L'orrore di Dunwich (Audio-eBook)
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H. P. Lovecraft
H. P. Lovecraft (1890-1937) was an American author of science fiction and horror stories. Born in Providence, Rhode Island to a wealthy family, he suffered the loss of his father at a young age. Raised with his mother’s family, he was doted upon throughout his youth and found a paternal figure in his grandfather Whipple, who encouraged his literary interests. He began writing stories and poems inspired by the classics and by Whipple’s spirited retellings of Gothic tales of terror. In 1902, he began publishing a periodical on astronomy, a source of intellectual fascination for the young Lovecraft. Over the next several years, he would suffer from a series of illnesses that made it nearly impossible to attend school. Exacerbated by the decline of his family’s financial stability, this decade would prove formative to Lovecraft’s worldview and writing style, both of which depict humanity as cosmologically insignificant. Supported by his mother Susie in his attempts to study organic chemistry, Lovecraft eventually devoted himself to writing poems and stories for such pulp and weird-fiction magazines as Argosy, where he gained a cult following of readers. Early stories of note include “The Alchemist” (1916), “The Tomb” (1917), and “Beyond the Wall of Sleep” (1919). “The Call of Cthulu,” originally published in pulp magazine Weird Tales in 1928, is considered by many scholars and fellow writers to be his finest, most complex work of fiction. Inspired by the works of Edgar Allan Poe, Arthur Machen, Algernon Blackwood, and Lord Dunsany, Lovecraft became one of the century’s leading horror writers whose influence remains essential to the genre.
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L'orrore di Dunwich (Audio-eBook) - H. P. Lovecraft
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il Narratore audiolibri
presenta
Howard Phillips Lovecraft
L’orrore di Dunwich
Lettura di
Massimo D’Onofrio
Una produzione il Narratore audiolibri
Zovencedo, Italia, 2011
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Gorgoni, Idre e Chimere, le tremende storie di Celeno e delle Arpie, possono riprodursi nel cervello superstizioso: ma esse erano già lì, prima. Sono trascrizioni, tipi: gli archètipi sono in noi e sono eterni. In che modo altrimenti lo spettacolo di ciò che, al risveglio, sappiamo essere falso colpisce noi tutti? Forse nutriamo nei confronti di questi enti un orrore naturale, considerandoli per la loro capacità di infliggerci dei danni corporali? Oh, niente affatto! Questi terrori sono di più antica esistenza. Sono oltre il corpo, ovvero, senza il corpo, sarebbero gli stessi… Che il tipo di terrore qui trattato sia puramente spirituale, che sia forte, in proporzione alla sua mancanza di un oggetto, che predomini nel periodo della nostra fanciullezza innocente, sono tutti problemi la cui soluzione potrebbe richiedere di spingerci in qualche modo nella nostra condizione ante-moderna e di gettare almeno uno sguardo nella terra d’ombra della preesistenza
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Charles Lamb, Le streghe e altri timori notturni.
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Capitolo primo
Quando un viaggiatore nel Massachusetts del centro nord, imbocca la strada sbagliata alla biforcazione del Picco Aylesbury, appena oltre Dean’s Corner, si addentra in un territorio solitario e singolare. Il terreno sale, e i muretti di pietra orlati di rovi si stringono sempre più contro i solchi della strada polverosa e tutta curve. Gli alberi delle numerose strisce di bosco sembrano troppo grandi e le piante selvatiche e i cespugli crescono con un rigoglio che s’incontra di rado nelle regioni abitate. Allo stesso tempo, i campi coltivati sembrano insolitamente pochi e desolati, mentre le case disperse qua e là hanno un sorprendentemente uniforme aspetto di vecchiezza, squallore e disfacimento. Senza sapere per quale ragione, si esita a chiedere la direzione alle figure nodose e solitarie che di quando in quando si scorgono su soglie sgretolate o sui prati in pendenza e cosparsi di pietre. Quelle figure sono così silenziose e circospette che ci si sente in qualche modo di fronte a cose proibite, con le quali sarebbe meglio non aver niente a che fare. Quando un rialzo della strada mette in vista le montagne al di sopra dei fitti boschi, la strana sensazione di disagio aumenta. Le sommità sono troppo arrotondate e simmetriche per dare una sensazione di serenità e naturalezza, e a volte il cielo orla con una limpidezza particolare i bizzarri circoli di pilastri di pietra che coronano la maggior parte di esse.
Burroni e gole di un’inquietante profondità intersecano la strada, e i rudimentali ponti di legno sembrano di dubbia solidità. Quando la strada torna a scendere, appaiono tratti paludosi che muovono a istintivo disgusto, e quasi a terrore, di sera, quando, non visti, schiamazzano i succiacapre e le lucciole, insolitamente abbondanti, ed escono a danzare ai ritmi rochi e orrendamente assillanti dei rospi che gracidano striduli. La sottile, luminosa linea del corso superiore del Miskatonic esercita uno strano fascino, come quello di un serpente, svolgendosi proprio ai piedi delle colline a cupola tra cui sorge.
Mentre le colline si approssimano, si fa più attenzione ai loro fianchi boscosi, piuttosto che alle loro sommità coronate di rocce.
Quei fianchi si profilano così scuri e scoscesi che si preferirebbe tenersene a distanza, ma non c’è una strada per eluderli. Oltre un ponte coperto si vede un piccolo villaggio stretto tra il corso d’acqua e il versante verticale della Round Mountain, e meraviglia il gruppo di tetti a mansarda, deteriorati, che suggeriscono un periodo architettonico precedente a quello della regione vicina. Non è rassicurante vedere, a uno sguardo più attento, che la maggior parte delle case sono deserte e cadono in rovina, e che la chiesa dal campanile spezzato ora alloggia l’unica trasandata bottega del borgo. Si ha paura a spingersi nella tenebrosa galleria del ponte, ma non c’è modo di aggirarlo. Una volta oltrepassato, è difficile sfuggire all’impressione di un sottile odore malvagio che ristagna per le vie del villaggio, come di terriccio ammucchiato e putridume secolare. È sempre un sollievo lasciare quel luogo e seguire la stradina che gira attorno alla base delle colline e attraversa la successiva regione pianeggiante per raggiungere il Picco Aylesbury. In seguito, può succedere di scoprire che si è passati per Dunwich.
Molto di rado forestieri visitano Dunwich e, da un certo periodo di orrore, tutti i cartelli stradali che lo indicano sono stati rimossi. Lo scenario, giudicato secondo ordinari canoni estetici, è di una bellezza superiore al comune, ma non vi affluiscono artisti, né turisti estivi. Due secoli fa, quando non ci si faceva gioco di storie di streghe, culti satanici e strane presenze nella foresta, si usava fornire delle ragioni per evitare quel luogo. Nella nostra età concreta (poiché sull’Orrore di Dunwich del 1928 è stato steso il silenzio da parte di quelli che avevano a cuore la salute del villaggio e del mondo intero) la gente lo evita senza sapere esattamente il motivo. Forse una ragione (anche se non vale per gli stranieri che non ne sono al corrente) è che gli abitanti del luogo sono ora degenerati in modo repellente, percorrendo un lungo tratto di quella strada di regresso così comune in diverse zone depresse del New England. Sono arrivati a creare una razza a parte, con i ben precisi segni fisici e mentali, frutto della degenerazione e dell’accoppiamento tra consanguinei. La loro intelligenza media è tristemente bassa, mentre la loro storia trabocca di perversioni praticate apertamente, di assassinii occultati a metà, e incesti,