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Energy II
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E-book453 pagine6 ore

Energy II

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Info su questo ebook

Negli occhi di Jessica Dawson splende di nuovo la luce: Antares, principe alieno di cui è innamorata, è tornato sulla Terra sano e salvo. Ma questo non basta a mantenere la tranquillità. La loro è una storia d'amore difficile, incompresa e malvista, attorno alla quale si avvicendano personaggi, rivelazioni e colpi di scena, in un continuo susseguirsi di minacce alla serenità. E che dire dei curiosi avvenimenti che sempre più spesso accomunano Antares e Jess?
Nel secondo avvincente capitolo della saga, romance, intrighi e fantascienza si mescolano ancora, rivelando sfumature a volte più intense, a volte delicate, dove l'energia rimane il filo conduttore.
LinguaItaliano
Data di uscita6 dic 2018
ISBN9791220036047
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    Anteprima del libro

    Energy II - Elena Orlandini

    RITORNO

    Aprii gli occhi volgendoli alla finestra e, dietro alle tendine, scorsi un leggero chiarore, appena visibile. Svelta mi sedetti, e sulle labbra si allargò un sorriso.

    Ero impaziente di cominciare la giornata. Pian piano, l’astro dorato sarebbe salito fino al punto più alto, vivacizzando tutto con i suoi raggi inebrianti. Poi, poco a poco, avrebbe cominciato la lenta e costante discesa verso ovest, sino a nascondersi dietro le colline. E, a quel punto, avrei rivisto il mio principe.

    Sembrava impossibile e faticavo a credere che fosse vero.

    Neanche settantadue ore prima, ero in preda alla disperazione più cupa, all’idea di cosa potesse essergli accaduto. Da appena due giorni la mia vita era mutata e aveva ripreso colore, illuminata dalla sua luce, dalla sua presenza, da lui.

    Scesi dal letto e aprii i battenti. Laggiù, all’orizzonte, il sole caldo dell’estate stava sorgendo, sfumando il colore del cielo da un blu intenso al celeste, celando i puntini d’argento. L’aria fresca della notte cominciava a intiepidirsi, facendo evaporare la rugiada e spandendo ovunque l’odore di fieno tagliato, il profumo della natura. Inspirai a fondo, impregnandomi di quella sensazione meravigliosa, così positiva e carica di energia, in accordo con ogni cellula del mio corpo.

    Da quando i miei genitori si erano separati, mi ero trasferita da nonno Joe, a Thunder-town. La località si trovava alla periferia di Norville, al confine con l’Arkansas, e doveva il proprio nome all’alto numero di fulmini che toccavano il suolo, curioso e insolito fenomeno mai chiarito.

    Mi avvicinai alla piccola scrivania accanto alla finestra e accesi la radio, già sintonizzata sulla mia emittente preferita. Stava trasmettendo una delle hit del momento, un pezzo dal ritmo incalzante. Chiusi gli occhi e lasciai che il mio corpo seguisse i ritmi forsennati di basso e batteria, incapace di trattenere la vitalità che avevo dentro.

    Qualche giorno addietro, ero stata sull’orlo dell’abisso. Ne avevo sentito l’odore, percepito la profondità, intuito l’inesorabilità, eppure Antares si era salvato, ed era tornato. Da me.

    «Jess…» bussò Joe.

    Raggiunsi la porta e la spalancai.

    Il nonno mi guardava con aria divertita. «C’è una festa qui?»

    «Direi di sì! Buongiorno anche a te!» esclamai abbracciandolo con esultanza.

    Mi accarezzò i capelli ridendo. «Buone notizie per il giovane Volta, eh?»

    Annuii scostandomi appena.

    «E l’incidente allora?»

    «Grazie al cielo, nulla di grave» commentai, tirando indietro i capelli con una fascia elastica e abbassando il volume della musica.

    «Quindi, nessun ferito?»

    «Per fortuna, la loro auto è stata coinvolta solo in parte e hanno riportato giusto qualche ammaccatura. Ad altri, è andata molto peggio» dichiarai pensando alla navetta ammiraglia abbattuta durante la caccia aerea.

    «Meno male. Sono riusciti a raggiungere i parenti?»

    «Sì, hanno avvisato dell’inconveniente e sono arrivati in tempo per il funerale» mentii.

    «Per i familiari che li aspettavano, la notizia dell’incidente deve essere stato un duro colpo».

    «Già. Sono stati molto gentili con la famiglia di Thomas. Finita la cerimonia funebre, si sono riuniti tutti insieme, e hanno parlato per diverse ore. Di comune accordo hanno poi deciso che, per il momento, proveranno a cavarsela da soli». Era la versione che avevo concordato con Antares.

    «Ah, allora…» azzardò Joe, sorpreso.

    «Sono tornati a casa» affermai con un sorriso sempre più ampio.

    «Capito. Vado a fare colazione. Mi raggiungi?»

    «Certo! Arrivo tra un attimo».

    Quella mattina riprendevo il lavoro al negozio di alimentari del signor Gross, dopo alcuni giorni di riposo forzato. Erano stati momenti davvero brutti, tra i peggiori che avessi mai passato e, per celarli al mondo, mi ero nascosta a mia volta. Non avrei potuto giustificare un dolore così forte, spropositato agli occhi delle persone, soprattutto quelle a me più vicine. Thomas, come lo conoscevano loro, se n’era andato mettendo fine alla nostra relazione, una storia che durava da appena qualche mese, troppo poco per essere così disperata. Come spiegare, senza una ragione sensata, che la mia vita stava andando giù, a picco, davanti ai miei occhi ed io ero lì, sul ciglio del baratro a guardare la scena al rallentatore, del tutto inerme. Impotente.

    Con la mente tornai a quella sera, la notte di San Lorenzo, e alle migliaia, milioni di persone che si erano raccolte a fissare l’infinito trapunto di stelle, in cerca di una scia cadente a cui affidare il proprio desiderio. Per me invece, quella notte aveva significato l’esatto opposto, ed ero stata costretta a dire addio al mio sogno, a riconsegnarlo all’immensità astrale, affinché tornasse da dove era venuto. Una parte di me, sarebbe stata lassù, con Antares, il principe extraterrestre di cui ero perdutamente innamorata e che avevo lasciato andare, consapevole che, forse, non avrei rivisto mai più.

    Nessuno poteva sapere cosa lo aspettasse una volta tornato nelle Terre di Anele, sul pianeta Caleo, nel regno dal quale era fuggito dieci anni prima, per sopravvivere al piano sanguinario di Rasalgethi. Se era vivo, lo doveva all’estremo sacrificio di suo padre, Re Rastaban, che aveva ritardato l’arrivo dei ribelli, mentre Antares, Sirio e la regina Alhena decollavano dalla torre del palazzo, senza una meta. Avevano vagato per l’universo alla ricerca di un luogo dove nascondersi, sino alla Terra, pianeta unico nel suo genere, le cui caratteristiche ambientali ne avevano decretato la scelta. Si erano rifugiati con l’intenzione di ripartire appena possibile, ma un’imprevedibile variazione cosmica aveva mandato in tilt il controller di bordo che, incapace di ricalcolare la rotta di rientro, li aveva bloccati sulla Terra.

    Dieci anni, tanti ne erano passati prima che una missione di salvataggio venisse intrapresa, arrivando sino alla Via Lattea. In tutto quel tempo, avevano dovuto imparare a vivere come terrestri, partendo dal nulla, perché loro erano nessuno e chiunque. L’aspetto del tutto simile a quello umano, aveva permesso loro di confondersi tra la gente, seppure senza deroghe. Dieci anni, vivendo come barboni e mendicanti, poi, col passare del tempo, avevano cominciato ad apprendere usi, costumi e lingue, accrescendo il livello d’integrazione fino alla normalità e, in seguito, all’agiatezza.

    Non mettevano radici da nessuna parte, prediligendo spostamenti calcolati non appena le persone diventavano familiari; evitavano di instaurare rapporti troppo stretti e confidenziali con i terrestri; limitavano i contatti, mantenendoli superficiali, distaccati. Sopravvivere, senza essere qualcuno, un numero, una presenza, niente di più. La segretezza e l’anonimato erano la carta vincente che aveva permesso una vita quasi normale, ed erano talmente importanti che nemmeno la morte della regina Alhena, madre di Antares, aveva fatto la differenza. Come una persona qualunque, era stata cremata sulle rive di un fiume, pallido tentativo di ricreare le proprie tradizioni funebri.

    Poi era giunta la navetta pronta a riaccompagnarli a casa. Avevo temuto di non farcela, di non poter dire addio a quell’essere meraviglioso. Antares doveva partire, ritornare al suo regno e onorare la morte del padre che, sacrificandosi, gli aveva permesso di vivere e diventare, di fatto, re. Ad aspettarlo, un arduo compito, soprattutto alla luce di quanto accaduto alla famiglia reale. Non sarebbe stato semplice cercare di riportare la pace e l’armonia al popolo, ma era suo dovere, anche se ciò poteva significare perdere la vita.

    Se solo avesse voluto, l’avrei seguito dall’altra parte dell’universo, ma non l’aveva nemmeno contemplato. Mai avrebbe messo a rischio la mia esistenza. Anche per questo lo amavo, per la sua umanità, il senso di giustizia e rispetto per la vita.

    Avevo assistito alla sua partenza, inerme, guardando con rancore quelle stelle meravigliose che si riprendevano il tesoro più prezioso. Il giorno seguente era trapelata la notizia che nei cieli del Maine, era stato abbattuto un velivolo non identificato. Il dolore, tutto il dolore che mi aveva investito e che credevo di dover sopportare, non era nulla rispetto a ciò che avevo provato in quel momento. L’impotenza, la nullità di fronte a una voragine senza fondo, che rischiava di non finire mai.

    Con crescente apprensione, mi ero attaccata al pc, passandoci la serata e buona parte del giorno seguente, alla disperata ricerca di comunicati, immagini, articoli, qualsiasi tipo d’informazione riguardasse l’incidente aereo. Non sapevo da che parte stare, combattuta tra due fuochi, due verità, una più terribile dell’altra. Da un lato, la possibilità che Antares fosse morto; dall’altro, l’idea che lo avessero catturato e rinchiuso in qualche laboratorio segreto, sottoposto a chissà quali test, indagini biologiche e anatomiche.

    Mi era parso d’impazzire. Non riuscivo più a ragionare razionalmente, non potevo togliermi dalla mente l’idea, il pensiero atroce che forse era davvero così. Potevano averlo catturato, magari era finito nelle mani di qualche scienziato spregiudicato e smanioso di scoperte sensazionali, disposto a tutto in nome della conoscenza. Per diverso tempo, avevo farneticato sull’idea di partire, di tentare di raggiungere il luogo dell’incidente; poi la ragione era intervenuta, facendomi desistere. Anche se ci fossi riuscita, cos’avrei potuto fare?

    E proprio quando avevo cominciato a temere che la situazione fosse senza via d’uscita, tutto era cambiato. Un grosso temporale, la corsa in bici verso casa Volta per spostare la macchina di Antares, l’auto sparita. E lì, sotto lo scroscio d’acqua, lontana anni luce dalla verità, avevo sentito la voce più melodiosa del mondo, o meglio, dell’universo. Per un istante, avevo creduto di essermela immaginata: non era possibile che fosse reale. E invece, Antares era comparso davanti a me, ridando luce alla mia vita.

    Subito dopo colazione, inforcai la bicicletta al volo e mi avviai rapida verso il negozio di alimentari. Tutto quella mattina sembrava più bello, i campi erano di un caldo color oro, il cielo di un limpido azzurro e l’aria aveva un profumo inebriante. Inspirai a fondo e sorrisi al sole che mi accarezzava la pelle. Ero felice e il perché era indissolubilmente legato alla vita di Antares. Ripensai al momento in cui voltandomi davanti a casa Volta, anziché vedere dei malviventi, avevo trovato lui. Sotto lo scroscio dell’acqua, senza maglietta e bello come una statua, aveva sorriso, ma soprattutto, era vivo ed era tornato, da me.

    Ritornai al presente, mentre appoggiavo la bici della nonna nel retro bottega, ed entrai.

    «Buongiorno» dissi alla signora Gross, già intenta ad amalgamare gli ingredienti dei dolci.

    «Ciao cara. Ti sei ripresa?»

    «Oh, sì. Sto bene, grazie» risposi sorridente.

    «Meglio così. Pensi tu all’ortofrutta? Io vado avanti con le torte».

    Annuii infilandomi il grembiule e iniziai a fare la cernita dei prodotti. Dopo aver sistemato gli scaffali, mi dedicai al pane appena consegnato dal fornaio, passai poi ai latticini, ma la mia mente era come un animale libero nella prateria. Non ne voleva sapere di rimanere concentrata e continuava ad andarsene per conto suo.

    «Faccio un salto al cassonetto» informai la signora Gross, scuotendo il capo.

    Presi il sacco dell’immondizia e uscii dal retro, costeggiando la carreggiata fino all’angolo tra la strada provinciale e la laterale. Fare due passi all’aperto riuscì a rilassarmi: smisi di lottare e mi lasciai invadere dal ricordo del giorno precedente. Rividi il viso contrito di Antares nel rievocare l’abbattimento dell’ammiraglia: al suo interno si trovava Sheratan, il capo delle guardie reali che tutti credevano morto assieme al re. Invece Sheratan era venuto a cercarli, ma la sua nave spaziale era stata colpita ed era precipitata, gettando Antares e gli altri nella disperazione, e facendoli quasi precipitare a loro volta. A seguire, il crollo emotivo che avevo avuto nel rivivere le ore di apprensione passate in assenza di notizie; poi, il conforto tra le braccia di Antares, vivo e di nuovo accanto a me. E infine lì, sotto la pioggia, la dolcezza e decisione con cui mi aveva attirato a sé, posando le labbra sulle mie, facendo vacillare tutto.

    Un profondo sospiro mi uscì dalla bocca. Mi aveva baciato quasi con timidezza, poi con trasporto via via crescente, lasciando il posto alla passione, alla disperazione. Non una sola volta ma ancora e ancora, come se lo bramasse da tanto tempo, come se non potesse farne a meno, lasciandomi senza fiato. Ed era stato come alzarsi in volo, oltre le nuvole, lassù, privi di gravità.

    Una macchina passò lì accanto e mi resi conto di aver superato il cassonetto di almeno dieci metri. Ridendo di me stessa, invertii il senso di marcia, gettai il sacco dei rifiuti e raggiunsi il negozio; dovevo tornare con i piedi per terra. Sulla Terra.

    Per il resto della giornata, tentai di mantenere la mente occupata, dedicandomi alle mansioni più svariate, ripetendo gesti inutili e rischiando più volte di fare magre figure con i clienti. Alla signora Green riuscii quasi a vendere un chilo di patate per uno di pere, mentre a un ragazzo che aveva chiesto dove si trovavano le confezioni di sandwich, avevo presentato un’insalata di pollo da asporto.

    Arrivato l’orario di chiusura, salutai distrattamente la signora Gross e raggiunsi la bicicletta, montai in sella e pedalai con foga, il sorriso che si allargava a ogni metro che guadagnavo, che mi avvicinava a lui. Giunta all’altezza della casa di Arnold, nel tratto rettilineo poco prima di villa Muller, approfittai dell’assenza di traffico per chiudere gli occhi un istante. Inspirai a fondo e diedi ascolto al mio corpo: mi sentivo viva, la mente era dinamica e il cuore traboccante di gioia. Com’era bella la vita, unica e preziosa. E quanto era grande il suo mistero, la strada che attende ognuno di noi.

    Riaprii gli occhi distratta da un rumore familiare. Laggiù, nel campo di fronte al crocevia, il mastodontico trattore rosso stava rivoltando il fieno; al volante, Danny.

    Sospirai. La vita era bella, ma non sempre facile.

    Tra noi era rimasto tutto in sospeso, fermo alla sera in cui Antares sarebbe dovuto partire e chiudere un capitolo, dandomi l’addio. Ancora non avevo parlato con Danny e sebbene sapessi di dover chiarire con lui, temevo questo confronto.

    Trassi un profondo respiro e rallentai. Mentre appoggiavo la bicicletta al margine del campo, provai a raccogliere le idee, per preparare almeno l’inizio del discorso, ma ben presto il ruggito del trattore si arrestò, mettendo fine al mio vantaggio. Danny alzò la mano, scese con un balzo e mi raggiunse di corsa.

    «Ehilà!» mi abbracciò dolcemente. «Allora, come… stai?»

    Sapevamo entrambi che era il momento di chiarire. «Bene, grazie. Ehm… a proposito dell’altra sera…» abbozzai esitante.

    Danny annuì e si sedette accanto a me. Sentivo il suo sguardo addosso.

    «Ecco…» attaccai indecisa.

    «Jess, ascolta…» m’interruppe e abbassò appena il capo, con un sorriso nervoso. «Apprezzo davvero che tu sia già qui, pronta a dirmelo. È una delle qualità che amo in te». Alzò il viso e m’inchiodò. «So che lui è tornato».

    Lo fissai sbalordita. «Come sarebbe…?»

    «Vi ho visto» aggiunse piano, la mascella contratta.

    «Tu… cosa? Quando?»

    Danny si mise in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro, l’impazienza a guidare ogni movimento.

    «Ieri pomeriggio. Stavo sistemando gli attrezzi, quando ha cominciato a piovere. Mentre li radunavo, sei passata in bicicletta e salivi verso la collina, con una fretta tremenda. Che cosa poteva esserci di così importante, di così urgente da costringerti a uscire sotto un acquazzone del genere, per raggiungere una casa abbandonata?»

    Ascoltavo senza fiatare, lo stomaco contratto, in attesa di sentire il resto.

    «Così… ti ho seguito» terminò, nascondendo appena l’imbarazzo.

    «Mi hai seguito? Perché?»

    «Lo so, non avrei dovuto, ma… ecco… mi sei sembrata strana. Quella casa era vuota e doveva essere accaduto qualcosa per convincerti ad andare lassù, nonostante il diluvio».

    Mi sforzai di non far trapelare la tensione, la preoccupazione: dovevo mantenere la calma.

    «Danny, potevo avere mille motivi per andarci. Ad esempio, starmene da sola a compiangermi per un po’…».

    Non mi lasciò finire. «Sì, lo so, e hai ragione. Ma il fatto è che… ero preoccupato per te: non sapevo esattamente come fosse finita tra voi due e… volevo solo accertarmi che tu stessi bene. L’idea che ti ritrovassi sola, in quella casa vuota…». L’espressione del suo volto passò dall’imbarazzo alla tenerezza.

    Mi sentii come un blocco di marmo. «Ok, va’ avanti».

    «Mentre avanzavi oltre il cancello della villa, sono rimasto nascosto a osservarti. Sembravi così spaesata».

    Annuii ripensando allo sbigottimento di fronte all’assenza dell’Audi. Ma ovviamente lui questo non lo sapeva.

    «Continuavi a guardarti attorno, e non capivo. Sembrava che tu stessi cercando qualcosa o forse… qualcuno, qualcuno che non c’era più. Stavo per entrare e raggiungerti, poi l’ho visto sbucare dalla porta di casa».

    Alzai immediatamente lo sguardo su di lui, il respiro corto.

    «Ti sei girata e… avresti dovuto vedere la tua faccia, Jess. Come se di fronte avessi un fantasma. Eri più sbigottita di me. Qualcosa non tornava e volevo capire» aggiunse.

    L’idea di noi due di fronte a Danny, mi raggelò. Per quanto tempo si era fermato a guardare?

    Che cosa aveva visto?

    Non trovavo il coraggio di chiedere niente, anche se morivo dal bisogno di sapere. Con le dita, presi a torturare una ciocca di capelli, in accordo con le mie viscere, impegnate in una prova di contorsionismo. Potevo solo augurarmi che non fosse peggiore di quanto sembrava.

    INDIZI

    «Di certo, le cose non erano andate come sapevo, ed era meglio lasciarvi soli, eppure… non ho resistito. Avevo bisogno di capire, soprattutto… volevo vedere cos’avresti fatto tu» ammise rivolgendomi uno sguardo cupo.

    «Danny… io…» tentai, ma fece un cenno con la mano e riprese a parlare, spostando lo sguardo in basso.

    «L’ho visto stringerti tra le braccia, dolcemente, come avrei voluto fare io…». Alzò il viso e mi piantò gli occhi addosso. «E poi…».

    Lo interruppi. «Sì, ho capito e… mi spiace».

    Danny scosse il capo, sulle labbra un sorriso amaro.

    «Sai cos’è che mi fa più male?»

    «Ti prego Danny, non…».

    «Il trasporto di quei gesti… Dio, Jess! Cos’avrei dato per essere al posto suo, mentre ti accarezzava i capelli e tu gli prendevi il viso tra le mani, con… amore».

    Era una tortura, intollerabile.

    «Come vi guardavate, come parlavate…».

    Boccheggiai, il cuore in gola. «Hai sentito… quello che dicevamo?»

    Lui mi fissò, piegando leggermente il capo. «Tra il rumore della pioggia e la distanza, i vostri discorsi erano troppo smorzati, ma non è stato difficile intuirne la natura» rispose serio.

    Ripresi il controllo del respiro, cercando di nascondere il sollievo; il segreto di Antares era al sicuro.

    «Non so cosa mi abbia spinto a rimanere ancora, era tutto fin troppo chiaro, eppure, non mi sono mosso. Vi ho visto dondolare abbracciati, e lui cantava pure…» aggiunse sarcastico. «Era davvero troppo, dovevo andarmene; poi qualcosa è cambiato. Hai cominciato a parlare in quel modo, così… angosciato, e sembravi disperata. Non aveva senso, e ho dovuto lottare contro l’istinto di sbucare fuori, allo scoperto, per vedere che cavolo ti aveva fatto. Perché piangevi a quel modo?» chiese perplesso.

    «Ecco… in realtà An… Thomas non mi aveva fatto nulla… è complicato» balbettai.

    «Immagino… certo che il tempismo non gli manca. Ha aspettato il momento giusto per fare la sua mossa. È furbo» disse pungente.

    Aggrottai la fronte, squadrandolo incerta.

    «Avanti, Jess. Ti ha fatto credere che se ne sarebbe andato, così, d’improvviso; poi è rientrato in scena in modo inaspettato, proprio quando cominciavi a sentirne la mancanza. Un ottimo sistema per attirarti ancora più vicino a sé» dichiarò mordace.

    «Danny… no. Ti assicuro, non fa parte di un piano» replicai.

    «Forse. Di certo ha ottenuto molto più di me».

    Rimasi di ghiaccio, la situazione sembrava peggiorare ogni minuto di più.

    «Quando… ti ha baciato, io… volevo essere al suo posto, volevo sentire le tue labbra contro le mie, assaporare quella risposta così spontanea» terminò, abbassando lo sguardo.

    Sapevo che si riferiva alla sera della fiera. Il suo bacio timido e titubante, mi aveva colto talmente impreparata, che non avevo mosso nemmeno un muscolo. Ero rimasta ferma, senza reagire, e ora, mi rendevo conto che lo aveva percepito, ne era consapevole, anche se non l’aveva dato a intendere.

    «Io… non so cosa dire, Danny» sospirai.

    Lui sorrise appena e scosse il capo.

    «Già… in fondo è il tuo cuore che stai seguendo…».

    Annuii, con le lacrime pronte a scendere.

    Con un dito mi sollevò il mento, guardandomi dritto negli occhi.

    «Ehi, ti conosco abbastanza da sapere che ci stai male, ma… non devi. Non è colpa tua» terminò scostandosi da me. Si girò e fece qualche passo verso il campo, in modo distratto, guardando altrove. «Io… tengo davvero a te… ma non credo di poter sopportare l’idea di essere solo la seconda scelta, la ruota di scorta. È te che vorrei, tutta intera, cuore compreso e se non è libero, allora lascio perdere. Basta che tu sia felice» disse pacato.

    Assentii, asciugandomi la guancia col dorso della mano, mentre Danny mi scompigliava i capelli.

    «Però… c’è una cosa che vorrei capire» riprese con aria perplessa.

    «Lo so, hai ragione. Lui doveva andarsene per sempre, invece…».

    Scosse il capo. «Non si tratta di questo, ma di ciò che ho visto, e non mi so spiegare».

    Un brivido mi percorse la schiena. «Cioè?»

    «Me ne stavo andando, quando ho lanciato un’ultima occhiata verso di voi e… c’era qualcosa di strano. Sono tornato alla cancellata, incapace di staccarvi gli occhi di dosso. Che cos’era quello… strano alone che scintillava su di voi?»

    Annaspai, andando in iperventilazione. Aveva visto tutto, ma proprio tutto.

    Ogni secondo che passava, accompagnato dal mio silenzio, non faceva che enfatizzare la situazione. Dovevo inventarmi qualcosa in fretta, tentare una risposta credibile ma quale?

    «Si tratta di elettricità» rispose una voce alle nostre spalle.

    Antares si stava avvicinando con passo lento e aggraziato. Apparentemente calmo, ci raggiunse, sfiorandomi il braccio con la mano. Ed io, ripresi a respirare.

    «Tutto bene?» chiese premuroso.

    Annuii nervosa. Il suo tempismo mi aveva salvato appena in tempo.

    «Ma guarda chi c’è!» disse Danny, sarcastico. «Capiti al momento giusto. Che ne dici se finiamo la conversazione?»

    «Certo. L’ultima cosa che voglio, è alimentare tensioni tra noi. In fondo, abbiamo a cuore la stessa cosa, no?» e spostò lo sguardo su di me.

    Danny non replicò e incrociò le braccia sul petto, in attesa. Quanto a me, rimasi lì, tra loro due, sospesa in quella situazione assurda, senza la minima idea di ciò che Antares avrebbe potuto raccontare.

    «Vedi, mio padre è uno studioso, uno scienziato e a volte lo aiuto nel suo lavoro, con le sue strane invenzioni» se ne uscì serafico.

    Danny lo guardava, la fronte corrugata, concentrato su ogni parola.

    «In questo periodo, è impegnato con una ricerca sull’elettricità e il magnetismo, e svolge parecchi esperimenti. Ieri pomeriggio, stavamo risistemando il laboratorio e, mentre armeggiavo con alcuni congegni, devo essermi caricato di elettricità statica».

    «Aspetta un attimo… tu ti chiami Volta, giusto? Non vorrai dirmi che siete parenti con quello studioso famoso?» chiese Danny sorpreso.

    «In realtà… credo di sì» rispose Antares, «ma alla lontana. Comunque, tornando a noi, quando Jessica ed io siamo venuti in contatto, si è liberata una scarica elettromagnetica. Essere zuppi di pioggia, l’ha favorita, oltre a renderla visibile. Un insieme di curiose coincidenze, non trovi?»

    Danny lo fissò per alcuni istanti, intento a ponderare. «Sì… in effetti… ora mi spiego quegli antennoni sul vostro tetto» sottolineò, ammiccando in direzione della collina.

    «Esatto» ammise Antares tranquillo, «servono per gli studi».

    Questa storia mi suonava un po’ alla Frankenstein, ma sul volto di Danny, non trovai lo scetticismo di poco prima, semmai un pizzico di curiosità.

    «Quindi… anche tu… ti destreggi?»

    «Già…» confermò Antares, affabile. «Perlomeno, ci provo. Però mi sa che devo studiarci su ancora parecchio, prima di cimentarmi di nuovo con quei marchingegni».

    Assistevo allo scambio di battute senza fiatare, respirando appena, tant’era la paura di rompere un equilibrio che mi appariva così instabile. Tuttavia, sembrava farsi avanti una opportunità che non avevo messo in conto.

    Possibile che la storia del laboratorio risultasse così credibile da distogliere l’attenzione di Danny dal concetto più importante?

    «Beh… allora… io vado» disse incamminandosi. Poi si fermò. «Solo un’ultima cosa… tu non dovevi essere partito per sempre?»

    Antares annui senza distogliere lo sguardo da Danny.

    «Questo era il programma, ma un imprevisto ha sconvolto i nostri piani e ci ha costretto a tornare indietro».

    «Già e questo ha scombinato i miei» commentò Danny.

    Però, risoluto il ragazzo.

    I due rimasero a guardarsi in silenzio, scambiandosi occhiate cariche di significati che a me sfuggivano, contribuendo ad alimentare l’ansia che mi trafiggeva.

    «Perciò… ora torna tutto come prima» riprese Danny pungente. «Per il momento mi farò da parte, ma ti terrò d’occhio. Non dimenticarlo».

    «Lo rammenterò» replicò Antares, altrettanto fermo.

    Si scambiarono un’ultima occhiata piena di tensione, poi Danny mi fece un cenno e si voltò, tornando sui suoi passi.

    «Mmh… è un tipo tosto il tuo amico Danny».

    «Credi che se la sia bevuta?»

    «Per ora, direi di sì, ma non è a questo che mi riferivo». Un sorrisetto si allargò sulle sue labbra, mentre passeggiavamo.

    «A cosa, allora?» chiesi perplessa.

    «Lo hai sentito, no? Dovrò fare attenzione con lui, la posta in gioco è alta».

    «Per fortuna poco fa sei arrivato. Io ero già nel panico, non sapevo cosa raccontare. Se scoprisse che tu…».

    «È rimasto colpito dal fenomeno al quale ha assistito, ma credimi, c’è qualcosa che lo interessa molto di più».

    «Ma… hai appena detto che dovrai stare attento? La vostra sicurezza è…».

    Rallentò sino a fermarsi e mi prese il viso tra le mani, con dolcezza. «No, Jess. Parlo di te, tu sei la posta».

    «Cosa? Stai scherzando?»

    «Il mio repentino rientro ha scombinato i suoi progetti» sorrise Antares. «Sono convinto che avrebbe passato mesi e mesi nel tentativo di avvicinarti, cercando di farti apprezzare la sua presenza. Ora io sono tornato, e sono di nuovo accanto a te, ma ciò non rappresenta più un motivo sufficiente per lasciar perdere. Se ne starà lì, come un cane da guardia, in attesa che io faccia una mossa falsa».

    «Non ce lo vedo Danny in quel ruolo, non è il tipo…».

    Antares fece una gran risata, buttando indietro i capelli lucidi.

    «Jess, Jess. Proprio non ti rendi conto, eh? È innamorato di te e non credo sia disposto a perderti solo perché è il secondo in classifica. Almeno, non subito, non prima di aver esaurito ogni possibilità. Non senza aver lottato».

    Ecco, questo era ancora più strano: Antares che parlava dei sentimenti di Danny, con un pizzico di approvazione.

    «E tu come fai a esserne così sicuro?»

    «Beh, la sua aura è piuttosto esplicita… fidati».

    Ancora una volta, avevo sottovalutato la capacità caleota d’interpretare l’aura, caratteristica che aveva permesso ad Antares di scorgere i sentimenti di Danny.

    Ripensai a lui, alla situazione che si era creata quando Antares ed io ci eravamo allontanati e a come fosse cambiato di nuovo tutto. Anche Danny non era più lo stesso. Certo, rimaneva uno dei miei più cari amici, quello che tante volte mi aveva consolato; tuttavia, ora era un uomo. Un giovane uomo innamorato di me. E, inevitabilmente, tornai a quella sera, al rientro dalla fiera.

    «Accidenti» dissi, e mi scostai appena.

    La fronte di Antares si corrugò, mentre il sorriso si affievoliva. «Che succede?»

    Per un istante tentennai, ma nascondere l’accaduto avrebbe solo creato fraintendimenti, dando al singolo evento molta più importanza di quanta ne avesse per me.

    «Poco prima che tu ricevessi il messaggio dallo Spazio, c’eravamo un po’ staccati e Danny… mi è stato vicino, ricordi?»

    Antares annuì tranquillo e ciò mi diede l’impulso a proseguire.

    «Ero davvero giù di morale e la sua presenza mi ha aiutato parecchio, come del resto era già accaduto in passato. È uno dei miei migliori amici e non è la prima volta che supero un brutto momento anche grazie a lui. Ha sopportato il mio malumore per giorni interi, con pazienza, cercando di farmi riemergere. Una sera ci siamo trovati alla fiera, siamo andati sui kart, e mi sono divertita, come non accadeva da qualche tempo. In seguito, tornando verso casa, abbiamo continuato a scherzare e ridere, rivivendo i momenti più belli della gara, poi… qualcosa è cambiato. Stavamo chiacchierando della nostra amicizia e Danny… mi ha baciato».

    Fissai il viso di Antares, alla ricerca di risposte, ma non vi trovai nulla, a parte la mandibola contratta.

    «Un ottimo modo per consolarti» commentò ironico.

    «Mi ha colto di sorpresa, non volevo che accadesse. Non sono nemmeno riuscita a reagire» mi affrettai a dire.

    Mi guardò attentamente, leggendo ciò che sentivo dentro.

    «Jess, non devi darmi nessuna spiegazione. Conosci la mia situazione ed è normale che tu abbia dei dubbi».

    «Cosa? No, quali dubbi…» saltai subito su.

    «Certo… avrei preferito non arrivare secondo» ironizzò, dondolando il capo.

    «Oh, avanti! Non è stata la stessa cosa. Il nostro è stato un bacio vero, mentre con Danny…» tentai di difendermi, ma Antares sorrise e m’interruppe.

    «Jess, ascoltami» e si fece più serio. «Vedo, sento, che i tuoi sentimenti sono sinceri, ma resta il fatto che io sono un alieno, e se tu decidessi di non… beh, non potrei far altro che lasciarti andare. Da lui».

    Pronunciò le ultime parole con rassegnazione e questo mi fece irritare. Molto.

    «Antares, non ti azzardare più a dire una cosa del genere» lo attaccai. «Quando sei partito, credevo d’impazzire. Non riuscivo più…».

    «Sst» disse attirandomi a sé, posando le labbra sulle mie, inibendo ogni mio pensiero avverso.

    Il cuore decollò, il respiro si fece più frequente e il mio cervello non poté che arrendersi, lasciandosi sovrastare.

    «Solo un attimo» disse scostandosi appena. Scrutò rapido attorno a noi, poi si rilassò. «Dovremo essere più prudenti, d’ora in avanti».

    «In che senso?»

    «Sai quello strano fenomeno che compare in momenti come questo…» e mi baciò delicatamente. «Credo che la storiella degli esperimenti non possa avere vita lunga…» e riprese la sua irresistibile tortura.

    «Ah, ah…» sussurrai conciliante.

    «E poi… devo stare attento a non rubarti l’energia» terminò in un sussurro.

    «Ne saresti capace?» mormorai, nonostante il torpore meraviglioso nel quale mi stavo crogiolando.

    «Ah! Allora stavi ascoltando» ridacchiò.

    «Ma certo, anche se mi metti a dura prova» arrossii.

    Antares rise. «Sai, è una cosa nuova anche per me. È da un po’ che ci penso, e credo di avere un’idea. Forse ti suonerà strano, ma quando i nostri corpi sono a stretto contatto, è come se le difese si abbassassero, permettendo così la diffusione di energia».

    «Il reticolo elettrico?»

    «Esatto. Non ne ho la certezza assoluta, ma sono convinto che si tratti di questo. È dovuto alla mia affinità con l’energia elettrica e, poiché tendo ad assorbirla spontaneamente, devo essere cauto con te».

    «Non sarà un’altra scusa per non baciarmi, principe?» lo sfidai puntandogli un dito sul petto.

    Sorrise appena. «Se non prestassi attenzione, se permettessi alla mia natura di prendere il sopravvento, potrei farti del male, sul serio».

    In effetti, ogni volta che Antares mi baciava, avvertivo una certa debolezza, ma davo la colpa al fatto che spesso, smettevo di respirare, tant’era l’emozione.

    «È difficile mantenere il controllo?»

    «Se parliamo di energia, non più di tanto: è questione di sensibilità» disse traendomi a sé, la fronte appoggiata alla mia. «Tutt’altra cosa è sul piano emozionale. Potrei perdere la concentrazione, abbassare il livello di attenzione…» sussurrò.

    «Esatto…» risposi mordendomi un labbro.

    «Ma non temere, farò il bravo. Devo farlo» disse piano.

    Antares era un principe, per

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