La scienza favolosa
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Il mondo della Scienza non sarà più un racconto lontano, ma con accurata semplicità diverrà favola, per affascinare e incuriosire grandi e piccini.
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Anteprima del libro
La scienza favolosa - Giorgia Staiano
favola.
Archimede
Tanto, tanto, tempo fa, in una calda isola assolata, per la precisione nella città di Siracusa in Sicilia, nacque un bambino di nome Archimede.
Era un bimbo vivace ed esuberante, che adorava stare all’aria aperta e giocare con i suoi amici.
La cosa che più lo divertiva era capire il funzionamento delle cose. Non c’era volta in cui non assillasse i genitori con tutte le domande che gli frullavano per la testa: «Perché le barche galleggiano?», chiedeva con insistenza al papà quando andavano a prendere un gelato al porto. «Mamma, perché la luce del sole che passa attraverso le finestre scalda il pavimento?», chiedeva ogni mattina quando si alzava.
I suoi genitori erano contenti della vivacità del figlio, ma in quel tempo lontano di pescatori e contadini, purtroppo nessuno sapeva rispondere a quel bimbo brillante. Perciò spesso cercavano di distrarlo riportandolo ai piccoli compiti quotidiani: «Pensa a mangiare», gli dicevano, oppure: «Metti a posto la stanza». L’ammonimento però, che il piccolo meno sopportava era: «Non ci pensare, non sono cose importanti!».
Ma per Archimede, tutte le domande erano importanti, e decise che non si sarebbe accontentato di quanto gli suggerivano a casa, e che avrebbe cercato da solo le risposte ai suoi complicati quesiti.
Così iniziò a osservare il mondo che lo circondava a scuola e a casa, e non era insolito che riuscisse a trovare soluzioni per problemi con i quali gli stessi adulti avevano difficoltà.
Una sera, i genitori avevano invitato degli amici a cena, e mentre stava in cucina ad aiutare la mamma, Archimede notò che il papà faticava ad aprire una bottiglia di vino. Insisteva nervoso mettendo un tubicino d’acciaio nel tappo di sughero. Il tappo continuava a sgretolarsi e tanti pezzettini di legno iniziarono a galleggiare sopra la prelibata bevanda. Il papà era solito fare questa operazione, e tutte le volte era anche costretto a passare tanto tempo nel togliere le fastidiose briciole prima di servire il vino.
Poi al piccolo venne un’idea. Aspettò che il papà posasse la bottiglia sul tavolo e, non appena si fu allontanato, prese il tubicino di acciaio e di nascosto sgattaiolò nella camera degli attrezzi. Senza badare alla voce della mamma che lo chiamava, prese delle pinze e cominciò ad arrotolare il pezzetto di ferro fino a dargli la forma di un ricciolo. Lo montò sopra un rettangolino di legno per facilitare l’impugnatura, e lo riportò in cucina.
«Che cosa hai fatto al cavatappi?», gli chiese sorpresa la mamma impugnando il nuovo oggetto.
«Adesso è più semplice, prova!», insistette il giovane inventore.
Ma la mamma non ne volle sapere, andò nell’altra stanza per chiamare il padre di modo che Archimede potesse essere sgridato da tutti e due. L’uomo entrò in cucina su tutte le furie, se non avesse più potuto aprire il vino, gli ospiti si sarebbero offesi e la serata sarebbe stata rovinata.
Ma prima che potesse parlare, Archimede prese una bottiglia dalla credenza e con il suo nuovo oggetto iniziò ad aprirla. Lo strumento adesso entrava comodamente dentro il tappo girando su se stesso, senza lasciar cadere neanche un pezzetto di legno sulla superficie della bevanda.
I genitori si azzittirono di botto, e guardarono il figlio senza avere più nulla da dire.
Archimede allora passò la bottiglia al papà, che con facilità estrema estrasse finalmente il tappo.
Il piccolo inventore aveva creato la Vite, un oggetto che ancora oggi si trova nella maggior parte delle cose che ci circondano; e nelle nostre cucine possiamo trovare delle moderne versioni di cavatappi, simile a quello creato tanti anni fa dal piccolo inventore di Siracusa.
Gli anni passarono e Archimede era sempre più affascinato dalle allora inspiegabili regole del mondo; in particolare da come si muovevano le persone e gli oggetti dentro l’acqua, e non era insolito trovarlo assorto a disegnare e a prendere appunti seduto sulla riva del mare, mentre i suoi amici si divertivano a fare il bagno.
Un giorno gli altri bambini gli diedero appuntamento sul molo per una gara di tuffi; erano tutti elettrizzati e iniziarono a lanciarsi nell’acqua uno dopo l’altro, producendo una grande quantità di schizzi.
Era giunto il momento di Archimede, che vide da vicino il suo amico Kiros entrare nell’acqua dopo una spettacolare capriola in aria. Ma quello che lo colpì non fu tanto il volteggio del tuffo, quanto la facilità con cui in pochi istanti il ragazzino tornò a galla.
Qualcosa, come una lampadina, si accese nella sua testa. Prese la rincorsa e si lanciò verso la superficie azzurra e cristallina del mare di agosto. Entrò in acqua con un fragoroso tuffo, stando ben attento a sentire quello che accadeva, mentre nuotava verso la superficie. Notò che, oltre alla spinta