Il ritorno di Casanova (Audio-eBook)
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Arthur Schnitzler
Arthur Schnitzler (* 15. Mai 1862 in Wien, Kaisertum Österreich; † 21. Oktober 1931 ebenda, Republik Österreich) war ein österreichischer Arzt, Erzähler und Dramatiker. Er gilt als Schriftsteller als einer der bedeutendsten Vertreter der Wiener Moderne. (Wikipedia)
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Il ritorno di Casanova (Audio-eBook) - Arthur Schnitzler
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il Narratore audiolibri
presenta
Il ritorno di Casanova
di
Arthur Schnitzler
Versione integrale
Lettura di
Alberto Rossatti
Una produzione il Narratore audiolibri
Zovencedo, Italia, 2010
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Parte 1
A cinquantatre anni Casanova, da tempo spinto a vagare per il mondo non tanto dal desiderio giovanile d’avventura quanto dall’angoscia dell’incombente vecchiaia, fu assalito da così grande nostalgia per Venezia sua città natale, che prese a volteggiarle intorno come un uccello che cali lentamente dal libero cielo in sempre più strette volute… per scendere a morire sulla terra.
Negli ultimi dieci anni di esilio aveva inoltrato frequenti suppliche al Consiglio dei Dieci perché gli fosse concesso di tornare in patria. Ma mentre in passato, nel redigere quelle istanze (cosa in cui era maestro) l’orgoglio, l’ostinazione e a volte persino un certo stizzoso compiacimento avevano guidato la sua mano, da qualche tempo a questa parte le sue parole (divenute quasi umili e imploranti) tradivano sempre più inequivocabilmente un desiderio sofferto e un sincero pentimento.
Era più certo di poter contare sul perdono, ora che le colpe del passato cadevano lentamente nell’oblio: le più gravi e imperdonabili, nel giudizio dei Consiglieri veneziani, non erano tanto la sua dissolutezza, l’irascibilità e gli inganni (più spesso di natura beffarda) quanto le spregiudicate manifestazioni del libero pensiero. E del resto la storia della sua fuga mirabolante dai Piombi di Venezia, (da lui ripetutamente abbellita presso corti di regnanti, aristocratici castelli, dimore borghesi e case di malaffare) cominciava a imporsi sopra ogni altra diceria legata al suo nome.
E a Mantova (dove risiedeva ormai da due mesi) l’avventuriero (di cui s’andavano spegnendo il fulgore intimo non meno di quello esteriore) aveva ottenuto numerosi attestati da parte di uomini influenti che lo inducevano a sperare in una rapida e favorevole decisione delle proprie sorti. Siccome le sue risorse finanziarie si erano molto ridotte, aveva deciso di attendere l’arrivo della grazia nella modesta ma decorosa locanda che l’aveva già ospitato in anni più felici, e intanto passava il tempo (fatti salvi certi svaghi meno spirituali ai quali non sapeva sottrarsi del tutto) dedicandosi alla composizione di un libello contro il blasfemo Voltaire. Attraverso la pubblicazione dell’opera sperava di potere rafforzare la propria posizione e guadagnare la stima di tutti i benpensanti veneziani, una volta rientrato in patria.
Un mattino, nel corso di una passeggiata in campagna, (mentre era intento a limare mentalmente una frase diretta ad annientare quell’empio francese) fu colto da una straordinaria inquietudine, quasi un dolore fisico: la noiosa vita abitudinaria che conduceva ormai da tre mesi, le passeggiate mattutine in campagna, le brevi serate trascorse giocando a carte con il sedicente barone Perotti e la sua butterata amante, le carezze della sua locandiera non più giovanissima ma eccezionalmente focosa, persino lo studio delle opere di Voltaire e la composizione della sua ardita e per ora (riteneva) ben riuscita confutazione: tutto questo gli sembrò, nell’aria mite e troppo dolce di quel mattino di tarda estate, ugualmente insensato e disgustoso.
Mormorò fra sé un’imprecazione senza sapere bene contro chi o cosa poi brandendo l’elsa della spada e lanciando sguardi ostili tutt’intorno come se dalla solitudine della campagna circostante lo fissassero beffardi occhi invisibili, ritornò subito in città intenzionato a dare ordini per l’immediata partenza.
Si sarebbe sentito subito meglio (ne era certo) appena si fosse avvicinato alla patria sospirata anche solo di poche miglia. Accelerò il passo: voleva assicurarsi per tempo un posto sulla diligenza che partiva per l’est prima del tramonto. Gli restavano poche altre cose da sistemare: una visita di congedo al barone Perotti, (ma poteva anche risparmiarsela) e in mezz’ora al massimo avrebbe messo insieme il modesto bagaglio.
Pensò ai due abiti alquanto logori (in quel momento indossava il più stinto dei due) e alla biancheria fine di un tempo ora più volte rammendata che insieme a qualche tabacchiera, a un orologio con catena d’oro e a un certo numero di libri, costituivano tutti i suoi averi. Gli tornarono in mente i bei tempi passati in cui viaggiava da signore a bordo di una sontuosa carrozza, fornito di tutto il necessario e anche del superfluo compreso un servitore – certo, il più delle volte un imbroglione. E gli occhi gli si riempirono di lacrime di rabbia impotente.
In quel momento una giovane donna, col frustino in mano, lo superò alla guida di un carretto sul quale – tra sacchi e suppellettili domestiche d’ogni genere – era steso un ubriaco che russava. La donna lo osservò con aria curiosa e insolente mentre lui stravolto e mormorando tra i denti parole incomprensibili, arrancava a grandi passi sotto gli ippocastani sfioriti della strada.
Casanova la fulminò con un’occhiata carica d’ira: allora la donna assunse un’espressione prima timorosa e poi, man mano che si allontanava, volgendosi indietro verso di lui, compiacente e lasciva.
Casanova sapeva bene che rabbia e odio esercitano sui giovani più fascino della dolcezza e della tenerezza… e capì subito che gli sarebbe bastato un semplice cenno per fermare il carretto e disporre della donna a suo piacere ma… per quanto l’idea risollevasse momentaneamente il suo umore, non gli parve che valesse la pena di sprecare anche solo pochi istanti per un’avventura così squallida e lasciò che il rustico veicolo seguitasse a cigolare indisturbato con a bordo i suoi occupanti tra la polvere e la foschia della strada.
L’ombra degli alberi mitigava solo in parte la crescente calura, e Casanova dovette rallentare il passo. La polvere della strada gli si era accumulata sull’abito e sulle scarpe al punto di nascondere quanto fossero consunti. Così lo si poteva scambiare senz’altro, quanto a stile e portamento, per un gentiluomo di rango cui per una volta fosse venuto il ghiribizzo di lasciare a casa la carrozza.
Già si profilava davanti a lui la porta d’ingresso alla città nelle cui vicinanze era la sua locanda, quando gli venne incontro sobbalzando una pesante rustica carrozza con a bordo un uomo corpulento, ben vestito e ancora piuttosto giovane. Con le mani incrociate sul grembo e gli occhi socchiusi, pareva sul punto di appisolarsi quando il suo sguardo, sfiorando casualmente Casanova, si accese di inattesa vivacità e tutta la sua persona fu presa da una sorta di allegra eccitazione… si alzò di scatto ma ricadde subito all’indietro, si rialzò, assestò una pacca sulla schiena del cocchiere per dirgli di fermarsi, si girò (mentre la carrozza continuava la sua corsa) per non perdere di vista Casanova, gli fece un cenno con tutte e due le mani e lo chiamò tre volte per nome con voce chiara e acuta. Casanova riconobbe l’uomo soltanto dalla voce: si avvicinò alla carrozza che intanto s’era fermata, afferrò sorridendo le due mani protese verso di lui e disse:
«Possibile, Olivo, sei tu?»
«Sono io, signor Casanova, mi riconoscete ancora?»
«Perché non dovrei? Certo, dal giorno delle nozze quando ci siamo visti per l’ultima volta, sei un po’ aumentato di circonferenza… ma anch’io negli ultimi quindici anni sono cambiato non insensibilmente, anche se non allo stesso modo.»
«Un pochino!» esclamò Olivo, «praticamente niente, signor Casanova! E comunque sono passati sedici anni, da pochi giorni! E come potete immaginare proprio in questa occasione abbiamo parlato molto di voi Amalia e io…»
«Davvero», rispose cordialmente Casanova, «mi ricordate ancora, qualche volta?»
Gli occhi di Olivo si riempirono di lacrime. Stringeva ancora le mani di Casanova tra le sue e continuò a stringerle, commosso.
«Quanto vi siamo grati, signor Casanova, come potremmo mai dimenticare il nostro benefattore? E se allora…»
«Non parliamone» l’interruppe Casanova. «Come sta la signora Amalia? Com’è possibile che in questi due mesi che ho trascorso a Mantova (facendo una vita molto ritirata devo dire ma anche molte passeggiate com’è mia abitudine) com’è possibile che non ti abbia mai incontrato Olivo, neppure una sola volta?»
«Semplicissimo signor Casanova! È ormai tanto tempo che non viviamo più in questa città, che d’altronde io non ho mai potuto soffrire, come Amalia. Fatemi l’onore signor Casanova saltate su, in un’ora siamo a casa mia» (e Casanova fece un lieve cenno di diniego) «non ditemi di no! Amalia sarà felicissima di rivedervi e orgogliosa di mostrarvi le nostre tre figlie, sì tre signor Casanova, tre bambine tredici dieci e otto anni… dunque nessuna ha ancora l’età per cui (eh, con licenza parlando) Casanova potrebbe farle girare la testa… »
Sorrise bonariamente e fece il gesto di invitare Casanova nella carrozza ma questi scosse il capo.
Infatti, dopo essere stato quasi tentato di cedere a una comprensibile curiosità e di accettare l’invito, preso di nuovo dall’impazienza, assicurò a Olivo di essere purtroppo costretto a lasciare Mantova per affari urgenti il giorno stesso prima di sera.
Del resto, che aveva mai da cercare in casa di Olivo, sedici anni erano tanti! Nel frattempo Amalia non s’era certo fatta né più giovane né più bella… la figlioletta tredicenne data l’età, non l’avrebbe certo degnato di particolare attenzione, e l’idea di ammirare Olivo, un tempo un magro giovinetto consacrato agli studi, nel nuovo ruolo di padre di famiglia possidente e dedito all’agricoltura, non lo attraeva al punto da fargli rinviare un viaggio che l’avrebbe avvicinato di altre dieci o venti miglia a Venezia.
Ma Olivo, che non pareva intenzionato a prendere per buono il suo rifiuto, insisté quanto meno a volerlo accompagnare in carrozza alla locanda: offerta che Casanova non poté rifiutare. In pochi minuti giunsero a destinazione.
La locandiera, una donna provocante sui trentacinque anni, salutò al suo ingresso Casanova con uno sguardo che dovette senz’altro rivelare anche a Olivo la tenera relazione che c’era tra i due. A questi tuttavia strinse la mano come si fa con un conoscente dal quale (osservò subito rivolta a Casanova) acquistava regolarmente e a buon mercato un certo vino dolce asprigno delle sue terre.
Olivo si lamentò subito che il Cavaliere di Seingalt (apostrofato così dalla locandiera e Olivo non esitò a fare altrettanto) fosse tanto crudele da rifiutare l’invito d’un vecchio amico ritrovato, per il futile motivo di dover ripartire da Mantova assolutamente il giorno stesso.
La reazione di sorpresa della locandiera gli rivelò subito che non era ancora al corrente delle intenzioni di Casanova, e questi ritenne opportuno spiegare di aver preso a pretesto il viaggio per non recare disturbo alla famiglia dell’amico con una visita così inattesa. In realtà era costretto anzi obbligato a concludere nei prossimi giorni un’importante composizione letteraria e a questo fine non conosceva luogo più adatto di quella eccellente locanda dove aveva a disposizione una stanza fresca e tranquilla.
Olivo ribatté che non c’era onore più grande per la sua modesta dimora di quello che le avrebbe concesso il Cavaliere di Seingalt portando a compimento proprio là la sua opera… la solitudine della campagna avrebbe senz’altro favorito l’impresa, né sarebbero mancati a Casanova (in caso