Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Incredibilmente blu
Incredibilmente blu
Incredibilmente blu
E-book668 pagine9 ore

Incredibilmente blu

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Gli Onniscenti, creatori dell’universo che si prendono cura del creato e hanno il compito di mantenere l’armonia tra tutte le creature, decidono di intervenire prima che la situazione precipiti a causa dell’uomo. Infatti, da quando è comparsa la razza umana, gli equilibri vigenti in natura sono stati stravolti: habitat distrutti, risorse naturali devastate, animali ammazzati, specie sterminate… Occorrono provvedimenti immediati e drastici per riportare la pace sulla terra prima che sia troppo tardi. Leaf, bambino irlandese figlio di persone umili, determinato e fuori dal comune per la bontà con cui tratta animali e piante, a soli otto anni dovrà decidere se aiutare l’unico Onniscente che ancora crede nella purezza dell’animo umano. Dovrà lottare e affrontare prove insidiose, contribuendo a evitare così la scomparsa dell’essere umano. Verrà aiutato da Iris, ragazza solare e semplice, incontrata per caso in un momento tragico della sua vita…

Incredibilmente blu è un libro dalle innumerevoli sfumature che narra di una favolosa storia d’amore, ma anche di un’amicizia che può salvare la vita.
Incredibilmente blu avvince e porta anche a riflettere sugli effetti che il nostro stile di vita provoca nel mondo in cui viviamo.
Il colore del suo cuore, quello con cui era stata dipinta la sua anima quando era nata, era il blu.
Le cose più belle della sua vita, le cose che avevano avuto davvero importanza, quelle che più aveva amato e che abbellivano la sua memoria, erano blu. Indaco, turchese, azzurro, celeste, cobalto… a ogni sfumatura poteva associare un momento felice. Per questo, a parte gli immancabili jeans stinti che considerava di colore neutro, non indossava mai il blu. I momenti felici erano passati per sempre
LinguaItaliano
Data di uscita25 feb 2013
ISBN9788867930104
Incredibilmente blu

Correlato a Incredibilmente blu

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Incredibilmente blu

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Incredibilmente blu - Mélina Airoli

    coincidenza.

    Ai miei piccoli angeli caduti…

    1. LEAF

    Irlanda occidentale, marzo 1972

    Aleggiava leggero e inconsistente lungo le brumose scogliere irlandesi, confondendosi con la nebbia.

    Era la nebbia.

    Era un filo d’erba, era un granello di sabbia, era il vento che ululava forte, era la polvere sulla giacca d’un viaggiatore, era una goccia di rugiada su un esile petalo d’erica.

    Non aveva età. Non aveva inizio né fine. Il suo dominio era il mondo intero e un guscio di noce, la sua cavalcatura era una balena e un moscerino della frutta.

    L’Onnisciente vagava così, senza assumere una forma consistente da un po’. Non sapeva da quanto. Per lui (Lei? Loro? Chi può dirlo? Come si può definire qualcosa di totale? Non ci sono definizioni sessuali per esseri impalpabili e infiniti) il tempo non si misurava in anni e in giorni. Era tempo egli stesso.

    Eppure anche un essere immortale aveva degli obblighi e dei patti da rispettare.

    Doveva riprendere una forma definita. Questo era il suo oneroso compito. L’aveva promesso ai suoi fratelli, le altre entità onnipotenti come lui, con lui, responsabili d’ogni essere che si muovesse sulla superficie terrestre, nuotasse nelle profondità degli oceani o volasse libero nei cieli. O meglio, di tutti gli esseri viventi tranne una specie. Una sola.

    L’unica che ignorava la loro esistenza e occupava molto più spazio di quanto necessitasse e le fosse mai stato concesso. Creature spaventose, terribilmente violente e aggressive, distruttrici, voraci e dannose come una pestilenza. Esseri talmente arroganti da autoproclamarsi padroni dell’universo.

    Qualsiasi forma sarebbe stata meglio di quella, ma non aveva scelta. Gli altri Onniscienti avevano emesso il loro decreto: doveva diventare un uomo.

    Un’altra volta.

    Perché non poteva albergare ancora nel corpo di un ermellino? Erano così scattanti, così dinamici e coraggiosi! O nel corpo di una rondine? Così libera, spensierata! Da poco era stato falco, laggiù nelle indie… Era così piacevole il caldo monsonico tra le penne delle sue ali! Erano stati giorni così felici quelli in cui il leopardo e la tigre gli avevano fatto guardare il mondo attraverso i loro occhi di giada… Perché ancora in uno di quei mostri senza pelliccia? Senza piume colorate, senza pinne per nuotare, né ali per volare! E perché non poteva dimorare nel corpo della sua creatura prediletta, il gatto?

    Non molto tempo prima, aveva spinto gli umani ad adorare l’amata creatura come una divinità. Sperava che dal piccolo e sinuoso felino quegli stolti avrebbero imparato a rispettare la meraviglia della vita, a tenere gli occhi ben aperti su ciò che li circondava, a prendere solo lo stretto necessario. Ma il progetto sfumò.

    Inesperienza. Quello fu il suo tragico errore. Gli umani, d’altronde, a quel tempo erano esseri ancora troppo giovani e gli Onniscienti non avevano ancora capito quanto potessero essere insidiose e sgradevoli quelle creaturine.

    Dovevano trovare una soluzione.

    Avevano passato gli ultimi millenni a cercare gli uomini più dotati e spingerli a dare l’esempio ai loro simili, a migliorarsi, ma quelli continuavano a non armonizzarsi con il resto dell’universo e tutto ciò non poteva che minare la loro stessa sopravvivenza e continuità.

    Eppure l’ultima volta c’era andato così vicino… Proprio lui, l’Onnisciente che ora peregrinava informe nel ventoso Clare, aveva quasi raddrizzato le sorti di quella disgraziata specie vivente. Aveva albergato dentro un uomo, aveva fatto di lui un grande illuminato, tutta l’umanità avrebbe dovuto prendere coraggio da lui e, spinta dalla luce di quell’anima nobile, si sarebbe elevata a un rango di meravigliosa perfezione.

    Ma era passato molto tempo. In ere umane poteva essere un’eternità, almeno 500 anni, poco più, poco meno. Era stato bene nel suo corpo e ancora meglio nella sua mente, assolutamente geniale, brillante e piena d’attenzione verso la natura e i suoi misteri. Un luogo perfetto. Un essere finito, ma con infinite potenzialità.

    Quella finitezza fu il suo unico limite. Il suo tempo terreno si era esaurito. Aveva avuto una vita lunga rispetto ai suoi simili di quell’epoca, ma il suo fragile corpo alla fine aveva ceduto il passo e si era spento, liberando l’immensità dell’Onnisciente che si era insinuato nella sua anima e l’aveva accompagnato per gran parte della sua vita, sussurrandogli nell’orecchio ciò che l’avrebbe reso immortale agli occhi degli altri uomini.

    L’uomo non sempre era stato una buona scelta, ma negli ultimi millenni era stato spesso costretto a scegliere una di quelle strambe e sgraziate creature, salvo qualche piacevole divagazione.

    Altri come lui, vagavano per l’universo alla ricerca di un po’ di tepore, di una missione, di un essere da eleggere a dimora. In molti tra gli Onniscienti avevano cercato di ripristinare l’equilibrio.

    Ma avevano fallito.

    Ogni volta che uno di loro aveva preso una di quelle miserabili creature e l’aveva innalzata a un livello superiore, il risultato era sempre un desolante, ulteriore fallimento.

    Equilibrio. Tra tutte le creature della terra.

    Ci vuole tanto, maledizione! tuonavano i Grandi Spiriti riuniti in Consiglio.

    Ma no! Quei piccoli, brutti umani, non riuscivano a imparare gli uni dagli altri! Regolarmente, tra i potentissimi c’era chi proponeva di disfarsi di questa piaga per il sistema e di far rifiorire la terra, sbarazzandosene definitivamente.

    Certo era la soluzione più semplice. Nel giro di pochissimo tempo sarebbe tornata l’armonia.

    Una proposta simile, però, contrastava con la natura stessa degli Onniscienti. Erano presenti dalla notte dei tempi per preservare, non per distruggere.

    Gli uomini non facevano parte del piano iniziale, ma oramai esistevano e abitavano il creato realizzato dagli Onniscienti, così come tutte le altre forme di vita.

    Tanto valeva provare ad aggiustarli

    Le scogliere di Moher erano grandiose. Come sempre, la loro bellezza intenerì l’Onnisciente che assaporò ogni centimetro di costa espandendosi e ritraendosi, sfiorando le rocce aguzze, modellate dal vento millenario dell’oceano Atlantico.

    Ricordò il periodo in cui quelle terre erano state create. Era stato un suo fantasioso fratello a realizzarle. Non era certo per gli umani che aveva plasmato quelle scogliere aguzze e quelle ampie distese verdi. Con quanta cura aveva ricamato ogni insenatura, e con quanto amore aveva intrecciato i rami degli alberi!

    I fratelli minori degli Onniscienti, gli elfi, i folletti, le fate con le loro ali trasparenti, le sirene dei laghi con i loro capelli d’alghe e tutte le meravigliose creature magiche e immortali, a loro era destinata quella terra. Era per loro quel dono tanto prezioso.

    Ma poi venne l’uomo con la sua brutalità, incapace di armonizzarsi con quegli esseri straordinari, legittimi proprietari d’Irlanda.

    Ora i fratellini elfi dovevano nascondersi nelle colline e non potevano mai uscire se non di notte o durante la tempesta, le fate avevano reciso le loro minuscole ali e si erano rinchiuse nei gusci delle mandorle avvelenandole e le dolci sirene avevano chiuso per sempre i loro occhi nelle profondità dei laghi.

    Gli uomini avevano punteggiato le scogliere con i loro insediamenti, le loro case, i loro villaggi, la loro puzza di morte.

    Era un villaggio di gente semplice Doolin. Pescatori per lo più, che si alzavano prima dell’alba per uscire in mare e sfidare le terribili correnti atlantiche che rischiavano di mandare in frantumi le loro fragili imbarcazioni, spingendole addosso alle cliffs.

    ‘Quanti sforzi per rubacchiare un po’ di pesce… Sciocchi umani! Potreste vivere nutrendovi dei frutti della terra senza correre tanti rischi!’ pensò l’Onnisciente sfiorando le loro menti sopite, stanche dopo una dura giornata di lavoro.

    Eppure provava una certa considerazione per quegli individui. Nonostante trovasse riprovevole nutrirsi di creature vive per esseri che potevano benissimo sostenersi cibandosi con ciò che la terra offriva loro, non poteva che ammirare il coraggio e la determinazione di quegli uomini che, pur di sfamare i loro figli, rischiavano la vita affrontando grandi pericoli.

    Poteva sentire il respiro nel sonno di tutte le 1030 anime di Doolin… No erano 1032! Due vite ancora non erano venute alla luce, ma erano in cammino, nei ventri delle loro madri. Si lasciò cullare per un attimo dal ritmo regolare dei sospiri degli umani nei loro letti.

    Il villaggio, con le sue semplici casette era già alle sue spalle, in pochi istanti sarebbe stato lontanissimo, a nord.

    Bear Island. Quella era la sua destinazione. Un’isola perduta in mezzo al Mare di Barents, a sud delle isole Svalbard, disabitata a eccezione di una stazione meteorologica: un luogo perfetto per una riunione di Grandi Spiriti.

    Ma qualcosa lo trattenne. A un tratto, nell’armonia dei sussurri udì una nota stonata. Un piccolo respiro, si faceva sempre più affannoso e a tratti scompariva, poi riappariva e con gran fatica riprendeva, ma era sempre più fioco, quasi un rantolo.

    Poteva sentire la vita fluire via a ogni soffio. Sapeva che da qualche parte a Doolin, quella notte, qualcuno stava morendo. Qualcuno di molto piccolo… Un bambino!

    Un piccolo umano stava morendo nel sonno.

    Be’, non era certo un evento. Quanti ne aveva visti morire così?

    Gli umani le chiamavano morti in culla ed era la peggiore disgrazia che potesse toccare a una coppia. Ne soffrivano moltissimo. Si poteva dire che impazzissero dal dolore.

    Nella sua lunga esistenza aveva assistito al dramma della perdita dei cuccioli d’ogni specie. Era da sempre una cosa che lo affliggeva, ma purtroppo, doveva lasciare che avvenisse.

    Era solo un bambino. Uno dei tanti. Niente di straordinario. Niente per cui valesse la pena compiere una deviazione. Avrebbe dovuto proseguire il suo cammino…

    Non poteva certo impedire il naturale corso degli eventi! E per cosa poi? Un umano? Meglio così. Uno in meno libero di danneggiare la sua terra.

    Ma era proprio questo il punto. Lui poteva tutto. Qualsiasi cosa. Se per un capriccio avesse deciso di cambiare il moto rotatorio terrestre, lo avrebbe fatto. Se un giorno gli fosse venuto a noia l’ossigeno nell’aria, avrebbe potuto eliminarlo. Poteva ordinare al mare di inghiottire le città e inabissare continenti interi.

    Questi erano i poteri degli Onniscienti. Poteri assoluti, sconvolgenti. Ma da usare con una certa discrezionalità, ovviamente! Vi erano codici e regolamenti anche per loro.

    Il piccolo respiro era ormai impercettibile e presto sarebbe scomparso del tutto. Evidentemente il ciclo vitale del piccolo umano era giunto al termine. Forse era semplicemente troppo fragile per sopravvivere, o magari i suoi genitori erano stati sbadati e non avevano avuto cura di lui. In ogni caso il suo destino era segnato. Doveva morire.

    Inspiegabilmente, l’Onnisciente fu preso da una curiosità pungente.

    Provava compassione per quella debole creatura che lottava per riempire i piccoli polmoni senza riuscirvi.

    In un istante tornò indietro e con la sua immensa essenza, avvolse l’intero villaggio, appoggiandosi sui comignoli diroccati, aderendo alle tegole coperte di minuscoli licheni e ai mattoni con cui gli uomini costruivano le loro buffe tane.

    Non ebbe bisogno di cercare tra le casette per sapere qual’era quella da dove proveniva tanta sofferenza. La individuò immediatamente e vi concentrò tutta la sua attenzione, escludendo le altre e i loro abitanti dalla sua vastissima mente.

    Era una casa come tante altre, fatta di mattoncini scuri, con una corte sul retro, fili per stendere e un basso steccato dipinto d’azzurro.

    Non doveva aprire porte o finestre per entrarvi, era puro spirito, poteva andare ovunque volesse, semplicemente lasciando libera la sua coscienza millenaria.

    In una frazione di secondo perlustrò la piccola dimora. Era arredata poveramente con semplici mobili di legno grezzo dipinti con colori sgargianti. Tutto era in ordine e sapeva di pulito, il bucato era stato piegato e riposto in una grossa cesta di vimini e un vaso con un mazzo di fresie fresche che adornava la piccola tavola rotonda in cucina. Sentiva il profumo dell’impasto del pane che lievitava in una credenza. L’indomani mattina probabilmente, sarebbe stato cotto nel forno a legna. C’era odore di cipolle nella cucina, doveva essere rimasto dalla loro cena.

    La casetta era su un piano solo, poche stanze, niente di diverso rispetto alle dimesse abitazioni degli abitanti di Doolin. A parte il fatto che nel cortile mancavano le reti da pesca stese ad asciugare che facevano bella mostra di sé in tutte le altre corti del villaggio.

    In una stanza a nord dormiva una giovane coppia.

    Anche se la primavera si stava avvicinando, c’era molto freddo e i loro respiri regolari producevano ogni tanto una nuvoletta di vapore alla salvia.

    La donna aveva i capelli lunghi, rossi come il tramonto sulle scogliere, sparpagliati sul cuscino e profumava di gelsomino. Era molto giovane, con un colorito roseo degno di una principessa delle fiabe.

    L’enorme uomo sdraiato accanto a lei, sicuramente suo marito, dormiva supino con il grande petto che si alzava e si abbassava regolarmente a ogni respiro. Aveva anche lui i capelli rossi, ma un rosso meno acceso, più vicino al biondo, come tabacco bruciacchiato, e una pelle leggermente più scura rispetto a quella, candida, della moglie.

    Le sue mani erano grandi e forti, piene di calli e segnate da mille piccole cicatrici. Un agricoltore.

    L’Onnisciente poteva ancora sentire l’odore di terra sotto le sue unghie.

    La donna dormiva accovacciata in posizione fetale, con una mano bianca e piccola come quella di una bambina, appoggiata sul braccio muscoloso del marito.

    Si amavano, il Grande Spirito lo sentiva chiaramente.

    Il bambino non era con loro. Era nella stanzetta accanto.

    Questa era la piccola famiglia che la comunità umana di Doolin conosceva come i Brennan.

    L’Onnisciente frugò nelle loro menti e vide una vita semplice, fatta di giorni tutti uguali, di sorrisi e d’affetto, di pane spalmato con la marmellata, di stufati di verdure e di risate allegre.

    Provò un’immensa tenerezza per quel piccolo nucleo, quel piccolo branco che stava per essere spezzato e si apprestava a provare un dolore immenso.

    Così, senza pensarci troppo, sbirciò nell’immediato futuro della famigliola. Solo un’occhiata si disse.

    Vide la giovane donna alzarsi alle prime luci dell’alba, con la camicia da notte immacolata e i piedi scalzi. Quando era in piedi, i capelli le arrivavano fino alla vita, come una scarlatta copertina fluttuante. Stropicciò con le mani i suoi grandi occhi verdi, ancora assonnati. Era bellissima.

    La vide rabbrividire per il freddo del mattino e prendere lo scialle dalla sedia accanto al letto. Si diresse verso la camera del bambino slacciandosi i bottoni della camicia per allattarlo, scoprendo un seno bianco e florido.

    Poteva sentirla sorridere e borbottare: Hai dormito tanto oggi mascalzone! Di solito a quest’ora vuoi magiare e strilli come un piccolo rapace!.

    Che crudele illusione!

    Poi osservò la giovane madre dirigersi verso la culla e sentì che nel suo cuore, nelle sue viscere, qualcosa turbinava. L’istinto, per quanto gli umani non volessero mai ammetterlo, era sempre un passo avanti. Il suo corpo già sapeva e la metteva in guardia.

    Di lì a qualche ora il futuro a cui l’Onnisciente stava dando una sbirciatina, sarebbe diventato realtà. A ogni respiro soffocato del bimbo, quel terribile destino, diventava una certezza ineluttabile.

    Avvicinandosi alla culla, la ragazza avrebbe visto il piccino che dormiva a pancia in giù. Lo avrebbe girato delicatamente per svegliarlo e si sarebbe trovata davanti agli occhi la scena più terribile per una madre. Il bambino con il visino completamente blu.

    Morto.

    Morto mentre lei riposava ignara nella stanza accanto.

    La sua immensa essenza si contrasse, quando sentì l’urlo straziante che avrebbe lacerato il suo giovane animo e vide la donna gemere e stringere al petto il piccolo corpicino blu, ormai freddo da alcune ore.

    Poi vide anche il marito correre nella stanza con gli occhi sbarrati, per vedere cosa accadeva alla sua sposa. Ma le sue possenti braccia non potevano nulla contro quella catastrofe.

    L’Onnisciente volle indagare ancora nel futuro della giovane famiglia e, nel tempo di un battito di ciglia, vide i mesi successivi alla morte del bambino. Vide i due sposi che prima ridevano e si amavano, chiusi ognuno nel suo dolore. Il colorito roseo era svanito dalle guance della donna. La osservò, mentre preparava i pasti per suo marito, mentre puliva e rammendava, ma vide che il suo cuore era nero. E poi la vide sulla cresta della scogliera di Moher e guardò il suo bianco corpo cadere.

    Molte femmine umane reagivano così alla morte dei loro cuccioli. Perché quello per loro era un dolore intollerabile.

    L’Onnisciente si dispiacque per quella famiglia così giovane eppure così sfortunata.

    Gli piacevano i Brennan. Erano unici. Diversi. Sentiva che non solo si amavano tra loro, ma che amavano anche tutte le altre creature che li circondavano.

    Lo aveva visto nelle loro menti e poteva capirlo dal fatto che nei loro corpi non vi era traccia di sangue animale. Evidentemente non se ne nutrivano.

    Le sue considerazioni furono interrotte dall’ansimare sempre più debole del bambino che rimbalzò nella sua mente.

    Lasciò la giovane coppia al suo riposo e diresse la sua essenza nella cameretta accanto. Vi entrò, compattandosi e turbinando in quei pochi metri quadrati, ma senza produrre alcun effetto visibile a occhio umano.

    Guardò il piccino annaspare nella culla e percepì tutta la sua sofferenza. Ormai mancava poco. Forse qualche minuto.

    Se avesse voluto, avrebbe potuto aiutarlo ad andarsene senza soffrire ulteriormente.

    Era proprio un bel bambino. Aveva i capelli scarlatti della madre e il suo stesso colorito roseo.

    Ancora pochi istanti. Il faccino era già quasi blu. Il suo fato ormai era compiuto. Se avesse voluto, senza troppe implicazioni, avrebbe potuto salvarlo.

    Ma doveva andare. Gli altri Onniscienti lo stavano aspettando, avevano importanti decisioni da prendere, perché si attardava ancora?

    Adesso vado….

    Eppure stava lì a guardare il piccolo umano esalare l’ultimo respiro. Adesso vado….

    Ma si soffermava su quelle braccine morbide, profumate di talco.

    Desiderò entrare nel suo animo e osservare i suoi ricordi. Ma che ricordi potrà mai avere un esserino così piccolo? si rimproverò. E invece spiò, avido di conoscerlo e vide… La mamma in cucina che impastava il pane, uccelli, cani, gatti… I ricordi di questo bambino sono pieni di animali rimuginò l’Onnisciente.

    Sentì una gran pena per quella piccola vita spezzata.

    Inaspettatamente, si accorse di un’altra presenza nella stanza. Come aveva potuto non notarla? Certo era molto assorto dal piccolo umano e dalla sua famiglia…

    Una gatta bianca e nera era entrata a passo svelto nella stanza e con un balzo, si era infilata nella culla, accanto al bambino.

    Lo Spirito, incuriosito, entrò nella sua mente e ci si accoccolò per bene.

    I gatti, come tutti gli altri animali, potevano sentire la presenza degli Onniscienti e comunicare con loro. Sensibilità che gli umani, ovviamente non avevano, visto che vivevano le loro vite all’oscuro della loro esistenza.

    Eppure era entrata nella stanza e lo aveva ignorato, precipitandosi dal bambino.

    Salvalo! lo implorò, senza nemmeno salutarlo, cosa assolutamente obbligatoria per tutte le creature che volano, nuotano, strisciano, respirano e dotate di più di due cellule.

    Sai chi sono scellerata? aveva scherzato lui, facendosi beffe della sua angoscia.

    Sì, lo so. Perdonami mio Signore, ma ti prego, salvalo aveva continuato l’insolente, incurante della gravità del suo comportamento.

    Perché dovrei? la provocò.

    Perché io lo amo tanto! si era affannata a rispondere nella sua mente.

    E perché mai lo ami? È solo un umano. È una creatura miserabile, non merita nulla e tu lo sai. Tu non dovresti affezionarti a questi esseri, sai che sono falsi e crudeli e che un giorno ti abbandoneranno o prenderanno la tua pelliccia per farne un collo da cappotto e butteranno i tuoi piccoli dalla scogliera! la ammonì.

    Aveva momentaneamente sorvolato sul fatto che la gatta non aveva ancora provveduto a rendergli omaggio, né pareva averne alcuna intenzione.

    No! Loro no! Sono buoni! Amano tutte le creature, amano me, i miei cuccioli, gli uccellini, le capre, i maiali, le galline, le mucche! Non se ne nutrono e non vestono le loro pelli! Vogliono bene anche ai ratti e mi sgridano quando li uccido! Sono buoni con me, mi trattano bene, mi considerano una loro pari e so che non mi lasceranno… Sono diversi dagli altri! Ti prego, Grande Maestro, Grande Spirito, Saggezza Infinita, salva questo bambino! Per te ogni cosa è possibile! supplicò la bestiola socchiudendo i suoi bellissimi occhi ovali.

    Ma l’Onnisciente sapeva già tutte queste cose, aveva capito immediatamente che si trattava di umani particolari. Forse era proprio questo che gli aveva impedito di proseguire il suo cammino. Ma non poteva certo permettere che una qualunque gatta di campagna si mettesse a dargli ordini.

    No disse laconico. Aveva una credibilità da mantenere.

    Nello spazio del dialogo silenzioso tra le loro menti, il minuscolo respiro affannoso cessò. La gatta si acciambellò accanto al bambino con la testa appoggiata sul suo pancino e il naso a pochi millimetri dalle piccole labbra viola.

    Lo Spirito poteva sentire che soffriva per il piccolo umano come se si fosse trattato di un suo cucciolo. Ti prego… ripeté senza muoversi.

    Le ipotesi erano due. O questa gatta aveva perso il senno e meritava una lezione per il suo comportamento villano, oppure aveva ragione e quello era davvero un bambino speciale. Un umano raro che non poteva essere lasciato andare…

    Non senti? È già morto provò a convincerla.

    Era vero. La vita aveva abbandonato quel corpicino e il futuro che l’Onnisciente aveva visto per la sua mamma ormai era realtà. I genitori del piccolo dormivano sereni, non potevano immaginare cosa li attendeva al loro risveglio.

    Ma la morte, se si è onnipotenti, non è un limite.

    La gatta non si mosse. Restò accanto al cucciolo d’uomo. Era molto bella. Aveva un pelo lucidissimo ed era grande quasi quanto il piccolo cadavere che si ostinava inutilmente a scaldare con la sua morbida pelliccia bicolore.

    Lo Spirito aleggiò nella casa e stette a lungo nella stanza del bambino, poi, con un moto repentino della sua essenza, si allontanò bruscamente dalla casa, da Doolin e dall’Irlanda.

    Ma quando fu a diverse miglia marine da quella terra, il volto del piccolo umano morto tornò a tormentarlo.

    Altre volte aveva albergato nel corpo di un bambino che poi era diventato uomo.

    Si era sempre trattato di grandi uomini, persone che dovevano far evolvere l’umanità, uomini che fin da piccolissimi mostravano segni tangibili di genialità, compassione, forza, coraggio e sensibilità, caratteristiche uniche, quasi introvabili in una specie simile. Non erano bambini qualsiasi, trovati per caso in villaggi sperduti sulle scogliere. Il loro futuro veniva analizzato in ogni dettaglio da tutti gli Onniscienti riuniti in Consiglio, poi veniva scelto l’eletto che diventava uno dei personaggi storici a cui tutto il genere umano avrebbe dovuto far riferimento. Possibilmente senza travisarne il messaggio.

    Ma per quanti sforzi avessero fatto fino a quel momento lui e i suoi fratelli, nulla era riuscito a smuovere la stolidezza degli uomini. La loro natura avida e bramosa li portava a fraintendere ogni insegnamento che ricevevano e a rivoltarlo per il proprio tornaconto.

    Persino uno dei loro tentativi di maggior successo era stato mal interpretato.

    Poco meno di duemila anni umani prima, uno dei suoi fratelli albergò dentro un uomo dal cuore puro e indomito. Un uomo solo era riuscito dove nessun altro era riuscito prima. Parlava di amore, fratellanza, uguaglianza con il prossimo.

    Ovviamente, lui intendeva, tutte le creature, ma gli uomini, come al solito, avevano distorto il senso delle sue parole e si erano convinti che con prossimo intendesse solo il genere umano. Nella loro mente abominevole ciò giustificò gli atti crudeli e insensati che commisero su chiunque non ritenessero loro prossimo. Persino contro la loro stessa specie.

    Forse erano destinati davvero a scomparire portandosi dietro tutto il pianeta che stavano distruggendo e che non erano degni di abitare.

    Gli Onniscienti ne avrebbero costruito un altro. Migliore. E senza esseri umani. Avrebbero disperso nel vento il genoma che aveva consentito lo sviluppo di quelle creature infestanti.

    Dove avevano sbagliato? Che cosa avevano omesso?

    Era strano che un essere dai poteri infiniti si ponesse dei dubbi, ma interrogarsi sul proprio operato era una parte del pesante fardello che portava ogni Onnisciente.

    Un’idea mai considerata prima bussò ai margini della sconfinata coscienza di quell’essere senza tempo bloccandolo a mezz’aria sulla superficie del mare in burrasca.

    Forse la salvezza degli umani e del pianeta non doveva partire da grandi personaggi, da scienziati e filosofi, da semidei, da re o grandi politici.

    Forse la redenzione poteva partire da persone qualsiasi. Persone che vivevano in semplicità, ma che amavano e rispettavano gli altri esseri viventi. Persone che avevano in sé l’equilibrio.

    Si erano sempre incarnati in uomini dal futuro grandioso, non avevano mai pensato di farlo con umani comuni, che non sarebbero stati ricordati nei libri di storia o non avrebbero dato vita a nuove religioni o dottrine trascinanti.

    E se quella fosse stata una famiglia speciale? Se con la sua vita semplice e felice ma nel rispetto di tutti gli esseri viventi, con il suo amore avesse ispirato i suoi simili, anche solo nella piccola Doolin? Forse quel bambino, se fosse sopravvissuto, avrebbe potuto portare il suo esempio ad altre persone, o magari ne avrebbe incontrate altre come lui e avrebbe migliorato, almeno un po’, la condizione degli umani… Forse non tutti gli umani erano così spregevoli.

    Virò improvvisamente e in un soffio, fu di nuovo nella piccola casetta dei Brennan al capezzale del bambino.

    Lo guardò ancora una volta con attenzione. Era passato qualche minuto dalla sua morte e la sua pelle era fredda e livida, ma il suo viso era ancora bellissimo. Somigliava alla bambina di un dipinto di Klimt, Le tre età della donna. Lo ricordava bene perché era lì, mentre l’autore lo dipingeva. Nel corpo di un ragno che ciondolando dal soffitto, tesseva il suo filo di seta.

    "E così questo sarebbe il mio prossimo uomo?" domandò a se stesso.

    Avrebbe potuto semplicemente riportarlo alla vita, come aveva fatto in passato con altre creature per le quali provava interesse. Non era tenuto ad albergare in lui per salvarlo. Gli sarebbe bastato sfiorarlo con il suo tocco immortale e avrebbe semplicemente ripreso a respirare. Eppure, più stava in quella stanza, così povera ma dignitosa e linda, più provava il desiderio di riportare alla vita quel piccolo corpo. Ma non solo. Era inspiegabilmente attratto da quel bambino. Desiderava abitare in lui, dimorare nel suo cuore, restare in un angolo fino a quando il suo corpo avrebbe avuto la giusta età e sarebbe stato abbastanza grande da comprendere chi era e quale potenza si celava in lui.

    La gatta lo guardò speranzosa con i suoi occhi gialli. Non poteva udire i suoi pensieri se lui non glielo concedeva.

    Kiki. Così la chiamavano gli umani di quella casa, lo aveva letto nelle loro menti. Ma Loah era il suo vero nome, quello che le aveva dato sua madre quando era nata. L’Onnisciente pensò che era davvero un bel nome.

    E poi aveva un debole per i gatti…

    Starai bene con noi, Mio Signore ronfò piano. La furbetta aveva già capito le sue intenzioni.

    Lo spero per te gatta. Sospirò.

    I fratelli avrebbero saputo. Gli Onniscienti sanno sempre tutto.

    Avrebbero compreso? Sperava proprio di sì. Stava infrangendo qualche migliaio di regole, ma aveva tuta l’eternità per spiegare le sue motivazioni.

    Allontanati ordinò nella mente di Loah e lei ubbidiente balzò giù dalla culla. L’Onnisciente si preparava a compiere il prodigio.

    Incarnarsi richiedeva un grande sforzo, anche per un essere supremo, per questo, dopo, avrebbe riposato per lungo tempo. Fino a quando il bambino non sarebbe diventato abbastanza forte, sarebbe stato in un angolo, piccolo, piccolo, dentro il suo cuore, una perla preziosa in fondo al mare. Avrebbe dato al piccolo il tempo di crescere e lui si sarebbe ritemprato dalle fatiche dell’incarnazione. Ma la sua esistenza, non sarebbe mai stata davvero dormiente. La presenza di un Onnisciente in un umano condiziona tutta la sua vita. Lo rende speciale. Molto speciale.

    Il Grande Spirito raccolse i suoi pensieri remoti e iniziò a concentrare tutta la sua immensità riducendola palmo a palmo. Era uno sforzo notevole far diventare materiale l’immateriale. La gatta si rifugiò sopra una mensola, abbastanza in alto da poter tenere sotto controllo la situazione.

    Come se potesse far qualcosa! sorrise tra sé l’Onnisciente.

    L’aria nella stanza prese a tremolare, ma solo i magici occhi del piccolo felino erano in grado di cogliere lo sfarfallio dell’atmosfera.

    Lo Spirito continuava a contrarsi sempre di più, ritirandosi e addensandosi, carezzando in un dolce saluto tutti i luoghi nei quali contemporaneamente si trovava la sua coscienza. Trascinava via il suo essere dalla scogliera, dalla valle, dai tetti del villaggio, dalle strade, arrotolandolo a un immenso gomitolo invisibile. Si raggrumò interamente nella casetta dei Brennan, scivolò via dalla stanza dei genitori del bimbo per condensarsi a mezz’aria, a una spanna dai baffi di Loah.

    Poi si dedicò ai suoi sensi, alle sue percezioni. Smise di sentire i respiri delle persone, dei cani, dei gatti, degli insetti. Non sentiva più la linfa scorrere nelle foglie delle piante. Non sentiva più il brulicare della vita di tutto il suo creato, rimasto fuori da quella stanzetta disadorna. Tutta la sua straripante entità diventò grande quanto un pugno.

    Loah sgranò gli occhi e rizzò il pelo sulla schiena. La sua pupilla si fece una fessura sottilissima, mentre ammirava il denso globo di luce che roteava vorticosamente al centro della stanza, proprio sopra la culla del bambino.

    La sfera luminosa mandava lucenti bagliori verdi, azzurri, viola e bianchi che si avvicendavano talmente repentinamente da essere appena percepibili, producendo una luce meravigliosa. Le orecchie sensibili della gatta colsero allora, quello che pochi esseri viventi sulla terra avevano avuto la fortuna di udire. Dal globo cominciarono a provenire suoni indistinti e flautati, un canto sommesso e celestiale. Era come se tutti gli elementi del pianeta si fossero concentrati in quel pugno luminoso. Voci che mai avevano cantato insieme si unirono in un coro estatico. Ogni elemento dette il suo contributo. L’ululato del vento, il rombo del tuono, il fragore delle onde, lo scrosciare della pioggia, il gorgoglio dei torrenti, il fruscio delle foglie sugli alberi… E poi animali che mai prima d’ora avevano danzato insieme, si unirono in un valzer di commiato. Le balene cantarono con i falchi, i lupi guairono con i cacatua, i leoni ruggirono all’unisono con il cinguettio delle tortore, il tutto accompagnato dall’arcobaleno di colori del globo.

    Si poteva impazzire per la bellezza di quella luce e di quella musica. Se un uomo, creatura fragile e dalla psiche assai debole, avesse assistito a uno spettacolo simile, tanta bellezza l’avrebbe sicuramente condotto alla follia, o persino alla morte.

    Il globo si fece sempre più piccolo e vibrante, si contraeva e pulsava come un minuscolo cuore. Man mano che rimpiccioliva, il turbine di luci diventava sempre più bianco e violento e il canto degli elementi divenne sempre più fievole fino a scomparire del tutto.

    L’essenza dello Spirito Errante era ormai grande quanto la mano del bambino. Una manina fredda come la morte.

    Loah! chiamo la voce dell’Onnisciente.

    Sì mio Signore! rispose tremante la gatta.

    Tu mi hai pregato di salvare questa vita e io ho deciso di darti ascolto. Ma quello a cui tu assisti oggi è ben di più. Lo sai vero? domandò.

    Sì mio Signore…. Aveva paura, i suoi pensieri erano confusi, era solo una gatta di campagna, che ne sapeva lei d’incarnazione?

    Loah! chiamò ancora.

    Sì? balbettò, con le orecchie schiacciate sul cranio tondeggiante e la coda gonfia.

    Tu sei la testimone di quest’avvenimento. Tu sei la guardiana del piccolo umano. Tu conosci il suo segreto. Non dovrai mai più parlarmi fino a quando io non ti richiamerò dal mio riposo. Dovrai essere per lui quello che sei stata finora. E lui sarà per te quello che è stato finora. Solo un cucciolo d’uomo. Capisci?.

    Ma come… provò a obbiettare.

    "È necessario che cresca come tutti gli altri bambini. Che siano i suoi genitori a farne l’uomo che diventerà. Io sarò in lui e suggerirò il suo cuore. Niente di più. Un giorno, quando sarà pronto, mi svelerò a lui. Ci siamo intesi?» ordinò. La sua voce era severa ma comprensiva e benevola al tempo stesso.

    Sì mio Signore! rispose prontamente la gattina, cercando un po’ di coraggio in fondo alla sua anima.

    Sei pronta a giurare?.

    Sì!.

    Sto aspettando….

    Loah non aveva mai giurato, ma sapeva come si faceva. Lo aveva imparato da sua madre. Tutte le creature della terra sanno fare il giuramento. È in loro dal giorno della loro creazione. Tutti tranne gli umani ovviamente.

    Una piccola vena di vanità, davvero molto piccola, per esseri infinitamente potenti come gli Onniscienti.

    La gatta si mise seduta composta, con le belle zampe candide ben dritte davanti a sé, schiarì la voce nella sua mente, trasse un sospiro e iniziò a recitare l’antichissima formula: Io Loah, figlia di Meah, giuro di portare in me il segreto della bellezza, della forza, della grazia, della vita che mi è stata donata dagli Spiriti nella notte dei tempi. Giuro, su ogni goccia del mio sangue di non rivelare alle creature indegne il mistero della rinascita e giuro fedeltà al mio Signore che nella sua grandezza è giunto fin qui e si è incarnato in questo misero essere, giuro solennemente di….

    Va bene, va bene, per me può bastare. Sei una brava gatta Loah, proteggi i tuoi piccoli… Ora fai silenzio la interruppe.

    Non aveva mai amato tutti quei formalismi, ma era suo dovere richiederli.

    Il globo di luce riprese a contrarsi e cominciò a volteggiare freneticamente per la stanza rimbalzando lungo le pareti. Diventava sempre più piccolo, ma sempre più luminoso, una luce accecante persino per gli occhi di Loah che dovette chiuderli immediatamente.

    Poi, lentamente, i movimenti si fecero più lenti e il globo accecante volteggiò con grazia fino al centro della stanza. Aveva mutato consistenza, tramutandosi in una minuscola goccia d’acqua.

    Una goccia d’acqua tremolante e luminosa. Come una stilla di rugiada che aggrappata a uno stelo d’erba viene colpita dai primi raggi del sole.

    La gatta, riaprì piano gli occhi e vide che la gocciolina danzava sulla culla, avvicinandosi al viso cinereo del bambino. Si posò sulla sua fronte, scivolo giù lungo il nasino e si fermò sulla sua boccuccia da latte.

    In un ultimo tremolio, la goccia vitale scivolò tra quelle piccole labbra violacee.

    Il bambino era ancora immobile. Freddo.

    Bluastro.

    Ma la gatta, fiduciosa, balzò giù dal suo rifugio e s’intrufolò nuovamente nella culla del bimbo. Lo annusò per vedere se ricominciava a odorare di vita.

    Ricordati Loah, hai giurato la ammonì di nuovo la voce del potente spirito e poi tacque.

    Si accovacciò, vicino al petto del suo adorato bambino e mise il musetto sotto la sua ascella, come faceva tutte le notti da quando era nato.

    Aspettò e aspettò per un tempo che le parve interminabile e poi d’un tratto udì un rumore familiare…

    Bum.

    Bum. Bum. Bum

    Il suo cuoricino! Il piccolo cuore veloce del suo cucciolo umano!

    Prese a leccargli piano la manina, dolcemente, come faceva sempre per non irritare la pelle delicata con la sua lingua ruvida come carta vetrata.

    Sentiva a poco a poco il calore fluire nelle vene del bimbo e quando lo guardò in viso, vide che non era più blu, era di nuovo roseo e sereno.

    Il suo bellissimo cucciolo rosa!

    Grazie mio Signore mormorò commossa. Non udì nessuna risposta e capì.

    Forse non avrebbe vissuto abbastanza per poter parlare ancora con il grande Onnisciente, ma era felice.

    Il bambino dormiva tranquillo. Il suo respiro era regolare.

    Era l’alba e presto la sua mamma sarebbe arrivata per allattarlo. Già le sue labbrucce si stringevano in sogno intorno al capezzolo per suggerne il nettare.

    Mmm… È buona la mamma, sa di buono, ha un buon profumo…

    Sarebbe arrivata come tutte le altre mattine e con il sorriso più luminoso del mondo e mille paroline senza senso, lo avrebbe tirato su dalla culla che aveva costruito per lui il suo papà.

    L’aveva fatta con le sue mani.

    Mani grandi e ruvide. Mani odorose di terra e fatica. Le mani di un agricoltore.

    Le mani che lo prendevano in braccio, che gli facevano annusare i fiori e toccare le foglie degli alberi, su, su, in alto, sulle sue spalle poderose.

    Era una culla solida e finemente scolpita. In legno di noce, decorata con fregi di foglie di quercia lungo i bordi e adorna delle morbide lenzuola di lino che la mamma aveva ricamato per lui con motivi di verdi piante rampicanti e viti rosse e dorate.

    Il suo papà vi aveva inciso il suo nome lo stesso giorno in cui era venuto al mondo, con le mani ancora tremanti e gli occhi lucidi per l’emozione.

    Era nato il primo giorno d’autunno, quando le foglie diventano d’oro e si staccano dagli alberi con un lieve lamento.

    Per questo, sua madre aveva deciso che il suo nome doveva essere Leaf. Leaf Aidan Brennan.

    2. PICCOLO MOSTRO

    Irlanda occidentale, luglio 1980

    Una massa di riccioli rosso fuoco svolazzava incolta e disobbediente per i verdi prati estivi dell’isola smeraldo. Bianchissimi piedini paffuti sfioravano gli steli d’erba fresca piegandoli appena.

    Qualche passo indietro, una bellissima donna dai capelli color tramonto che le arrivavano fino ai fianchi, inseguiva il piccolo scalmanato.

    Leaf! Aspetta!. Una risata argentina esplose dal petto florido, pallido come la luna.

    Il bimbo, velocissimo, fece una brusca frenata, tornò indietro, e cominciò a girare attorno alla donna con la lunghissima chioma vermiglia, caricando come un piccolo ariete.

    Sfinita, la ragazza si lasciò cadere sull’erba umida e allungando un braccio candido, cinse la vita del demonietto trascinandolo giù con se.

    No mamma! gridò il bimbo con una voce acutissima.

    I due restarono sdraiati sull’erba a guardare il cielo azzurro punteggiato di soffici mucchietti bianchi. Si divertivano a descrivere la forma di ogni nuvola e a inventare nomi di animali mai sentiti prima.

    Si somigliavano tantissimo. I capelli erano dello stesso rosso acceso, insoliti persino in un paese dove la maggior parte della popolazione sfoggiava capigliature tizianesche.

    Avevano la stessa pelle chiarissima e la medesima bocca rosea, ben disegnata, con il labbro superiore un po’ più pronunciato.

    Persino i loro occhi erano simili. La madre aveva gli occhi verdi, grandi e limpidi, con lunghe ciglia, anch’esse rosse come i capelli. Aveva uno sguardo dolce, pieno d’amore e felicità, severo quando serviva, sempre vigile e protettivo verso il piccolo Leaf.

    Erano occhi gentili che carezzavano tutte le creature che incontravano con benevolenza e delicata meraviglia. Due laghi tranquilli dove era bello immergersi e riposare.

    Eileen… Nell’antica lingua significa raggio di sole e Leaf credeva che non ci fosse al mondo un nome più adatto per la sua mamma. Anche lui aveva gli occhi verdi, ma era un verde molto diverso da quello di sua madre.

    Nessuno a Doolin aveva mai visto occhi simili ai suoi.

    Il verde delle sue iridi era così intenso, sembrava appena spremuto dal tubetto di tempera di un pittore.

    La luce che emanavano i suoi occhi ammaliava chiunque si trovasse in sua presenza.

    Era come se il verde di tutta la natura d’Irlanda si fosse concentrato in quelle piccole gocce di smeraldo purissimo.

    La sconcertante colorazione delle iridi di Leaf mutava in maniera repentina al variare dell’umore del piccolo, tanto che Eileen aveva imparato a riconoscere gli stati d’animo del figlio solo guardando il colore che assumevano i suoi occhi.

    Potevano diventare verde – grigio come i prati in inverno e allora, sapeva che il bambino era triste o angosciato. Oppure potevano assumere una tonalità verde – cupo come le foglie del faggio e ciò significava che era arrabbiato. Se rideva o era felice, il verde raggiungeva un’assurda sfumatura quasi fosforescente e quando si annoiava, schiariva come le foglie appena nate sui rami in primavera. Mentre se si sentiva stanco assumeva una sfumatura giallastra, tipica delle caduche foglie autunnali.

    Eileen non aveva mai pensato che questo fosse un fenomeno strano, bizzarro. Era suo figlio, che cosa poteva esserci di strano?

    Eppure in molti, in paese, avevano cominciato a evitare la giovane famiglia, soprattutto se con loro c’era Leaf.

    Piccolo Lúgh¹, avevano preso a chiamarlo di nascosto, riferendosi ai Túatha Dé Danann, le antiche divinità irlandesi.

    Ma alcuni, i più maligni, lo chiamavano semplicemente pooka, folletto. Se solo avessero saputo di chi si stavano prendendo gioco.

    Poteva sentirli tutti, qualsiasi cosa dicessero, ovunque fossero. Se anche si fossero nascosti nella cantina più buia del villaggio, lui avrebbe udito le loro voci.

    Apparentemente era solo un bambino, ma dentro di lui, si celava un mistero grandissimo.

    Leaf sapeva di essere diverso. Unico. Insomma, speciale, ma doveva ancora comprendere se ciò fosse una cosa positiva per lui.

    Ne aveva coscienza da sempre e non ne faceva mistero, per questo gli altri abitanti di Doolin lo trattavano da emarginato. Non era ancora in grado di dissimulare, ma l’istinto o qualcosa di cui ignorava l’esistenza, gli consigliava di non svelare a nessuno, nemmeno ai suoi amati genitori, i dettagli più bizzarri e inquietanti delle sue capacità.

    Inconsciamente, sapeva che per lui era vitale non farsi scoprire.

    In realtà, il piccolo Leaf non immaginava cosa fosse a renderlo così diverso dai suoi coetanei. Viveva la sua vita senza porsi troppe domande, in questo sì, era come tutti gli altri bambini della sua età.

    Era troppo giovane e il Grande Spirito che lo aveva restituito alla vita era ancora assopito, anche se a volte faceva capolino tra le sfumature delle sue percezioni.

    Solo quando l’Onnisciente che dimorava nella sua anima si sarebbe manifestato e Leaf ne avrebbe assunto la consapevolezza, avrebbe appreso come padroneggiare pienamente la sua personalità e controllare tutte le sue facoltà straordinarie. Per ora, Leaf era solo uno strano ragazzino con gli occhi luminosi un po’ troppo verdi per essere considerati normali.

    Nemmeno i suoi genitori erano mai riusciti a darsi una spiegazione per quello strano colore. Entrambi possedevano bellissimi occhi verdi, ma non così verdi.

    Ritenevano che fosse una caratteristica che sarebbe svanita così com’era arrivata e che con la crescita sarebbero tornati come prima.

    Perché non erano stati sempre così.

    Una mattina di marzo, quando Leaf aveva circa sei mesi, Eileen si era recata, come tutte le mattine, a prendere il suo bambino dalla culla per allattarlo. Quando il piccolo aveva aperto gli occhi, la ragazza aveva notato quell’insolita colorazione.

    Non trovando una spiegazione logica per quel cambiamento, i genitori del piccolo, si accertarono che vedesse bene e, con grande stupore, appurarono che il bimbo non solo non presentava alcun problema alla vista, ma si accorsero che gli occhi cambiavano continuamente tonalità di verde.

    Ben presto la novità lasciò il posto all’abitudine e gli strani occhi di Leaf non furono più l’argomento principale delle cene della famiglia Brennan.

    Ovviamente, ignoravano che l’assurda colorazione delle iridi del loro bambino fosse un effetto collaterale della presenza di un Onnisciente nella sua anima.

    "Onni che?" avrebbe sicuramente sbottato Doran, il padre di Leaf, con il suo vocione profondo.

    Era un uomo dalla corporatura possente, con un spalle enormi e braccia muscolose.

    Aveva i capelli rossicci, tendenti al biondo, foltissimi, ricci e indomabili, proprio come quelli di Leaf.

    Anche lui aveva la carnagione chiarissima, ma il lavoro all’aria aperta aveva fatto assumere alla pelle del suo viso una sfumatura leggermente dorata. Aveva appena trentasette anni, ma i suoi occhi verde acqua erano circondati da una fitta ragnatela di rughe, dono del vento gelido delle Moher Cliffs.

    Era uno spirito libero.

    In un paese dove tutti gli uomini per vivere andavano a pescare, lui aveva deciso di fare l’agricoltore. E non importava se doveva ammazzarsi di fatica per strappare al terribile burren qualche zolla di terra da coltivare. Un pezzo alla volta, il massiccio calcareo aveva dovuto cedere all’ostinazione di quell’uomo e alla sua tempra d’acciaio.

    Ma, a dispetto delle apparenze, quel contadino rozzo e nerboruto, possedeva una delicatezza innata. Con una mano avrebbe potuto spezzare il collo di un uomo eppure, mai una sola volta aveva inveito contro sua moglie o verso il loro bambino.

    Sapeva essere severo, ma con dolce fermezza. Il suo ampio petto ospitava un cuore gentile.

    Alla sera, su quel grande petto, amava riposare Eileen. Lui le carezzava la testa e respirava il profumo di fiori dei suoi morbidi capelli.

    Era una coppia ancora giovane e innamorata e la loro casa, seppure piccola e modesta, era un regno colmo d’amore, risate e carezze. Non importava se gli altri li consideravano un po’ matti o solo degli hippy stravaganti.

    Il sole era ancora alto nel cielo. Era quasi ora di pranzo.

    Leaf aveva raccolto dei lamponi per la crostata che Eileen doveva preparare.

    Adorava guardare sua madre mentre cucinava. In quei momenti, come per magia, la giovane donna aggraziata lasciava il posto a un alchimista che, con mani sapienti, mescolava gli elementi che offriva la terra per trasformarli in delizie il cui profumo paradisiaco accoglieva, insieme al fresco sorriso della padrona di casa, chiunque entrasse.

    Ed Eileen aveva un sorriso incantevole.

    Il più bel sorriso d’Irlanda, dicevano in paese.

    Avrebbe potuto sposare chiunque avesse desiderato. Ogni uomo di Doolin, o di tutto il Clare, avrebbe fatto follie per lei. Ma Eileen, andando contro tutto e tutti aveva scelto lui, quel contadino di poche parole che si guadagnava da vivere zappando la terra.

    Solo lei conosceva il sapore del meraviglioso miele custodito in fondo all’animo del suo

    Doran.

    Per conquistarla le aveva portato in dono il profumo delle fragole e la brezza del mare, una spiga di grano da mettere fra i capelli e una canzone, intonata sotto un melo.

    Si riteneva la più ricca tra le donne. Possedeva l’incanto di due occhi che la guardavano come se al mondo non ci fosse nulla di più prezioso di un suo bacio e la gioia di una manina piccola piccola nella sua.

    Non c’era nient’altro che potesse desiderare.

    Il cesto era quasi pieno di frutti piccoli e rossi che profumavano d’estate. Erano più che sufficienti per la crostata.

    Leaf, caro, bastano questi. Possiamo andare ora! sorrise Eileen, arruffando la chioma leonina di suo figlio.

    Ma no, dai mamma, ce ne vogliono altri! Così è più buona! insistette il piccolo con la sua voce squillante.

    Dobbiamo andare, papà presto arriverà per pranzo… Non vuoi che non abbia nulla da mangiare vero? lo rimproverò.

    Sarò velocissimo! Prometto!. E le scoccò uno sguardo innocente a cui nessuna mamma avrebbe potuto resistere.

    E va bene… Ma non voglio venire a cercarti d’accordo? si arrese lei.

    Promesso! gridò quando già era lontano.

    Eileen si voltò e riprese la breve strada verso casa con un sospiro.

    Quel marmocchio con lei l’aveva sempre vinta! A dire il vero, pareva che nessuno riuscisse a imporre la propria volontà su quel piccolo demonio.

    Un velo d’ansia disegnò una ruga sottile sulla sua fronte liscia, spolverata da delicate lentiggini rosa. ‘Quel bambino è così spericolato! Non ha limiti…’ pensò.

    Era vero. Non c’era nulla che gli facesse paura o che riuscisse, anche minimamente, a spaventarlo.

    Eileen temeva che, prima o poi, al suo bellissimo bambino sarebbe capitato qualcosa di tremendo, di orribile. Era una sensazione costante, nascosta nell’angolo più buio del suo cuore. Forse era solo la paura di una giovane madre.

    Questo pensiero nefasto le sorse, quando realizzò che Leaf, a differenza di tutti gli altri bambini del

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1