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Mercuzio e l'erede al trono. Livello 0
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E-book341 pagine4 ore

Mercuzio e l'erede al trono. Livello 0

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Info su questo ebook

Nel regno di Quaquaraqquaqua sul pianeta Arret sono tutti in fermento: il tempo del ritorno dell'Erede al trono è ormai giunto. Re Mercurio si è ritirato sulla Terra dopo la Grande Battaglia contro la minaccia del Dormiente: ora bisogna inviare una delegazione per riportarlo indietro con suo figlio Mercuzio. Ne fanno parte il capo dei Maghi Asfodelo Barbagrigia e sua nipote Ariel. I due vengono però seguiti da tre misteriose presenze che, al momento dell'incontro tra la delegazione arretiana e il sovrano, attaccano. Si tratta delle Legioni Nere, gli accoliti del Dormiente: ormai il re e suo figlio sono stati scoperti. Non c'è più tempo, non c'è più scampo. Un fantasy per ragazzi che divertirà e appassionerà anche i grandi.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2018
ISBN9788895974217
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    Anteprima del libro

    Mercuzio e l'erede al trono. Livello 0 - Davide Longoni

    lui

    Davanti a un vecchio Prodest

    di Stefano Vietti

    Si parla di tanti anni fa… una ventina, addirittura. In quel periodo tiravo le quattro del mattino scrivendo racconti e abbozzi di sceneggiature da spedire alle case editrici, nella speranza di pubblicare qualcosa. Un giorno sono a Brescia in una fumetteria a sfogliare le novità del momento e a fare due chiacchiere con altri appassionati, quando mi scappa l’occhio su una fanzine che portava come titolo: La Zona Morta. Era amatoriale… ma aveva il suo fascino… e che sorpresa quando lessi che era quasi completamente scritta da un certo Davide Longoni, che abitava a pochi chilometri da casa mia.

    Sul ritorno da Brescia mi fermai a casa di Davide e suonai il campanello come se stessi andando a trovare un vecchio amico. Che strano, vero? A pensarci oggi. Mi sono presentato a casa sua così, senza farmi problemi di disturbare o di essere mandato al diavolo. La mamma di Davide mi aprì il cancello e mi fece strada in casa indicandomi poi una scala che portava in taverna. E là sotto, in uno stanzone zeppo di libri e di un sacco di quelle cose che noi nerd amiamo avere attorno, Davide e io ci incontrammo per la prima volta, lui davanti a un vecchio Olivetti Prodest in ritardo su un pezzo da pubblicare, io con in mano una copia della sua fanzine sorpreso, o forse per nulla sorpreso, di ritrovarmi davanti uno come me… uno che, si vedeva all’istante, tirava le quattro del mattino scrivendo racconti e abbozzi di sceneggiature da spedire alle case editrici, nella speranza di pubblicare qualcosa.

    Il resto è una grande amicizia che è sopravvissuta agli anni e un sacco di lavoro insieme. Poi la vita di ciascuno va per i fatti suoi… io continuo a scrivere… Davide anche… e un giorno mi porta la prima stesura di Mercuzio che divoro in pochi giorni.

    Dentro questo primo romanzo, di quello che è solo l’inizio di una storia molto più grande, io ci ho visto un sacco di cose che vedrete anche voi: ci ho visto una fantastica avventura di personaggi che ti prendono dalla prima pagina e non ti lasciano fino alla fine. E atmosfere che ti avvolgono. E ideali e speranze e la infinita lotta per proteggere ciò in cui si crede dal male che ci circonda. Ci ho visto l’inizio di un lungo viaggio che è bello vivere strada facendo, sperando che non finisca mai. Ve l’ho detto… ci vedrete anche voi tutto quanto. Ma io, dentro Mercuzio, tra le righe, ci ho visto qualcosa in più: ho rivisto Davide seduto a quel vecchio Olivetti Prodest, che batteva i tasti per scrivere un articolo da pubblicare sulla sua fanzine. Ci ho visto i suoi sogni di scrittore… i mille personaggi creati e poi gettati e poi ripresi in questi anni e con essi trame, scene, dialoghi, paesaggi abbozzati nella lenta e faticosa creazione di un mondo che poi, alla fine ha finalmente preso corpo. Oggi, ed è un mio privilegio, dopo aver letto Mercuzio, ho rivisto il mio amico nella sua taverna, davanti al suo vecchio computer, che si gira a salutarmi, mi fa cenno di sedersi accanto a lui e inizia a condividere con me i suoi sogni.

    Il volo del cigno

    di Maria Lidia Petrulli

    Mercuzio e l’erede al trono – Livello 0 è un romanzo che lascia dapprima perplessi, poi piacevolmente sorpresi.

    Perché?

    Perché tutti i personaggi, dalle loro caratteristiche ai nomi, da come si presentano alle vicende che affrontano, sono degli anti-eroi per eccellenza; nulla del consueto heroic-fantasy, nessun nome altisonante: qui c’è posto per le persone, quelle che incontriamo nella nostra quotidianità e che, come tutti noi, provano una sana paura davanti ai pericoli, né sono necessariamente belli, potenti o ipermegamagici. Abbiamo la possibilità di identificarci con ognuno di loro perché ciascuno di questi personaggi contiene in sé un gioiello che ci appartiene.

    La sottile ironia dell’autore sulle vicende quotidiane, sugli intoppi che si incontrano nella vita d’ogni giorno, dà al romanzo un’atmosfera leggera, come se non prendesse sul serio se stesso e quel che scrive (detto tra noi, Davide Longoni è proprio cosi), ma al tempo stesso decisamente accattivante. Si sorride riconoscendo nella lettura quel che è capitato a tanti di noi, carpendo la chiave per interpretare magari un particolare avvenimento in maniera meno negativa. L’uomo è un eterno sognatore e l’Autore si rivolge proprio a questa caratteristica dell’anima, stimolandola con l’ironia di cui è intriso il romanzo, oltre che con una fraseologia atta a smorzare i momenti più difficili. L’autore offre una sottile critica alla società attuale, riuscendo con maestria a comunicare il proprio pensiero senza mai renderlo pesante, mentre il messaggio giunge dritto al cuore. Il lettore amerà quei personaggi, quella storia sospesa fra il serio e il faceto, una storia universale, che potrebbe leggere chiunque, europeo, caucasico, africano o indiano, trovandovi il medesimo significato.

    In Mercuzio e l’erede al trono – Livello 0 trapelano il mondo ludico e fantastico dell’autore e i suoi profondi valori, che vengono trasmessi al lettore con modestia ma con assoluta convinzione, aspetto fondamentale se si pensa alla letteratura come mezzo sociale di arricchimento, non solo culturale.

    La lettura scorre veloce mentre i personaggi maturano, affrontando le loro paure, e, alla fine del percorso, ci si trova con un pizzico di sano coraggio in più. È questo il modo migliore per far emergere lo splendido cigno che c’è in ognuno di noi.

    Prologo

    «Un attimo di attenzione, per favore, signori… SILENZIO! Occupate i vostri posti: siamo quasi pronti! Tra poco avverrà il collegamento!»

    Il caos si era impadronito del Consiglio dei Dodici, ognuno aveva qualcosa da dire, da commentare, da esporre, da proferire, da considerare. Tutti volevano sapere e soprattutto vedere: da quando era giunta la notizia che l’Erede sarebbe presto arrivato a Quaquaraqquaqua nessuno riusciva più a fermare l’entusiasmo dei presenti.

    Era ormai giunto il tempo, come diceva la profezia: gli anni erano passati nella misura giusta e tutti attendevano, trepidanti, il momento fatidico.

    Ogni Associazione pretendeva che la formazione iniziasse dalla propria disciplina e tutti facevano congetture su come sarebbe stato l’aspetto dell’Erede: perché in verità nessuno lo aveva mai visto. Quello era il primo collegamento con la Terra da quando… da quella volta che… beh, questa è un’altra storia!

    Il CapoMastro aveva il suo bel daffare per mantenere l’ordine in mezzo a tanta confusione. L’altisonante baccano sovrastava la sua voce ormai indebolita dall’età: del resto aveva 840 anni suonati, anche se portati bene. Mica bazzecole!

    Asfodelo Barbagrigia, questo il nome che portava con orgoglio da più di otto secoli, era un uomo dal fisico asciutto e dalle molte rughe. I lunghi capelli grigi si confondevano con la lunga barba grigia in un ammasso unico di intrecci senza distinzione, come in un arazzo in tinta unita, tessuto sapientemente da abili mani operaie.

    Ne aveva viste tante, ma tante ne voleva ancora vedere.

    E, soprattutto, voleva vedere l’Erede.

    Tossicchiò davanti alla mano chiusa a pugno che si era portato alla bocca, bofonchiò qualcosa tra sé e sé sull’educazione dei giovani d’oggi e…

    Tum, tum, tum!

    …colpì con il martello in legno di noce sull’incudine in legno di noce posto sulla sua cattedra in legno di noce.

    E finalmente la sala si zittì.

    «Grazie, signori. L’attesa è terminata: i Maghi sono pronti per il collegamento video con la Terra. Silenzio adesso: c’è bisogno di molta concentrazione per mantenere il contatto tra i due mondi. Qualcuno spenga le luci. Che lo spettacolo cominci!»

    Tarantella era una città come tante altre: case, condomini, palazzi, grattacieli, centri commerciali, strade, parchi, giardini, lampioni, insegne, pubblicità, semafori, neon, automobili e… gente!

    Quanta gente abitava a Tarantella!

    Gente di tutti i tipi, razze e culture, di ogni estrazione sociale ed età… giovani e anziani, bianchi e neri, uomini e donne, ricchi e poveri… convivevano tutti sotto lo stesso cielo a Tarantella, ma non sotto lo stesso tetto!

    E nemmeno nello stesso letto, fortunatamente!

    Tutti a Tarantella si muovevano, andavano, lavoravano, amavano, riposavano, leggevano: in sostanza, vivevano! Magari alla men peggio, ma vivevano!

    E tutti a Tarantella avevano un sogno: andarsene da Tarantella!

    Tarantella era una città come tante altre, ma quello che la distingueva dalle altre città era il fatto che Tarantella era una città grigia, anzi bigia!

    E Gigio Bigio, dodici anni di lì a tre giorni, si uniformava perfettamente all’ambiente di Tarantella; come un camaleonte ne seguiva le pieghe e i percorsi, trasformandosi e ritrasformandosi ogni giorno nell’essenza del grigiore locale.

    Era un ragazzo un po’ in sovrappeso, anzi Gigio era un ragazzo obeso, diciamola tutta!

    Era quello che i ragazzini della sua età avrebbero chiamato ciccione, palla di lardo, cicciobombo cannoniere… e i ragazzini della sua età lo chiamavano proprio così!

    Ma Gigio Bigio non era solo un ammasso di adipe ambulante: era sciatto nel modo di vestire, nel modo di camminare, nel modo di relazionarsi con gli altri. Non aveva spirito di iniziativa, non eccelleva mai in qualcosa, non faceva nulla per farsi notare, non era qualcuno: era quello che i ragazzini della sua età avrebbero definito uno smidollato… e i ragazzini della sua età lo chiamavano proprio così!

    Portava un paio di occhiali così grandi da coprire interamente il suo viso e da nascondere alla vista degli altri i suoi occhi… era quello che i ragazzini della sua età avrebbero detto scherzando quattrocchi… e i ragazzini della sua età lo chiamavano proprio così!

    Per non parlare dei suoi capelli: un cespuglio irto di rovi e spine appuntite che prendevano ogni via, tranne quella giusta! Sembrava che in mezzo a quel groviglio fosse scoppiato un petardo e vi avesse fatto una strage.

    Era quello che i ragazzini della sua età avrebbero nominato spazzolone… e i ragazzini della sua età lo chiamavano proprio così!

    Ogni mattina Gigio si alzava dal letto e, immancabilmente, incespicava nel tappetino grigio di cotone, che suo padre aveva comprato, quando lui era ancora piccolo, ai Grandi Magazzini Tarantella.

    Un nome, una garanzia!

    Dopo essersi faticosamente rialzato, aggrappandosi alle coperte che ogni mattina, immancabilmente, cadevano a terra, Gigio scendeva dalle scale per fare colazione… o meglio, Gigio Bigio ruzzolava ogni mattina dalle scale, inciampando nell’orlo dei pantaloni del pigiama grigio, troppo grande per la sua età, che suo padre aveva comprato, sempre quando lui era piccolo, ai Grandi Magazzini Tarantella.

    Un nome, una garanzia!

    Quindi, risollevatosi dopo essersi ancorato alla colonna finale in legno di noce della scala in legno di noce che portava alla cucina e al soggiorno, posti al piano inferiore, Gigio riusciva a sedersi per la colazione, non prima di avere urtato con l’alluce la gamba del tavolo in legno di noce che riempiva metà della cucina tanto era grande, specialmente per due sole persone.

    Lui e suo padre: Bigio Bigio.

    Un nome, una garanzia!

    «Signori, signori, per favore! Calmatevi! Deve esserci stato un errore nel collegamento! Se continuate a fare baccano, i Maghi non riusciranno a concentrarsi per permetterci di cercare l’Erede. Vi prego, signori! SILENZIO IN AULA! Adesso riproveremo e vedrete che andrà meglio!»

    La sala era tornata nel caos più totale e il CapoMastro continuava a battere con il martello in legno di noce sull’incudine in legno di noce posto sulla sua cattedra in legno di noce.

    Tum, tum, tum!

    Ma il Consiglio non ne voleva sapere di tacere.

    Il collegamento video con la Terra non veniva provato da anni ed era evidente che i Maghi fossero un po’ arrugginiti, ma questo non bastava a mettere a tacere il vibrante coro di proteste che si levava ormai da ogni parte.

    Tum, tum, tum!

    Il martello batteva sempre più forte sull’incudine.

    «SILENZIO IN SALA! Ora riproveremo. I Maghi hanno bisogno di concentrazione, come devo dirvelo? Senza la giusta concentrazione, il collegamento non riesce… come abbiamo appena visto! SILENZIO… e spegnete quelle dannate luci! Si ricomincia!»

    Gigio anche quella mattina salutò con un bacio il padre (l’esatta copia del figlio, solo in versione adulta) prima di andare a scuola e, come ogni giorno, si immobilizzò, intirizzito dal freddo, sotto il palo della fermata dell’autobus, avvolto nella sua lunga sciarpa grigia (comprata anch’essa ai Grandi Magazzini Tarantella – il solito nome, la solita garanzia!), che pareva un gigantesco serpente boa nell’atto di stritolare la preda.

    Lo zainetto grigio, acquistato sempre nel solito posto con il solito nome e la solita garanzia, pesava sulle sue spalle, ma Gigio non lo avrebbe mollato a terra per nulla al mondo. Al suo interno, infatti, insieme ai testi di scuola, era gelosamente custodita la sua fuga dal mondo reale per quello dei sogni… il suo libro preferito: 20.000 leghe sotto i mari di Jules Verne.

    Natale si stava avvicinando e ovunque si respirava aria di festa: le luci colorate, gli alberi addobbati, gli striscioni illuminati, le canzoncine sdolcinate, i dolci zuccherati, i profumi vellutati… la fretta indiavolata!

    La gente di Tarantella correva di qua e di là, inseguendo i desideri di grandi e piccini, e accresceva a ogni acquisto la soddisfazione dei commercianti che, in quel periodo dell’anno, vedevano le proprie tasche gonfiarsi a dismisura.

    Era una mattina particolarmente fredda, come non se ne vedevano da un po’ a Tarantella. Un leggero strato luccicante di brina impreziosiva i rami scheletrici degli alberi, mentre la gente faceva a gara per vedere il proprio respiro disegnare nuvolette candide sospese a mezz’aria, che poco dopo si dissolvevano come bolle di sapone.

    Le narici, sature di condensa, percepivano tutt’intorno odori e profumi attutiti, mentre un effluvio di sottofondo, come di terra bruciata, penetrava fin dentro i polmoni, facendo avanzare sempre più a fondo nel corpo della gente di Tarantella le truppe del Generale Inverno.

    Gigio Bigio osservava tutto quello spettacolo, assorto nei suoi pensieri di quasi dodicenne.

    Ancora tre giorni e poi sarà il 16 dicembre: il mio compleanno! Wow, non vedo l’ora di ricevere i regali di papà e di mangiare la torta di mele della signora Lydia…

    La signora Lydia era la più abile pasticcera di tutta Tarantella. Le sue torte erano un’autentica delizia per ogni palato amante del dolce… e quello di Gigio era sicuramente il palato più amante del dolce di tutta Tarantella!

    Poi, come a spezzare quell’incantesimo, sbuffando e cigolando, arrivò l’autobus che avrebbe portato tutti a scuola.

    Si fermò con la porta proprio davanti a Gigio: che bello, finalmente per una volta non doveva aspettare che gli altri salissero prima di lui, finalmente per una volta poteva trovare posto per leggersi in santa pace 20.000 leghe sotto i mari, finalmente…

    Sbam!

    La porta sbatté dritta sulla sua faccia, procurandogli un terribile dolore alla mascella e tramortendolo per qualche secondo, giusto il tempo che tutti entrassero nell’autobus già mezzo pieno, prendessero posto e lo lasciassero per l’ennesima volta in piedi, appeso alle maniglie, penzolanti come liane nella giungla, che scendevano dal tettuccio in lamiera come sbucate dal nulla.

    Tutt’attorno un gran vociare di ragazzini: risatine, urla, parole sommesse, bisbigli, grida… insomma, un calderone di voci che non si fermava un secondo.

    Anche quella era una mattina come tutte le altre per Gigio Bigio, ma fra tre giorni era il suo compleanno!

    E questo pensiero bastava a metterlo di buon umore.

    Eccome!

    Anzi, di ottimo umore!

    Si aggrappò alle maniglie come un free-climber alla cordata e attese che l’autobus, sputacchiando fumo gelato, riprendesse la propria marcia indisturbato verso la scuola, noncurante del freddo polare che imperversava all’esterno.

    E sorrise fra sé.

    Il suo compleanno era vicino.

    Del resto gli importava nulla o poco più!

    «Signori del Consiglio, credo che il collegamento non sia riuscito nemmeno stavolta. Mi rammarico, a nome dei Maghi che rappresento. A questo punto propongo, prima del prossimo collegamento con la Terra, che venga inviato il Tracciatore Genetico Interdimensionale, per appurare con certezza l’identità dell’Erede.»

    Il Consiglio dei Dodici stava tornando nel caos, ma le parole del CapoMastro bastarono a sedare ogni forma di protesta. Del resto erano anni che i Maghi non provavano un’impresa del genere, da quando… da quella volta che… beh, questa è un’altra storia.

    Ma a questo punto nessuno se la sentiva di biasimare l’Associazione dei Maghi per il fallimento.

    Spettava ora a Mekkano Bakkano e ai suoi Costruttori inviare il Tracciatore Genetico Interdimensionale sulla Terra per scovare, fra i milioni di abitanti di Tarantella, l’Erede, che certo non poteva essere quell’impiastro!

    L’autobus arrivò alla fermata della scuola sbuffando e sputacchiando fumo gelato dal suo posteriore; cigolava come un vecchio carretto arrugginito, spossato dalle intemperie e dal trascorrere degli anni, forse troppi per l’autobus della scuola di Tarantella.

    Le porte si aprirono e vomitarono davanti all’edificio una fiumana di vocianti, scalcianti e recalcitranti ragazzini, desiderosi di ritrovarsi in un posto caldo e asciutto… un po’ meno di assistere alle lezioni.

    La scuola di Tarantella era un gigantesco caseggiato a due piani, con mattoni in bella vista e finestre ampie e alte: era stata costruita una cinquantina di anni prima e comprendeva tutte le classi, dalle elementari alle superiori.

    L’impressione che dava, a chi non era avvezzo a frequentarla, era quello di un casermone: certo, ripieno di studenti invece che di soldati, ma la sostanza non cambiava l’aspetto della scuola.

    Gigio Bigio uscì naturalmente per ultimo, scavalcato perfino dai primìni che, in quanto a energia, ne avevano da vendere e quella mattina, come ogni mattina, l’avevano scaricata sulle spalle di Gigio, che sbottò nel solito: «Puah, Primìni! Cos’avranno da correre, poi? La scuola mica scappa, santa paletta!»

    Gigio si sistemò il cappotto grigio, che il padre gli aveva comprato, sempre quand’era piccolo, ai Grandi Magazzini Tarantella (un nome, una garanzia!) e s’incamminò stancamente, quasi trascinandosi, verso le scale che portavano all’ingresso dell’edificio scolastico.

    Si fermò un istante davanti alla porta, sospirò ed entrò di sua spontanea volontà nelle fauci del Grande Drago, come era solito definire la scuola da qualche tempo a quella parte… il Grande Drago era sempre lì, pronto a ingoiarlo, triturarlo, sminuzzarlo, bolizzarlo, digerirlo e poi risputarlo, nuovamente intero, al termine delle lezioni.

    Ci sarebbe voluta la nave volante di Robur il conquistatore per abbattere la scuola, ma il geniale inventore, creato dall’altrettanto geniale mente di Jules Verne, non ci pensava minimamente ad abbandonare le pagine dei romanzi che lo avevano visto protagonista per dare una mano a Gigio Bigio.

    Un nome, una garanzia!

    Nel varcare la soglia si trovò di fronte come ogni mattina i Tretrè: li aveva chiamati così perché andavano sempre in giro in tre. Erano inseparabili, uniti, incollati, appiccicati, colpivano all’unisono ed erano… la sua spina nel fianco.

    I Tretrè erano più grandi di lui, più grossi di lui, più forti di lui e, soprattutto, erano in tre.

    E il numero fa la differenza, a Tarantella come in ogni altra parte del mondo.

    Anche quella mattina i Tretrè, dei quali mai aveva imparato i nomi (tanto non era necessario visto il tipo di rapporto che avevano instaurato con lui… non del tutto amichevole, diciamo), gli si pararono dinanzi come l’imponente torre di un castello medievale, come un invalicabile muro di pietra, vecchio di mille anni… anzi, di più!

    La Muraglia Cinese al confronto era un muretto di paese, costruito da qualche muratore dilettante con il pallino per le costruzioni, che aveva avuto nella sua vita un paio d’ore da buttar via.

    Impotente era la parola più giusta per definire come Gigio si sentiva di fronte ai Tretrè. Loro lo sapevano e ci marciavano, godendo di ogni incertezza, di ogni tremore, di ogni fremito che quello smidollato-spazzolone-cicciobombo-cannoniere-quattrocchi di Gigio Bigio lasciava trapelare di fronte a loro.

    «Signori del Consiglio, i Costruttori sono pronti: il Tracciatore Genetico Interdimensionale è stato predisposto e tarato sui geni dell’Erede. Ora sarà impossibile sbagliare e potremo comunque seguire gli eventi grazie al collegamento che i Maghi continueranno ad assicurarci. Confido che finalmente troveremo l’Erede!»

    Il CapoMastro era fiero di avere ripreso in mano la situazione: la sala si era zittita all’istante e non era più stato costretto a usare il martello in legno di noce per ottenere l’attenzione dei presenti. Quel benedetto martello stava iniziando a procurargli una terribile emicrania e, se c’era una cosa che non sopportava, era avere mal di testa, specie in occasioni importanti come quella.

    Certo i Costruttori di Mekkano Bakkano avevano ora gli occhi di tutti puntati addosso, ma era contento che i Maghi continuassero a essere parte dell’operazione.

    Del resto ne andava del buon nome dei Maghi e lui, capo dei Maghi, detestava sbagliare.

    Eppure sembrava che fosse accaduto proprio questo… cosa poteva essere andato storto?

    Non era quello il momento per le congetture e i pensieri cupi: bisognava lavorare in squadra per raggiungere l’obiettivo primario.

    Trovare l’Erede… a tutti i costi!

    Patapumf!

    Gigio si ritrovò a terra senza neppure sapere cosa lo avesse colpito.

    Un pugno? Un ceffone? Uno spintone?

    Una muraglia?

    Certo, aveva sbattuto contro qualcosa, ma non sapeva cosa.

    Del resto aveva chiuso gli occhi non appena si era trovato di fronte i Tretrè, nella speranza che sparissero solo perché lui non li vedeva.

    Ma così non era stato.

    Oh no, non era stato affatto così!

    Anche nel buio fittizio in cui si era rintanato poteva vederli mentre confabulavano su quale avrebbe potuto essere il modo migliore per colpirlo.

    E, qualunque cosa avessero scelto, il risultato era stato quello sperato… almeno da loro: Gigio aveva sbattuto il suo grasso fondoschiena sul pavimento con un pesante tonfo.

    Mentre era a terra li sentiva sghignazzare, ma i suoi occhi continuavano a rimanere serrati, come se un lucchetto invisibile non permettesse alle sue palpebre di prendere la decisione giusta: aprire le serrande e guardare in faccia la realtà.

    I Tretrè avevano colpito un’altra volta e, soprattutto, avevano vinto un’altra volta. E lui aveva perso.

    Ma quel giorno non gli importava. Nell’oscurità in cui si era rintanato, l’unico pensiero che gli faceva compagnia era quello del suo compleanno ormai vicino.

    E del Natale quasi alle porte: bisogna essere più buoni a Natale!

    Per questa volta poteva perdonare i Tretrè!

    Ma solo per questa volta!

    Perso com’era nei suoi pensieri, non si era accorto che qualcosa intorno a lui era cambiato: era calato uno strano silenzio e i Tretrè sembravano non esserci mai stati.

    Decise comunque di rimanere a terra e di procedere per fasi: il nemico poteva semplicemente aver smesso di ridere o di respirare o essersi acquattato nei dintorni, come un predatore in attesa di saltare addosso alla preda prima di sbranarla.

    Cosa avrebbe fatto il capitano Nemo in una situazione del genere?

    Probabilmente il capitano Nemo non si sarebbe mai trovato in una situazione del genere!

    Aprì per primo l’occhio destro e lo fece roteare per verificare l’ambiente circostante, almeno fin dove riusciva a vedere. Quindi si decise a dare il via libera anche al sinistro: la situazione era tranquilla. Il pericolo era cessato.

    Dove sono finiti tutti? Come mai non c’è nessuno per i corridoi? Santa paletta, la campanella!

    Impegnato com’era a cercare di superare il corso di sopravvivenza della vita, non si era accorto del suono della

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