Il Simbolo
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Anteprima del libro
Il Simbolo - Officinae
Prefazione
Redazione di Officinæ
Officinæ è la rivista internazionale della Gran Loggia di Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori che, come dice il suo nome, rappresenta il laboratorio dove ogni aspetto della cultura può ritrovare un rapporto con la via iniziatica.
Nata nel giugno del 1989, fino al 2016 aveva forma cartacea di rivista trimestrale. A oggi, invece, si è evoluta in una struttura telematica, completamente disponibile on-line e continuamente aggiornata. Della sua antica forma cartacea si è conservato, tuttavia, l’uso di pubblicare tramite la casa editrice Edizioni Mediterranee un libro all’anno contenente alcuni articoli non disponibili on-line e concernenti temi di particolare interesse per un pubblico non necessariamente iniziato alla Massoneria.
Il tema del simbolismo con cui si è voluto principiare la collaborazione con la casa editrice Edizioni Mediterranee è stato volutamente scelto in memoria di quel lontano giugno del 1989 dove, a incipit della rivista L’Editoriale¹ si esplicitava, appunto, che nel dominio dei valori iniziatici la comunicazione ha caratteri del tutto particolari: non solo essa vi privilegia il simbolico, ma nel simbolico stesso riconosce una struttura semantica che è una variabile relativa al livello di gnosi raggiunto dall’adepto.
Da ciò seguono sia la condanna della divulgazione, sia la condanna della trasformazione del simbolico in forma discorsiva. Peraltro, pur nel convincimento che là dove è stato raggiunto un considerevole approccio esistenziale alla iniziazione, là necessariamente è il silenzio e l’incomunicabilità; tuttavia, nel momento in cui l’iniziazione è obbligata a manifestarsi, dovrà trovare lo strumento adeguato a tale manifestazione e sarà quindi obbligata a generare una sua peculiare comunicazione. In ogni caso dovrà rispondere alle sollecitazioni esteriori, adeguarsi alle domande, concedersi ai dubbi della società se presume concretarsi nel dovere – cioè nell’operatività – la sua presenza al mondo.
E qua ci fermiamo un attimo. Giusto il tempo di evidenziare al Lettore che è proprio il senso del dovere, inteso quale lavoro posto al servizio del bene della patria e dell’umanità, il carattere irrinunciabile della Libera Muratoria che, se un tempo, quand’era operativa si esprimeva nella costruzione sacra, oggi si deve manifestare nell’apporto critico e ideativo al patrimonio culturale della società.
Non solo. Per un massone questo apporto vale unicamente in quanto per suo tramite la società può raggiungere più facilmente quelle aree di libertà nelle quali soltanto può maturare un vero divenire morale e intellettuale dell’umanità. In effetti questo è il significato della filantropia massonica: soddisfare il bisogno del colloquio, non solo in seno all’Istituzione, ma anche fra i suoi membri e il mondo esterno. Una comunicazione che non può non avere un indirizzo di sollecitazione intellettuale e morale; non dando perciò risposte precise ai quesiti, ma orientando, tramite la critica, a una ricerca progressiva personale sui fattori impliciti agli avvenimenti che si desidera esaminare.
Questa affermazione di L’Editoriale potrebbe richiedere un chiarimento al Lettore, in quanto non è che la Massoneria voglia comunicare con il mondo non-iniziato tramite sollecitazioni ed eludendo risposte precise sugli argomenti trattati per celare una ipotetica verità di cui è unica detentrice, ma perché, come precedentemente detto, essa mira a sviluppare in ogni individuo – sia esso o meno tra i suoi membri – una coscienza critica e libera, persino da se stessa e dai singolari punti di vista dei suoi scrittori.
Ecco perché nel presente volume, come in quelli a seguire, il tema trattato viene proposto come semplice raccolta di testi di autori diversi che, liberamente, manifestano ciascuno un particolare punto di vista, utile – speriamo – al Lettore per dar forma in se stesso a una propria idea sul concetto di simbolo.
L’Istituzione, proponendo un tipo di approccio analitico, critico e interpretativo, accoglie con gioia tutte le voci veramente genuine, fresche e innovatrici, purché dotate delle competenze necessarie per trattare i temi proposti con animo colto, sincero, rispettoso di ogni tradizione, libero da luoghi comuni, dalla cultura d’accatto, da ideologie prefabbricate, da accademismi e ciechi dogmatismi, nella speranza, nostra come in quella originaria di Canova, che l’apporto intellettuale di massoni e non-massoni possa in qualche modo essere un contributo efficace alla soluzione degli immensi problemi sociali che ci stanno davanti.
Si tratta – concludeva L’Editoriale del 1989 – di un progetto spirituale, universale ed eterno, che questa pubblicazione dovrebbe mostrare agli adepti, ai profani e a tutti coloro che della vita hanno una visione di trascendenza e di OFFICIUM.
1. L’Editoriale, Officinæ, giugno 1989, n. 1, Edimai, Roma. La Prefazione è stata scritta traendo liberamente parti del testo dall’op. cit.
Premessa alla lettura
di Speranza Capenna
"La Natura è un tempio in cui colonne viventi
lasciano talvolta trapelare parole confuse;
l’uomo attraversa foreste di simboli
che lo osservano con sguardi familiari…"².
LE COLONNE VIVENTI. Se il povero uomo, armato solo delle sue percezioni, si aggira nella realtà come in un bosco intricato, potendo servirsi, per farsi un’idea di chi è e dove si trova, solo degli sguardi che può scambiare con i simboli che lo osservano fino a che gli osservatori non gli siano diventati familiari come le occhiate che gli lanciano mentre passa, provate a pensare quale insondabile intrico di formule siano tutte le costruzioni che il poveretto può fare.
Non c’è manifestazione umana che non sia permeata di simboli, indipendentemente dalle specifiche e incontestabili definizioni che la semiotica fornisca, precisando con esattezza la differenza fra segno, emblema, allegoria e simbolo. Ogni scienza esatta o inesatta, ogni pensiero espresso, ogni testimonianza che l’uomo lascia di sé, ogni idea che voglia comunicare hanno un impianto simbolico.
Archetipo, totem, tabù, mema, mitologema, cifra, glifo, figura, qualunque termine ogni singola disciplina utilizzi nel proprio lessico tecnico, tutti sono comunque riconducibili agli osservatori dell’uomo della foresta baudelairiana, discendono irrimediabilmente dalle pitture di Lascaux e dai rituali mimetici che il primo nostro antenato, sceso dagli alberi e messosi eretto, ha usato per riuscire a comunicare con i suoi simili. E di mano in mano che comunicava finiva col creare simboli nuovi, col popolarne le sue narrazioni, che poi inesorabilmente divenivano esse stesse fonte di simboli utilizzabili per ogni comunicazione successiva.
In pratica la comunicazione umana è ancora in larga misura basata su simboli, il che rappresenta una bella sfida, a ben pensare. Nell’accezione comunemente accettata, infatti, il simbolo
ha come caratteristica peculiare quella di far scattare una sorta di cortocircuito fra chi lo osserva e la realtà o il concetto a cui rinvia. Non esistono mediazioni fra l’uomo e il simbolo, il colloquio è diretto e diretta è la presa di contatto con l’oltre
di cui il simbolo è ponte. Di fronte al simbolo è inevitabile una sorta di reazione emotiva, una lettura di ciò che si ha di fronte e, nello stesso tempo, di ciò a cui rinvia, che inevitabilmente coinvolge l’istinto, oltre che la ragione. In pratica si viene costretti a una riflessione non solo logica ma anche analogica, e non a caso analogia
è uno dei sinonimi derivati che affollano l’area semantica della parola simbolo. Questo però rende impossibile l’univocità di interpretazione.
La componente istintuale e analogica che scatta di fronte a un simbolo ne rende la comprensione necessariamente soggettiva e individuale, non trasmissibile per intero ad altri. Nessuna immagine simbolica potrà mai completamente essere intesa allo stesso modo da due persone diverse, nessun albero della foresta guarderà mai con la stessa espressione due diversi passanti. L’albero resterà lo stesso e il suo sguardo risulterà comunque familiare, ma un viandante si sentirà protetto e guardato con benevolenza, un altro si sentirà controllato, un terzo minacciato da occhiate ostili. In fondo il povero uomo basa la sua comunicazione su qualcosa dal significato mai del tutto trasmissibile. Questo tipo di riflessione spinge a riconoscere la profonda saggezza di ciò che un Libero Muratore si sente costantemente ripetere nella sua vita: la simbologia massonica è stata creata non per diffondere un insegnamento ma per nasconderlo. È inevitabile e innegabile, ma complica le cose orribilmente.
Non sarebbe il caso di tentare almeno l’impresa, peraltro praticamente impossibile, di eliminare i simboli? L’abbattimento di una foresta simbolica non avrebbe alcuna conseguenza sul surriscaldamento della terra e una volta trasformata l’Amazzonia in Sahara l’uomo avrebbe visuale totalmente libera. Ma per guardare cosa? Troverebbe poi punti di riferimento? Riuscirebbe a creare un sistema di comunicazione che escluda la soggettività dell’interpretazione? Non sembra molto probabile.
Soprattutto, la deforestazione comporterebbe l’irrimediabile perdita del significato profondo e storico del simbolo, questo sì chiaro e univoco, del suo originario ed etimologico ruolo di tessera hospitalis, di oggetto che fa riconoscere fra loro uomini uniti da un legame.
La sua insostituibile ed eterna funzione primaria è quella di far riconoscere fra loro come fratelli individui che leggono come simbolo la stessa cosa, che si tratti di un libro, di un’opera lirica, di un’equazione, di un mazzo di carte, di un modo di dire, di un vecchio giocattolo…
2. C. Baudelaire, Corrispondenze, vv. 1-4.
Premessa alla lettura
di John Klapka
… Come detto, è dunque possibile una scelta ampia e diversificata tra le varie teorie dei simboli, tra le loro molteplici interpretazioni, così come è possibile riscoprirli e indagarli in svariati campi: in costruzioni architettoniche, fiabe, testi sacri, riti iniziatici, ma anche nelle scienze umane, nelle arti letterarie, nella cultura generale e in molto altro ancora.
Dopo una Introduzione al concetto di simbolo
di Antonio Binni e uno scritto su L’esoterismo del simbolo dove Aristide Luca Ceccanti contestualizza l’argomento in ambito massonico, il presente volume invita a percorrere la suggestiva via dell’universo onirico e inconscio della psiche, attraverso l’elegante e affascinante teoria di C.G. Jung. Egli affronta in modo sistematico anche lo studio dell’alchimia e dimostra che i simboli utilizzati dagli alchimisti coincidono con il simbolismo dell’inconscio. Ce ne parla Paolo Maggi, nel suo I simboli fra scienza e tradizione iniziatica. In questo senso quindi esiste una tradizione simbolica che affonda le sue radici nelle prime manifestazioni della spiritualità umana, in particolar modo la tradizione iniziatica, quella che, come scrive Antonio Binni (Riflessioni sulla tradizione e sulla tradizione iniziatica), trasmette la verità iniziale, principale, primordiale, vero e proprio cordone ombelicale che unisce la manifestazione plurima della realtà al suo Principio unico, senza soluzione di continuità. Ma c’è un nesso profondo anche tra tradizione e tradimento, che non a caso hanno una stessa etimologia, provenendo ambedue dal verbo latino tradere, consegnare, e ci rimandano al concetto di Sacro, in tutte le sue possibili declinazioni simboliche e concettuali (Cinzia Salvioli, Tradizione e tradimento).
Veronica Mesisca (Mademoiselle Connaissance: riflessioni e divagazioni su La traviata) ci fa riflettere con sottile ironia sul difficile rapporto con la conoscenza, apparentemente alla portata di tutti, come una prostituta, ma in realtà appannaggio di pochi, sebbene nessuno se ne dica privo, perché solo la devozione e l’incessante lavoro possono portare, attraverso un percorso lungo, tortuoso e difficile, nella sua casa. La complessità di questo viaggio rimanda per analogia alla simbologia del labirinto, di cui ci parla Carlo Moscardi (Il labirinto quale archetipo segno di un percorso interiore), cioè alla necessità della scelta, di cui il percorso labirintico è ricco. E il concetto stesso di dualismo pervade tutta la simbologia iniziatica della Libera Muratoria, dalle colonne al pavimento a scacchi, conducendoci, attraverso l’analisi dei sistemi deterministici, alla teoria del caos e al concetto stesso di entropia (Michele Angiuli, Il dualismo e le equazioni differenziali di Laplace). Al concetto di caos si riallacciano le moderne teorie riduzioniste di Richard Dawkins secondo cui il mondo procede senza un disegno preordinato, sulla base di una cieca casualità, sia a livello biologico che culturale. Ce ne parla Paolo Maggi (Il gene, il meme e la parola) in un articolo provocatorio e molto originale: in pratica, la maggior parte delle idee che costituiscono la cultura di un popolo sarebbe funzionale a un vantaggio immediato e in genere un’idea resisterebbe nel tempo solo se la sua convenienza si rinnova di giorno in giorno. E quindi ciò che ha valore solo nel lungo periodo sarebbe destinato a finire nel dimenticatoio, come una parola perduta, se non fosse che ci sono sempre alcune persone che ne conservano la memoria in attesa di tempi migliori.
Di tutt’altro tipo era il progetto rinascimentale: il sogno della magia naturale era infatti impossessarsi del linguaggio in cui è scritto il libro della natura e utilizzarlo per catturare e manipolare i flussi di simpatie