L'ottavo peccato
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Thriller - racconto lungo (35 pagine) - L'ottavo peccato è il più beffardo di tutti
Ilario Belviso è un mostro. Lo è fin da piccolo, da quando i compagni di classe lo additavano e lo deridevano. Lo è nell'animo, corrotto da una lussuria senza freni. Lui, che ha sfiorato da vicino tutti i peccati capitali, lui che molti li ha vissuti sulla propria pelle, li ha fatti propri. L'invidia, soprattutto, ma anche l'ira. La superbia, per ergersi al di sopra degli altri, l'avarizia di sentimenti, perché quando hai poco, quel poco te lo tieni stretto. La gola, l'incapacità di resistere alle tentazioni. L'accidia, quell'indolenza che ogni uomo deve sconfiggere, di tanto in tanto. Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidia. E poi arriva l'ottavo peccato. E anche la vita di Ilario Belviso, il mostro, arriva a una svolta.
Andrea Franco ha vinto il premio Tedeschi Mondadori nel 2013 con il romanzo L'odore del peccato. Con Mondadori ha pubblicato numerosi romanzi, nella collana de Il Giallo Mondadori, negli Oscar Gialli (Il peccato e l'inganno) e, con lo pseudonimo Rey Molina, su Segretissimo Mondadori, serie El Asesino. Ha pubblicato racconti e saggi (Mondadori, Delos Digital, Hobby & Work, NeroPress, Mauro Pagliai) e diversi testi teatrali. Si occupa di servizi editoriali (Franco Servizi Editoriali)
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Anteprima del libro
L'ottavo peccato - Andrea Franco
9788825408386
1
Ilario Belviso è un mostro!
Ilario Belviso è un mostro!
Ilario Belviso è un…
Sbam!
Ilario si svegliò urlando. Oppure fu il grido a destarlo. Quello che echeggiava nella sua mente, mentre provava a zittire le voci cantilenanti dei compagni di scuola. Alle elementari, poi anche alle medie. Un dito puntato contro di lui, contro quella faccia deforme che preannunciava già dai primi anni dell’infanzia la trasformazione in un mostro.
Ilario Belviso è un mostro. Lo era sempre stato. Per tutti.
Si tirò su e puntellò i gomiti sul materasso. Era fradicio di sudore e poteva sentire il cuore battere nel petto come se avesse corso per inseguire la sua paura e afferrarla per il collo. Per sopprimerla, per renderla meno acuta.
No, non la paura, si disse, buttando i piedi giù dal letto e cercando di rinfrescare i timori sul pavimento freddo. Era la vergogna. Ogni cosa aveva un nome specifico. Lo diceva sempre anche suo padre, quando con una luce triste negli occhi continuava a non arrendersi all’evidenza. Quando continuava a trattarlo con la dura rudezza del militare, dell’uomo mai vinto.
Forse anche suo padre si vergognava. Non del suo aspetto, certo. Magari della debolezza di un ragazzino che prima di scontrarsi con le difficoltà della vita doveva già abituarsi a essere un diverso, un altro…
Ilario Belviso è un mostro!
Sbam!
Si alzò di scatto, Ilario, spalancando gli occhi e mettendo a tacere incubi e ricordi. Un mostro.
La fitta che gli tagliò in due la testa quasi lo fece piegare. Immagini rapide lo martellarono, alternandosi velocissime. Flash accecanti, chiodi di terrore infilzati nelle tempie.
Cadde in ginocchio e gridò. Quando trovò la forza di aprire gli occhi, osservò la stanza attraverso le lacrime e il dolore. Fissò la porta della camera da letto, chiusa. Oltre, nel soggiorno, vicino alla grande portafinestra che dava sul retro del giardino, aleggiava un ricordo che non voleva credere reale.
Si alzò e, in mutande, uscì dalla camera. Si affacciò nel corridoio e scrutò la penombra del primo mattino che sfumava in un lucore acerbo aprendosi nella stanza principale della casa.
Nadia. Il re nero.
Lo scacco matto.
E il sangue.
Corse, mettendo quattro falcate l’una dietro l’altra e si fermò al centro del pavimento a scacchi del soggiorno, su quelle grandi mattonelle di marmo lucido, bianche e nere. Inchiodò come un pedone, costretto a fare piccoli passi, e scosse la testa.
– Non è possibile – disse a bassa voce. Parlò al vuoto, al silenzio, al nulla. Le piante che colmavano ogni spazio risposero immobili. – NON È POSSIBILE – gridò, spezzando la quiete della casa. Batté un piede a terra e mosse due passi in diagonale, come un alfiere che si avvicina lateralmente per evitare un confronto diretto con l’avversario.
– Dove cazzo sei? – sibilò tra i denti, spuntando saliva per la