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Archivio storico della Calabria: Nuova serie - Numero 4
Archivio storico della Calabria: Nuova serie - Numero 4
Archivio storico della Calabria: Nuova serie - Numero 4
E-book1.697 pagine18 ore

Archivio storico della Calabria: Nuova serie - Numero 4

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Info su questo ebook

Sezione I - Napoleonica
Sezione II - Regno di Napoli e delle due Sicilie
Sezione III - Calabria
Sezione IV - Mileto
Sezione V - Mediterranea
Sezione VI - Le arti
Sezione VII - Cefalonia - Divisione "Acqui"
Sezione VIII - I.M.I. (Internati Militari Italiani)
Sezione IX - Fonti e bibliografia
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2014
ISBN9788868222130
Archivio storico della Calabria: Nuova serie - Numero 4

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    Anteprima del libro

    Archivio storico della Calabria - Giovanni Pititto

    ARCHIVIO STORICO DELLA CALABRIA

    NUOVA SERIE

    A CURA DI GIOVANNI PITITTO

    Direttori

    Giovanni Pititto

    Saverio Di Bella

    Walter Pellegrini

    Continuazione dell’Archivio Storico della Calabria,

    fondato e diretto da Francesco Pititto e da Hettore Capialbi;

    già edito in Mileto (1912 - 1918)

    ANNO I

    (2012)

    Numero 4

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Pubblicato in forma di Epub in Italia per conto di Pellegrini Editore

    Via De Rada, 67/c - 87100 Cosenza - Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    Progetto E-book a cura di Giovanni Pititto.

    Realizzazione E-book / E-pub a cura di Simona Pescatore – supervisione Marta Pellegrini.

    Registrazione Tribunale di Cosenza.

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi.

    Copertina: Ideazione, progetto grafico e realizzazione di Giovanni Pititto con la collaborazione di Simona Pescatore web designer.

    Dall’alto verso il basso in senso orario:

    C. N. Chochin jr., Apoteosi di Carlo III di Borbone.

    Francesco Liani, Carlo III.

    Anonimo, Glorificazione di Carlo III.

    Guzzardi Giuseppe, Ferdinando IV.

    Jean Georget, Ritratto di Napoleone, 1810

    Anonimo, Maria Carolina, regina

    Al centro: G. A. Cacciatore, Orazione Funerale in onore dei Caduti a Mileto nella Battaglia del 1807, pag. 4.

    N° 4 - Sommario

    SEZIONE I - NAPOLEONICA

    DI BELLA. Saverio Di Bella, Maida. Convegno. Introduzione.

    COSTANTINO. Maria Rosaria Costantino, Mileto nello sguardo dei viaggiatori stranieri.

    FERRARI. Valeria Ferrari, Aspetti della resistenza anti-francese nelle Calabrie nel periodo 1806-1811.

    FOLINO GALLO. Rosella Folino Gallo, La Calabria nella lotta anglo-francese in età napoleonica: la battaglia di Maida (4 luglio 1806).

    GAGLIUZZO. Carmelina Gugliuzzo, Contadini contro la Francia.

    GULI. Vincenzo Gulì, La battaglia di Maida.

    IANNANTUONI. Domenico Iannantuoni, La resistenza calabrese all’occupazione francese (1806/1813) e sua incompatibilità con l’agiografia risorgimentale italiana (con note sulla battaglia dimenticata di Maida, 4.7.1806).

    IUFFRIDA. Giovanni Iuffrida, Il condizionamento geografico e ambientale: il paesaggio sociale, rurale e urbano.

    LEOPARDI GRETO. Leopardi Greto Ciriaco, Profili delle strategie politico-militari.

    LUPIS. Marco Lupis, Un capitano napoleonico dalla Calabria a Waterloo. Per una biografia di Giovan Battista Palermo di Santa Margherita.

    APPENDICE I

    NAPOLEONE. Napoleone. Campagna d’Italia. Epistolario. Lettere da XXI a XXX (1796, giugno).

    14 Giugno 1796. Quartier Generale di Tortona. Bonaparte al Senato della Repubblica di Genova: si duole assassini contro francesi, esige castigo colpevoli, rimedio efficace per l’avvenire.

    31 Maggio 1796. Pavia. Hacquin a Bonaparte: informa essere cessata sedizione in Pavia, disarmo effettuato; domanda alcuni provvedimenti.

    3 Giugno 1796. Venezia. Lallement a Bonaparte: si congratula per suo glorioso ingresso nel territorio veneziano e comunica notizie.

    7 Giugno 1796. Quartier Generale di Milano. Bonaparte al Direttorio. Della sorpresa con cui Beaulieu si è impadronito di Peschiera, ben tosto ripresa dall’esercito francese.

    11 Giugno 1796. Parigi. Direttorio a Bonaparte: obbligar Venezia consegnarli fondi de’ nemici, indurla fargli prestito, evitando rottura.

    15 Giugno 1796. Parigi. Direttorio a Bonaparte: Della perfidia di Genova, e come Bonaparte abbia a vendicarsi.

    15 Giugno 1796. Parigi. Direttorio a Bonaparte: far sapere alla corte di Napoli che se fra un mese la pace non sarà conchiusa, la tregua s’intende rotta.

    22 Giugno 1796. Quartier Generale di Bologna. Bonaparte a Faipoult: istruzioni per Genova, e condotta col Senato.

    27 Giugno 1796. Quartier Generale di Livorno. Bonaparte al general Vaubois: istruzioni come munir Livorno, e condotta da tenere.

    s.d. ma ante 20 Giugno 1796. Direttorio a Bonaparte: invia copia di lettera ministro marina onde trarne profitto nelle transazioni politiche d’Italia.

    APPENDICE II

    DAYOT. 1896. Armand Dayot, Napoleone nelle opere de’ pittori, degli scultori, degli incisori.

    Prefazione edizione italiana

    SEZIONE II: REGNO DI NAPOLI E DELLE DUE SICILIE. FONTI - RASSEGNA STAMPA – RICERCHE – STUDI – SUSSIDI.

    1412. Fonti Aragonesi (1412-1447).

    1733, aprile 1. Napoli. Disposizione pagamento al pittore Domenico Antonio Vaccari per tre quadri ad olio eseguiti per il principe di Tarsia.

    1739, aprile 5. Napoli. Ludovico Mazzanti - Carlo Roncalli, Perizia dei dipinti eseguiti nel palazzo reale e carrozza di gala dagli artisti Francesco de Mura, Nicola Rossi, Francesco Solimena, Domenico Antonio Vaccaro.

    1762, 16 gennaio. Napoli. Ferdinando Fuga, alla Segreteria di Guerra. Comunica in relazione all’incarico avuto di ampliamento della real fabbrica di armi a Torre Annunziata.

    1772, luglio 2. Torre Annunziata. Giuseppe Pietra, comandante generale di Artiglieria, al Segreterio di Stato marchese di Goyzueta. Sulla real fabbrica di armi a Torre Annunziata.

    Inventario generale produzione reale fabbrica di armi, a Torre Annunziata. Notizia.

    1774, aprile 18. Torre Annunziata. Giuseppe Maria de Lupi, della real fabbrica di armi a Torre Annunziata, al Segreterio di Stato marchese di Goyzueta. Ragguaglia su presunti sorprusi di Giuseppe Pietra, comandante generale di Artiglieria.

    1774, aprile 16. Torre Annunziata. Giuseppe Maria de Lupi, della real fabbrica di armi a Torre Annunziata, al Segreterio di Stato marchese di Goyzueta. Denuncia presunte anomale pretese e sorprusi di Giuseppe Pietra, comandante generale di Artiglieria.

    1774, dicembre 17. Napoli. Antonio Ottero, marchese, alla Scrivania di Razione. Sulla real fabbrica di armi a Torre Annunziata e su Carlo La Bruna della famiglia maltese di armaioli La Bruna.

    1780, aprile 26. Napoli, Palazzo reale. Da assenso Giovanni Bermudez, controllore casa reale e perizia artisti Giuseppe Bonito e Francesco di Muro, si dispone pagamento a favore pittore Francesco Bezzi per suo quadro raffigurante veduta di Licola.

    1789, marzo 30. Napoli, Palazzo reale. Ferdinando Corradini. Disposizione pagamento a favore pittore Giuseppe Bonito per suo quadro effettuato per altare cappella reale di Caserta.

    1799, gennaio 23. Napoli. Al generale comandante armata francese, Championnet.

    1971-1973. AA. VV., San Leucio, Vitalità di una tradizione - San Leucio: Traditions in transition. A cura di Eugenio Battisti (Storia dell’Architettura 1), Antonio Piva (Restauro dei Monumenti b) della Facoltà’ di Architettura del Politecnico di Milano - Istituto di Materie Umanistiche e Richard Plunz del Department of Architecture the Pennsylvania State University.

    1973. PIVA. Antonio Piva, San Leucio e problematiche del rinnovo.

    2008. VERDILE. Nadia Verdile, Ferdinando IV di Borbone. Lettere da Caserta a Maria Carolina (1788-1789).

    Serie 1: 1788 (01-10)

    1788, ottobre 1. Caserta. Dopo aver preso le medicine Ferdinando si reca a San Leucio. Nel pomeriggio un acquazzone fa allagare la zona di Aldifreda.

    1788, ottobre 2. Caserta. Invia le lettere del corriere e della posta a Maria Carolina affinché possa leggerle e dopo essere andato a Carditello nel pomeriggio va a passeggiare nel Boschetto.

    1788, ottobre 3. Caserta. Va al Belvedere di San Leucio a controllare i lavori.

    1788, ottobre 3. Caserta. Invia a Maria Carolina le lettere venute da Vienna.

    1788, ottobre 5. Caserta. Parla a Maria Carolina dell’affare di Roma e delle lettere di Londra.

    1788, ottobre 5. Caserta. Invia alla moglie le lettere di Gallo.

    1788, ottobre 6. Caserta. Sono preoccupati per la salute dell’imperatore; la salute di Ferdinando migliora.

    1788, ottobre 7. Caserta. Brevi informazioni sulla giornata e sulle sue condizioni di salute.

    1788, ottobre 8. Caserta. Invia alla moglie le lettere provenienti dalla Spagna.

    1788, ottobre 8. Caserta. Si parla della salute dei figli e di quella dell’intera famiglia.

    SEZIONE III: CALABRIA. FONTI - RASSEGNA STAMPA – RICERCHE – STUDI – SUSSIDI.

    1902. TACCONE. Domenico Taccone-Gallucci, Cronotassi dei metropolitani, arcivescovi e vescovi della Calabria, per mons. Domenico Taccone-Gallucci, vescovo di Nicotera e Tropea, Tropea, Tipografia di Vittorio Nicotera, 1902.

    Serie 1: Episcopati di:

    § San Marco.

    § Tauriana - (Suffrag. di Reggio).

    § Vibona - (Suffrag. di Reggio).

    1968. Pergamene di Argentera (1496-1553).

    1998. PROSTAMO. Domenico A. Prostamo, Storia feudale di Briatico.

    1998. ROTELLA-SOGLIANI. Anna Rotella – Francesca Sogliani, Il materiale ceramico tardoantico e altomedievale da contesti di scavo e dal territorio nella Calabria centro-meridionale.

    § I. Due contesti in territorio di Vibo Valentia: il complesso al castello di Bivona e la statio di Nicotera-Mortelleto.

    § II. La ceramica comune: le brocchette. Appunti per una carta di distribuzione regolare.

    1999. MONTESANTI. Antonio Montesanti, Tra Mare e Terra, Roma, Edizioni Fegica, 1999.

    (continuazione dal Numero precedente e continua al successivo)

    Cap. IV. Il Fondaco di Bivona e l’Arrendamento del sale.

    SEZIONE IV: MILETO. FONTI - RASSEGNA STAMPA – RICERCHE – STUDI – SUSSIDI.

    1588. DEL TUFO. Marc’Antonio Del Tufo, SINODO / DIOCESANA / CELEBRATA DAL / REVERENDIS. MONS. / M. ANTONIO DEL TUFO / VESCOVO DI MILETO NELLA SUA / Cathedrale à gli otto e nove d’Aprile 1587. / IN MESSINA, Appresso Fausto Bufalino, 1588. //

    (continuazione dal Numero precedente e continua al successivo).

    § Del Sacramento del Battesimo.

    § Capitoli I – XXXIX.

    S.d. [ma 1601. Roma, Collegio Greco. Ordini del cardinale Giustiniani, protettore del Collegio Greco, a Pompeo Mangioni vicario dell’abbazia di Mileto.

    1641, novembre 07. Roma, Collegio Greco. Tarquinio Galluzzi, rettore, all’avvocato del collegio. Su usurpazioni di beni dell’abbazia di Mileto siti in marina di Bivona.

    1698. CALCAGNI. Diego Calcagni, S. J., Storia cronologica breve dell’Abbazia di Mileto, 1699, Messina, tipografia Domenico Costa. Appendix ad Historiam. Donationes.

    (continuazione dal Numero precedente e continua al successivo).

    § Edizione del secondo privilegio di Roger d’Hauteville – 1102:

    1102 (sic!), giugno 10. [Mileto?]. Ruggero, Conte di Calabria e Sicilia, all’abbate del Monastero di Mileto.

    1762. CIMAGLIA. Natale Maria Cimaglia, Della natura e sorte della badia della SS. Trinità e S. Angelo di Mileto, Napoli, 1762.

    (continuazione dal Numero precedente e continua al successivo).

    PARTE PRIMA - CAPITOLO SECONDO: Robberto Abbate di Mileto secondo il Diploma. Si dimostra che Robberto di Grentemaisnilio congionto del Conte Ruggieri, non fu mai nè d’esser poteva Abbate della Trinità di Mileto.

    § XIII. Robberto Abbate di Mileto secondo il Diploma.

    § XIV. Chi sia stato Robberto di cui il Diploma parla.

    § XV. Novelle della vita di Robberto Abbate.

    § XVI. Robberto viene in Italia.

    §. XVII. Robberto di Grentemaisnilio (…) del Guiscardo narra Orderico Vitale…

    §. XVIII. Robberto fatto Abbate di S. Eufemia.

    §. XIX. Robberto deputato riformatore del Monistero di Venosa.

    §.XX. Roberto abbate destinato riformatore del Monistero di Mileto.

    §. XXI. Robberto fu fin alla morte abbate di S. Eufemia.

    § XXII. L’Abbate Robberto marita la sorella col Conte Ruggieri.

    §.XXIV. Si confuta Rocco Pirro circa le novelle dell’Abbate Robberto.

    §. XXV. Robberto Vescovo di Troina diverso dall’Abbate Robberto.

    § XXVI. Conchiusione dell’Argomento.

    1769. CARAFA. Giuseppe Maria Carafa (vescovo di Mileto), Difesa del vescovo di Mileto e del Collegio de’ Greci contro un’Istanza Fiscale, ed una Scrittura stampata col titolo di Dimostrazione del Padronato della Real Corona sulla Chiesa e Badia della Trinità di Mileto. [1769]

    (continuazione dal Numero precedente e continua al successivo).

    CAPO IV. In cui si prova colla testimonianza d’Orderico Vitale esservi stato in Mileto un monistero de’ benedettini prima della pretesa fondazione del conte, e si risponde a ciò che ha detto il difensor de’ denuncianti.

    § I. L’insigne ordine benedettino avendo avuto l’origine…

    § II. Quel che è certo si è, che prima del 1081 (…) vi era già ivi un monistero benedettino sotto il titolo di S. Angelo…

    § III. Or ad una così chiara, ed antica testimonianza, che dice il difensor de’ denuncianti nella sua Dimostrazione?

    § IV. Interpretazione data dal signor Cimaglia a Guglielmo Pugliese…

    § V. Monistero di Mellito sotto il titolo di S. Angelo, di cui fa chiara menzione Orderico Vitale.

    § VI. Quantunque sin dal 1058 il Guiscardo ceduto avesse al fratello la città di Mileto…

    § VII. Monistero di Mileto e titolo...

    § VIII. Monistero di Mileto…non a Malvito.

    § IX. Nel 1063 eravi in Mileto un monistero benedettino sotto il titolo di S. Angelo…

    § X. Venuta dell’abbate Ruberto in Calabria…

    1777, febbraio 18. Serra San Bruno. Francesco Pelagi a Domenico Micheli, amministratore beni MAST. Mileto, chiesa abbaziale: porta. Fornitura legname, progetto, disegno.

    1777, febbraio 25. Reggio Calabria. Domenico Micheli, amministratore beni abbaziali, a Giuseppe Caravita duca di Toritto. Mileto, chiesa abbaziale: porta.

    1777, agosto 03. Reggio Calabria. Domenico Micheli, amministratore beni abbaziali, a Giuseppe Caravita duca di Toritto. - varie amministrazione / danaro. - mandria. - Mileto. Chiesa badiale. Porta. Perizie ed esecutiva opere. Lavori a campanile.

    1794, settembre 22. Palmi. Carlo Pedicini, sopraintendente generale amministrazione abbazia di Mileto.

    Richiesta ai canonici della sede episcopale di Mileto inerente la consegna di codici dell’archivio abbaziale dati loro in custodia dal 1787.

    1794, settembre 22. Palmi. Carlo Pedicini, sopraintendente generale amministrazione abbazia di Mileto. Francesco Saverio Strani, attuario.

    Ordine, a nome e per conto reale Accademia di Scienze e Belle Lettere di Napoli, ai canonici della sede episcopale di Mileto inerente la consegna di codici dell’archivio abbaziale dati loro in custodia dal 1787. Con elenco.

    1795, 31 gennaio. Monteleone. Carlo Pedicini. Relazione al marchese del Vasto, maggiordomo maggiore di S. M. e Presidente della R. Accademia delle Scienze e Belle Arti, in cui si dà ragguaglio di alcune carte badiali recuperate.

    Prima parte:

    § La massima parte di dette scritture riguarda la giurisdizione quasi vescovile…

    (continuazione al Numero successivo).

    1950. LAURENT. Marie Hyacinte Laurent. Scrittore della Biblioteca Apostolica Vaticana. Per un bollario dell’abbazia di Mileto.

    § Introduzione

    1959. MENAGER. Leon Robert Menager, L’abbaye bènèdectine de la Trinitè de Mileto, in Calabre, à l’èpoque normande. (traduzione italiana)

    § Introduzione

    1994. TRIPODI. Antonio Tripodi, La distrutta cattedrale di Mileto e le opere di marmorari siciliani (stralcio)

    1995. PITITTO. Giovanni Pititto (a cura di), Materiali per uno Stato Civile Antico di Mileto. 1596 - 1783.

    Schede trascrittive ed elaborazioni dati a cura di Giovanni Pititto.

    Serie 1: Demografia. Nascite: 1596-1601: BISOGNI - DE SCHIARCIA - GENOVESE - LAZZARO - ORLANDO - PITITTO - PROTOSPATARI - RUSSO - SALESI - SATRIANO - SICOLI - SINAPO - SIRIBELLA.

    2001. FRANCOLINI - PITITTO - GIAMPAGLIA. Abbazia di San Michele Arcangelo e della SS.ma Trinità di Mileto. Fonti. Diplomatico. Regesti. Baldassarre Francolini (S.I.), Pontificio Collegio Greco di Sant’Atanasio, Roma, Archivio, Sezione Mileto, ms. 046 (1763). Index diplomatum seu monumentorum quae asservantur in tabulario Collegii Graecorum de Urbe. (Prima parte) Schede trascrittive ed elaborazioni dati a cura di Giovanni Pititto. Traduzione e revisione dei testi latini a cura di Amedeo Giampaglia. 2001.

    (Serie 3: regesti 21-30).

    1121, febbraio. Transunto di Drogone di Monte Alto.

    1122, 14 calende aprile. Laterano. Callisto II a Nicola, abate della SS. Trinità e di S. Angelo di Mileto.

    1135. Ruggero II. Permuta con l’abate David del monastero della Trinità di Mileto alcuni beni per comodità del monastero stesso.

    1139. Innocenzo II a David, abate del monastero di Mileto che sta a Monte Verde.

    1150. Eugenio III a Roberto, abate del monastero della SS. Trinità di Mileto e di S. Michele Arcangelo.

    1166. Bernardo, cardinale vescovo Portuense e legato apostolico di S. Rufina con l’assistenza di Manfredo, cardinale custode di S. Giorgio presso il Velo d’Oro, a Mauro abate della S. Trinità di Mileto.

    1170, 17 delle calende di agosto. Indizione III. Dato a Veroli. Alessandro III. Bolla di conferma dei beni e dei privilegi fatta all’abate di Mileto.

    1177. Giudicato a favore di Lamberto figlio di Giorgio Fettisti.

    1179. ALESSANDRO III a Imberto, abate del monastero della SS. ma Trinità e di S. Michele Arcangelo a Mileto. Confermazione apostolica tutela.

    1178. ALESSANDRO III a Imberto abate del monastero di Mileto. Approvazione della Sede Apostolica sulla pacificazione stipulata con Anselmo vescovo di Mileto.

    2007. ROMANO. Corrado Romano, Tempo ed Assenza di Tempo nella Societas del tardo ‘700. Aspetti di vita quotidiana in Calabria fra XVIII e XIX. Della Mileto e dintorni prima e dopo i Francesi. Protocolli notarili.

    Seconda (1799-1800).

    1799, ottobre 4. Mileto. Enrico Capece Minutoli, vescovo di Mileto, Decreto.

    1799, ottobre ante 28. Mileto. Enrico vescovo di Mileto.

    1799, ottobre 28. Mileto. Domenico Borgia.

    1799, novembre 03. Soriano. Al vescovo di Mileto.

    1800, dicembre 12. Mileto. Due atti pari data di Francesco Giannettasio, vicario generale.

    1800, dicembre 12. Mileto. Deposizioni pari data di: Antonio Mannella, cursore Curia vescovile; novizio Nicola Virdò, di Mileto; novizio Bruno La Bozzetta, di Mileto; Francesco Bellissimo, di Mileto.

    1800, dicembre 15. Mileto. Deposizione diacono Ponziano Aversa, di Mileto.

    1800, dicembre 16. Mileto. Deposizione Domenico Pisani, di Mileto.

    1800, dicembre 16. Mileto. Domenico Borgia, cappellano real Badia, al vescovo di Mileto. (Quattro dichiarazioni pari data).

    1800, dicembre 16. Mileto. Curia Vescovile. Pasquale Ruffo, cappellano real Badia, al vescovo di Mileto.

    SEZIONE V: MEDITERRANEA. FONTI - RASSEGNA STAMPA – RICERCHE – STUDI – SUSSIDI.

    ITALIA E SPAGNA

    1941. AA. VV., Italia e Spagna. Saggi sui rapporti storici, filosofici ed artistici tra le due civiltà, Istituto Nazionale per le Relazioni culturali con l’Estero, Firenze, Le Monnier, 1941, pp. XV+522+XXIV+(2)

    § Presentazione di Alessandro Pavolini, ministro per la Cultura Popolare.

    § Avvertenza ai lettori di Arturo Farinelli, Accademico d’Italia.

    1941. BERTOLDI. Vittorio Bertoldi, Saggio di ricostruzione storico-culturale in base alle testimonianze latine ed alle sopravvivenze basche e neolatine.

    § Aspetti della Cultura indigena dell’Iberia.

    § La denominazione dei luoghi.

    § La denominazione delle persone e delle divinità.

    § La denominazione delle cose.

    § Contatti con la cultura dell’Africa mediterranea.

    § Contatti con la cultura dell’Europa mediterranea.

    Note su Vittorio Bertoldi.

    Note su Arturo Farinelli.

    Note su Alessandro Pavolini.

    Referenze bibliografiche.

    ITALIA. REPUBBLICA DI GENOVA.

    STAGNO. Laura Stagno, Feste barocche a Palazzo del Principe. Celebrazioni per le nozze Doria – Pamphilj (1671), hospitaggi illustri e segni di allegrezza.

    SEZIONE VI: LE ARTI. FONTI - RASSEGNA STAMPA – RICERCHE – STUDI – SUSSIDI.

    1966. GILLET. Guillaume Gillet, Un signore solitario (Balthus).

    1966. CINOTTI. Mia Cinotti, Barocco in Boemia.

    1995. THEA. Paolo Thea, Tracce di verità, (in: P. Thea, Interiormente Figure. Tra le immagini e le visioni. Idee, luoghi, personaggi. Discorso sull’acutezza, sulla manìa e sul vandalismo nell’arte, diviso in quattro libri. Con prologo musicale. 1995, Torino, Toso Editore, Libro I: Numeri, forme, simboli, Cap. III, pp. 40-52).

    Cap. III

    § I doni del dio ai Giudei

    § Il tempio

    § Musiche

    § Immagini

    § Amuleti

    1996. DE SETA. Pietro De Seta, Mattia Preti a S. Andrea della Valle: lettura degli affreschi dopo il rinvenimento dei contratti. (con introduzione di Paolo Thea e una nota di Laura Mosconi).

    § I Teatini e l’arte

    § Roma 1650: l’anno santo e le opere realizzate nell’occasione

    § I due contratti inediti

    § Le opere di Mattia Preti per S. Andrea della Valle

    § Iconografia di Sant’Andrea

    § La poetica del Preti e gli altri artisti del ’600

    § Bibliografia

    § Appendice di documenti

    APPENDICE I – LABORATORIO

    2012. ZUCCHELLA. Gabriele Zucchella, Insanity. A cura e foto di A. Baj.

    APPENDICE II – NARRATIVA

    2011. VENTURINI. Francesco Venturini, Il Fiume (Racconto). Da Il dio della miniera

    APPENDICE III - APPARATI FILOLOGICI

    2009. JA KOVÁ. Klára Jašková, Paolo Maurensig, Brno, 2009.

    § Introduzione.

    § Paolo Maurensig. Biografia. Opere.

    § La variante di Lüneburg . Riassunto. Analisi. Adattamento teatrale. Spettacolo teatrale. Protagonisti spettacolo. Messinscena. Spazio teatrale e scenografia. Traduzione in ceco di Jana Vicencová.

    § Canone inverso. Riassunto. Analisi.

    § Venere lesa.

    § Temi principali dell´opera di Maurensig. Scacchi. Musica. Doppio. Campo di concentramento.

    § Caratteristiche dei personaggi.

    § Tempo e spazio.

    § Intervista a Maurensig (Udine, 2009).

    § Sistema narrativo. Narratore. Punto di vista e focalizzazione. Sviluppo storico del punto di vista. Focalizzazione. Schema narrativo di La variante di Lüneburg. Schema narrativo di Canone inverso. Schema narrativo di Venere lesa. Scelte stilistico – espressive.

    § Conclusione.

    § Ringraziamenti.

    § Bibliografia.

    SEZIONE VII: CEFALONIA – Divisione Acqui. FONTI - RASSEGNA STAMPA – RICERCHE – STUDI – SUSSIDI.

    1945. MOSCARDELLI. Giuseppe Moscardelli. Cefalonia.

    Prefazione

    Parte Prima Le Trattative (8-15 settembre 1943). L’8 Settembre ad Argostoli

    § Le truppe di Cefalonia.

    § Il generale comandante.

    § L’inizio del dramma.

    § La situazione generale.

    § La notte fra il 9 e il 10.

    § La figura del Martire.

    § I tre punti.

    § Un’ora grave pesa su tutti noi.

    § L’aggressione tedesca nel settore Lixuri.

    § Ultime battute.

    § Ci siamo!

    Parte seconda - Le Operazioni – Le forze contrapposte

    § 15 Settembre.

    § 16 Settembre.

    § 17 Settembre.

    § 18 Settembre.

    § 19-20 Settembre.

    § 21 Settembre.

    § 22 Settembre.

    Parte terza - L’Epilogo (21 - 24 Settembre) - La fine della 44a Sezione di Sanità

    § La Casa Rossa.

    § Padre Formato.

    § La tragica sfilata.

    § L’ultimo gruppo.

    § La fine del generale Gandin.

    § Alla fine, uno alla volta, firmiamo tutti.

    § Il sacrificio della Acqui.

    § Illuminarono il cielo dell’Isola.

    2004. SCARPELLI – VIRZI’. Furio e Giacomo Scarpelli, Paolo Virzì, Cefalonia, una sceneggiatura.

    Con Premessa di Claudio Paone.

    SEZIONE VIII: I.M.I. (Internati Militari Italiani) - FONTI - RASSEGNA STAMPA – RICERCHE – STUDI – SUSSIDI.

    Introduzione a cura di Giovanni Pititto.

    1982. OLIVA. G. Oliva, Appunti per una storia di tutti, prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale. L’internamento dei soldati.

    1999. SOMMARUGA. Claudio Sommaruga, Deportati in Patria.

    2001. AMBROSINO. Guido Ambrosino, I lavoratori forzati del Terzo Reich - Zwangsarbeiter, i sopravvissuti al lavoro coatto in Germania.

    2001. AUCIELLO. Fiammetta Auciello, Lavoro coatto, memoria di carta - Le prove del ruolo del fascismo nelle deportazioni e nel reclutamento di operai per la Germania.

    2002. Parlamento Italiano– Atti Parlamentari - XIV Legislatura – Disegni di legge e Relazioni – Documenti. Camera dei Deputati - N. 2586 - Proposta di Legge d’iniziativa dei deputati RIVOLTA, PALMIERI, RAMPONI, Riconoscimento del valore storico, morale e militare del sacrificio dei militari italiani internati nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale.- Presentata il 27 marzo 2002.

    § Finalità.

    § Istituzione della Giornata commemorativa.

    § Onorificenza.

    § Indennizzo.

    § Attribuzione dell›onorificenza e dell›indennizzo.

    § Commissione.

    2012. MANDARANO-ZAMBONI. Elenchi onomastici I.M.I. d’Italia – primo lotto: Gli I.M.I. dell’Abruzzo deceduti e sepolti nei territori del Reich. Lotto completo listati Zamboni su regione Abruzzo. Elaborazione dati e schede introduttive a cura di Davide Mandarano. Da: Roberto Zamboni, Dimenticati di Stato.

    ABRUZZO

    Introduzione sulla Resistenza in Abruzzo:

    Bibliografia.

    ABRUZZO:

    Elenco alfabetico onomastico regionale.

    Elenco alfabetico onomastico comunale.

    2012. ZAMBONI. Roberto Zamboni. Elenchi onomastici I.M.I. d’Italia – primo lotto: Gli I.M.I. dell’Abruzzo deceduti e sepolti nei territori del Reich. Lotto completo listato regionale.

    ABRUZZO

    CHIETI E PROVINCIA

    Comune di:

    ALTINO – ATESSA - CANOSA SANNITA - CARPINETO SINELLO - CARUNCHIO – CASACANDITELLA - CASALBORDINO – CASOLI - CASTIGLIONE MESSER MARINO - CHIETI – CIVITALUPARELLA - COLLEDIMACINE – COLLEDIMEZZO - CRECCHIO – CUPELLO - DOGLIOLA - FALLASCOSO DI TORRICELLA PELIGNA - FARA FILIORUM PETRI - FARA SAN MARTINO - FOSSACESIA - FRANCAVILLA AL MARE - FRESAGRANDINARIA – FRISA – FURCI – GISSI - GIULIANO TEATINO – GUARDIAGRELE - LAMA DEI PELIGNI – LANCIANO - LETTOPALENA – LODRINO - MIGLIANICO – MONTAZZOLI - MONTEFERRANTE – MONTEODORISIO – MOZZAGROGNA – ORSOGNA – ORTONA – PAGLIETA – PALENA – PENNADOMO – PERANO – POGGIOFIORITO – POLLUTRI – PRETORO - RIPA TEATINA - ROCCA SAN GIOVANNI – ROCCASCALEGNA - SAN GIOVANNI LIPIONI - SAN GIOVANNI TEATINO - SAN SALVO - SAN VITO CHIETINO - SANT’EUSANIO DEL SANGRO – SCERNI - SCHIAVI D’ABRUZZO – TOLLO - TORINO DI SANGRO – TORNARECCIO - TORREVECCHIA TEATINA – TREGLIO – TUFILLO – VACRI – VASTO - VILLA SANTA MARIA - VILLAMAGNA

    L’AQUILA E PROVINCIA

    Comune di:

    ACCIANO – AIELLI - ANVERSA DEGLI ABRUZZI – ATELETA - AVEZZANO – BARISCIANO - BARREA – BISEGNA - CAGNANO AMITERNO – CALASCIO - CAMPOTOSTO – CANISTRO - CAPESTRANO – CARSOLI - CASTEL DEL MONTE – CASTELLAFIUME - CASTELVECCHIO CALVISIO – CELANO - CERCHIO - CIVITELLA ROVETO - COLLELONGO - FOSSA - GIOIA DEI MARSI – INTRODACQUA - L’AQUILA - LECCE NEI MARSI - MARSI – LUCOLI - MAGLIANO DE’ MARSI - MASSA D’ALBE - MONTEREALE – MORINO - OPI – ORICOLA - ORTONA DEI MARSI – OVINDOLI - PACENTRO – PESCINA - PETTORANO SUL GIZIO – PIZZOLI - POGGIO PICENZE - PRATA D’ANSIDONIA - PRATOLA PELIGNA – RIVISONDOLI - ROCCA DI BOTTE - ROCCA DI CAMBIO - ROCCA DI MEZZO – ROCCACASALE - ROCCARASO - SAN VINCENZO VALLE ROVETO - SANTE MARIE - SANTO STEFANO DI SESSANIO - SCONTRONE - SCURCOLA MARSICANA - SECINARO – SULMONA - TAGLIACOZZO – TORNIMPARTE - TRASACCO

    PESCARA E PROVINCIA

    Comune di:

    ABBATEGGIO – ALANNO - CAPPELLE SUL TAVO - CARAMANICO TERME - CEPAGATTI - CITTÀ SANT’ANGELO - CIVITAQUANA - CIVITELLA CASANOVA - COLLECORVINO – CUGNOLI - ELICE – FARINDOLA - LORETO APRUTINO – MANOPPELLO - MONTESILVANO – NOCCIANO - PENNE – PESCARA - PICCIANO – PIETRANICO - POPOLI – ROCCAMORICE - ROSCIANO – SALLE - SAN VALENTINO IN ABRUZZO CITERIONE - SANTA EUFEMIA A MAIELLA – SERRAMONACESCA - SPOLTORE - TOCCO DA CASAURIA - TORRE DE’ PASSERI – VICOLI - VILLA CELIERA

    TERAMO E PROVINCIA

    Comune di:

    ARSITA – ATRI - BASCIANO – BELLANTE - BISENTI – CAMPLI - CANZANO - CASTEL CASTAGNA - CASTELLI - CASTIGLIONE MESSER RAIMONDO - CASTILENTI - CELLINO ATTANASIO - CIVITELLA DEL TRONTO – COLONNELLA - CONTROGUERRA – CORROPOLI - CROGNALETO – FANO - GIULIANOVA - ISOLA DEL GRAN SASSO D’ITALIA - MONTORIO AL VOMANO - MORRO D’ORO - MOSCIANO SANT’ANGELO – NOTARESCO - PENNA SANT’ANDREA – PINETO - ROCCA SANTA MARIA - ROSETO DEGLI ABRUZZI - SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA - SANT’OMERO - TORRICELLA SICURA – TORTORETO - TOSSICIA

    SEZIONE IX: FONTI E BIBLIOGRAFIA

    APPENDICE BIBLIOGRAFICA E DOCUMENTARIA. – A CURA GIOVANNI PITITTO.

    A. FONTI

    B. BIBLIOGRAFIA

    SEZIONE I

    DI BELLA. Saverio Di Bella, Maida. Convegno. Introduzione. (Maida, 9-10).

    I risultati scientifici del Convegno sulla Battaglia di Maida (4 luglio 1806), che vide le forze armate di Napoleone sconfitte per la prima volta in campo aperto dalle truppe inglesi e napoletane, consentono di valutare con obiettività e serenità un avvenimento la cui memoria è gelosamente custodita in Inghilterra e che in Italia è stato sepolto nell’oblio. Non a caso, l’Inghilterra a Maida ha sperimentato tecniche di combattimento che le avrebbero consentito di contrastare anche sulla terraferma le armate napoleoniche. Perciò la vittoria di Maida è la dimostrazione che le truppe francesi della rivoluzione e di Napoleone non sono imbattibili in campo aperto. La vittoria di Maida è l’inizio di una svolta militare che avrebbe portato alla vittoria di Waterloo, il trionfo dell’Inghilterra, la tomba militare di Napoleone. Il silenzio sulla vittoria di Maida in Italia è stato viziato da un pregiudizio che ancora non è morto del tutto: le armate napoletane dovevano essere quelle dell’ammuina o dello sfacelo di fronte al nemico: disorganizzate, mal dirette, vili. Così conveniva per grettezza d’animo e miopia politica ai vincitori che hanno scritto la storia del Risorgimento. Dava fastidio una tradizione militare che è fatta certo di sconfitte, ma anche di vittorie e di fulgidi esempi di eroismo. Dava fastidio riconoscere il diritto e la capacità di iniziativa del popolo anche sul piano militare. Si è preferito perciò bollare come brigantaggio la ribellione popolare e la guerriglia vittoriosa contro la prima invasione francese nel 1799 e ancora come brigantaggio la seconda insurrezione contro Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat dal 1806 in poi. Perdente. Ma con pagine di eroismo di cui un popolo deve rivendicare con orgoglio la memoria perché il coraggio è un valore prezioso e gli eroi vanno ricordati con onore e rispetto, anche quando hanno combattuto sotto altre bandiere, per diversi ideali, con una diversa visione del mondo.

    ||10|| Maida è un esempio prezioso come cartina di tornasole per capire l’errore gravissimo che si è consumato nel condannare all’oblio una vittoria preziosa: a) le truppe anglo-napoletane sono guidate da un generale nato nelle colonie che avrebbero creato gli USA e che aveva scelto l’Inghilterra e la fedeltà al Re preferendoli al nuovo Stato; b) nella battaglia hanno un ruolo decisivo, accanto agli inglesi ed ai soldati di varia origine che militano sotto le loro bandiere – polacchi, corsi, maltesi –, i reggimenti siciliani, napoletani e calabresi. Soldati di un esercito regolare, fedeltà a un Re legittimo, alleati sicuri dell’Inghilterra. Valorosi e vincenti. Da ricordare, non da dimenticare. Il Convegno li ricorda e apre nuovi orizzonti sull’importanza del fronte mediterraneo per capire i segnali di crisi presenti nell’impero napoleonico al momento del suo apogeo, ben prima della campagna di Russia. Sono infatti le rivolte popolari e la guerra di guerriglia scatenate nel Regno di Napoli nel 1806 e in Spagna nel 1808 a logorare irreparabilmente ed a dissanguare le armate imperiali. Ed anche a insegnare loro che la guerra può essere un calvario feroce disseminato di scontri tra gruppi poco numerosi ma motivati e agguerriti che creano mini vittorie e ostilità diffusa tra la popolazione: la rivoluzione può essere rifiutata da un popolo e i suoi eserciti possono essere giudicati come invasori e occupanti, non come liberatori. Dei valori rivoluzionari quello che viene riconosciuto è il diritto alla rivolta; su tutto il resto le differenze sono abissali e la contrapposizione è feroce. Il Convegno sulla battaglia di Maida fa i conti con la storiografia del passato ed apre nuovi orizzonti alla ricerca. È stato perciò un momento proficuo che ha sia raccolto che seminato. Un grazie a chi lo ha voluto e realizzato ed a chi ne ha consentito il successo partecipandovi. (Saverio Di Bella, Presidente del Comitato scientifico).

    COSTANTINO. Maria Rosaria Costantino, Mileto nello sguardo dei viaggiatori stranieri. (Bandiera, pp. 395-405).

    ||395|| A Reggio i pescatori di pescespada, a Catanzaro i tessitori di seta, a Mileto i briganti ed i preti.[1] Così scrive Maxime Du Camp, letterato e giornalista francese che dedica diverse pagine all’odiosa città di Mileto[2] rafforzando lo stereotipo del calabrese brigante spesso presente nei diari di viaggio in Calabria, anche in quelli dei militari. Basti pensare a un ufficiale inglese della Royal Navy, Philip Elmhirst, prigioniero dei francesi per sei mesi, il quale riferisce che le guardie locali a Mileto avevano l’aspetto di briganti, addirittura erano principalmente uomini che avevano disertato il loro gruppo di briganti, oppure erano persone dal carattere sfrenato, prive del comune senso di onestà, villani e viziosi, ladri di natura e assassini di professione (…) un’orda di barbari. [3]

    Il celebre romanziere Dumas utilizza (e non è il solo tra i viaggiatori in Calabria [4]) la figura del brigante calabrese per dare sapore alla narrazione quando narra della paura che assale lui e i suoi compagni nell’allontanarsi quasi a notte fonda da Mileto dove si era fermato per fare uno schizzo di una tomba antica rappresentante la morte di Pantasilea.[5]

    Al contrario Lèon Palustre De Montifaut non registra la presenza di ladri o assassini in Calabria e con una punta di ironia in una lettera da Mileto scrive: ||396|| La mia trappola non si è affatto sollevata sotto lo sforzo di una mano omicida, non ho affatto sentito le assicelle unite male del parquet flettere sotto passi sospetti, non ho affatto visto brillare nell’oscurità la lama affilata di un pugnale, e la mia borsa è sempre intatta al mio fianco! Bisogna ammettere che l’Europa tende a diventare molto prosaica: non si trovano più delle perfette oneste persone né sinceri furfanti.[6] Se durante il suo soggiorno qualcuno avesse narrato al viaggiatore la storia di Francesca La Gamba, detta La Capitanessa, impegnata nel brigantaggio politico e combattente con Philipstadt durante la battaglia di Mileto forse, vista la particolarità del personaggio, De Montifaut avrebbe ricordato l’evento nel suo diario di viaggio.

    Purtroppo altri viaggiatori di varie nazionalità che hanno visitato la città di Mileto non hanno dedicato nemmeno un rigo alla battaglia. Devernois, Craven, Hare, Bartels, De Custine, Dumas, illustri autori, non si sono preoccupati di menzionare un evento bellico tanto significativo, ma hanno privilegiato altri aspetti… E Courier addirittura riporta diverse lettere inviate da Mileto senza scrivere una parola sulla città![7]

    Fra i viaggiatori che citano o descrivono la battaglia tre francesi pongono l’accento sul significato della vittoria dei francesi quale riscatto per l’onta subita a Maida. Scrive Auguste De Rivarol nel 1817: Il generale Réynier, dapprima simulando una ritirata, riprese l’offensiva, mise in rotta questa armata e riscattò la sconfitta di Maida il 28 maggio 1807 nella piana di Mileto.[8]

    E gli fa eco Duret De Tavel nel 1820 affermando: Ho visitato il campo di battaglia dove alcuni deboli battaglioni francesi misero in rotta seimila siciliani comandati dal principe di Assia – Philipsthadt. Questo glorioso avvenimento, riparando lo scacco subito a Sant’Eufemia, ci restituì il prestigio che ci preme conservare soprattutto in questo paese.[9]

    Nel 1846 anche Charles Didier mette in evidenza il valore di Reynier scrivendo: ||397|| Il nome di Mileto ha preso posto nella storia contemporanea dalla vittoria di Réynier che riparò là, il 28 maggio 1807, l’insuccesso di Sant’Eufemia. Il valoroso difensore di Gaeta, il principe di Assia Philipstadt, comandava l’armata siciliana forte di 6000 uomini. Sebbene inferiore per forze, Reynier lo sconfisse. Sul punto di cadere nelle mani di due volteggiatori del nono reggimento, il principe dovette la salvezza alla velocità del suo cavallo.[10]

    La figura di Reynier emerge anche dal resoconto di Lenormant il quale aveva cercato di giustificare la disfatta di Maida affermando che il sangue freddo e la precisione di tiro degli inglesi arrestarono netto lo slancio dei francesi.[11] E a proposito della battaglia di Mileto scrive: " Nel mese di giugno 1807, gli Anglo-Siciliani, sbucando compatti da Seminara, disfecero i posti francesi stabiliti a Rosarno, a Nicotera e a Mileto, rigettandoli in Monteleone, ed installarono i loro accampamenti a Mileto per attaccare la città, ov’era il quartier generale di Reynier.

    Questi riunì in gran fretta tutte le sue forze, e mentre si riteneva dagli avversari che non fosse ancora pronto, sorprese a Mileto il 28 giugno l’esercito del principe Hesse-Philipstadt. Il combattimento fu lungo e accanito; gli Anglo-Siciliani si batterono benissimo; la città venne presa e ripresa parecchie volte, e in parte incendiata. In ultimo i francesi se ne impadronirono. Reynier, vittorioso, respinse i nemici, incalzandoli senza tregua verso il sud."[12]

    L’ufficiale inglese Elmhirst invece non nomina Reynier: Arrivammo a Mileto, famosa per la battaglia combattuta nelle sue pianure l’anno precedente, tra le forze napoletane, comandate da Philipstadt, un principe tedesco, e i francesi. I primi furono duramente sconfitti; erano il fiore all’occhiello dell’esercito di Ferdinando, superiori in numero e combattevano nel loro stesso paese, animati dallo spirito di libertà ed eccitati dal desiderio di vendetta. Ma sebbene fossero ben disciplinati e per niente codardi, non erano abituati all’azione. Avrebbero avuto bisogno di maggiore energia e così la vittoria fu facile per le truppe veterane della nuova dinastia.[13]

    ||398|| Maxime Du Camp pone in risalto diversi aspetti riguardo alla città di Mileto, ma una sua osservazione ricorda quelle espresse da De Montifaut e Dumas su Pizzo, città senza annali nel passato e probabilmente senza storia nell’avvenire.[14] Scrive infatti: Laggiù, in una borgata calabrese, in quel paese sperduto di cui tanti non hanno sentito nemmeno il nome, un complesso di provvidenziali avvenimenti ha riunito per qualche ora, gli uni di fronte agli altri, i due fratelli nemici, i due irriconciliabili combattenti, i vestiti neri e le camicie rosse, l’autorità ad ogni costo, la libertà ad ogni costo.[15] Come se la storia fosse solo quella fatta dai grandi personaggi o caratterizzata da battaglie famose o trattati fra stati! Come se la presenza degli stranieri nobilitasse il territorio calabrese! Quella del meridione contadino è una storia in cui affiorano i profondi motivi umani dei dolori e delle più tragiche inquietudini secolari, mentre vi si fanno sentire, o attraverso lo stesso costume o consapevolmente, gli echi di un lontano meraviglioso passato; una storia – riecheggia Isnardi – dalla quale balzano nel mondo più vasto e nel teatro della grande (e vera in senso crociano) storia le figure di un Telesio, di un Campanella, di un Antonio Serra, di un Gravina, sino all’affermarsi, sulla fine del Settecento, della stessa borghesia nel campo della vita politica attiva e responsabile, in preparazione di quella che sarà poi la generosa e pensosa sua partecipazione al Risorgimento. [16]

    Il 25 agosto 1860, due giorni prima che Garibaldi vi entrasse, Mileto era stata il teatro di un’odiosissima scena: il massacro del generale napoletano Briganti, perpetrato dai suoi soldati ribelli.[17]

    Cosi narra il noto Lenormant e riporta il drammatico racconto di Du Camp cui era stato possibile raccogliere i particolari da testimoni oculari appena due giorni dopo l’accaduto: "Eravamo al 27 agosto, e due giorni prima quell’odiosa città di Mileto era stata teatro di una terribile tragedia. Il 15° reggimento di linea napoletano, ritornando da Villa San Giovanni, si era accampato sulla ||399|| piazza e nelle strade; era guidato dai suoi ufficiali, ma la truppa indisciplinata mormorava, vedendo con sgomento stendersi davanti a sé una serie di faticose tappe, di cui l’ultima doveva essere Napoli; e, ripudiando il mestiere di soldato, chiedeva sordamente di essere rinviata libera, in congedo illimitato. Gli ufficiali scoraggiati non rispondevano niente, o replicavano che erano essi stessi costretti ad obbedire ad ordini superiori. In quel mentre arrivò il generale Briganti, a cavallo, seguito solo da un domestico. I soldati, riconoscendolo, gridarono: A morte! A morte! A casa! A casa! Briganti passò oltre, senza fermarsi a questi clamori. Aveva già superato il villaggio e si trovava sulla strada di Monteleone, quando voltò le redini e ritornò sui suoi passi. Che cosa lo richiamava? Il desiderio di far fronte alla tempesta e di calmare una sedizione militare che poteva, se fosse scoppiata, portare al saccheggio della città? O piuttosto quell’invisibile ed invincibile mano che spinge gli uomini verso il destino che sta per compiersi? Io non lo so, il fatto è che egli ritornò. Appena apparve ricominciarono le grida, ed anche le minacce, ancora più violente. Egli si trovava sulla piazza, davanti a un grande capannone che serve da scuderia al servizio di posta. Si fermò e volle parlare; due fucilate gli abbatterono il cavallo, che rotolò nella polvere. Il domestico spaventato fuggì. Gli ufficiali, impassibili, non tentavano nemmeno di calmare i loro uomini. Il generale Briganti si rialzò e andò dritto verso gli ammutinati, con grande serenità e coraggio. Parlò loro della sua età, ricordò le cure paterne che aveva avuto per loro, li esortò alla disciplina, senza la quale i soldati non sono niente altro che dei banditi armati. La rivolta aveva perso il suo slancio e sembrava sul punto di acquietarsi, quando un sottufficiale, avvicinandosi al generale, gli disse: Le mie scarpe sono logore, cammino quasi scalzo; tu, invece, hai stivali troppo belli! E gli tirò una fucilata a bruciapelo. Gli furono sparate ancora più di cinquanta pallottole. Il sottufficiale gli tolse le scarpe, e tutta la truppa, resa ebbra dall’assassinio, si gettò a colpi di baionetta sul vecchio generale e lo fece a pezzi. Solo con grande fatica si riuscì a strappare a quei selvaggi il corpo mutilato per nasconderlo nella chiesa. Quelli allora sfondarono quattro o cinque botteghe, dove si vendevano sigari, vino, caffè, e le saccheggiarono. Non so che sorta di cannibalismo li avesse afferrati e resi folli. Ritornarono verso la chiesa, ne forzarono la porta e, trascinando per i piedi nudi il povero cadavere, ne fecero innominabile scempio, conficcandogli nelle orbite capsule a cui appiccavano il fuoco, forandogli il naso con le spallette del fucile. Sembrava una scena da incubo. Quando ne ebbero abbastanza, si riunirono di nuovo sulla piazza, e, gettate le armi, partirono in gruppi sbandati, ognuno diretto al proprio paese. Gli ufficiali lasciarono fare muti e vuotarono fino alla feccia il calice della loro onta. Gli abitanti di Mileto ||400|| erano atterriti. Qualcuno di quei miserabili fu preso e interrogato: Perché l’avete massacrato? Perché era un borbonico. Dissero alcuni. Perché era un liberale. Dissero altri. Uno solo si avvicinò alla verità: L’abbiamo ucciso perché era il nostro generale.[18]

    A Du Camp bisogna riconoscere il merito di aver raccolto le testimonianze rispetto ad un evento tragico e di aver riportato i fatti, anche se con un linguaggio romanzesco. Il viaggiatore non riesce però ad esprimere alcun giudizio positivo sulla città pur dedicandovi diverse pagine. Mileto viene considerata urbanisticamente orribile, quadrata, piccola, ricostruita con vecchi materiali e composta di tre strade parallele così larghe che somigliavano a delle piazze.[19] E Lenormant conferma la sua impressione descrivendo la città come banalità assoluta, volgarità prosaica (…) meschina cittaduzza senza fisionomia (….) con piazze di tale estensione e strade di tale larghezza, che non vi si può avventurarsi nelle ore meridiane dei mesi estivi, senza correre il rischio di un fulmineo colpo di sole. (…) Ponete fra queste case qualche rimessa, un immenso seminario, una grande cattedrale tutta nuova, la cui architettura è un oltraggio alle leggi più elementari del gusto e sembra il prodotto della collaborazione di un ingegnere di ponti e strade con un sacrestano dalla delirante immaginazione.[20]

    In precedenza però sia Elmirst che De Tavel non avevano notato tanto orrore; l’ufficiale inglese aveva descritto case pulite, comode e costruite discretamente (…) e una graziosa parrocchia[21] e il tenente francese ricordava un borgo più grande, ben costruito, con un bel palazzo vescovile.[22] Mentre Leopold Von Stolberg, diversi anni prima, passando da Mileto a cavallo nel 1792, aveva scritto: Anche questa cittadina è stata distrutta dal terremoto del 1783; ora è composta di tante baracche basse.[23]

    E’ ovvio che le impressioni riportate si riferiscono a momenti storici diversi e le motivazioni che condussero a Mileto Du Camp e Lernormant erano senza dubbio di altra natura rispetto a quelle dei due ufficiali; spesso il punto di vista riguardo ai luoghi che visitiamo è aleatorio e determinato da umori, difficoltà, ||401|| imprevisti e soprattutto stereotipi. A questo proposito Lord Chesterfield scriveva al figlio diretto in Italia: In questo viaggio l’intelletto è la voiture che ti trasporta, e a seconda che sia più o meno solida, in migliori o peggiori condizioni, il tuo cammino si presenterà più o meno facile, anche se non mancheranno strade sconnesse e pessime locande. Abbi cura dunque di tenere l’indispensabile voiture in buono stato: esaminala, migliorala, rafforzala ogni giorno; ognuno dovrebbe avere cura di farlo; chi la trascura, merita di provare, e di sicuro proverà, gli effetti fatali della negligenza.[24]

    Nicolas Devernois, ultimo comandante francese della regione, dai cui scritti (redatti da Bousson De Mairet) emerge la preoccupazione di esaltare il proprio operato, ma anche lo sforzo di obiettività nei confronti della popolazione calabrese, dedica qualche pagina a Mileto per celebrare quanto i francesi abbiano contribuito al benessere della città. Ricorda a tale proposito la bella e abbondante fontana che si innalza nella piazza del vescovo, (…) un teatro, che, sull’esempio di quello del San Carlo, a Napoli, ricevette il nome di San Nicola; la scelta severa delle opere che vi rappresentavano i giovani della città e gli ufficiali del reggimento, convinse gli stessi ecclesiastici a mescolarsi tra le file degli spettatori.[25] Interessante e sintomatico di un sostanziale rispetto per la popolazione locale il racconto del recupero della danneggiata statua di San Nicola ad opera dei francesi e della sua collocazione nella nuova piazza di Mileto il 5 dicembre 1812.

    L’ospitalità dei calabresi, spesso esaltata dai viaggiatori, non emerge negli scritti degli autori che visitarono Mileto. Solo Elmirst riferisce di essere stato ospitato presso la casa di un contadino che gli offrì lupini bolliti, uva acerba e del pessimo vino e Lenomant racconta che in una locanda gli fu servita qualche bottiglia di sidro spumante: "Del sidro a Mileto! C’era davvero da stupire. Io sapevo che questa bevanda è assolutamente straniera all’Italia; (…) mi affrettai a chiedere informazioni (…) ed appresi così con mia grande meraviglia che si faceva del sidro in tutta la parte dell’Appennino calabrese prossima a ||402|| Monteleone e a Mileto, (…) in tutti i villaggi della montagna è la bevanda consacrata per il pranzo di Natale, dopo la messa di mezzanotte.

    E’ molto notevole che questa preparazione del sidro sia esclusivamente limitata ai dintorni della città, che fu il centro dell’inizio della dominazione normanna in Calabria, la capitale del gran conte Ruggero. E’ evidente che questo liquore fu introdotto dai normanni, quasi a ricordo del loro paese di origine."[26] L’ombra di Ruggero è presente negli scritti di diversi viaggiatori stranieri; alcuni si limitano a dare una superficiale descrizione della figura del conte quale fondatore di Mileto[27] come fa Craven o a citare semplicemente il personaggio storico fornendone i dati essenziali come nel caso di Devernois. Invece Lenormant dedica un lungo e approfondito capitolo ai normanni e a Ruggero in particolare, mentre Augustus John Cuthbert Hare, viaggiatore con una motivazione particolare perché autore di guide turistiche, pone l’attenzione sui reperti strettamente collegati alla figura di Ruggero e alla bella Eremberga[28] e per approfondimenti rimanda alla romantica descrizione di Gally Knignt: "Il sito è romantico: una collinetta fiancheggiata da due profondi burroni nei quali scorrono due ruscelletti. A est, si distingue il dorso azzurrognolo degli Appennini; a sud, in un tratto libero tra le montagne, l’occhio segue lontano il mare sino al faro di Messina. Lassù era situata l’antica Mileto. La sua difficile posizione offriva immensi vantaggi per la difesa, ma scarsa comodità e attrattiva: nel Medio Evo agli agi veniva preferita la potenza. Oggi prevalentemente si incontrano fondamenta e pietre sparse. Dapprima ci recammo a visitare le rovine dell’Abbazia della SS. Trinità, che sorgeva su una prominenza del terreno, fuori dalle mura della città. Non rimane che una piccola parte delle mura dei due punti estremi della chiesa; ma ciò basta a documentare che il monumento era costruito su grande scala e aveva la forma a croce della basilica latina. Lo spessore delle mura era notevole; erano costruite in pietra e rivestite di conci squadrati, disposti in fila regolari. Il suolo è coperto di rovine: i frammenti dei marmi provenienti da colonne, cornici, architravi, testimoniano in maniera inequivocabile l’impiego di materiale di antichi edifici romani per la costruzione di questa chiesa. Sono stati ||403|| tratti, così ci spiegò il tesoriere, in parte dal tempio di Proserpina (oggi Monteleone), e in parte, come egli ha ragione di ritenere, dal tempio di Cibele che si eleva nella pianura di Mesiano. E’ lecito pensare che la chiesa fosse costruita in uno stile che si accordava con le spoglie romane; e questo stile pare che i Normanni abbiano sempre seguito in Puglia e in Calabria. In questo monumento si conservarono sino alla distruzione del 1783 due sarcofagi romani, che il popolo ha sempre considerato come tombe del conte Ruggero e di Eremberga, sua prima sposa. Si sa che il conte fu seppellito nella Chiesa della SS. Trinità; e poiché, in quella stessa epoca, era costume servirsi degli antichi sarcofagi per tumularvi le spoglie mortali dei personaggi illustri, la tradizione può essere talvolta l’espressione della realtà. I sarcofagi esistono ancora. Il più piccolo, sul quale è raffigurato il combattimento delle amazzoni, e il coperchio del più grande sono stati trasportati nella nuova città, dove sono stati lasciati all’aperto, esposti a tutte le ingiurie del tempo e degli uomini. Il sarcofago più grande era troppo pesante per essere cambiato agevolmente di posto: lo si ritrova tra i vigneti che circondano attualmente l’abbazia. Esso è sempre designato con il nome di tomba del Conte Ruggero.Allontanandoci dall’Abbazia, ci dirigemmo verso l’ubicazione dell’antica città: il luogo è ora in gran parte trasformato in campi coltivati. Il tesoriere ci mostrò il ponticello dov’era situata la cappella di S. Martino, fondata anch’essa dal conte e nella quale era stato seppellito uno dei suoi figli. Camminammo ai piedi delle rovine di quello che ultimamente era il palazzo episcopale, dopo essere servito da castello al conquistatore normanno. Poco più in là sorgeva la cattedrale. Non resta più nulla del palazzo vescovile, e, ad eccezione delle fondamenta in cui si distingue qualche arcata circolare, anche l’antico castello è interamente scomparso. Queste fondamenta sono le uniche vestigia della dimora dell’illustre conte; si prova un vago piacere a camminare in mezzo a queste rovine cui si accompagna il ricordo di un simile grande uomo."[29]

    Le tante rovine della città erano anche conseguenti ai terremoti che colpirono la Calabria. Molti erano gli studiosi stranieri che venivano nella nostra regione ad analizzare i fenomeni tellurici, tra questi William Hamilton, già stato in Calabria nel 1768, vi torna dal maggio al giugno 1783 per scopi scientifici e, all’indomani del terribile terremoto scrive: "Da Monteleone discesi nella pianura, e trovai per istrada molte città, e villaggi tutti più o meno rovinati in proporzione alla loro vicinanza di quella. La città di Mileto, situata nel fondo, ||404|| la vidi totalmente rovesciata, senza che pur vi fosse rimasta una sola casa in piedi."[30]

    Colpiti dalla violenza e dalla forza della natura, distruttiva ma sublime, alcuni dei viaggiatori si soffermano a descriverne gli effetti e a ricercarne la cause. Lenormant dedica un lungo capitolo al terremoto, ma le testimonianze di Bartels e De Custine sembrano più interessanti perché scritte non molti anni dopo le terribili scosse, ma principalmente perché danno voce agli abitanti di Mileto. Scrive De Custine: Mileto, 6 giugno 1812 - Sono circondato da rovine cadute su altre rovine. L’antica Mileto è sepolta sotto le macerie di un nuovo villaggio dallo stesso nome. Qui si apprende come si formano i deserti (…) Dei vecchi ci indicavano il luogo dove sorgeva la loro casa. Uno diceva: E’ in questo campo, sotto le macerie del nostro palazzo, che è seppellito mio padre. Un altro diceva: Io ho salvato mia madre. Rimase ventiquattr’ore sotto le rovine ed è da qui che udii i suoi pianti. Un terzo aggiungeva: Proprio qui stavo giocando a bocce quando sentii la prima scossa. Allora uno dei suoi vecchi compagni intervenne per sostenere che loro si trovavano molto più lontano, laggiù, all’estremità della piazza grande, presso la casa dei loro parenti.(…) Queste conversazioni rendevano visibile la grande catastrofe e noi non potevamo che sollecitare questi dettagli per tentare di ricostruire e ripopolare questa cittadina dove non è rimasta altra abitazione umana che una tomba francese! Gli uomini che vedevo raggrupparsi attorno al monumento di Ruggero, mi sembravano tanti spettri usciti dalla loro terra di origine per cercare inutilmente di ritrovare il focolare paterno.[31]

    Bartels riporta diversi racconti degli abitanti di Mileto colpiti dal terremoto, sottolinea che il terrore agì in maniera particolare sul sistema nervoso di diverse persone[32] e gli piace concludere con la singolare storia di un uomo scampato, grazie alla sua imperturbabilità, alla forza distruttiva dell’evento tellurico passando attraverso lo squarcio di un muro.

    Non sono molte le osservazioni sugli abitanti di Mileto presenti nei diari di viaggio. Non vi sono nemmeno semplici descrizioni di costumi locali di norma ||405|| ricorrenti negli scritti dei viaggiatori. Soltanto Du Camp ripropone lo stereotipo del calabrese rumoroso (vi si faceva rumore più del necessario e vi si gridava in maniera assordante) e bugiardo (non c’è franchezza nello sguardo, né nel gesto, né nella voce[33]); inoltre non nasconde la sua insofferenza verso il clero, verso i neri preti che girano per le strade con timida curiosità e non accetta di buon grado nemmeno le serenate….

    Le opere dei viaggiatori sono da considerarsi fonti preziose per la conoscenza della realtà calabrese dei secoli scorsi, ma non possono certo considerarsi esaustive. La città di Mileto, grazie al suo glorioso passato e all’importante battaglia di cui fu teatro, è stata oggetto di interesse da parte dei viaggiatori, ma alla popolazione viene data voce solo in funzione della descrizione di un evento straordinario come il terremoto. Ancora una volta lo sguardo è fugace, uno sguardo da lontano.[34]

    FERRARI. Valeria Ferrari, Aspetti della resistenza anti-francese nelle Calabrie nel periodo 1806-1811. (Bandiera, pp. 162-173).

    ||162|| Più m’inoltro nelle Calabrie, più devo elogiarne gli abitanti, che non so paragonare meglio ad altri se non ai montanari della Corsica; essi accolgono tutte le novità con entusiasmo e con grande passione. Clero, nobili e popolo sono uguali.[35]

    Così scriveva da Castrovillari, il 9 aprile 1806, il nuovo sovrano del regno di Napoli, Giuseppe Bonaparte, al fratello Napoleone. Addirittura più positiva delle più rosee previsioni della vigilia era stata infatti l’accoglienza riservata dalle popolazioni calabresi al sovrano francese, ovunque accompagnata – stando alle cronache del tempo - da entusiastiche manifestazioni di giubilo, dallo sventolio di rami d’ulivo, dal suono gioioso degli spari a salve. La popolazione calabrese, dunque, era rimasta inizialmente impassibile dinanzi all’appello della corte borbonica a muoversi in armi contro gli invasori francesi e anche in ragione di ciò, l’intera occupazione del Mezzogiorno continentale da parte dell’esercito francese fu - come è stato detto – poco più che una passeggiata archeologica. Ma solo tre mesi più tardi, dopo la sconfitta subita dai francesi a Maida il 4 luglio 1806, si scatenò, al grido di «morte ai francesi!», una rivolta popolare di proporzioni tali da costringere le truppe guidate dal Reynier a sgomberare l’intera regione e a dichiarare, il 31 luglio, lo stato di guerra in Calabria.

    Cos’era accaduto nel lasso di tempo che andò dal febbraio 1806, data dell’arrivo delle truppe francesi nel regno al luglio dello stesso anno da giustificare un cambio di rotta così radicale?

    Come attestato da numerose fonti francesi coeve, fin dal marzo del 1806 episodi di furti, stupri e saccheggi erano stati compiuti dalle truppe francesi in vari paesi della Calabria settentrionale, la cui spietatezza e gratuità era stata ||163|| tale da indurre il generale Reynier a deprecarli esplicitamente in un suo ordine del giorno e a costituire tre consigli speciali per punirne i responsabili.[36] Dopo tali avvenimenti, ebbe inizio una violenta rivolta popolare che, partita dalla città di Soveria, andò rapidamente ingrossando le sue fila, propagandosi nei comuni di Pedace, Cardamone, Conflenti e Martorano; a questa seguirono presto spietate rappresaglie da parte francese: Conflenti fu interamente data alle fiamme dalle truppe del Reynier e Martorano venne domata con grande spargimento di sangue.[37]

    Nel frattempo, la corte napoletana rifugiata in Sicilia – forte del sostegno politico e militare degli alleati inglesi – non lasciava nulla d’intentato in vista di una riconquista del regno e, instancabile, sotto tale aspetto, fu l’attività svolta dalla regina Maria Carolina, che non trascurò mai di ricompensare lautamente coloro che tenevano alta nel continente la bandiera borbonica.[38] Le bande degli insorti, note sotto il nome di masse, furono inquadrate militarmente dal governo borbonico in esilio attraverso il conferimento di gradi, paghe e distintivi e, al loro interno, si raccolse ben presto una realtà composita che comprese sinceri partigiani del vecchio regime, gente umile in buona fede, ma anche comuni criminali, talvolta evasi dalle carceri. Gli uomini raccolti in tali formazioni, in virtù della perfetta conoscenza del territorio e del sostegno popolare di cui godevano riuscirono in molte occasioni a prevalere nettamente sui reparti francesi, tratti in agguato con espedienti tanto audaci quanto efficaci, e a tenere questi ultimi in scacco per diversi anni, al punto da meritare ben presto la fama di valorosissimi combattenti. Non stupisce, pertanto, che il primo teorico della guerra insurrezionale per bande, l’esule piemontese Carlo Bianco di Saint-Jorioz, ravvisasse proprio nell’insurrezione calabrese del 1806 il primo esempio storico, nel continente europeo, di quella guerriglia popolare che, due anni dopo, sarebbe stata attuata con successo anche in Spagna. Così infatti egli osservava nel suo celebre scritto Della guerra d’insurrezione per bande applicata all’Italia:

    ||164|| [i calabresi] svelarono agli spagnoli il gran segreto, che la vera forza non tanto nel numero e qualità degli eserciti regolari consiste, […] Nella lunga memorabile difesa che sostennero contro l’invasore francese furono i primi che diedero l’esempio di quanto possa fare una ferma volontà. Ed una provincia ristretta, ed un pugno d’uomini decisi così per vari anni ad intere divisioni francesi resistettero, che non colla forza, ma cogl’inganni e colla seduzione di una parte di loro, solo a conquistarli pervennero.[39]

    D’allora in poi, i massisti e tutti coloro che, con diverse modalità, impugnarono le armi contro i francesi vennero designati con l’ambiguo appellativo di brigante. Tale termine – destinato a una non comune fortuna storiografica –, derivante dall’italianizzazione del vocabolo francese brigand, era del tutto inesistente nel linguaggio giuridico e politico dello Stato borbonico settecentesco ove, per indicare il fenomeno (estremamente diffuso nella Calabria settecentesca, in particolare dopo il terremoto del 1783) dei fuorilegge datisi alla campagna e rei, per lo più, di crimini contro il patrimonio, si erano fino ad allora utilizzati esclusivamente i termini scorridori, grassatori, banditi, fuorbanditi; per distinguerli dai proditores, ossia i ribelli scesi in campo contro il potere costituito.[40] E a utilizzare copiosamente tale neologismo, in tutto il corso del Decennio, non furono soltanto le autorità centrali di governo o gli alti gradi dell’esercito francese, bensì la maggioranza degli amministratori locali, i quali, in molti casi, furono tra i principali bersagli della violenza degli insorti. Contrario invece all’eccessiva disinvoltura semantica con cui i francesi adoperarono tale termine, giudicato ingeneroso e inappropriato dinanzi a un moto popolare di proporzioni così vaste, fu lo scrittore francese de Custine che così scriveva, da Monteleone, il 3 giugno del 1812:

    "Quella di brigante è una parola magica con la quale si esercita un brigantaggio funesto al paese più di quanto non lo sarebbe la guerra civile. Nessuno qui s’intende sull’uso dei termini; ed io resto pieno di meraviglia quando vedo che un popolo intero, armato per difendere il suo re legittimo, lascia che gli si dica che è solo un’accozzaglia di briganti. Vi si racconta qui che i briganti hanno preso tale città, e che essi erano ||165|| ottomila! […] Vi si dice: i briganti si sono ritirati per questo passo, ne sono periti seicento ma cinquemila si sono messi in salvo. Ed io grido: come, briganti? Ottomila, cinquemila briganti voi dite? […] Dei soldati non sono dei banditi! Chiamateli ribelli, se volete; ma questi ribelli non combattono il nuovo governo che per fedeltà all’antico; dopo tutto sono bande composte di vostri fratelli, di vostri figli; se fossero vittoriosi, essi vi chiamerebbero anche briganti?"[41]

    Anche Pietro Colletta, Intendente di Calabria Ultra nel periodo dell’insurrezione, si sentì in dovere di distinguere fra popolo armato e brigantaggio, definendo il primo – il popolo armato - difensore de’ suoi diritti, libertà, indipendenza, opinioni, desiderato governo e il secondo – il brigantaggio, appunto – fazione iniqua, motrice di guerre civili e di pubblico danno.[42]

    Troppo spesso, comunque, l’abuso del termine brigante ha finito per contribuire a riunire in un’indiscriminata e generale condanna biografie di uomini profondamente diversi, vale a dire combattenti leali e valorosi come Nicola Gualtieri, più noto come Panedigrano,[43] e Geniale Versace, alias Genialtz, a proposito dei quali gli stessi ufficiali francesi non risparmiarono parole di elogio, ingiustamente assimilati a sadici assassini quali il Bizzarro, il Parafante o Lorenzo Benincasa, macchiatisi, negli anni dell’insurrezione, dei delitti più atroci (tra i misfatti perpetrati da questi ultimi, oltre a rapine, ricatti, stupri e devastazioni di colture, sono documentati anche episodi di crocifissioni e mutilazioni).[44]

    ||166|| Napoleone, dal canto suo, ammoniva continuamente il fratello circa la necessità di adottare il pugno di ferro contro gli insorti: Dimenticate il perdono, fate passare per le armi non meno di 600 insorti, scriveva l’Imperatore a Giuseppe il 30 luglio 1806, aggiungendo: Fate bruciare le case di trenta dei principali capi dei villaggi e distribuite i loro beni all’esercito. Disarmate tutti gli abitanti e fate saccheggiare cinque o sei grossi villaggi fra quelli che si sono comportati peggio. Raccomandate ai soldati di trattare bene le città che sono rimaste fedeli. E, ancora, il 5 agosto precisava:Fate fucilare tre persone per ogni villaggio, i capi dei ribelli. Non abbiate per i preti maggior riguardo che per gli altri.[45]

    Nella repressione dell’insurrezione, le autorità francesi – sia civili che militari – non agirono sempre nel rispetto della legalità. Assai censurabile fu, in molti casi, l’attività delle commissioni militari istituite per giudicare gli insorti ove – stando alla testimonianza di un ufficiale francese che vi prestò il suo servizio -, a causa dell’incapacità dei giudici miliari di comprendere l’idioma del luogo, non era infrequente che la decisione di assolvere o condannare un imputato fosse originata esclusivamente dall’aspetto fisico, più o meno fosco, di quest’ultimo.[46] Notevole scalpore presso l’opinione pubblica aveva suscitato, nei primi mesi dell’occupazione, il caso del marchese Rodio, già preside di Cosenza, arrestato con l’accusa di aver tentato di sollevare gli Abruzzi nelle prime settimane dell’invasione francese. Assolto all’unanimità, in data 24 aprile 1806, da una commissione militare, appena due giorni dopo venne condannato a morte da un’altra, costituitasi per iniziativa del generale Masséna, e tutto ciò benché la legge proibisse un secondo esame di un delitto già giudicato[47].

    Moltissimi sono gli episodi che, nella loro tragicità, attestano quanto sia stata cruenta la lunga guerra combattuta nelle Calabrie fra il 1806 e il 1811: numerosi furono i comuni saccheggiati e incendiati dalle truppe francesi: Pedace, Soveria, Conflenti, Corigliano, Marcellinara e Strongoli ne rappresentano di certo gli esempi più drammatici. A Strongoli, le violenze perpetrate dai soldati francesi nelle abitazioni private furono tali da spingere alcuni cittadini del luogo a compiere un’atroce vendetta: costoro, dopo aver ucciso dei soldati francesi precedentemente catturati, fecero a pezzi i loro corpi e li diedero in pasto ai loro commilitoni superstiti. Il sacco di Corigliano dell’agosto del ||167|| 1806,

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