Il capitano Joe Benda Nera e il mostro mangia tutto
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Anteprima del libro
Il capitano Joe Benda Nera e il mostro mangia tutto - Laura Novello
Fedele
Raffaele scrittore
Raffaele adorava inventare storie. Le pensava camminando per strada, la sera prima di addormentarsi, la mattina facendo colazione. Quando Raffaele era silenzioso e aveva lo sguardo assorto, con la mente viaggiava sulle strade della fantasia. Spesso gli capitava di vedere il mondo a cartoni animati e allora un camion cisterna con il rimorchio si trasformava in un gigantesco millepiedi, un signore con gli occhiali scuri e il bavero alzato diveniva un agente segreto, una nuvola dalla forma arrotondata assumeva l’aspetto di un disco volante, una scia nel cielo era un messaggio in codice, e così via.
Raffaele scriveva le storie al computer, poi le stampava e le regalava agli amici. Ma, tra la scuola e lo sport, il tempo per scrivere era poco. Poco e molto prezioso…
Un tranquillo pomeriggio di primavera, Raffaele si chiuse in camera, accese il computer e, con le mani sulla tastiera, cominciò a battere sui tasti, lasciando libero sfogo alla fantasia:
Nei lontani Mari del Sud, c’era una volta un’isola segreta abitata da un piccolo gruppo di coraggiosi pirati. Il capitano Joe Benda Nera era alto, aveva i capelli scuri come il carbone e la carnagione scottata dal sole. Lo chiamavano così perché portava sempre una benda nera sopra l’occhio sinistro, forse per nascondere un’orribile cicatrice…
Al porto fervevano i preparativi perché il giorno seguente i pirati avrebbero attaccato una grossa nave con un prezioso carico di stoffe. Tonino Gamba di Legno e Gianluca Dente d’Oro stavano caricando i barili pieni di polvere da sparo per i cannoni, Matteo Mastro Legno rinforzava i pontili e controllava le funi da cui la ciurma si sarebbe lanciata all’arrembaggio. Fulvio Gambe di Sedano e Pippo Palla di Lardo lucidavano il ponte. Il cuoco Fabrizio stava preparando un arrosto delizioso, mentre Luca Occhio di Lince era, come sempre, di vedetta sulla scogliera. Nove erano, infatti, gli intrepidi pirati.
«A questo punto ci vuole un bel disegno» pensò Raffaele. Prese un foglio, una matita, i colori a pennarello e tracciò con tratti veloci l’insenatura del porto, il galeone battente bandiera con il teschio e i pirati al lavoro.
«Cecilia, mi aiuti a colorare?» chiese Raffaele alla sorella.
«Oh, sì, eccome!» rispose la ragazza in tono un po’ ironico.
Cecilia aveva sedici anni. Se non stava studiando, era in bagno davanti allo specchio a farsi bella o con la sua amica Lara chiusa in camera a parlare di ragazzi.
Se solo sua sorella fosse stata più piccola… Era un gran peccato che a Cecilia non interessassero le storie di pirati.
Quando ebbe terminato di colorare, Raffaele passò il disegno nello scanner e la sua bella illustrazione comparve sullo schermo del computer sotto il primo paragrafo del racconto.
«Perfetto!» esclamò Raffaele, pronto per ricominciare a scrivere. Proprio in quel momento, però, accadde una cosa inspiegabile.
Appollaiato sopra le prime parole, c’era un mostriciattolo orribile.
«Che cos’è?» si domandò Raffaele. «Uno scorpione? Un polpo? E quelli che cosa sono? Tentacoli? Oh, no! Sono teste…»
Il mostro fissò Raffaele per un secondo e poi cominciò a mangiarsi le lettere una a una. Prima la L maiuscola, poi la a minuscola, poi la n e la o.
Raffaele, disperato, si mise a urlare: «Mammaaaa! Mammaaa! Aiutooo!»
Ma la mamma era al lavoro e non poteva sentirlo. Accorse Cecilia che, invece di aiutarlo, lo sgridò: «Sei impazzito? Pensavo che ti fossi fatto male».
«È successa una cosa gravissima. Il mio racconto sta per essere mangiato da un mostro!» spiegò Raffaele, tutto agitato.
«Ma che mostro! Sarà un virus… E, se c’è il virus, lo si cura con l’antivirus» disse Cecilia, piuttosto tranquilla. Cliccò due volte con il mouse sopra un’icona lampeggiante. Comparve una finestra con delle scritte in inglese e una piccola clessidra bianca.
Raffaele si sentì un po’ più tranquillo ora che l’antivirus stava lavorando. Intanto, però, il mostro informatico, per niente indebolito, continuava a sbafarsi letterine. Non era un buon segno.
Poco dopo, sul monitor comparve una strana scritta che Raffaele non era capace di tradurre.
Cecilia lesse: «Virus sconosciuto, impossibile distruggerlo».
La ragazza guardò Raffaele con rassegnazione e disse: «Va beh, fratellino, vuol dire che te lo devi tenere…» ma lui non fu d’accordo. «E no! Dobbiamo assolutamente salvare i miei pirati».
Il virus affamato
Raffaele avrebbe voluto schiacciare quel mostriciattolo, ridurlo in poltiglia e gettarlo nello scarico del water, ma non poteva raggiungerlo perché fra loro c’era lo schermo del monitor. Se avesse dato un pugno alla sottile membrana trasparente, l’avrebbe inutilmente danneggiata. Se avesse colpito il computer con il manico della scopa, l’avrebbe rotto per sempre. A un tratto Raffaele ebbe un’idea geniale e disse fra sé: «Andrò da lui. Mi farò il ritratto e lo passerò nello scanner per entrare nella storia».
Disegnò un bambino con i capelli ricci e castani, grandi occhi scuri, la maglietta gialla e i jeans strappati sulle ginocchia.
Il mostro era arrivato alla quarta riga, quando ecco Raffaele comparire sul foglio a cavalcioni di una u.
«Lo elimino e me ne ritorno subito a casa» pensò il bambino, dirigendosi sicuro verso il mostro. Camminare sopra le lettere dell’alfabeto, però, non era facile. Si rischiava continuamente di cadere. Quando Raffaele fu abbastanza vicino al suo nemico, si accorse che era grande come lui e rimpianse di non essersi fatto alto il doppio.
Nella fretta, poi, non aveva disegnato l’arma con cui affrontarlo, tipo una spada laser, una pistola lancia razzi o un fucile spara fulmini…
Il mostro nero ora lo guardava con aria minacciosa da far accapponare la pelle.
Raffaele raccolse tutto il coraggio che aveva e urlò: «Vattene! Lascia stare la mia storia!»
Il mostro emise un grugnito e spalancò la bocca con l’intenzione d’inghiottire anche Raffaele, ma il bambino saltò due righe più sotto