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A piccoli sorsi
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A piccoli sorsi
E-book170 pagine2 ore

A piccoli sorsi

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Info su questo ebook

Una raccolta di venti racconti fantastici, creativi, inusuali. Per chi ama la letteratura breve di stampo classico, Gaspare Burgio completa con questo volume una trilogia che esplora realtà solo in apparenza impossibili. Per chiunque voglia vivere piccole stupefacenti scoperte. Da leggersi in una sola seduta o un poco alla volta, una storia al giorno, per vedere questo nostro mondo con occhi diversi.

LinguaItaliano
Data di uscita27 gen 2016
ISBN9781311596284
A piccoli sorsi
Autore

Gaspare Burgio

Ho compilato oltre duecento racconti, che ho raccolto in varie antologie tematiche, soprattutto di genere reale fantastico, horror e fantascienza ironica. Quando posso, scrivo articoli per altri blog o leggo opere altrui che mi sono inviate per avere consigli. Partecipo attivamente a gruppi online che riguardano proprio questi temi. Sono impegnato adesso nella stesura di un romanzo piuttosto interessante. Se continui a seguirmi ci saranno di certo aggiornamenti al riguardo.

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    Anteprima del libro

    A piccoli sorsi - Gaspare Burgio

    Premessa

    di Tiziana Valentino

    Di umani che non vogliono crescere, pigrizia e social network, draghi burloni.

    "Le storie migliori sembran fatte di mancanze che si sfiorano."

    Ci sono storie che suscitano nell’uomo una differente gamma di emozioni.

    Come in un teatro, vige il primario istinto di alzarsi in piedi ed applaudire, a conclusione di un’opera gustata con ogni singolo senso.

    Giunge in quel momento tanto coinvolgente l’unione degli attori in un inchino composto e preciso, seguito da quello del regista, che ringrazia il pubblico, ma soprattutto i suoi personaggi: sono loro che danno un senso alle sue fatiche.

    Una storia è un mondo infinito, collaborazione naturale tra scrittore e lettore.

    Esistono storie di realtà in rovina, avventure esilaranti e creature mitiche ed antropomorfe.

    Mille volti, viscere inchiostrate da un’unica mente padrona.

    Il lettore gioca con loro, le plasma nella mente a sua fantasiosa immagine. Ipotizza la loro fine e la loro genesi; a conclusione pensa al dopo di ognuno.

    A piccoli sorsi, i personaggi si donano e si denudano del loro essere, per chi li osserva.

    Il punto che unisce il tutto è sempre quella costante e immancabile emozione.

    Quando lo scrittore terminerà l’ennesima fatica e ringrazierà la principessa in pericolo, gli anziani eterni Peter Pan, la coppia di innamorati, può star certo che verrà ricambiato. Le sue creature s’inchineranno a lui, riconoscenti.

    Noi, esterni spettatori in attesa.

    Luci spente.

    Silenzio in sala.

    Si alza il sipario.

    Tiziana Valentino,

    Gennaio 2016

    The mad otter Recensioni e letteratura

    Prefazione

    Ogni cosa raggiunge il suo termine e anche le stelle, definite sempiterne in tempi non sospetti, decadono inghiottendosi da sole quando finisce il turbamento che le anima.

    In uguale misura e con stesso sconquasso del cielo finisce al momento la carrellata di racconti che avevo intenzione di narrare. Con questo volume, che mi piace più del primo, meno del secondo, in modo diverso dai due. Avevo detto sessanta, e sessanta sono stati.

    A volte ci si fissa con delle cifre, degli obbiettivi e altri artefatti, così che almeno qualcosa, nel fluire dinamico dell'esistenza, sia un punto certo al quale riferirsi. Giunti là, come alla stazione del luogo in cui si voleva cambiare vita, si resta con la valigia in mano a chiedersi che fare. Si aveva passione nel tragitto, c'erano degli incerti, ci furono pericoli, anche il ragionevole dubbio di andare a caderci in pieno. Arrivati alla stazione di periferia, non entusiasmante, viene spontanea la consolazione che almeno qualcosa di compartato lo si è compiuto: c'è un prima e c'è un dopo. C'erano pagine bianche, ci sono sessanta racconti. Non dico tutti belli: dico tutti strepitosi. Come il sottoscritto.

    Questi che presento sono ancora e ancora racconti di fantasia. Da prendersi a piccoli sorsi, un poco alla volta, ne prescrivo uno al giorno. Niente di vero, se non quanto vero vuolsi che siano. Perché se l'Universo è la somma dei sensi accumulati, e siamo ancora padroni di quel che si vede o sente o assapora, allora consegue che l'Universo è quello che ciascuno desidera. Potrei aver fatto cronaca di quel che ricordavo tanto male da giudicarlo immaginario, o aver compiuto il miracolo inverso: immaginare da zero una memoria sicurissima. Per come a volte butta nel quotidiano, non mi sento di negare nessuna delle due possibilità.

    Per il momento mi fermo. Sto accumulando altre storie, ma fra queste, quelle del Teatro degli Anonimi e quelle delle Nuvole Prensili, sono convinto di aver creato un mondo tutto nuovo. Almeno la superficie. I continenti e qualche fenomeno del clima. Potrei seminare foreste ed edificare città. Potrebbe accadere, non so. E' bello anche così, selvaggiamente. Se mai accadesse, ve lo farò sapere.

    Gaspare Burgio, Gennaio 2016

    Il superluccio

    Dopo lunghi minuti di silenzio commosso, Virgilio detto Vignaccia diede uno scapaccione alla figliola del Traveggi, che non la finiva di saltellare d'intorno fissata com'era con la nuova canzone americana che ascoltava in cuffia. S'era vestita di rosa e pagliette, nonostante andasse ormai per la quarantina. Fino allo schiaffo fatale aveva dato luogo a una coreografia di ancheggiamenti, scuotere di capo e urlacci, mimando quel che aveva visto sul canale 53.

    -Mi scusi tanto-, si giustificò lo stesso Traveggi con l'amico. -Non è cattiva, però. Son problemi. E te vienti a sedere, che mi ruzzoli in acqua e non sai nuotare.-

    La figlia, che si toccava la guancia offesa più per stupore che per sofferenza, si sedette accanto al babbo sulle tegole del tetto dov'erano tutti quanti rifugiati. Si raccolse e si fece cupa. Dal suo punto di vista quel tetto e la gente radunata erano l'occasione per lo spettacolo di cui voleva essere protagonista. Vignaccia, uomo di poche parole e di fatti drastici, le aveva mollato la cinquina che tutti, in cuor loro, le avrebbero affibbiato quando fermava il traffico in provinciale, o le omelie in Chiesa, o i Tornei di briscola urlata. E pure lei da un certo punto di vista se l'aspettava, e forse la voleva quella svirgola, che il padre troppo buono tardava a rifilare. Sobbalzò, con lei altri, quando due fulmini si maritarono alla sbriga sul proscenio, tingendo di azzurro un attimo solo un cielo lugubre e verdognolo. Mentre un tronco discreto veniva trascinato con movimenti di rivoluzione da un mulinello fluviale, ci si chiedeva se il terzo piano sarebbe bastato o le acque sarebbe salite ancora. D'intorno era un brutto pianoro colore oliva, con tronchi, tegole e residui che risciacquavano. L'acqua aveva uniformato il panorama.

    Sosteneva Roderigo di aver visto un gufo sul cornicione della casa innanzi la propria, soltanto due notti prima, quando ancora non aveva principiato la pioggia scrosciante. Un gufo nero con gli occhi gialli, come fanali splendenti di autocarro. Coi toni e la posa faceva intendere agli avventori del Bar che un segnale del genere era inequivocabile, che c'era da aspettarsela una conclusione come quella in cui erano coinvolti. Fessi loro quanto le amministrazioni a non prendere i provvedimenti del caso. Che poi si poteva fare così e cosà.

    Gli altri, seduti sulle tegole, nicchiarono o annuirono per dargli il credito di cui era affamato e la discussione morisse magra. Alla piazza domenicale, come in altre circostanze mondane, Roderigo si arrogava protagonismi e se qualche ingenuo controbatteva allora Roderigo seminava a manciate larghe aneddoti sulle sue imprese industriali, belliche, nobiliari, dimentico all'istante del rottame che erano la sua vita e le sue scarpe.

    I superstiti sul tetto del Bar erano molto più interessati alle acque livide che lambivano il cornicione, e impiegati nello sforzo di sognare. Sognare che era in corso un equivoco e che sotto la superficie verde non ci fossero le loro case, e nel passo più lungo si poteva giungere a credersi in villeggiatura sui laghi. Le cime degli alberi, le tegole altrui e le automobili di sbieco risucchiate nei vortici spezzavano a tratti l'illusione.

    Comizio, il proprietario del Bar, distese meglio la coperta che lo drappeggiava, scoprendosi in quella le spalle. Era un pezzo ormai che guardava in diagonale obliqua i piedi umidi del Pacciani, che li aveva mezzi essendo stato lui l'ultimo a salire sul tetto, così da aiutare gli altri avventori a farsi sulla vetta, che certi erano imbranati. Comizio non si sarebbe mai atteso un gesto altruista da quei piedi, così ne ebbe pietà, vinto dai sensi di colpa. Con gesto noncurante andò a farci sopra la coperta, e per fortuna il Pacciani era troppo distratto dai brividi per farsene ragione, altrimenti avrebbe rifiutato. Qualcuno vide il gesto e sancì di trovarsi piombato in una tragedia vera e propria. Quell'acqua s'era portata via tutte le costruzioni artefatte e li aveva lasciati là, soltanto persone.

    Passarono due tronchi, quindi passò anche il pullmino bianco delle poste, col muso verso il cielo. Sopra il pullmino alla deriva c'erano due del Circolo che tentavano di trovare equilibrio sul natante di fortuna. Quelli del Bar si volsero altrove, aspettando che scivolassero via. Tossicchiarono. Indicarono astronavi immaginarie. Dopo il Torneo di Briscola, con le conseguenti proteste per un Cinque di Bastoni sbucato dal nulla in mano a chi ne aveva più bisogno, fra Bar e Circolo si era generata una frattura insanabile, allargata a forbice larga quando si usò la figlia del Traveggi come sabotaggio nelle finali. Non che si augurassero la loro dipartita, ma che venissero trascinati oltre la provincia questo si.

    -Si poteva anche aiutarli-, suggerì uno sventurato. -Allungare una mano-. Si sentirono meschini.

    Anche per quello nessuno contraddì il Piega, che prese parola issandosi tanto malamente sulle tegole che a momenti ruzzolava in acqua. Non amavano il Piega, che aveva nomea di ereditiere e per quelle zone di mondo gli arricchiti rappresentavano minacce all'ordine costituito. Però, su quel tetto, non era possibile raggrupparsi in giochi di carte o stornare il naso.

    Il Piega alzò l'indice al cielo mantecato di nuvolacce ed esclamò:

    -Accadde paro paro nel 766. Quindi accadrà anche oggi. Un gufo, sei fulmini e tre lampi. Se non volete finire inghiottiti, state lontani dalla grondaia. Che quello ha fauci mostruose.-

    -Piega, da che t'è morta la moglie non ci stai dentro con la testa. Quali fauci?-

    Il Piega compì il suo gesto più tipico, ovvero si piegò sulle ginocchia, la mano a lato della bocca, e con fare guardingo, come a non voler essere udito dalle spie faciste, sibilò:

    -Il superluccio!-

    Detta la parola scattò irto in piedi, ancora in dubbio di cadere. Si era spaventato lui stesso della cosa rivelata.

    -Mai sentito nulla del genere.-, interloquì Roderigo, che quanto ad attriti non gli era secondo.

    -Sentite, voi due-, si intromise Comizio, -non è davvero il momento per le barzellette. C'è chi è in pena per la famiglia o per la casa.-

    -Quanto alla casa, inutile averne pena, mi pare resti poco da farci.-, espresse Roderigo in concomitanza a un gesto che abbracciava l'intera valle sommersa. -Le famiglie che dici non ci sono, saranno sui tetti loro, qui soltanto me e voi avvinazzati. Quanto al superluccio, ripeto che non ne ho alcun ricordo. E si che io di pesca e pesci e pescherecci, di arti fluviali e mannagge varie ne ho più di voi.-

    In quella, per coincidenza, si udì un sordo tonfo nelle acque circostanti. Poteva essere stato qualunque cosa, ma il Piega si disperò affinché i rifugiati si assembrassero al centro del tetto e non offrissero propaggini al superluccio in agguato.

    -Il superluccio attende tre lampi e un gufare notturno. E' il suo segnale. Capitò anche nel 766, e lo so perché mentre pulivo per conto del parroco gli scaffali della canonica, incappai nelle memorie trascritte della regione. Il superluccio allora mastica gli argini e fa esondare il fiume, per andare a caccia degli uomini, che ne ha in buon gusto dopo una dieta di salmerini. E' una bestia terribile.-

    Stavano per chetarlo, ma alcuni avventori invece sorridevano, dimentichi della sciagura. Il che bastò al Piega per continuare, proprio in faccia al Roderigo immusonito. Comizio diede di spalle: che continuassero, se gli giovava.

    -Nel 766, su un tetto come questo, s'erano trovati prigionieri del fiume il Re, l'Avvocato e l'Agrimensore. Fra i tre non correva buon sangue, c'era dell'astio.-

    Il Piega continuava a piegarsi sulle ginocchia per dare ritmo alla narrazione.

    -Nel mentre che si scannavano per le materie pregresse, fece capolino la pinna diabolica del superluccio. I tre si abbracciarono come fratelli, spaventati per il predatore che girava d'intorno a spirali sempre più serrate. Sulla bocca famelica del superluccio si favoleggiava tanto. Ci sarebbe entrato dentro un Avvocato intero. Perfino un Re con la corona calzata, secondo certi disegni amanuensi. Tuttavia dal pericolo si poteva trarre anche godimento.

    L'Agrimensore e il Re pensarono: se buttiamo l'Avvocato in acqua, si potrà dare luogo alle nostre partizioni della terra senza nessuno che borbotti in tribunale.

    Il Re e l'Avvocato pensarono: se buttiamo l'Agrimensore in acqua, ci si accorda per cambiare le imposte a piacere senza conto dei cubiti di terra.

    L'Agrimensore e l'Avvocato pensarono: se buttiamo il Re in acqua, si lavora in tutto guadagno senza la zozzeria del tributo.

    Così, da fratelli di sciagura si fecero faine, e si tiravano per le maniche, ognuno intento a buttare quell'altri di sotto, dove c'era il mostro. Il superluccio se la rideva,

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