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L'invidia del mostro
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E-book75 pagine53 minuti

L'invidia del mostro

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Thriller - racconto lungo (49 pagine) - Il quarto peccato è l'Invidia!


Ilario Belviso è un mostro. Lo sa e lo vede negli occhi della donna che si rivolge a lui per scoprire chi ha bruciato il volto del figlio con l’acido. Chi ha reso il giovane Antonio un mostro come lui? Chi ha distrutto la vita del modello? Ilario dovrà muoversi nel mondo della moda per scoprirlo, invidiando la bellezza di quei visi perfetti. Ma l’invidia può corrompere tutto, compresa la bellezza seducente di Nadia che l’ha convinto a giocare una partita a scacchi dove la posta in gioco è più della solita scommessa perversa. Perché questa volta la sfida con Nadia s’intreccia all’indagine e Ilario rischia di perderle entrambe.


Fabio Ancarani è nato a Novi Ligure nel 1968. Laureato in Ingegneria Elettronica e con un dottorato di ricerca in Ingegneria Elettronica, ha sempre lavorato in aziende ad alto contento tecnologico, tra cui l’Istituto Italiano di Tecnologia. Ha iniziato a scrivere narrativa pubblicando racconti di ambito tecnologico sulla rivista MacWorld, e in seguito su diverse riviste e antologie, tra cui la Writers Magazine Italia e la serie 365 di Delos Books, vincendo il premio Writers Magazine Italia. Il racconto giallo storico Il gioco delle streghe è stato selezionato nell’antologia Anno Domini uscita per la Mondadori. Il giallo storico Il tesoro dei Fieschi è stato finalista al Premio Tedeschi 2015. Nel 2015 è uscito il racconto lungo Il volo della lumaca per Delos Digital e il romanzo giallo La certezza del dubbio è stato finalista al Premio Tedeschi 2017.

LinguaItaliano
Data di uscita18 giu 2019
ISBN9788825409369
L'invidia del mostro

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    L'invidia del mostro - Fabio Ancarani

    9788825404876

    1

    Lo sentì subito, appena aprì la porta d’ingresso.

    Era dolce, sensuale, forse fruttato. Non era un grande esperto di profumi, ma quello ormai si era impresso nella memoria ed era sicuro che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita. Subito il cuore accelerò, rispondendo ai ricordi di Nadia che gli tornavano in mente. Ilario Belviso attraversò l’ingresso della villetta di gran fretta, rischiando di urtare i vasi di quella che ormai era diventata una serra. Passò la felce che stava invadendo lo spazio della piccola palma, l’ultima arrivata in quel giardino che somigliava sempre più a una giungla, e lanciò uno sguardo verso lo spicchio di scacchiera che s’intravedeva nel cono dell’alogena lasciata accesa.

    Ilario abbandonò la spesa sul pavimento e spuntò nel salotto. Rallentò mentre si avvicinava alla busta poggiata sulla scacchiera, sentendo la delusione montare in lui. Quel profumo aveva seminato l’eccitazione di vederla, ma Nadia non era lì. Pensò alle scommesse precedenti mentre continuava a scrutare il sigillo. Prese la busta e percorse l’orma impressa nella ceralacca con le dita. Ogni volta era una sfida diversa, e non si riferiva solo alla partita, perché ormai era qualcosa che apparteneva alla sua vita e la rendeva viva. Con il lavoro d’investigatore privato le sue giornate non potevano definirsi vuote, ma quella ragazza e le loro scommesse facevano parte della sfera privata. E in quel campo la vita di un mostro era intrisa di odiosa banalità e routine.

    Rigirò la busta tra le dita, spezzò il sigillo e tirò fuori la lettera. Era un foglio di una carta spessa, ruvida, profumata con lo stesso aroma di lei. Era stampata con un carattere minuto e arzigogolato. Ilario lesse avidamente, saltando le frasi inutili, spremendo le lettere fino al cuore della questione: la scommessa.

    Le regole erano sempre le stesse, una partita a scacchi avrebbe decretato chi avrebbe subito la penitenza. Era quello il succo di quelle lettere affusolate, leggermente piegate all’indietro da un vento inesistente, o forse da una corsa verso il destino. Anche quello faceva parte del mistero, perché Nadia aveva usato quella stampa fredda, impersonale e non una scrittura a mano? In fondo, la scelta della carta denotava cura per i particolari e quel sigillo era la chiusura perfetta.

    Ilario scivolò via dai dubbi e rilesse la lettera, poi fissò la scatola di legno posta di fianco la scacchiera.

    Era lucida, lavorata con intarsi di colore più chiaro. La percorse con la mano, trovandola liscia. Il vano interno era ricoperto da un drappo rosso, dove c’erano due palline e due pinze. Le palline erano collegate da un filo, mentre le pinze avevano un cilindro. Era quella la penitenza che attendeva chi avesse perso la partita a scacchi. Una settimana di tortura con quei giocattoli. Lui infilati nell’ano, lei a schiacciarle i capezzoli.

    Ma non era tutto.

    La lettera citava un’applicazione da scaricare sul cellulare, in grado di far vibrare le palline e le pinze a distanza. Una settimana in balia dell’altro, che poteva far vibrare il giocattolo erotico quando voleva. Ilario sorrise, era sicuro che Nadia l’avrebbe fatto vibrare quando lui era in fila alla cassa del supermercato. Lei aveva lo strano potere di sapere sempre quando poteva metterlo in difficoltà, come se lo spiasse e scegliesse l’attimo giusto con sadica precisione.

    Scosse la testa sprofondando nella sedia.

    Non poteva rischiare di essere ai suoi comandi per una settimana intera. Certo, avrebbe potuto vincere e allora lei sarebbe stata alla sua mercé, ma con quale godimento?

    Ilario giocherellò con la lettera, poi l’avvicinò al viso, più per caso che per volontà. Il profumo di Nadia tornò ad avvolgerlo e l’eccitazione si risvegliò potente. Alla fine della settimana sarebbero andati a cena in un ristorante, con il perdente che indossava il fardello penitenziale, pronto a sottomettersi all’altro di fronte a tutti.

    Ilario prese le palline e le soppesò. Erano lisce, fredde, decisamente troppo grandi. Immaginò come poteva andare la serata, magari doveva passare a prenderla e avrebbe scoperto dove abitava. Con l’indirizzo risalire al nome completo sarebbe stato semplice.

    E poi lo aspettava una cena con lei, loro due da soli come una coppia. L’idea lo allettò, ma se avesse perso doveva considerare la sua penitenza, doveva sperare di non dover reprimere gli stimoli delle palline e di non fare espressioni sconvenienti, o addirittura gemiti, davanti ai presenti.

    Posò i giocattoli e la lettera, fissando i due schieramenti.

    Bianco e nero.

    Doveva vincere quella partita a scacchi.

    Toccava a lui iniziare

    Lanciò uno sguardo alla portafinestra del

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