Borsa, oltre tutto con pagamento dilazionato. Almeno così figurò nel rogito.

    Bene, quanti sono in termini attuali 500 milioni di lire del 1974, quando Berlusconi entrò a Villa San Martino? A seconda dei diversi parametri, si va da un minimo di due milioni e 200 mila euro a un massimo di due milioni e settecentomila euro. In ogni caso, molto meno di un quarto (forse un quinto) di quello che era il valore reale della proprietà, che all'epoca si aggirava sui due miliardi di lire.

    Per quali ragioni? Uno dei tanti misteri che riguardano i 'gloriosi inizi' di Berlusconi. La motivazione ufficiale è che alla marchesina Villa San Martino procurava solo brutti ricordi e quindi le andava benissimo anche svenderla, tanto più che aveva bisogno urgente di soldi a Brasilia e, poco più che ventenne, non aveva idea di quanto potesse realmente valere. E di questa spiegazione bisogna accontentarsi, perché nessuno ha mai documentato alcuna ipotesi alternativa, tanto meno il vociferato passaggio di altri soldi in nero, estero su estero, benché di questi - nei decenni successivi - Cesare Previti si sia rivelato un maestro.»

    Il 7 luglio del 1974 Marcello Dell’Utri assume alla Villa di Arcore Vittorio Mangano. Su questa collaborazione ruota tutto il processo contro Dell’Utri per concorso esterno mafioso. Ufficialmente la mansione di Mangano risulta essere quella di ‘stalliere’ presso la tenuta e sia Berlusconi che Dell’Utri negano di essere stati a coscienza dello spessore criminale di Mangano (che è un giovane mafioso esponente di spicco del can di Porta Nuova di Cosa Nostra con alle spalle già tre arresti e varie denunce e condanne nonché una diffida risalente al 1967 come persona pericolosa). Dell’Utri sostiene di avere assunto Mangano, conosciuto sul campo della squadra Bacigalupo, su consiglio del fidato amico Gaetano Cinà (anche lui conosciuto sui campi di calcio palermitani), proprietario di una lavanderia a Palermo ma soprattutto imparentato attraverso la moglie con i boss di Cosa Nostra Stefano Bontade e Mimmo Teresi: lo stesso Cinà venne condannato a 7 anni in quanto appartenente alla famiglia mafiosa di Malaspina. Per Dell’Utri Gaetano Cinà è l’amico di una vita. Semplicemente. Comunque Vittorio Mangano ad Arcore si occupa di portare a scuola i figli di Berlusconi (sono gli anni dei frequenti sequestri di persona al nord per mano di Cosa Nostra) e della sicurezza della villa: lo stesso Mangano racconterà sguinzagliava sei mastini napoletani tutte le sere prima di andare a dormire e ricorderà di avere cenato molto spesso con la famiglia Berlusconi.

    Nel 1976 un giornale lombardo scrive per la prima volta che Silvio Berlusconi ospita un mafioso in casa sua. La notizia provoca un mezzo terremoto e nonostante Dell’Utri e Confalonieri facciano di tutto per trattenerlo Vittorio Mangano lascia la villa di Arcore e si trasferisce sempre a Milano all’hotel Duca di York (un tipico hotel di stallieri, evidentemente). Dell’Utri però non smette di frequentare Mangano (che anche durante la sua permanenza ad Arcore è stato arrestato e incarcerato): il 24 ottobre del 1976 Dell’Utri e Mangano sono insieme al ristorante ‘Le Colline Pistoiesi’ di Milano per festeggiare il compleanno del boss catanese Antonino Calderone; sono presenti anche i boss Nino e Gaetano Grado (operanti a Milano e attivissimi nello spaccio di droga). Lo stesso Dell’Utri ammette quell’incontro.

    Nel 1977 Marcello Dell’Utri pensa di prendersi un anno sabbatico per dedicarsi allo studio della teologia: Berlusconi non aveva intenzione di promuoverlo perché perplesso delle sue qualità imprenditoriali e Dell’Utri vive la mancanza di fiducia come un affronto. Si dimette e va a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda⁠7 che a quei tempi era a capo dell’INIM, in quegli anni uno dei primi gruppi immobiliari italiani. Rapisarda ha riferito di avere assunto Marcello Dell’Utri su raccomandazione di Gaetano Cinà, e che, consapevole delle frequentazioni mafiose di Cinà, non se l’era sentita di negare il favore. Detto proprio così. Tra virgolette. In pratica Dell’Utri fu raccomandato da un boss. Filippo Alberto Rapisarda ha relazioni con personalità di spicco della mafia quali Ciancimino, Francesco Paolo Alamia e i Cuntrera-Caruana. In un rapporto della Criminalpol del 1981 la società Inim è definita, assieme alla consorella Raca, società commerciale gestita dalla mafia di cui la mafia si serve per riciclare il denaro sporco provento di illeciti⁠8. Fu Rapisarda, nel processo che lo riguardava, a parlare per la prima volta molto esplicitamente di denaro di Cosa nostra investito illegalmente nelle attività di Silvio Berlusconi. Sacchi di soldi dice, detto proprio così, tra virgolette, sacchi di soldi che Berlusconi doveva avere subito, subito, per le proprie operazioni. Dice la sentenza di quel processo che le indicazioni dei collaboranti e del Rapisarda non possono ritenersi del tutto incompatibili con l’esito degli accertamenti svolti, i quali non hanno evidenziato elementi di insuperabile contrasto con le dichiarazioni accusatorie. Dice così la sentenza. In breve tempo tutto il gruppo va in bancarotta fraudolenta; Dell'Utri incriminato a piede libero perde il lavoro, mentre Rapisarda fugge latitante in Venezuela, grazie al passaporto intestato al fratello di Dell'Utri. Dopo l’INIM Dell’Utri diventa amministratore delegato della Bresciano Costruzioni che in pochi anni va in bancarotta fraudolenta. Pure lei.

    Il 19 aprile del 1977 Marcello Dell’Utri vola a Londra dove partecipa al matrimonio di Jimmy Fauci, pluripregiudicato amico dei boss, che gestisce il traffico di droga fra Italia, Gran Bretagna e Canada; alle nozze partecipa anche Dell'Utri con l'amico di una vita Cinà.

    Nel 1980 Vittorio Mangano viene arrestato da Giovanni Falcone per traffico di droga. Resterà in carcere per 11 anni.

    Nel 1982 Marcello Dell’Utri rientra ufficialmente alla base, al fianco di Silvio Berlusconi, come dirigente per la società Publitalia ’80, la società fondata da Berlusconi nel 1979 per la raccolta pubblicitaria. Dell’Utri ne diventa Presidente e Amministratore Delegato.

    Nel 1983 a Milano c’è un blitz per arrestare alcuni mafiosi coinvolti nel gioco d’azzardo: a casa del boss mafioso catanese Gaetano Corallo gli investigatori trovano anche Marcello Dell’Utri ⁠9. La sfortunata coincidenza comunque non rallenta la carriera di Dell’Utri che nel 1984 diventa amministratore delegato della Fininvest, il gruppo che comprende la galassia berlusconiana, e nel 1990 su sua proposta viene fondata la Silvio Berlusconi Editore di cui seguì personalmente la produzione fino al 1993.

    Nel 1992 Vincenzo Garraffa, senatore del PRI e presidente della Pallacanestro Trapani, riceve la visita del boss Vincenzo Virga, condannato per omicidio e oggi in carcere, per riscuotere un presunto credito e dice che lo manda Dell'Utri. L'episodio è denunciato da Garraffa, e il processo ⁠10 giunge al primo grado di giudizio nel maggio 2004 quando il Tribunale di Milano condanna Dell'Utri e Virga a 2 anni per tentata estorsione, condanna poi confermata in appello nel 2007. Dell’Utri è poi assolto in Cassazione.

    Siamo nel 1993. L’Italia è sconvolta dall’operazione Mani Pulite che sta spazzando via tutti i referenti della Prima Repubblica e anche Silvio Berlusconi si ritrova a rischio di non avere più validi riferimenti politici e coperture. Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi fondano il loro partito, Forza Italia. Sulla discussa data di creazione ufficiale del partito ci sono diverse ipotesi ⁠11 certo è che il progetto parte molto da lontano. Senza scendere in ardite teorie vale la pena riportare le parole di Ezio Cartotto: ufficialmente lavorava anche lui per Publitalia (all’ottavo piano di Palazzo Cellini a Milano 2) come procacciatore di annunci pubblicitari ma in realtà fu l’uomo che seguì la trasformazione della Fininvest in partito. Cartotto ha una storia di peso nella Democrazia Cristiana milanese: fu il ghost writer di Giovanni Marcora e Piero Bassetti, conosce Berlusconi nel ’71 e tiene anche lezioni di formazione per i manager di Publitalia e dal ’92 (con Berlusconi, Dell’Utri, Previti e Confalonieri e, talvolta, Bettino Craxi) partecipa alle riunioni per la creazione di Forza Italia. Nelle sue deposizioni davanti ai pm di Palermo Domenico Gozzo e di Caltanissetta Anna Palma e Luca Tescaroli senza reticenze racconta la cronologia dei fatti:

    Il giorno 20 giugno 1997, alle ore 10,15, negli Uffici della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo innanzi al Sostituto Procuratore della Repubblica Dott. Domenico Gozzo […] è comparso: Cartotto Ezio Carlo, nato a Milano il 05/07/1943, residente in Cesano Maderno […]. Avvertito dell’obbligo di riferire ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito dichiara…. Ed ecco il racconto di Cartotto;

    Nel maggio-giugno 1992 sono stato contattato da Marcello Dell’Utri perché lo stesso voleva coinvolgermi in un progetto da lui caldeggiato. In particolare Dell’Utri sosteneva la necessità che, di fronte al crollo degli ordinari referenti politici del gruppo Fininvest, il gruppo stesso entrasse in politica per evitare che una affermazione delle sinistre potesse portare prima ad un ostracismo e poi a gravi difficoltà per il gruppo Berlusconi. Immediatamente Dell’Utri mi fece presente che questo suo progetto incontrava molte difficoltà nello stesso gruppo Berlusconi e, utilizzando una metafora, mi disse che dovevamo operare come sotto il servizio militare e cioè preparare i piani, chiuderli in un cassetto e tirarli fuori in caso di necessità, eseguendo in tale ultimo caso ciascuno la propria parte. Il Dell’Utri mi invitò anche a sostenere questa sua tesi presso il Berlusconi, con il quale sapeva che io coltivavo da tempo un rapporto di amicizia. Successivamente a questo discorso cominciai a lavorare presso gli uffici della Publitalia, all’ottavo piano in un ufficio nei pressi di quello di Dell’Utri. Insieme a me lavoravano: la segretaria messami a disposizione da Dell’Utri, signora Piera Milanesi; una serie di collaboratori che avevo portato io stesso: Giuseppe Resinelli, ex sindaco di Lecco; il defunto Vladimiro Pizzetti, dirigente della Coldiretti; Roberto Ruppen, giornalista; Giovanni Mucci, giornalista; il dott. Rodolfo Garofalo, di Brescia, di area socialista. Inoltre Dell’Utri mi mise a disposizione per qualsiasi necessità il dott.

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