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Il dio splendente
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Il dio splendente

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Mitraismo romano: i misteri romani di Mithra fra Oriente e Occidente
Il libro Il Dio Splendente di Stefano Arcella amplia l’orizzonte della ricerca su molteplici aspetti del mitraismo romano mai affrontati in precedenza da altri testi. Il culto di Mithra fu la principale religione misterica dell'esercito romano e resta uno degli enigmi più grandi dell'antichità. La religione mitraica - di origine vedica-iranica - infatti veniva rivelata solo agli iniziati. Impossibile avvalersi di testi antichi poichè il culto misterico non veniva tramandato in forma scritta. Per ricostruire il culto del dio Mithra a Roma i ricercatori possono avvalersi solo di fonti epigrafiche.
Religione mitraica, dottrina orfica e influenze sulla filosofia di Platone
L'attento saggio di Stefano Arcella, ampiamente sostenuto da fonti epigrafiche, estende l'analisi su molti argomenti del mitraismo. Ad esempio riguardo il ruolo della donna nei Misteri romani di Mithra; l’assimilazione del dio Mithra ai culti orfici in particolare al dio orfico Phanes – il dio splendente – e l’influenza della dottrina orfica greca sul nuovo culto romano e misterico di Mithra. Il libro di Arcella prosegue nella sua orginale analisi sulla concezione di Mithra demiurgo e l’influenza della filosofia di Platone sull'idea di Mithra divinità quale mesìtes, mediatore fra umano e divino. L'autore prosegue l'analisi della mitologia romana con il rapporto fra mithraismo romano e metempsicosi, alla luce dell’interazione fra lo zoroastrismo, il mazdeismo e filosofia greca. In particolare l'Autore ritrova il riferimento a orfismo e pitagorismo e alla loro influenza sul pensiero platonico.
La via solare: una nuova concezione del mithraismo romano
Il mitraismo romano viene presentato quale passaggio dall’epoca “mitica” – quella di un’anima impersonale, comunitaria, riflesso di un “sentimento cosmico” – a un' epoca di anima cosciente: un’anima individualizzata che attraverso la partecipazione ai Misteri cerca il rapporto intimo e diretto col divino. È la Via Solare calata nell’epoca di un nuovo orientamento delle coscienze, a partire dalle riforme spirituali e filosofiche affiorate in Oriente e in Occidente fra il VII e il V secolo a C. Una Via Solare percorribile anche oggi – in forme e modi adatti all'animo e alla diversità del ricercatore spirituale contemporaneo – come via dell’anima cosciente. Conclude il libro un’appendice su Il rito interiore nella riforma spirituale di Zarathustra.
LinguaItaliano
Data di uscita16 ott 2019
ISBN9788864830483
Il dio splendente
Autore

Stefano Arcella

Stefano Arcella, saggista, è studioso dei culti gentilizi nella Roma arcaica, dei culti misterici nel mondo greco-romano con particolare attenzione ai Misteri di Mithra in età imperiale romana, del Neoplatonismo rinascimentale e del pensiero esoterico del Novecento europeo. Ha collaborato e collabora con molteplici riviste culturali ed è stato relatore in numerosi convegni di studi. Ha curato e introdotto diversi scritti di Julius Evola e ha pubblicato, fra l’altro: I Misteri del Sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica e Misteri Antichi e Pensiero Vivente.

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    Anteprima del libro

    Il dio splendente - Stefano Arcella

    Elenco delle abbreviazioni

    Abbreviazioni delle fonti classiche

    Abbreviazioni delle fonti cristiane

    Introduzione

    Il mio interesse per il mithraismo parte da lontano, e ha radici antiche; esso nasce dallo studio dei testi di Julius Evola, anzitutto quelli d’impostazione generale, di visione del mondo, quali Rivolta contro il mondo moderno e poi quelli più specialistici: i contributi della rivista UR sul Rituale Mithraico e il saggio di J. Evola sulla rivista Ultra del 1926 sul culto romano di Mithra, sicuramente uno dei primi interventi, in Italia, volto a riscoprire e valorizzare il senso più profondo di questa spiritualità misterica. Lo studio di una fonte preziosa quale Il Rituale Mithriaco del Gran Papiro Magico di Parigi fece comprendere ancor meglio tutta l’importanza di quella spiritualità; le discipline della respirazione e delle sonorità rituali non erano state patrimonio esclusivo dell’Oriente, poiché esistevano anche nell’antico Occidente, sebbene con sensibile diversità di forme, tipiche del diverso atteggiarsi delle varie Tradizioni spirituali.

    La diffusione territoriale e la continuità plurisecolare del culto (fra il II e il IV secolo d.C.) – che fu un forte elemento di coesione dei legionari e dei funzionari imperiali – il suo rapporto con la teologia solare dell’Impero, la sua configurazione elitaria e misterica, ricca d’implicazioni astrologiche e, infine, la sua funzione di ultima linea di resistenza pagana al cristianesimo: tutto ciò suscitava in me un profondo interesse.

    Quegli interventi di Evola in Ultra e in UR sul culto mitriaco avevano il pregio e la funzione di aprire un nuovo campo di ricerca; lungi dall’essere una trattazione definitiva del culto, lasciavano scorgere un nuovo – e al tempo stesso antico – orizzonte spirituale, tutto da approfondire. E poiché la storia del mithraismo s’intreccia con quella dell’Occidente, essa offriva la possibilità di applicare, a un campo specifico, quel metodo tradizionale di ricerca che Evola – riprendendo e sviluppando le felici intuizioni di G.B. Vico, di J. Jakob Bachofen e di Fustel de Coulanges – aveva esposto in Rivolta contro il mondo moderno e poi, ancora, in Gli uomini e le rovine, per esplorare la storia e conoscerla mettendo in luce quella dimensione di profondità, su cui il filosofo romano aveva tanto insistito, fino alla sua ultima opera, Ricognizioni. Uomini e problemi, in cui contrapponeva la visione tradizionale della storia all’interpretazione marxista fondata sul materialismo storico cui riconosceva il pregio di essere una lettura complessiva, anche se del tutto inaccettabile, del divenire storico.

    Nel corso di questi anni, si è verificato in me un processo ben noto a chi abbia esperienza di comunicazione col pubblico. Nell’illustrare i contenuti del mithraismo romano, nelle mie conferenze e nelle mie relazioni nei convegni di studi, li ho anche ulteriormente chiariti a me stesso, maturando la consapevolezza degli aspetti che andavano ulteriormente approfonditi.

    Essi riguardano il metodo tradizionale di ricerca storica (nell’accezione che ne ha dato il pensiero tradizionalista del Novecento), i rapporti del mithraismo romano con la misteriosofia greca di risalenza orfica e pitagorica, l’influsso della filosofia platonica nella formazione originale del mithraismo romano, il rapporto maschile/femminile e uomo/donna in questo filone di spiritualità solare, il rilievo del profilo astrologico e il significato che gli astri avevano per gli antichi, i modi e le forme in cui la spiritualità solare possa essere proposta nel XXI secolo.

    Sul metodo tradizionale va detto che il privilegiare l’attenzione al mito e al simbolo è un approccio che nasce ben prima di Bachofen e di Fustel de Coulanges. Il richiamo al mito quale narrazione che esprime verità profonde ed eterne si coglie nella Politéia di Platone – il famoso mito della caverna – nonché nel Fedro (il simbolo dell’auriga per descrivere gli elementi costitutiva dell’essere umano), nel Timeo (il mito di Atlantide di risalenza egizia) e nel Simposio (il mito dell’androgino).

    Nella storia del pensiero occidentale il richiamo al mito quale chiave di lettura in profondità della storia si coglie in G.B. Vico quando per descrivere l’età degli dei – che nella sua filosofia della storia rappresenta l’infanzia dell’umanità – identifica quelli che egli chiama gli universali fantastici (riprendendo e sviluppando un’intuizione propria al filone speculativo neoplatonico del ’400), ossia i prototipi – frutto della facoltà immaginativa dell’uomo – di valore universale, rinvenibili, sotto diverse forme, presso i popoli di ogni latitudine e di varie epoche. Lo psicanalista e filosofo americano James Hillman, in un suo saggio¹, ha sostenuto che Vico è il primo pensatore moderno che abbia intuito l’importanza degli archetipi che saranno poi valorizzati, nel Novecento, dalla psicologia del profondo di Jung e della sua scuola. È soprattutto con la filosofia della mitologia di Schelling che il metodo tradizionale assurge, però, a dignità filosofica, quale metodo di ricerca storica. Il 12 settembre 1815, Schelling tenne nell’Accademia delle Scienze di Monaco una conferenza sulle divinità di Samotracia (un culto misterico peraltro connesso col mito delle origini di Roma) che fu pubblicata come annessa alle Età del mondo, ancora non pubblicate². Gli esiti di questo studio – esempio tipico del metodo romantico – convinsero Schelling a trascorrere i successivi 40 anni nella ricerca propedeutica alla sua opera definitiva, Filosofia della mitologia e della rivelazione³. Rispetto a tale opera lo studio sulle divinità di Samotracia è un’anticipazione, il primo passo di un piano molto più ampio, centrato sull’interferenza di sovrastoria e storia. "L’opera filosofica di Schelling – scrive Walter Heinrich nel suo saggio Sul metodo tradizionale – si occupa d’ora in poi solamente di questa interferenza, di questo rapporto fra sovrastoria e storia, o meglio della derivazione della storia dalla sovrastoria. È una meravigliosa conferma della fertilità del metodo tradizionale, il cui innovatore dal lato puramente filosofico-speculativo è Schelling…"⁴.

    Nella conferenza di Monaco, Schelling dimostra che le divinità di Samotracia – isola collocata nell’Egeo settentrionale sul confine che divideva gli Elleni dai barbari – vadano oltre il riferimento ai Misteri di quell’isola, divenendo, nel corso del tempo, i modelli delle potestates divine dell’Europa. Esse hanno avuto risonanza nelle tipologie divine di Cerere, di Persefone (Eleusi) di Hermes-Mercurio (il dio intermediario fra divino e umano che presenta anche tratti comuni col dio Mithra). La cultura fiorita nell’isola di Samotracia ha consentito l’elaborazione degli archetipi della filosofia della mitologia occidentale. La filosofia di Schelling, nell’evidenziare tali archetipi sovrastorici, ha avuto la sua influenza sul pensiero di J. Evola e la sua elaborazione non solo del metodo tradizionale ma delle stesse categorie di Tradizione – in senso universale e metastorico – e di mondo della Tradizione, influenza già rilevata da vari studiosi, come G. Moretti e G. Sessa⁵.

    Nuove elaborazioni

    La Tradizione – intesa come il tradere, il tramandare i principi e i valori spirituali metastorici e universali – è una Forza viva e vibrante, un quid dinamico che si estrinseca in una pluralità di forme, secondo le condizioni etniche, storiche e geografiche. Cogliere questo dinamismo della Tradizione – questa identità, questa permanenza sapienziale, capace di rinnovare le sue forme e i percorsi di conoscenza spirituale – è essenziale per non confondere la Tradizione col tradizionalismo, la perennitas sapienziale con l’arroccamento rigido nelle forme storiche del passato, sia anche per avere la vivacità di spirito e la duttilità interiore per comprendere le modalità e gli approcci più adatti della Via Solare oggi, nel XXI secolo.

    I miti cui alludeva l’iconografia mitriaca sono fonti fondamentali per comprendere l’universo spirituale di questa corrente misterica, le sue specificità, le trasformazioni che questo culto subisce in Occidente, la sua ricaduta etica e politica ai fini dell’unità della compagine imperiale. Essi ci dicono molto più di quanto non ci dicano le fonti letterarie e le risultanze epigrafiche con la laconicità del loro linguaggio.

    Il linguaggio mitico-simbolico consente di cogliere anche aspetti che vanno adeguatamente approfonditi: l’iconografia di Mithra-Phanes con i suoi rimandi alla misteriosofia orfica, il ruolo demiurgico di Mithra quale si evince dalla tauromachia e dal confronto con la testimonianza di Porfirio e col Timeo di Platone, le costanti iconografiche della dea Luna e della dea Tellus e lo spazio del principio femminile nell’universo religioso mitriaco, l’importanza della dimensione astrologica e il significato che gli astri avevano per la sensibilità religiosa dell’uomo antico.

    Dall’approfondimento di questi temi si conferma la visione del mithraismo come formazione misterica nuova e originale, in cui Mithra non fa parte di una coppia divina (come nel caso della coppia Mithra-Varuna nella religione vedica) ma è una figura unica e triplice (il triplice Mithra coi due dadofori Cautes e Cautopates), centrale, demiurgica in senso platonico, di forte valenza soteriologica.

    Eppure, nonostante queste rilevanti variazioni e specificità, nel mithraismo romano fluisce una corrente sapienziale più antica, incentrata sulla dottrina e la conoscenza della metempsicosi che tratto specificamente e senza la quale non si comprende appieno la concezione mitriaca della vita nel suo insieme.

    Partendo dai Misteri solari dell’antichità romana, giungo poi a identificare e proporre come la Via Solare sia percorribile oggi, in forme e con modalità esperienziali adatte alla costituzione interiore e alla diversa antropologia del ricercatore spirituale contemporaneo.

    Così il cerchio si chiude: partito dalla preistoria indoeuropea, dal dio Mithra della religione vedica e dal Mithra iranico anteriore alla riforma religiosa di Zarathustra (il dio del patto e dell’amicizia nonché il dio della misura secondo la lezione di Filippani Ronconi) e centrando l’attenzione sulla misteriosofia mitriaca greco-romana, si perviene ad attualizzare e rendere intellegibile la Via Solare nelle condizioni ambientali, storiche e culturali del XXI secolo.

    È la tematica alla quale dedico il capitolo conclusivo del libro, ove riprendo e sistematizzo i contenuti delle mie conferenze più recenti sulla metodica esperienziale insegnata da Rudolf Steiner e soprattutto da Massimo Scaligero, sulla Via dell’ascesi del pensiero e dell’anima cosciente.

    Il Sole è un astro che brilla di luce propria, il simbolo di uno status di autonomia e di sufficienza dell’Io (che è ben diverso dall’ego) rispetto ai condizionamenti della psiche e delle impressioni sensoriali che va riscoperto, percepito, sperimentato e non pensato astrattamente, partendo dalla condizione reale del ricercatore contemporaneo, ben diversa da quella dell’uomo antico. In questo approccio sperimentale, in questo modus agendi di tipo scientifico-spirituale non si deve credere in nulla, ma conoscere sperimentando il perfezionamento e la nobilitazione della propria interiorità, spostando in modo esperienziale il centro di sé dall’astrale (ossia dal mondo delle passioni e degli istinti) all’Io (ossia al principio cosciente).

    La nostra epoca richiede, con urgenza, la consapevolezza vivente, interiorizzata, del nostro principio spirituale nel pensiero e nel cuore.

    È in questo modo che il superamento del materialismo e del nichilismo può essere non un mero anelito ma assumere un valore positivo e costruttivo come concreta esperienza interiore e reale processo di trasformazione personale.

    Stefano Arcella


    1. J. Hillman, Plotino, Ficino e Vico precursori della psicologia archetipica, in L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano, 2006.

    2. F.W.J. Schelling, Le divinità di Samotracia, Il Melangolo, Genova, 2009, a cura di F. Sciacca, tr. it. di I.V. Hartung.

    3. Cfr. F.W.J. Schelling, Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, Mursia, Milano, 1990 (prefazione di L. Pareyson).

    4. W. Heinrich, Sul metodo tradizionale (a cura di S. Arcella), Fondazione Julius Evola-Pagine Libere, Roma, 2017.

    5. Cfr. J.J. Bachofen, Le madri e la virilità olimpica, a cura di J. Evola, Edizioni Mediterranee, Roma, 2010 (prefazione di G. Moretti); G. Sessa, A proposito della filosofia evoliana. Considerazioni a margine della voce Evola dell’Enciclopedia filosofica Bompiani, in .

    Capitolo I

    Precedenti storico-religiosi:

    il culto di Mithra nell’antichità indoeuropea

    1.1. Cenni sugli Indoeuropei e sulla sacralità solare

    Sin dall’Ottocento, gli studi linguistici, di mitologia e di storia delle religioni¹ su molteplici popoli dell’antichità – dai Celti ai Germani, dai Latini ai Greci, dagli Iranici agli Indo-Arii – hanno consentito di identificare progressivamente le affinità linguistiche fra i rispettivi idiomi e quelle mitico-rituali nei rispettivi corredi religiosi e di risalire quindi – secondo una ricostruzione autorevolmente sostenuta ma discussa e contestata da altre scuole di pensiero e, di recente, anche da Elémire Zolla – a una lingua madre preistorica² parlata da un popolo antenato delle varie etnie che si andarono formando e differenziando nel corso di quel grande e graduale processo migratorio che risale, prevalentemente, al II millennio a.C. e continua, con ondate successive, sino a tempi storici molto recenti.

    Questo popolo antenato risiedeva in una patria che è stata variamente individuata, da alcuni nell’Europa settentrionale, da altri in un’area collocata fra i Carpazi e il Caucaso, da altri ancora nell’Europa nord-orientale, verso il Mar Baltico. Gli studiosi hanno definito questo popolo Indoeuropeo, proprio per evidenziare la parentela etnica e linguistica fra gli Arî dell’India e i vari popoli che, in tempi storici, hanno abitato in varie aree dell’Europa occidentale.

    Nel periodo che possiamo approssimativamente datare fra il 2300 a.C. e il 1900 a.C. circa, in Grecia, in Asia Minore e in Mesopotamia, numerosi centri abitati sono distrutti dai nuovi popoli invasori, come accade per la città di Troia VIIB intorno al 2300 a.C. e per numerosi agglomerati urbani anatolici. I documenti pervenuti parlano di gruppi etnici chiamati Hittiti, Luvi, Mitanni. La frammentazione dei popoli indoeuropei era iniziata già da alcuni secoli e sarebbe proseguita per millenni.

    Intorno al 1200 a.C. gli Arii erano stanziati nella pianura del Gange, in India e gli Iranici si erano insediati stabilmente in Persia, mentre la Grecia e le isole dell’Egeo erano indoeuropeizzate. Agli inizi del I millennio a.C. la indoeuropeizzazione dell’India, della penisola italica e di quella balcanica, dell’Europa centrale, settentrionale e occidentale poteva dirsi in fase di notevole espansione³.

    Questo processo così caratteristico – le migrazioni, la conquista di nuovi territori, la sottomissione e poi l’assimilazione degli abitanti indigeni – non ha altri esempi comparabili nella storia dell’Occidente e del vicino Oriente, per l’ampiezza della dimensione spazio-temporale che lo distingue. Secondo Mircea Eliade – che riprende le tesi di altri studiosi – l’epicentro di questo grande e graduale fenomeno migratorio è localizzabile nell’area fra i Carpazi e il Caucaso, sulla base del vocabolario comune per la flora e la fauna.

    La cultura indoeuropea affonda le sue radici nel Neolitico, fors’anche nel Mesolitico; essa, nel periodo della sua formazione, sembra aver subìto l’influenza delle civiltà più sviluppate del vicino Oriente.

    L’uso del carro e del metallo sembra sia stato trasmesso da una cultura dell’Anatolia (detta di Kuro-Araxas). Nel IV millennio a.C. compaiono statue in argilla, in marmo o in alabastro che rappresentano una dea seduta; sono modelli mutuati dai popoli dell’area balcanica-mediterranea, ma l’idea religiosa della Terra Madre, presso gli Indoeuropei, è comunque più recente e geograficamente ben circoscritta.

    La spiritualità indoeuropea si distingue per il risalto conferito, nel vocabolario religioso, alla sacralità celeste, ossia alla luce e alla trascendenza (rappresentata simbolicamente come altezza) e, per estensione, all’idea di sovranità e di creatività, nel senso di cosmogonia e di paternità.

    Il radicale indoeuropeo deiwas (= cielo) è stato identificato nei termini che indicano il dio (latino deus, sanscrito deva, iranico div, lituano diewas, germanico antico tivar).

    Il dio del cielo è, per eccellenza, il Padre (cfr. l’indiano Dyauspitar, il greco Zeus Patér, il latino Juppiter, l’illirico Daipatures).

    In questa spiritualità hanno un rilievo primario le ierofanie celesti e atmosferiche⁴, tant’è che un certo numero di dei è designato col nome del tuono e già in epoca indoeuropea comune il dio del cielo, signore del mondo, era sostituito dal dio della tempesta.

    Il fuoco è anch’esso considerato di origine celeste e il suo culto è peculiare delle religioni indoeuropee: il nome del dio vedico Agni, si ritrova nel latino ignis, nel lituano ugnis, nello slavo antico ogni.

    Secondo alcuni studiosi, sin dalla più antica storia religiosa indoeuropea, il dio solare rivestiva un ruolo preponderante (cfr. il vedico Surya, il greco Helios, il germanico antico Sauil, lo slavo antico Solcne). Le divinità solari hanno avuto però un’evoluzione molto diversa nei vari popoli indoeuropei, soprattutto dopo il contatto con le popolazioni del vicino Oriente. La sacralità rappresentata dal Sole ha consentito, ai tempi del sincretismo greco-orientale, una rielaborazione teologica e filosofica in virtù della quale il dio solare fu la teofania cosmica più resistente e tenace di fronte all’espansione del cristianesimo.

    Per quanto concerne l’aspetto economico, il vocabolario comune mostra che gli Indoeuropei praticavano l’agricoltura e l’allevamento del bestiame (allevavano anche il maiale e la pecora) e conoscevano il cavallo, brado o domestico.

    La loro economia – ed è un dato molto significativo per comprendere l’ambiente in cui matura la loro sensibilità religiosa – ha un indirizzo prevalentemente pastorale.

    I tratti salienti di questi popoli sono il nomadismo pastorale, la configurazione patriarcale della famiglia, l’inclinazione alle razzie di bestiame e l’organizzazione militare finalizzata alla conquista. Questa loro tendenza espansiva li indusse a sottomettere e assimilare le popolazioni sedentarie agricole preesistenti e a conoscere le tensioni spirituali scaturite dall’incontro/scontro di orientamenti religiosi eterogenei e talvolta opposti. René Guénon ha lucidamente evidenziato⁵ che la sensibilità artistica dei nomadi è legata all’affinamento dell’udito; le loro arti preferite sono il canto, la poesia, le tradizioni leggendarie orali, mentre le arti dei popoli sedentari sono legate allo spazio definito, circoscritto e quindi sono in prevalenza arti visive. Ciò sarà importante per comprendere lo sviluppo dell’iconografia e della scultura mitriache. In questo quadro generale, necessariamente sommario per gli approfondimenti del quale il lettore è rinviato alla letteratura specifica in materia⁶, si collocano la migrazione indoeuropea in India e la relativa cultura religiosa.

    1.2. La regalità divina in India: Mithra e Varuna

    Prima di parlare specificamente del culto indo-ario di Mithra, occorre tratteggiare le grandi linee di quella che Georges Dumézil ha definito l’ideologia indoeuropea, ossia la visione del mondo e della società, le gerarchie di valori che si diversificano poi nei diversi campi ideologici dei vari popoli indoeuropei, ciascuno avendo le sue peculiarità come insieme di gusti e di tendenze, di tradizioni e di costumi nonché di atteggiamenti mentali.

    Per la ricostruzione di tale ideologia, gli studiosi hanno utilizzato i frammenti delle varie mitologie indoeuropee. Pur appartenendo esse a periodi diversi e provenendo da documenti eterogenei e di valore documentario diseguale (inni religiosi, poesie epiche, testi rituali, leggende, storiografie, tradizioni tardive tramandate da autori cristiani) conservano tuttavia, più o meno, concezioni religiose originali.

    Certo, la disciplina della mitologia comparata va applicata con molta prudenza, discernendo le affinità oggettive fra i vari documenti di studio dagli imprestiti e dalle mutuazioni che un popolo può aver ricevuto da un altro gruppo etnico. Tale ponderazione, però, non impedisce di fruire del materiale documentario disponibile; un mito tramandato nel Rg-Veda non è più recente del II millennio a.C., mentre le tradizioni conservate nell’annalistica romana, nell’Edda di Snorri o nelle saghe irlandesi sono molto più recenti. Se però queste tradizioni concordano col mito vedico è difficile non considerare la loro comune origine indoeuropea, soprattutto se tale concordanza non è isolata ma è configurabile in un sistema di idee e di visione della realtà.

    Georges Dumézil ha dimostrato tutto ciò con una produzione scientifica radicalmente innovativa per lo studio comparato delle mitologie e delle religioni indoeuropee, anche se essa è stata oggetto di critiche spesso vivaci da parte di altri studiosi. In sintesi, le sue ricerche hanno evidenziato una struttura fondamentale dell’ideologia e della società indoeuropea. Essa può riassumersi nell’articolazione della società in tre classi – sacerdoti, guerrieri, allevatori-agricoltori – cui corrisponde un’ideologia religiosa trifunzionale: la funzione della sovranità magica e giuridica, quella degli dei della forza guerriera, quella delle divinità della fecondità e della prosperità economica.

    Nel mondo indo-iranico tale articolazione religiosa e sociale è particolarmente evidente. Nell’antica India c’è una precisa corrispondenza fra le caste dei brahmani (sacerdoti, sacrificatori), degli ksatrya (guerrieri) e dei vaisya (allevatori, agricoltori) e gli dei Varuna e Mithra, Indra e i gemelli Nasatya⁷. Questi stessi dei sono citati, nel medesimo ordine, nel trattato concluso nel 1380 a.C. da un re hittita con un capo dei Mitani, una tribù di para-Indiani in Asia Minore: Mithra-Varuna (con la variante Uruvana), Indara, gli dei Nasatya⁸.

    I testi vedici presentano Varuna come il dio sovrano che regna sul mondo, sugli dei e sugli uomini. Egli ha messo «il latte nelle vacche, l’intelligenza nei cuori, il fuoco nelle acque, nel cielo il sole, sulla montagna il soma»⁹. Onnisciente, infallibile, visibile ovunque, dominatore del cosmo, egli è definito «terribile sovrano», «signore dei legami», dotato del magico potere di legare a distanza i suoi nemici, ma anche di liberare le sue vittime¹⁰.

    Molti inni vedici hanno lo scopo di proteggere e di liberare gli uomini dai lacci di Varuna. Egli viene rappresentato con una corda in mano e nelle cerimonie religiose tutto ciò che lega è definito come varuniano. Egli è inoltre associato strettamente ai concetti di rta (ordine cosmico, liturgico e morale) e di maya, che negli inni vedici designa il cambiamento demoniaco e ingannatore, ma anche l’alterazione dell’alterazione e, dunque, il ritorno all’ordine cosmico. Esistono, dunque, maya positive e maya negative; quelle buone sono le maya creatrici di forme e di esseri e anche le maya di lotta contro le maya demoniache per ristabilire il rta¹¹.

    L’origine del concetto filosofico indiano di maya – come illusione, non-essere, irrealtà – si trova dunque nel Rg-Veda, nella concezione vedica di cambiamento come alterazione della norma cosmica e, dunque, di trasformazione magica o demoniaca, nell’idea della potenza creatrice di Varuna che, mediante la sua maya (il suo potere di trasformazione magica), ristabilisce l’ordine dell’universo.

    Varuna è quindi un dio ambivalente, terribile ma anche liberatore, temibile ma anche protettore del rta. Ciò che colpisce nel pensiero religioso indiano è questa unione degli opposti che si ritroverà, molto più tardi, nel pensiero filosofico di questa civilt๲.

    Tale caratteristica si rinviene puntualmente nello stretto legame fra Mithra e Varuna, col quale condivide gli attributi della sovranità, di cui Mithra costituisce l’aspetto pacifico, benevolo, giuridico e sacerdotale¹³. Egli, come si evince dal suo nome, è il contratto personificato, nel senso del dio tutelare dei patti solenni fra gli uomini e quindi protettore dei rapporti fiduciari, della fede agli impegni reciproci. Il termine contratto non deve dunque trarci in inganno, designando in realtà un concetto ben diverso da quello attuale di accordo scritto, ossia la sacralità della parola data, il senso della lealtà, della fedeltà rispetto agli obblighi assunti.

    Alcuni studiosi hanno contestato la lettura di Mithra come personificazione del patto, poiché propendono per una interpretazione di Mithra come dio amico. Crediamo che le due letture non siano antitetiche; il dio amico esprime il senso dell’amicizia fra il divino e l’umano, da cui scaturisce la funzione di tutore che Mithra ha nei confronti dei patti sia fra l’uomo e il divino che sul piano delle relazioni sociali.

    Il rispetto dei patti solenni evita all’uomo i lacci di Varuna, ossia, fuor di metafora, le conseguenze negative che potrebbero scaturire da eventuali azioni non conformi all’ordine religioso e morale; in altri termini, la legge di causa-effetto – che gli orientali chiamano karma – è rappresentata da Varuna nel suo aspetto più temibile, mentre Mithra rappresenta il karma in senso positivo, ossia l’adesione all’ordine religioso e morale, ponendo così le premesse di buoni frutti futuri.

    Tale chiave di lettura – cogliendo la sovranità nel suo senso più interno e quindi più concreto – consente di comprendere perché l’importanza di Mithra, nel pensiero religioso indiano, si avverta soprattutto quando è invocato insieme a Varuna, di cui è, al tempo stesso, l’antitesi e il complemento. Questo binomio, già nell’epoca più antica, svolgeva un ruolo di primo piano come massima espressione della sovranità divina ed è stato successivamente utilizzato come formula esemplare per tutti i tipi di coppie antagoniste e di opposizioni complementari. È una dualità sovrana che Dumézil ha riscontrato anche presso altri popoli indoeuropei; nella tradizione romana, ad esempio, tale unione degli opposti è storicizzata e rappresentata nella coppia regale Romolo-Tito Tazio, ma anche nella successione Romolo-Numa, i due re incarnando due aspetti diversi, complementari e successivi della sovranità regale nella Roma arcaica¹⁴.

    A Mithra, colto nella sua singolarità, è dedicato un solo inno nei Veda (RV, III, 59), poiché il suo rilievo è tutto concentrato nel rapporto complementare con Varuna, mentre, considerato a sé stante, assume un’importanza minore, anche se, in altri testi indo-arii, è descritto come dio onnipotente, al cui sguardo nulla sfugge, il sole essendo il suo occhio (Taitt. Brahm., III, 1, 5, 1).

    Gli dei associati a Mithra sono Aryaman e Bhaga. Il primo presiede ai doveri dell’amicizia, dell’ospitalità e dei matrimoni¹⁵, mentre il secondo tutela la ricchezza e la sua distribuzione. Queste divinità, insieme a Mithra e a Varuna, formano il gruppo degli Aditya, figli della dea Aditi, il cui significato è molto controverso fra gli studiosi. Nei testi è identificata con la Terra o con l’universo e, secondo Eliade, essa era una Grande Dea Madre che ha trasmesso le sue qualità ai figli, gli Aditya¹⁶.

    Mithra è dunque il dio tutelare della sacralità di tutti quei vincoli solenni, moralmente significativi e profondi, che configurano la vita relazionale dell’uomo, nella

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