Se guardo il cielo
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Anteprima del libro
Se guardo il cielo - Michele Fontana
633/1941.
Introduzione
Sembra strano ma l’origine della parola greca anthropos, che significa uomo, è incerta. Diversi autori, comunque, la fanno risalire a un termine che si può tradurre come guardante in su
.
Una definizione che trova riscontro nei versi de La Metamorfosi di Ovidio: Mentre gli altri animali curvi guardano il suolo, all'uomo diede viso al vento e ordinò che vedesse il cielo, che fissasse, eretto, il firmamento
.
L’uomo è, dunque, colui che guarda in alto, anzi possiamo dire che è uomo proprio perché, a differenza degli animali, guarda in alto.
Questa capacità si deve intendere sia in senso letterale, cioè come possibilità di alzare gli occhi per godere della bellezza del cielo stellato; sia in senso allegorico, cioè come facoltà di sollevare in alto lo sguardo dell’anima fino a incrociare quello di Dio.
Negli spiriti contemplativi i due sguardi si richiamano e si cercano: l’ammirazione del cielo porta alla contemplazione del suo artefice; il creato parla del Creatore.
O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza … Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la Luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?
(Sal 8,2-5).
Il cielo stellato è lo spettacolo più suggestivo e affascinante che possa presentarsi ai nostri occhi riempiendoli di stupore e gratitudine. Uno sbalordimento che straripa di meraviglia quando ci si accorge anche che Dio attraverso quella bellezza parla ai cuori, tocca le corde dell'essere, attrae a sé, al suo amore: I cieli narrano la gloria di Dio, l'opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia
(Sal 19,2-3).
Dio parla, dunque, nello splendore del giorno e nell'oscurità della notte, attraverso le miriadi di stelle che brillano nel cielo come una soave melodia che allieta gli spiriti, riscalda i cuori e accompagna un messaggio per ciascun uomo
(guardate in su).
Comprendiamo allora in tutta la sua bellezza etimologica un’altra parola di uso comune: desiderio. L’origine latina è composta dalla preposizione de
, con accezione negativa, e da sidus
che significa stella. Desiderare vuol dire, quindi, avvertire la mancanza delle stelle.
È quanto mai significativo riconoscere l’aumento di ingannevoli desideri in un tempo in cui si ha sempre più difficoltà a guardare in alto; sia fisicamente, perché le nostre città sono progettate per farci tenere gli occhi in basso (come i ricurvi animali di Ovidio), abbagliandoci di sfavillanti luci artificiali che oscurano le stelle; sia in senso allegorico, per la sempre crescente perdita di spiritualità.
Quella nostalgia di stelle e di cielo, nel duplice senso, apre negli animi malinconiche piaghe, spesso confuse come desideri
di altre stelle
appartenenti a fatue galassie.
Questo testo intende semplicemente proporre uno stimolo per sollecitare a sollevare gli sguardi e riscoprire la bellezza di quanto sovrasta e avvolge.
L'invito è di considerarlo come nient’altro che il famoso dito che mostra la Luna … e tutta la volta stellata, lasciando allo sguardo del cuore il compito di andare oltre
.
Prima Parte
Conosciamo il cielo
Il cielo sopra di noi
Ci sarà capitato, alzando gli occhi al cielo, soprattutto in situazioni di ottima visibilità senza inquinamento luminoso e nuvole, di rimanere incantati ammirando la bellezza e l’immensità del firmamento.
Sebbene tutto sia disposto in uno spazio sterminato, l’effetto ottico che percepiamo è che ogni stella sia parte di una grande volta in cui è incastonata. A causa di un gioco ottico, infatti, tutte quelle lucine brillanti che trapuntano di sogni il nostro cielo appaiono alla stessa distanza da noi, e nella notte sembrano ruotare lentamente sulla nostra testa mantenendo la stessa distanza tra loro.
Se osserviamo con attenzione ci accorgiamo che questa stella celeste, di cui in verità vediamo solo la parte superiore (quella inferiore si trova sotto l'orizzonte), compie una rotazione completa in cielo, da est verso ovest, in 23 ore e 56 minuti.
In realtà è la Terra che ruota intorno al proprio asse in senso antiorario, da ovest verso est, impiegando questo tempo. Tuttavia a noi che osserviamo dal globo terrestre sembra che sia il cielo a muoversi. Avviene, infatti, come se salissimo su uno di quei giochi del luna park in cui le cabine, alzandosi velocemente, piroettano intorno a se stesse. Sebbene siano esse a ruotare, per chi si trova all'interno sembra che sia il mondo intero a girargli intorno.
Come detto, dunque, la Terra ruota intorno al proprio asse, che passa per i due poli Nord e Sud, impiegando circa 23 ore e 56 minuti. Si tratta del giorno siderale
.
A rigor di logica, allora, se ci trovassimo sulla linea dell'equatore la durata del giorno solare
, quello che dal nostro luogo di osservazione impiega il Sole per raggiungere in cielo lo stesso punto del giorno precedente, dovrebbe essere pure di 23 ore e 56 minuti. Ma allora perché lo calcoliamo di 24 ore? Perché la Terra mentre ruota intorno a se stessa (moto di rotazione), orbita anche intorno al Sole (moto di rivoluzione), compiendo un percorso che impiega quasi un anno.
Quindi in 23 ore e 56 minuti fa un giro completo su se stessa, ma rispetto al giorno precedente è andata avanti nel girotondo intorno alla sua stella di circa un grado (passando dal punto 1 al punto 2).
Per questo il Sole non si vedrà guardando verso la stessa posizione del giorno precedente, ma circa un grado indietro. Perché raggiunga lo stesso punto dovremo aspettare che il nostro pianeta continui a ruotare per circa altri quattro minuti (e nel frattempo raggiunga il punto 3).
Ecco spiegato il motivo per cui la durata del giorno solare è di quasi 24 ore, mentre la Terra impiega pressappoco quattro minuti in meno per ruotare intorno a se stessa.
Questa è anche la causa per la quale guardando il cielo di notte, allo stesso orario del giorno precedente le stelle le troviamo spostate verso ovest di quasi un grado.
La stella Polare si trova allineata con l'asse di rotazione della Terra; cioè se tendiamo una retta che passa dal Polo Sud al Polo nord e proseguiamo in alto nel cielo, arrivati nella cupola celeste giungiamo vicinissimi a questa stella.
Dal momento che si trova sopra l'asse terrestre, a noi che ci troviamo sulla Terra sembra che essa non ruoti, rimanendo sempre fissa nella notte. Tutte le altre stelle, invece, le ruotano attorno come se stessero danzando in cerchio.
Saper riconoscere la stella Polare, dunque, aiuta a orientarsi nella notte soprattutto in mancanza di strumenti come le bussole, proprio perché non spostandosi mai indica sempre con precisione il nord.
Il punto di cielo che si trova verticalmente sulla nostra testa è detto Zenit e, come possiamo comprendere, le stelle che lo affollano cambiano durante l'anno.
All'opposto, invece, il punto sotto i nostri piedi, dall’altra parte della sfera celeste, è chiamato Nadir.
Se invece ci trovassimo sulla linea dell'equatore terrestre, sopra la nostra testa, quindi allo Zenit, potremmo tracciare una linea immaginaria di cielo che