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Sir Blake nel Regno dei Sidhe
Sir Blake nel Regno dei Sidhe
Sir Blake nel Regno dei Sidhe
E-book238 pagine2 ore

Sir Blake nel Regno dei Sidhe

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Info su questo ebook

E se un bel giorno un folletto apparisse sul davanzale della vostra finestra e vi invitasse a seguirlo in un regno magico? È proprio quello che capita a Blake Caldwalader, un ragazzino di undici anni che si ritrova catapultato all’improvviso nel Regno dei Sidhe, in qualità di “osservatore”.
Tra sirene, elfi, fate e draghi Blake vivrà l’avventura più incredibile della sua vita e realizzerà che anche chi ha un handicap può arrivare a compiere grandi imprese.E se un bel giorno un folletto apparisse sul davanzale della vostra finestra e vi invitasse a seguirlo in un regno magico? È proprio quello che capita a Blake Caldwalader, un ragazzino di undici anni che si ritrova catapultato all’improvviso nel Regno dei Sidhe, in qualità di “osservatore”.
Tra sirene, elfi, fate e draghi Blake vivrà l’avventura più incredibile della sua vita e realizzerà che anche chi ha un handicap può arrivare a compiere grandi imprese.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2020
ISBN9788831457071
Sir Blake nel Regno dei Sidhe

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    Anteprima del libro

    Sir Blake nel Regno dei Sidhe - Lorenzo Iero

    Lorenzo Iero

    Sir Blake nel Regno dei Sidhe

    ISBN: 978-88-31457-07-1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Epilogo

    RINGRAZIAMENTI

    REALIZZAZIONE COPERTINA A CURA DI PAOLA CATOZZA

    ILLUSTRAZIONE DI COPERTINA DI STEFANO SIGNOROTTI

    ILLUSTRAZIONI INTERNE DI GIORGIO CARRUBBA

    Ai miei genitori,

    le mie colonne portanti.

    Prologo

    Sicilia, Italia , presente

    Il frinire dei grilli risuonava nella notte silenziosa, dolce come una nenia.

    Una volpe si aggirava furtiva nella macchia mediterranea alla ricerca di qualche lepre con cui rifocillarsi, mentre un barbagianni la osservava con occhio spento, al sicuro sopra un leccio.

    La quiete del bosco fu interrotta presto da presenze estranee. Sotto il chiarore della luna, la volpe scorse delle sagome avvicinarsi e, fiutato il pericolo, si allontanò spedita.

    Dal suo ramo, il barbagianni spalancò entrambi gli occhi. Quattro donne emersero dalla foschia e si fermarono nella radura poco fuori le mura della città di Palermo.

    Nonostante il freddo, indossavano dei vestiti leggeri e calpestavano l’erba umida coi piedi scalzi, sporchi di fango e sangue.

    Una di loro alzò il viso e si fermò a contemplare la luna per qualche istante, inebriandosi della pungente aria notturna e del profumo delle felci attorno a lei. Ripensò a tutti gli anni in cui lei e le sue sorelle erano state costrette a vivere in quel mondo privo di magia, rinchiuse dentro quegli involucri umani per celare la loro vera natura, esiliate dal Regno dei Sidhe contro la loro volontà.

    Nel folclore siciliano le conoscevano come Donas de Fuera, donne dell’altrove, perciò avevano deciso di usare quest’appellativo per onorare chi le aveva precedute. Si erano anche ribattezzate con nomi biblici e classici: Diana, Herodias, Abundia. Soltanto Ceridwen, per orgoglio verso le proprie origini, aveva voluto mantenere il suo nome.

    Fin da subito, le Donas de Fuera avevano viaggiato in lungo e in largo per l’Italia, alla ricerca di tutti gli ingredienti necessari per richiamare le arti oscure e aprire la soglia per far ritorno nel loro mondo magico. Durante le loro ricerche, avevano appreso che proprio in quel luogo in Sicilia si trovava il Blockula, il diabolico prato consacrato per la pratica dei sabba, che elevava la stregoneria alla sua forma più potente.

    Ceridwen abbracciò con lo sguardo le tre sorelle e sorrise compiaciuta: dopo tanto tempo, il momento che avevano a lungo aspettato era finalmente giunto.

    Fu proprio lei che, con fiera autorità, diede inizio al sabba.

    Prese delicatamente per mano le sue sorelle e insieme composero un cerchio nel punto esatto in cui si erano accertate che il Blockula sarebbe stato più potente. Chiusero gli occhi e iniziarono a recitare un’antica formula magica. I loro piedi si sollevarono da terra e i loro corpi iniziarono a levitare in aria. Continuando a tenersi per mano, alzarono sempre di più le loro voci, finché non divennero un lamento raccapricciante. Quando furono a qualche metro da terra, si formò sotto di loro un vortice di luce.

    Ceridwen iniziò a piangere lacrime di sangue ma, consapevole di essere vicina al traguardo, non smise di recitare le formule demoniache. Strinse più forte le mani delle sue sorelle e il loro lamento divenne un urlo agghiacciante.

    A dargli tutta quella forza c’era un unico pensiero: presto sarebbero tornate nel loro regno e avrebbero ottenuto la loro vendetta.

    PRIMA PARTE

    Quando le porte della percezione si apriranno

    tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite.

    William Blake

    Capitolo 1

    Una strana luce

    Llanrwst , Galles, presente

    Una folata di vento fece volare via un cappello da baseball dalla testa di un bambino, che era intento a disegnare un piccolo rospo appena uscito dal fiume Conwy, in un tiepido pomeriggio di settembre. A pochi metri sopra di lui, alla sua sinistra, un gruppo di turisti stava attraversando il ponte Fawr, l’antico ponte in pietra a tre arcate, da sempre simbolo e orgoglio del piccolo paese.

    Un signore di mezza età gli lanciò una fugace occhiata, prima di essere distratto dall’improvviso avvistamento di un pigliamosche comune, un pregiato uccello passeriforme molto diffuso in quella zona. Poi fu un attimo.

    Un cerchio luminoso apparve tra due pietre, poste sotto una delle arcate del ponte, dapprima piccolo e debole, poi progressivamente sempre più largo, fino a raggiungere l’ampiezza di un metro.

    Un essere minuscolo, non più alto di cinquanta centimetri, si affacciò da quell’apertura, frastornato dai rumori dei turisti sopra di lui, ma allo stesso tempo attento a non farsi scoprire.

    Mentre cercava di focalizzarsi sull’incarico da svolgere e di capire il punto preciso in cui si trovava, non si accorse di un’ombra che, tutto d’un tratto, lo oscurò: era il bambino venuto a raccogliere il suo cappello.

    L’essere fece appena in tempo a rientrare nella fessura di luce prima che l’umano potesse notarlo, mentre questi si chinava, incuriosito da quello strano cerchio luminoso. Non fece in tempo, però, a evitare che la polvere viola emanata dalla luce entrasse in contatto con il bimbo, che la inspirò istintivamente, avvertendo un improvviso e irritante prurito al naso. Il bambino s’impaurì e lanciò un urlo, cadendo all’indietro sull’erba umida.

    Il cerchio si chiuse improvvisamente così com’era apparso e il piccolo rimase con gli occhi sgranati, fissi sulle pietre davanti a lui per qualche secondo, massaggiandosi il naso e cercando di convincersi che fosse stato solo un gioco di luce o qualche piccolo insetto luminoso. Riprese frettolosamente il cappello da terra, si rialzò e scappò via nella direzione opposta, girandosi solo per vedere se il ponte fosse rimasto al suo posto o se lo stesse inseguendo.

    Quando raggiunse di nuovo il punto in cui aveva lasciato il suo taccuino dei disegni, il prurito era ormai scomparso quasi del tutto e, vergognandosi di credere a quello che aveva appena visto, decise che non avrebbe raccontato quella storia ad anima viva.

    Alcune gocce d’acqua lo distolsero dai suoi pensieri iniziando a creare dei piccoli cerchi sulla superficie del fiume; lui alzò gli occhi al cielo e capì che sarebbe stato meglio tornare subito a casa, prima che la pioggia cominciasse a cadere con maggiore intensità.

    Raccolse il suo zaino da terra e diede un ultimo, timoroso sguardo al ponte dietro di lui, dove i turisti stavano iniziando ad aprire gli ombrelli e si affrettavano per trovare riparo; poi sospirò, pienamente convinto che quel cerchio fosse stato solo frutto della sua immaginazione.

    Si diresse correndo verso casa, mentre la pioggia continuava a cadere con insistenza. Intanto, sotto il ponte ora deserto, il cerchio luminoso riapparve e il piccolo essere uscì con un grande sorriso, pensando alla fortunata coincidenza che gli era appena capitata e al passo successivo che avrebbe dovuto compiere per riuscire a portare a termine la sua missione.

    Capitolo 2

    Un incontro inaspettato

    «Mamma, non voglio andare a scuola. Non ho fatto gli esercizi di matematica!»

    «Come, non li hai fatti? E me lo dici ora?»

    La signora Caldwalader si girò di scatto verso Blake, interrompendo per un attimo la sua disperata ricerca delle chiavi di casa sotto il divano, per capire se il figlio stesse mentendo: l’ansia che traspariva dai suoi piccoli occhi color verde smeraldo, contornati in basso da graziose efelidi, le diede conferma dei suoi sospetti.

    «Avevo... troppi compiti da fare e non ho fatto in tempo a finire tutto» tentò di giustificarsi il bimbo, mentre con la mano sinistra si toccava nervosamente i lisci capelli castano chiaro.

    Elaine si rimise alla ricerca delle chiavi e, spostandosi in cucina, alzò il tono di voce per farsi sentire dal figlio, in piedi nell’altra stanza: «Blake, dimmi pure che hai fatto tardi disegnando, come al tuo solito, senza trovare altre scuse» iniziò ad alzare i cuscini dalle sedie intorno al tavolo e continuò: «Comunque, questi sono i primi giorni di scuola e non puoi iniziare già a fare assenze, quindi è inutile che ci provi».

    Nemmeno in cucina... dove le aveva messe?

    «Ma... uffa... non mi va di andare a scuola, oggi»

    «E perché non ti va? Sentiamo!»

    Sulla credenza all’entrata, forse?

    Blake gonfiò il petto, come se stesse cercando di trovare il coraggio per dire la verità. Poi, imbarazzato, guardò il pavimento e disse in un sussurro: «È per via di un mio nuovo compagno».

    Elaine sbucò dalla stanza trionfante, mostrando fiera le chiavi di casa ritrovate sul mobiletto all’entrata, anche se non ricordava assolutamente di averle lasciate lì.

    Raggiunse Blake e, inginocchiandosi, gli accarezzò la testa mostrandosi finalmente seria e attenta.

    «Che problemi hai col tuo nuovo compagno?»

    Blake cercò di non guardare sua madre negli occhi, focalizzandosi invece sul brutto quadro appeso alla parete, raffigurante un normalissimo vaso di fiori, comprato al mercatino del paese.

    «Mi prende in giro dicendomi che sono un mostro e che farei meglio ad andare a lavorare in un circo».

    La madre gli prese dolcemente la testa tra le mani e lo costrinse a guardarla negli occhi pieni d’amore.

    «Tesoro, lascia stare le persone che parlano senza neanche avere la minima idea di quello che dicono. Tu non sei un mostro, lo sai: sei un bambino come tutti. Non sentirti diverso solo perché qualcuno, nell’insicurezza di affrontare situazioni nuove, reagisce in questo modo».

    Gli diede un bacio sulla fronte e si rialzò.

    Sapeva di non averlo rincuorato granché, perché in fondo non gli aveva detto niente di più di quello che gli ripeteva ormai da un paio di anni. I bimbi di solito tendono a integrarsi facilmente gli uni con gli altri, non avendo pregiudizi sul colore della pelle, sull’etnia o sui problemi fisici. Alcuni, però, incapaci di riconoscere il loro disagio nei confronti delle diversità, usano le parole come coltelli affilati per difendersi dalle proprie paure e lei di certo non poteva tappar loro la bocca. E nemmeno poteva spiegare a ogni bambino che non era sicuramente colpa di Blake se si trovava, a undici anni, con il braccio destro amputato a causa di una maledetta meningite che aveva costretto i medici a tagliare l’arto pur di salvargli la vita. Non doveva essere considerato un diverso solo perché aveva un braccio in meno. Non era giusto. Non c’era assolutamente nulla di cui aver paura.

    «Se smetti di andare a scuola, farai soltanto il suo gioco, dandogli il potere di limitare la tua libertà. Potere che lui non ha. Devi dimostrarti più forte di lui e continuare a fare quello che hai sempre fatto, sentendoti fiero della bella persona che sei».

    Continuò a guardarlo, aspettandosi un cenno d’intesa. Blake sembrò pensarci su per alcuni secondi; lei credette di averlo convinto, ma poi quel: «va bene...» che gli affiorò neutro e malinconico, solo per farla contenta e per mettere fine a quella triste discussione, fece piombare improvvisamente entrambi in un gelido silenzio.

    Uscirono di casa alle sette passate. Fortunatamente, la fresca aria autunnale contribuì a migliorare l’umore di Blake: adorava sentire quel freddo pungente penetrargli nelle ossa, lo elettrizzava!

    Elaine osservò la rinnovata serenità sul viso del figlio, mentre giocava a calpestare le foglie secche che creavano un suggestivo manto colorato davanti al loro ingresso di casa. Sospirò, domandandosi se stesse solo mascherando molto bene il suo stato d’animo o se le sue parole d’incoraggiamento avessero sortito l’effetto voluto.

    Chiuse a chiave la porta e si incamminarono insieme lungo la via di Nebo , la strada che facevano ogni giorno per arrivare a scuola. Uno degli aspetti positivi di vivere in una piccola cittadina come Llanrwst era sicuramente la tranquillità che Elaine aveva nel passeggiare serenamente a piedi. Conosceva di vista quasi tutti i tremila abitanti e l’unico vero ostacolo alla pace di quell’angolo di paradiso era rappresentato dai turisti che venivano giornalmente a frotte per ammirare e fotografare i monumenti storici, come il ponte Fawr o il Castello Gwydir.

    Arrivati a scuola, Elaine si attardò fuori dall’aula con l’insegnante di Blake, ritenendo necessario aggiornarlo su quello che il figlio le aveva confidato quella mattina e chiedendogli se potesse prestare particolare attenzione al compagno che lo aveva preso di mira.

    D’accordo sulla decisione presa in passato con gli insegnanti e con lo psicologo che seguiva Blake, per cercare di farlo integrare il più possibile con i compagni di classe senza che si sentisse discriminato o diverso, Elaine si era gradualmente convinta che permettergli di continuare a vivere in modo normale la sua routine lo avrebbe aiutato psicologicamente a superare la perdita dell’arto.

    Poche settimane dopo l’amputazione, si era subito armata di coraggio, mettendosi a fare ricerche per capire cosa potesse aiutare suo figlio a superare quel momento difficile.

    Tra le varie testimonianze di bambini che ce l’avevano fatta, le erano balzati agli occhi vari articoli sulle vicissitudini di una ragazzina italiana, cui erano state amputate entrambe le braccia e le gambe, perché colpita da una meningite fulminante che le aveva causato un’estesa infezione.

    Quella coraggiosa bambina non si era persa d’animo, riuscendo a volgere a proprio favore la drammatica situazione, diventando addirittura una campionessa paraolimpica.

    Quella toccante vicenda le aveva fatto capire che suo figlio non avrebbe dovuto rinunciare a inseguire il sogno della sua vita, cioè diventare un disegnatore professionista.

    Al contrario, lei avrebbe dovuto supportarlo per vederlo soddisfatto e realizzato, sconfiggendo i pregiudizi che relegavano le persone disabili sempre un gradino sotto le persone così dette normodotate.

    Terminato il colloquio con l’insegnante, Elaine alzò la mano per salutare il figlio dalla porta socchiusa. Mentre il maestro rientrava in classe, Blake le rispose con atteggiamento risoluto, pronto ad affrontare quella nuova giornata con ritrovata determinazione.

    La giornata passò tutto sommato tranquilla: Blake non ebbe alcun problema con il temuto compagno, che quel giorno lo lasciò sorprendentemente in pace. Ritornò a casa con il sorriso sulle labbra, perché l’indomani sarebbe stato sabato e già pregustava l’idea di dormire fino a tardi. Magari sarebbe potuto andare al fiume a disegnare qualche altro animaletto o avrebbe potuto rivedere in tv l’ultima stagione del dottore che viaggiava a bordo di una cabina telefonica, restando tutto il giorno tranquillamente a casa.

    Quella sera, prima di andare a dormire, pensò di riguardare tutti i suoi disegni e li sparpagliò sul letto per scegliere il migliore da attaccare alla parete. Voltandosi verso la

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