Un'Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese
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La Lux Obnubilata suapte natura refulgens. Vera de Lapide Philosophico Theorica, metro italico descripta, et ab auctore innominato Commenti gratia ampliata (questo è il suo titolo completo) vide la luce nel 1666 a Venezia, con l'enigmatica firma di "Fra Marcantonio Crasellame Chinese". Si tratta di un’ode a soggetto alchemico in lingua Italiana, composta da tre “canzoni”, preceduta da una prefazione in Latino e seguita da un proemio e poi da un commento.
L’opera venne a lungo attribuita a Otto Tachenius, un medico, farmacista e alchimista tedesco del XVII° secolo, ma nel 1956 Pericle Maruzzi dimostrò che questo straordinario testo alchemico è stato in realtà scritto dal Marchese Francesco Maria Santinelli, un nobile ed iniziato pesarese, poeta e cultore di Alchimia molto vicino alla Regina Cristina di Svezia.
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Anteprima del libro
Un'Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese - Arturo Reghini
Τεληστήριον
ARTURO REGHINI
UN’ODE ALCHEMICA
DI FRA MARCANTONIO CRASSELLAME CHINESE
Edizioni Aurora Boreale
Titolo: Un’ode alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese
Autore: Arturo Reghini
Pubblicato sotto lo pseudonimo di Maximus
in Ignis, anno I°,
n° 8-9, Agosto-Settembre 1925.
Collana: Telestèrion
Con saggio introduttivo di Nicola Bizzi
Editing e illustrazioni a cura di Nicola Bizzi
In copertina: miniatura dal trattato Splendor Solis di Salomon
Trismosin, edizione Harley 3469 del 1584 (Londra, British Library)
ISBN versione e-book: 978-88-98635-45-0
Edizioni Aurora Boreale
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William Blake: Illustrazione per il Paradiso Perduto di John Milton
Una rara fotografia di Arturo Reghini in uniforme militare
durante la Prima Guerra Mondiale
ARTURO REGHINI, L’ODE ALCHEMICA
DI FRA MARCANTONIO CRASELLAME
CHINESE E LA RICERCA ERMETICA DI
FRANCESCO MARIA SANTINELLI
di Nicola Bizzi
Prosegue, con il presente breve saggio Un’Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese, il nostro progetto di ripubblicazione, nell’ambito della collana di studi misterici ed iniziatici Telestérion delle Edizioni Aurora Boreale, delle opere del grande iniziato fiorentino Arturo Reghini.
Come ha giustamente affermato il Fratello Moreno Neri, è sempre bene tener viva la memoria di Arturo Reghini e ancor più è ottimo riproporne gli scritti, in quanto bere l’acqua dalla sorgente italica è non solo salutare ma decisivo per avere un punto di orientamento spirituale nella propria ricerca interiore¹.
La lettura delle opere di Arturo Reghini - Pythagoricus Latomusque Insignis (Pitagorico e Massone insigne), come reca inciso la sua lapide nel cimitero di Budrio - non può non ricordarci come Egli sia stato un assoluto gigante del pensiero iniziatico occidentale, un gigante la cui memoria viene oggi inspiegabilmente obnubilata e trascurata, anche e soprattutto in quell’ambito libero-muratorio che avrebbe altresì il dovere morale non solo di ricordarlo e di riscoprirlo ogni giorno, ma di fare tesoro dei suoi studi e dei suoi preziosi insegnamenti. Ma proprio in certi ambiti, cha a lui tanto ancora oggi devono, la sua figura viene oggi considerata scomoda
o ingombrante
e le si fa quindi il torto di non ricordarla, condannandola ad una sorta di tacita damnatio memoriae. Perché questo avviene?
Forse perché Reghini, meglio di chiunque altro al suo tempo, ha saputo attaccare un certo modello di Massoneria post-illuministico, una Massoneria non più avente come fine il perfezionamento dell’uomo, del singolo uomo (sulla base di un reale processo iniziatico individuale ed interiore), ma quello più generico dell’umanità nel suo insieme, della collettività
umana, una Massoneria trasformatasi in un conciliabolo a metà strada fra uno sgangherato esercito della salvezza
o un’associazione caritatevole-beneficente, e un mero circolo affaristico più interessato a questioni politiche e sociali che all’elevazione iniziatica. Una Massoneria in cui, come giustamente Egli denunciava, «il perfezionamento dell’individuo viene posto inesorabilmente in secondo piano, se non addirittura trascurato, dimenticato e ignorato»².
Eppure, come non si stancava mai di ripetere Reghini, occorre rilevare come nessun rituale libero-muratorio abbia mai detto che la Massoneria ha per scopo il progresso universale. E sempre Reghini rilevava e sottolineava che «La Massoneria esisteva molto prima che in Occidente si diffondesse la credenza nel progresso universale. [...] Tutti i rituali massonici, antichi e moderni, italiani e stranieri, affermano concordemente, a cominciare dalle Costituzioni originali e fondamentali dell’Anderson (1723), che il fine della Massoneria è il perfezionamento dell’uomo, e soltanto in tempi recenti (e più progrediti
!) degli sconsigliati e dei profani hanno potuto assimilare e confondere questo fine con il concetto e la credenza nel progresso universale, identificazione assurda che rende ridicolo l’asserito scopo della Massoneria. [...] Soltanto dimenticando il carattere iniziatico della Massoneria è possibile disconoscere che il fine della Massoneria consiste nella perfezione del singolo, da ottenersi mediante il rito, ossia, detto in linguaggio massonico, nella squadratura della pietra grezza e nella sua tramutazione nella pietra cubica della maestria seguendo le regole dell’Arte»³.
O forse perché per Reghini il concetto di Imperium implicava la ferma volontà di restaurazione di quei principî di serena tolleranza di tutti i culti, carattere imprescindibile della natura romana, intesa come autentica radice della cultura europea, soffocati dall’affermazione dell’intolleranza apportata dalle fedi monoteistiche. Egli, infatti, con gli strumenti filologici del suo tempo, come già un secolo prima di lui seppe fare il grande Iniziato Francese Jean Marie Ragon, è riuscito fondatamente a dimostrare nei suoi scritti quanto la Massoneria tragga origine dalle antiche Tradizioni Misteriche, e da quella Pitagorica in particolare.
O forse, ancora, perché Reghini ha avuto l’indiscusso merito, con il suo saggio del 1928 Sulla tradizione Occidentale, di essere stato il primo intellettuale del ‘900 ad affermare la netta estraneità della dottrina cristiana dal contesto della Tradizione Occidentale. E lo fece come non seppero farlo autori del calibro di René Guénon, che fondamentalmente considerava l’Occidente ormai inevitabilmente decaduto, non recuperabile, e che volgeva sempre più ad Oriente e alle tradizioni orientali il proprio sguardo e il proprio interesse, o ancor più di Julius Evola, inconcepibilmente ancora oggi elevato alla stregua di sommo guru della Tradizione
da certi ambienti politico-intellettuali di una destra radicale
che troppo spesso dimostra di aver perso la bussola e di non avere neanche lontanamente compreso quali siano l’essenza e le radici della più autentica Tradizione Occidentale che, a parole, sostiene di difendere.
Risulta quindi quanto mai evidente come e quanto Reghini avesse compreso il discrimine fra la Massoneria iniziatica e tradizionale delle origini e la Massoneria modernistico-illuminista e pseudo-iniziatica del suo tempo (e, purtroppo, anche del nostro), votata ad un generico progresso dell’umanità
a discapito dell’elevazione iniziatica personale/individuale dei suoi membri, e come il grande Iniziato Fiorentino fosse determinato a dare battaglia per contribuire ad un ritorno dell’istituzione libero-muratoria alle sue più antiche e autentiche origini. Origini che a Reghini apparivano ben chiare, quando scriveva che «La Massoneria, con la sua iniziazione cerimoniale, si presenta come una continuazione nei tempi moderni dei Misteri classici,