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Economia, ambiente e criminalità nel Mezzogiorno
Economia, ambiente e criminalità nel Mezzogiorno
Economia, ambiente e criminalità nel Mezzogiorno
E-book178 pagine2 ore

Economia, ambiente e criminalità nel Mezzogiorno

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Il sud in mano alla Mafia, la Camorra e la Sacra corona unita che ne fa scempio in nome di uno sporco profitto. L’analisi del rapporto tra economia, ambiente e criminalità mette in evidenza quanto sia arduo risolvere i problemi che attanagliano il Mezzogiorno d’Italia, territorio ricco di potenzialità non sufficientemente sfruttate a causa dell’imperante malapolitica, della corruzione, dell’economia illegale e dell’oltraggio all’ambiente. La questione meridionale non si risolverà in tempi brevi se non si combatterà la criminalità organizzata che corrode l’economia sana e crea trame di potere che, in alcuni casi, si impongono sulla forza legittima dello Stato.
Lo scopo di questo lavoro è analizzare questo rapporto e presentare una prospettiva alternativa di cambiamento.
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita12 feb 2014
ISBN9788867520848
Economia, ambiente e criminalità nel Mezzogiorno

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    Economia, ambiente e criminalità nel Mezzogiorno - Katia Scarlino

    SITOGRAFIA

    INTRODUZIONE

    L’analisi del rapporto tra economia, ambiente e criminalità mette in evidenza quanto sia arduo risolvere i problemi che attanagliano il Mezzogiorno d’Italia, territorio ricco di potenzialità non sufficientemente sfruttate a causa dell’imperante malapolitica, della corruzione, dell’economia illegale e dell’oltraggio all’ambiente.

    La questione meridionale non si risolverà in tempi brevi se non si combatterà la criminalità organizzata che corrode l’economia sana e crea trame di potere che, in alcuni casi, si impongono sulla forza legittima dello Stato.

    Lo scopo di questo lavoro è analizzare questo rapporto e presentare una prospettiva alternativa di cambiamento.

    Nel primo capitolo si parte dall’assunto che la criminalità organizzata frena lo sviluppo socio-economico del Sud, in quanto il comportamento degli operatori economici locali è alterato dalla presenza delle mafie che gestiscono ingenti capitali, distribuiti in maniera arbitrale, snaturando la razionalità dei consumi e l’utilizzazione dei risparmi nell’area in questione. Inoltre, i modi con cui la criminalità acquista potere (ricatti, tangenti, violenza) rendono impossibile il consolidamento di valori condivisi nella società, come l’assunzione di una responsabilità collettiva, necessaria affinché si possa raggiungere il progresso e il benessere economico. E’ stato stimato che il business criminale crea un giro di centocinquanta miliardi all’anno e succhia dalla ricchezza di Puglia, Calabria, Campania e Sicilia il 20% del loro PIL.

    Le associazioni mafiose hanno cambiato volto negli ultimi anni perché sono riuscite a legarsi ad attività che formalmente sono legali, creando la cosiddetta zona grigia. L’obiettivo dell’interdipendenza tra attività legali e illegali è la creazione di un vantaggio di costo per le aziende, che sfruttano l’illegalità per ottenere maggiori guadagni. Lo snodo tra economia legale e illegale è il riciclaggio, con cui il denaro criminale viene reimmesso in circolazione con imprese apparentemente rispettabili.

    Il prezzo pagato da una società contaminata dalla criminalità, in termini di convivenza civile e mancato sviluppo economico, è molto alto. I tecnici della Banca d’Italia affermano che contrastare le mafie, la presa che esse conservano al Sud, l’infiltrazione che tentano nel Nord, servono a rinsaldare la fibra sociale del Paese ma anche a togliere uno dei freni che rallentano la nostra economia{1}.

    La presenza delle organizzazioni mafiose nel Mezzogiorno svantaggia la competitività di quest’area, riducendone la spinta imprenditoriale e il suo sviluppo, in quanto limita la possibilità di generare un’imprenditorialità innovativa. Questo svantaggio competitivo non è solo del Meridione, in quanto è ormai nazionale e genera sul piano internazionale diffidenza e scarsa fiducia nei confronti dell’Italia, come ambiente di investimento. Tutto questo spiega la scarsa disponibilità delle imprese estere ad essere presenti nel Sud e crea il sospetto degli altri paesi nei confronti dell’Italia per il timore che lo scambio di merci e servizi diventi un veicolo di diffusione delle mafie nelle loro economie.

    Un aspetto della questione che ferisce gli animi dei cittadini onesti è legata al fatto che quello che è stato creato dal potere criminale non avrebbe avuto l’espansione e la resistenza nel territorio, con capacità di crescita anche in zone lontane, se non ci fossero state le condizioni storico-politiche favorevoli. I legami tra pubblici poteri e mafia hanno permesso a quest’ultima di svolgere un ruolo di sostegno a esperienze politiche, a partiti e a uomini pubblici. La collusione, inoltre, è avvenuta con la partecipazione di alcune volontà politiche di livello superiore.

    Il sistema politico meridionale è stato il principale promotore della connivenza mafia-politica, in quanto ha consolidato un’idea di potere inteso come possibilità di privatizzare ciò che è pubblico, di disporre di risorse pubbliche per fini privati e di regolare la legge in base ai bisogni dei propri associati.

    Nonostante ciò, il ruolo dello Stato è sicuramente essenziale per arginare il fenomeno mafioso. Se la classe politica è debole, non garantisce i diritti di proprietà, non promuove la legalità delle attività e allora è sostituita dalle organizzazioni criminali.

    Le imprese della criminalità organizzata sono molto reattive ai cambiamenti del mercato e spostano i loro affari nei settori da cui si possono ricavare maggiori guadagni. In economia, la scarsità di una risorsa e la sua domanda alta ne fanno aumentare il valore. Questo si esplica concretamente se ci si riferisce all’ambiente. Negli ultimi anni, le norme relative alla tutela dell’ecosistema si sono fatte sempre più stringenti e ciò crea costi elevati per le imprese che vogliono agire nel rispetto della legge. L’alternativa a basso costo è offerta dalla criminalità organizzata. Questo tema viene trattato nel secondo capitolo di questa tesi. In particolare si è analizzato il fenomeno dell’ecomafia, neologismo coniato da Legambiente nel 1994 per indicare quei settori che hanno come oggetto il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l’abusivismo edilizio, le attività di escavazione che creano business con fatturati miliardari. Il costo per la collettività è altissimo, sia in termini di salute pubblica{2} sia in termini di un aumento del debito pubblico. Per ogni euro che le ecomafie intascano lo Stato ne perde dieci. Se si pensa che il business dell’ecomafia nel 2010 si avvicina ai 20 miliardi di euro, la perdita secca è imponente{3}.

    Uno dei settori maggiormente redditizi per i clan mafiosi è quello del ciclo dei rifiuti. Infatti, un collaboratore di giustizia, parlando con i magistrati napoletani sulle potenzialità economiche del traffico dei rifiuti, in riferimento a fatti degli anni Ottanta, esordiva con questa espressione: Dottò, a’ munnezza è oro{4}. I clan, nella consapevolezza della ricchezza che scaturisce da questo business, hanno investito e hanno concluso accordi corruttivi con parti di istituzioni e di imprenditoria locale, conquistando nel tempo competenze in tutti i settori di smaltimento dei rifiuti: solidi urbani, speciali, tossici e pericolosi. I flussi di rifiuti gestiti dalla criminalità organizzata sono in continuo aumento, incrementati da trafficanti di professione, i quali hanno saputo trarre dall’attuale crisi economica nuova energia. In periodi sfavorevoli per il sistema sociale, infatti, i servizi a basso costo della Rifiuti spa sono apprezzati, generando una holding criminale sempre più complessa, legata al tessuto economico e produttivo, potenziando il suo aspetto manageriale e imprenditoriale.

    I vari rapporti delle unità investigative confermano che la seconda area di business per le ecomafie, dopo il traffico dei rifiuti, sia il cemento. Ancora una volta, il Sud primeggia in questo giro d’affari, in quanto rappresenta il luogo ideale su cui investire grazie alla disponibilità delle sue terre, non più da coltivare ma da trasformare in spazi commerciali. Queste premesse permettono un percorso criminale completo, tale da abbracciare l’intera filiera, dal terreno ai cantieri, dalle forniture alla gestione delle licenze e delle assunzioni, sino al riciclaggio del denaro mediante semplici supermercati. Nonostante la crisi economica abbia colpito anche il settore edilizio, il fenomeno dell’illegalità nel ciclo del cemento è un dato inconfutabile.

    Uno dei settori che può far guadagnare i clan è la gestione dell’acqua, elemento vitale della nostra esistenza, eppure costantemente avvelenata da menti criminali. Il mare, la perla del territorio meridionale, è violato nella sua integrità biologica dagli scarichi illegali delle case abusive, dalle acque reflue delle città, dalle acque nere degli autospurgo, dagli allacci illeciti delle aziende e dagli insediamenti costieri.

    Le ramificazioni mafiose non hanno fine e si insinuano anche nelle falsificazioni, nelle imitazioni dei prodotti agroalimentari, il cui settore perde terreno sui mercati internazionali con gravi danni ai bilanci aziendali e all’occupazione. La filiera del falso fattura 60 miliardi l’anno, distrugge i produttori leali, sottraendo loro 6,5 miliardi di euro e dilapida 300 mila posti di lavoro{5}.

    La criminalità organizzata approfitta di ogni occasione da cui può trarre profitti: l’acquisto di terreni, la coltivazione di materie prime, la loro trasformazione e distribuzione producono il 5,6% degli affari illeciti, a cui corrispondono 12,5 miliardi di euro di entrate{6}.

    Un altro aspetto che non sfugge alla criminalità sono i profitti ricavabili da una gestione irresponsabile delle energie verdi. Il settore delle energie rinnovabili presuppone investimenti ed è, quindi, strettamente collegato a movimenti di denaro, che attirano i clan criminali. L’eolico, per esempio, è un settore strategico per il futuro dell’Italia, e del Mezzogiorno in particolare, ma va difeso dai fenomeni corruttivi e da qualsiasi infiltrazione di interessi illeciti legati alla malavita. Gli uomini d’onore in questo quadro di truffe hanno un ruolo importante perché hanno il controllo del territorio, la disponibilità diretta e indiretta di terreni, intrecciano legami con la politica locale e interagiscono con il mondo dell’imprenditoria.

    Da questa analisi si evince che le radici della criminalità organizzata sono salde e il fatto che la sua presenza potrebbe non essere avvertita non significa che le sue attività siano meno pericolose. Al contrario, da questa ricerca si deduce che essa crea danni economici, ambientali, sociali e mette in pericolo la salute dei cittadini. La domanda, dunque, che ci si pone è se questa situazione possa essere cambiata oppure se si debba continuare con la politica delle tre scimmiette, non vedo, non sento e non parlo. Nel terzo capitolo si cerca di rispondere a questo quesito, nella convinzione che si possa cambiare e che lo si debba fare con l’aiuto di tutti, istituzioni e società. Si auspica il coinvolgimento delle nuove generazioni, che devono essere i protagonisti della svolta.

    Il primo passo di questo percorso è la diffusione della conoscenza. Si è ricordato uno degli ultimi appelli di Paolo Borsellino che ha usato l’espressione parlatene, parlatene, parlatene rivolto ai giovani, ai giornalisti e all’opinione pubblica: far conoscere la mafia e le mafie, affermare la loro pericolosità e consistenza, rendere noti gli affari della criminalità organizzata che si insinua con violenza nell’economia reale del Paese, snaturando il mercato e la concorrenza con un giro d’affari dalle cifre esponenziali.

    Le associazioni mafiose devono essere combattute oltre che sul versante militare, anche su quello più difficile dell’economia, della finanza e della politica. Se da un lato si devono scoprire i capitali mafiosi, anche quelli immersi nell’economia legale, dall’altro lato si devono scovare le tante fonti che costantemente li alimentano e li fanno crescere.

    Il problema è che il potere mafioso non ha solo costruito fortezze materiali da distruggere con operazioni di polizia, ma può contare su una base di consenso che lo Stato può recuperare solo con le armi proprie della convivenza civile.

    La sfida, quindi, diventa culturale perché per cambiare bisogna scuotere le coscienze e imparare che se si vuole migliorare la società in cui si vive non occorre delegare, ma prendere l’iniziativa, responsabilizzandosi e rispondendo ai problemi che legano il Mezzogiorno al sottosviluppo.

    Capitolo I

    IMPRESA E CRIMINALITA’ NEL MEZZOGIORNO

    1. Le organizzazioni criminali frenano la crescita socio-economica del Mezzogiorno

    La presenza della criminalità mafiosa, con la sua invasione capillare del territorio e le sue strategie di accumulazione finanziaria, rappresenta una seria difficoltà per la crescita del Mezzogiorno. Il comportamento degli operatori economici locali, infatti, è modificato in vari modi dall’organizzazione in questione, la quale opera redistribuzioni violente di reddito, snaturando la razionalità dei consumi e l’utilizzazione dei risparmi nell’area meridionale e non incentiva gli investimenti. Effetto di queste alterazioni artificiali è la mancanza di reti di fiducia con conseguenti alti costi di transazione e di informazione. Inoltre, i modi con cui la criminalità acquista potere (ricatti, tangenti, violenza) rendono impossibile il consolidamento di valori condivisi nella società, come l’assunzione di una responsabilità collettiva, necessaria affinché si possa raggiungere il progresso e il benessere

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