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I segreti dell'astronomia
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E-book796 pagine11 ore

I segreti dell'astronomia

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Forse i primi uomini le adorarono o le ammirarono di nascosto, filtrando lo sguardo dall'oscurità delle grotte, attendendo, chissà, di vederne a tratti cadere qualcuna sulla terra, simile a un bianco stelo o alla corolla di un fiore strappato dal vento.
O forse le temettero come la bestia solitaria teme il fuoco e tutto ciò che non conosce e non può capire, fuggendo al loro apparire sotto le alte chiuse chiome degli alberi o nelle cieche dune selvagge.
Il silenzio avvolge i pensieri e le emozioni della nostra preistoria; le paure e le gioie dell'uomo all'inizio del suo cammino sono atomi imperscrutabili di uno spazio senza risonanze e dimensioni. Eppure il cielo stellato, questa volta immensa punteggiata di eterne luci scintillanti, ha una storia lunghissima da raccontare. Una storia piena di poesia e d'incanto, fatta di miti e di leggende, di fantasia e di leggi matematiche, di studi profondi, di scoperte, di passioni, di sacrifici, di rinunce e di vittorie.
Un tempo era facile guardare le stelle; bastava sostare un poco alla finestra o sedere sul gradino di casa o sul prato di una collina o sulla spiaggia umida del mare o sul greto di un torrente e lasciare che gli occhi si imbevessero di infinito, placandosi.
Le stelle si guardavano anche camminando sulla spessa coltre di neve o lungo i sentieri incupiti di fronde, sui selciati ciottolosi o sulla morbida erba illanguidita dalla brina o dal tepore della notte.
Oggi, questo modo di elevarsi in alto tra la bellezza e la solitudine, il raccoglimento e la beatitudine struggente, è divenuto un privilegio, un dono concesso a pochi, un pretesto per allontanarsi dal caos alleviandone la morsa soffocante. Ma ognuno di noi, quando ritrova in se stesso la forza e l'attimo per fermarsi ad ascoltare il sospiro leggero ed inquietante della sera, quando ad una ad una riesce a risentirne le parole di pace e il sussurro ininterrotto, riprende l'abitudine al sogno e riacquista la consapevolezza del corso stupendo di un destino cosmico che coinvolge il sottile divenire umano con la sua realtà statica implacabile.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2020
ISBN9788835368663
I segreti dell'astronomia

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    Anteprima del libro

    I segreti dell'astronomia - autori vari

    Angelis

    Volume I – Gli Astri

    Guardando il cielo

    Forse i primi uomini le adorarono o le ammirarono di nascosto, filtrando lo sguardo dall'oscurità delle grotte, attendendo, chissà, di vederne a tratti cadere qualcuna sulla terra, simile a un bianco stelo o alla corolla di un fiore strappato dal vento.

    O forse le temettero come la bestia solitaria teme il fuoco e tutto ciò che non conosce e non può capire, fuggendo al loro apparire sotto le alte chiuse chiome degli alberi o nelle cieche dune selvagge.

    Il silenzio avvolge i pensieri e le emozioni della nostra preistoria; le paure e le gioie dell'uomo all'inizio del suo cammino sono atomi imperscrutabili di uno spazio senza risonanze e dimensioni. Eppure il cielo stellato, questa volta immensa punteggiata di eterne luci scintillanti, ha una storia lunghissima da raccontare. Una storia piena di poesia e d'incanto, fatta di miti e di leggende, di fantasia e di leggi matematiche, di studi profondi, di scoperte, di passioni, di sacrifici, di rinunce e di vittorie.

    Un tempo era facile guardare le stelle; bastava sostare un poco alla finestra o sedere sul gradino di casa o sul prato di una collina o sulla spiaggia umida del mare o sul greto di un torrente e lasciare che gli occhi si imbevessero di infinito, placandosi.

    Le stelle si guardavano anche camminando sulla spessa coltre di neve o lungo i sentieri incupiti di fronde, sui selciati ciottolosi o sulla morbida erba illanguidita dalla brina o dal tepore della notte.

    Oggi, questo modo di elevarsi in alto tra la bellezza e la solitudine, il raccoglimento e la beatitudine struggente, è divenuto un privilegio, un dono concesso a pochi, un pretesto per allontanarsi dal caos alleviandone la morsa soffocante. Ma ognuno di noi, quando ritrova in se stesso la forza e l'attimo per fermarsi ad ascoltare il sospiro leggero ed inquietante della sera, quando ad una ad una riesce a risentirne le parole di pace e il sussurro ininterrotto, riprende l'abitudine al sogno e riacquista la consapevolezza del corso stupendo di un destino cosmico che coinvolge il sottile divenire umano con la sua realtà statica implacabile.

    «E finalmente io ti domando o uomo sciocco. Comprendi tu con l'immaginazione quella grandezza dell'universo, la quale tu giudichi esser troppo vasta? Se la comprendi vorrai tu stimar che la tua apprensione si estenda più che la potenza divina, vorrai tu dir d'immaginarti cose maggiori di quelle che Dio possa operare? Ma se non la comprendi, perché vuoi apportare giudizio alle cose da te non capite?»

    Le parole di Galileo nell'opera Dialogo dei Massimi Sistemi, hanno ancora una potenza mistica meravigliosa; sono l'espressione e l'eco di una religiosità profonda, intatta, e che non fu mai scalfita dalla scienza. L'uomo, infatti, ha sempre cercato nella natura l'immagine di Dio, la sua immensità, la certezza e la fede; e in essa il più puro ha trovato emozioni e pensieri divini, interrogativi e risposte per la sua inquietudine e per la sua speranza.

    Quanti versi sono stati dedicati alle stelle e quante pagine d'amore. La distanza e la loro irraggiungibilità le hanno rese perfette per secoli; esse hanno rappresentato per l'umanità un riferimento di preghiera, come il sole e la luna, un segnale di direzione, lo scandire del tempo e il mutare delle stagioni... Nel vivo accendersi o spegnersi delle fiammelle celesti, si è letto un messaggio, un auspicio o un avvertimento di sciagure, e nell'ansia di interpretare la loro quasi assurda eterna bellezza vi è sempre stata l'esigenza del mortale di giungere a comprendere verità diverse ed immutabili e, quindi, l'idea esaltatrice del creato e di chi lo ha mosso.

    Keplero, un'altra grandissima figura del mondo astronomico, con Copernico e Galileo uno dei più importanti riformatori di questa scienza, scrisse in fondo alla sua opera l'Armonia del Mondo: «Io ti ringrazio, o Dio creatore, perché tu mi hai dato la grazia di vedere quello che hai fatto, esultando per l'opera delle tue mani. Ho finito questo lavoro al quale sono stato chiamato. Ho messo in esso tutta la forza del mio spirito che tu mi hai donato. Ho potuto scoprire la grandiosità della tua opera agli uomini che leggeranno queste pagine, per quel tanto che la mia mente limitata ha potuto capire dell'infinito del tuo regno».

    Come videro le stelle i popoli antichi

    L'astronomia non è una scienza di oggi o di ieri; la sua nascita risale a migliaia di anni fa, ad epoche di cui ci sono rimaste poche testimonianze ed ancor più rare tracce. Le stelle hanno sempre esercitato sugli uomini una strana attrazione e da esse non è improbabile che giunga anche un richiamo continuo, un flusso che ci condiziona nostro malgrado, come condiziona le piante e gli animali. Questa interdipendenza fisica giustifica quindi il veloce cammino fatto attraverso i millenni da questa scienza vastissima, costruita su calcoli perfetti, ma sulla quale non potrà mai esser posta la parola «fine».

    L'universo è troppo vasto e lontano perché noi si possa raggiungerlo tutto e scrutarlo nella sua oggettività reale e non definita da ipotesi o da relazioni; per ora, l'uomo è arrivato soltanto sulla Luna; forse un giorno approderà su Marte o su Giove o su qualche altro pianeta. Ma i corpi sperduti nell'infinito sono milioni e milioni, tanto che a guardarli da quaggiù, ad occhio nudo o con il più potente telescopio, colmano l'animo di smarrimento e di inquietudine.

    All'inizio della storia, comunque, nessuno avrebbe potuto immaginare le future vittorie dell'uomo; nelle stelle l'uomo dapprima trovò soltanto un punto di riferimento ai suoi spostamenti, alle sue giornate, alla sua fatica. Era un appoggio e una guida che gli giungeva dal cielo, un aiuto che chiedeva in ginocchio o che traeva dal suo continuo ammirare lo scintillio della notte serena e quei palpiti che parevano lievi moti, fughe leggere e ritorni dolci.

    I cacciatori senza città e villaggi e che vagavano senza sosta in cerca di animali, di frutti e di radici per sopravvivere, le tribù che attendevano che l'onda restituisse il sole alla terra, non tardarono ad accorgersi che un dato gruppo di stelle formavano disegni caratteristici, che si potevano riconoscere di sera in sera. Queste costellazioni parevano tracciare nel cielo archi circolari, muovendosi lentamente come sfere di un gigantesco orologio; ed impararono ad ascoltarne i battiti delle lancette e quindi ad orizzontarsi ed a riconoscere il passare del tempo, l'allontanarsi di una stagione e l'avvicinarsi di un'altra.

    I Fenici, ad esempio, sentirono presto il bisogno di leggi astronomiche per i loro spostamenti e si basarono sul sole e sulle stelle per spingersi in pieno Atlantico.

    «Lungo le coste europee, il sole di mezzodì, in qualsiasi giorno dell'anno, è più basso nei porti più settentrionali di quanto non sia in quelli meridionali», si presume sia stato più o meno il ragionamento dei primi astronomi. «Da ciò deriva che se noi stiamo attenti alla lunghezza dell'ombra, differente in ogni luogo nel medesimo giorno dell'anno, possiamo arrivare ad avere la posizione di ciascun porto.»

    In seguito si notò che un astro poteva apparire sempre più in alto nel cielo o sempre più vicino all'orizzonte, a seconda della direzione presa; che i raggi del sole, della luna e delle stelle formavano linee rette e parallele fra loro e che quindi la terra doveva essere sferica; e che la navigazione avrebbe dovuto seguire le norme che si leggevano sulle volte stellate. Ma già allora dall'esame del moto della Luna, dalla conoscenza delle sue fasi e della sua rivoluzione mensile, erano sorte le nozioni elementari del mese composto da quattro settimane (perché appunto la lunazione ha quattro fasi) e la primitiva idea dell'anno (12 lunazioni) e pertanto l'inizio della misura del tempo mediante i calendari lunari.

    Babilonesi, cinesi, egiziani, fenici e indiani, ebbero osservatori astronomici fin dal 3000 a.C. La prima osservazione di una eclissi venne fatta nel 2697 in Cina e qui, nel 1100 a.C., venne anche realizzata la determinazione dell'eclittica e della sua inclinazione sull'equatore; la divisione sessagesimale del circolo e dodicesimale del giorno nacque prima del 500 a.C., e in questo periodo a Babilonia vennero eseguite precise osservazioni delle eclissi e gli Egiziani determinarono esattamente l'anno tropico. Le stelle erano state tanto osservate e scrutate, che i Caldei avevano scoperto persino il ciclo di Saros, di 18,6 anni, in base al quale si ripetono nello stesso ordine tanto le eclissi solari quanto quelle lunari, ed era nata l'arte gnomonica, come tecnica di costruire gnomoni o meridiane.

    Talete, Anassimandro, Democrito, Platone, Pitagora, Eudosso, Aristotele, Callippo, Aristarco e il grande Ipparco. Chi di noi, almeno una volta, non ha sentito parlare o non ha incontrato leggendo il nome di questi greci illustri e indimenticabili nella storia del cammino scientifico, filosofico e matematico dell'uomo?

    In ognuno di essi, oltre all'amore di conoscere e all'ansia di sapere, vi deve essere stata la passione sconfinata per la perfezione e la bellezza. Ci sembra di averli davanti, di conoscerli da sempre, di aver contemplato insieme con loro le notti calde e dolcissime di una terra densa di umori e di civiltà; di averli sentiti raccontare, sotto Io splendore delle stelle, ipotesi di mondi popolati, di interferenze universali; ci sembra soprattutto di aver sentito dalla loro voce, che immaginiamo pacata e serena, affascinanti spiegazioni di movimenti celesti e di distanze e di cifre... Spiegazioni che in sostanza furono e saranno sempre valide, come valido è stato il loro studio e la loro tesi sulle stelle.

    Anassimandro, che visse tra il 611 e il 547 a.C. ci fornì per primo una descrizione concreta della superficie terrestre, anche se la costruzione delle carte era già nota in Egitto e in Mesopotamia e introdusse l'orologio solare, che consentiva di determinare i movimenti del Sole e le date dei due solstizi e dei due equinozi. Anassimandro fu anche il primo ad osservare le dimensioni e le distanze dei corpi celesti; egli era convinto che il Sole, le stelle e la Luna fossero inclusi in anelli opachi e forati, ruotanti attorno alla Terra piatta e posta al centro dell'Universo.

    Prima di lui, Talete aveva sostenuto ingenuamente che la Terra doveva avere la forma di un disco galleggiante sull'acqua e che le stelle appartenevano ad una volta celeste che delimitava in alto l'universo; però Erodoto afferma che egli fu in grado di predire, dopo un lungo soggiorno in Egitto, l'eclissi di Sole del 585 a.C.

    Anassimene pensò che l'universo fosse vivente e chissà quanti sogni fantastici gli ispirarono le sue notti di attesa, di studio e di osservazione accanita. Un universo popolato da altri uomini e da altri mondi: quanti astronomi o scienziati non si fermarono su questa congettura meravigliosa, su ipotesi addirittura folli nella loro arditezza sconfinata? E quante volte essi non furono tacciati di visionari, di fanfaroni o peggio? La scienza è scienza e la fantascienza è fantascienza, nè l'una nè l'altra devono uscire dal loro campo per invadere zone proibite e contrastanti. Ma fino a che punto la fantascienza si oppone alla scienza? Basta pensare ai libri di Verne, alle sue descrizioni di mezzi e di macchine ancora non realizzate dalla moderna tecnica, ma anticipate in modo stupendo dalla sua immaginazione; basta ricordare come vennero trattati certi fisici o medici all'inizio dei loro studi.

    Nel 1790, per citare un esempio recente, l'Accademia delle Scienze di Parigi scatenò una campagna offensiva e denigratoria nei confronti del fisico Chladni, «reo» di aver sostenuto l'origine cosmica delle meteoriti. «Solo un pazzo può affermare che dal cielo possano cadere sassi sulla Terra», dissero in coro illustri matematici, astronomi, medici e chimici.

    E dovettero rimangiarsi poi tutti i loro lazzi e i loro insulti.

    Oggi c'è gente che afferma di aver parlato e di incontrarsi segretamente con marziani, venusiani ed altri abitanti di pianeti più o meno conosciuti. Ci sono persone degne della massima fede che giurano di aver visto arrivare dal cielo astronavi inviate da civiltà extraterrestri per mettere l'uomo in guardia contro il suicidio nucleare o per studiarne i costumi ed ogni forma di vita.

    Fantasia malata? Suggestione? Deliri e invenzioni originate dall'ansia di conoscenza e dall'inquietudine di soggetti impauriti dai mali peggiori del secolo?

    Sarebbe troppo semplicistico rigettare tutto questo od ammetterlo in blocco. Certo è che da millenni si raccontano le cose più stupefacenti e si raccolgono dei nessi fra il nostro mondo e quello che, all'infinito, ci appare avvolto di misteri e di bellezza. Da secoli, forse da sempre, il terrestre accenna di continuo ad esseri che vengono o sono venuti dalle stelle portandoci le loro leggi, le loro esperienze, il loro aiuto e la loro condanna; vi sono moltissime testimonianze di un quasi sovrannaturale andare e venire per quelle vie che abbiamo incominciato anche noi a percorrere per arrivare alla Luna.

    George Adamski, un americano di origine polacca morto a 74 anni nel 1965, autore di libri come I dischi volanti sono atterrati, All'interno di un'astronave e Addio dischi volanti, scatenò con le sue asserzioni una vera e propria passione per l'astronomia e tutto ciò che ancora questa scienza nasconde. Dopo la pubblicazione delle sue opere vi fu un periodo in cui nell'America parve ad un tratto risvegliarsi la vecchia dimenticata abitudine di contemplare i cieli notturni, e molti si riunirono nei punti isolati delle città o della campagna, vicino alle spiagge, sperando forse di incontrare qualche extraterrestre o di veder uscire dalle tenebre e scendere dall'alto una macchina complicata e lucente o un semplice disco volante.

    «Come studioso di filosofia e di scienza per molti anni», scrisse Adamski, «ho insegnato che gli altri pianeti sono abitati, e ciò da parecchio tempo prima che avessi visto i dischi volanti o avessi avuto il piacere d'incontrare personalmente i loro occupanti... Accurate ricerche compiute sulla Bibbia portano alla luce diverse relazioni sui visitatori extraterrestri. Un ecclesiastico mi raccontò, infatti, d'aver trovato circa 350 relazioni del genere...»

    L'interessante, e per taluni aspetti paradossale, personaggio che fu George Adamski, ebbe molti proseliti convinti e cercò anche di avvalorare le sue tesi con interpretazioni assai soggettive dei testi sacri.

    «Nel Vangelo di San Giovanni », egli infatti diceva, «leggiamo: ' Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore; se non fosse così, ve l'avrei detto. Vado a preparare un posto per voi'. Questo dimostra chiaramente che, se ci evolviamo abbastanza, possiamo andare in un altro mondo e vivere proprio come Egli affermò d'accingersi a fare. Tanto emerge dai versi seguenti: ' E quando sarò andato ed avrò preparato un posto tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io siate anche voi'.»

    «È illogico», asseriva ancora George Adamski, «credere che Cristo fosse il solo abitante del suo mondo. Il suo pianeta deve avere milioni di persone felici, che furono considerate angeli quando compirono periodicamente viaggi sulla Terra. E detto che Gesù venne portato fisicamente in cielo e basta questo a provare che in qualche luogo esiste un pianeta atto ad ospitare la vita... Nel Vangelo di San Giovanni troviamo: ' Ed egli disse: voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo...' Questo concorda pienamente con le dichiarazioni dei visitatori spaziali, quando dissero che la Terra è come la prima classe di una scuola. Progredendo, saliremo ai pianeti alla guisa di chi va dalla prima, alla seconda, alla terza classe, da classe a classe e da pianeta a pianeta... Alcuni scelgono di nascere qui come Gesù, altri di venire quaggiù con una nave e vivere come uno di noi: parecchie centinaia lo stanno facendo oggi...»

    Adamski continuava a lungo su questo tono, scomodando anche Isaia («Chi sono costoro che volano come una nuvola, come colombi alle loro colombaie?»), ma a parte i profeti e i testi sacri, egli raccontava addirittura di essere stato sul pianeta Saturno e si dilungava in descrizioni che non possono non riuscire affascinanti per un lettore sprovveduto e fantasioso. Tutte le ipotesi sono sempre state aperte per quanto riguarda i mondi sconosciuti e nessun scienziato, neppure il più scettico idolatra della logica, si è mai sentito di escludere in maniera assoluta o di ignorare certe testimonianze tangibili di fenomeni e di avvenimenti che non sono stati ancora spiegati.

    Torniamo dunque ai primi importanti astronomi della Grecia, la terra che raccolse con entusiasmo e perfezionò le esperienze e gli studi di civiltà più antiche. La figura di Pitagora occupa un posto di rilievo nel campo dell'appassionata ricerca della verità sull'universo, anche se il maestro, il grande matematico, non fu alieno da un certo atteggiamento mistico che condizionò il metodo scientifico delle sue esplorazioni. D'altronde, come abbiamo già detto, è difficile trovare un astronomo, prima della fine del '700, che non si sia ad un tratto lasciato trascinare da un sentimento profondamente religioso nei riguardi delle stelle. È facile comprendere questo; basta infatti fermarsi ad ammirare i silenzi di certe notti serene, d'inverno o d'estate, per sentirsi perdutamente attratti da un infinito che non è soltanto realtà fisica, ma anche e soprattutto palpito di emozioni, e speranza e bisogno di fede.

    Pitagora ebbe l'intuizione della perfezione sferica e questa fu la base di partenza per concludere che la Terra e i pianeti dovevano essere necessariamente rotondi; la sua scuola sostenne quindi con Filolao di Taranto (480 a 400 a.C.), che il nostro mondo non era posto al centro dell'universo; «esso non è che un pianeta e come tutti gli altri pianeti, ruota anch'esso attorno ad un fuoco centrale situato sul lato della faccia terrestre opposto a quello sul quale viviamo e perciò a noi invisibile» disse il discepolo di Socrate, e suppose anche l'esistenza di un'antiterra per equilibrare il sistema planetario.

    Platone, che amò l'astronomia come l'esemplificazione della matematica, considerò le irregolarità dei movimenti planetari come incompatibili con la perfezione ideale dell'universo e perciò tentò di considerarli come il risultato di movimenti circolari semplici; Eudosso di Cnido propose invece la soluzione delle sfere omocentriche, secondo la quale tutti i corpi celesti ruotano con moto uniforme, trasportati da sfere aventi un centro comune coincidente con la Terra, concepita di forma sferica e al centro dell'universo.

    Nel IV secolo a.C., Callippo di Cizico, che incominciò a scrutare il cielo e a disegnare tracciati e movimenti di astri all'età di quattro anni, aggiunse alle sfere di Eudosso, suo maestro, altri elementi. Egli era riuscito a rilevare, infatti, irregolarità che nessun altro aveva accertato nel moto dei pianeti.

    La «lettura» della volta stellata, patrimonio e privilegio, nell'antichità, di una casta di sacerdoti-filosofi-scienziati, divenne col tempo indagine rigorosa, matematica pura vincolata, tuttavia, o adattata, alle esigenze generali di un sistema di pensiero.

    Aristotele accettò il dogma del cerchio e della sfera come forma perfetta; egli concepì quindi l'universo formato da una serie di sfere cristalline, aventi tutte il centro nella Terra, la cui atmosfera si componeva di «esalazione terrestre», acqua, aria e fuoco. L'etere, la sostanza misteriosa che il grande filosofo greco non seppe descrivere, doveva terminare la serie degli elementi naturali e dopo di questa venivano sette sfere corrispondenti ciascuna ad un pianeta. L'ottava sfera era quella delle stelle fisse: il tutto, racchiuso l'uno nell'altro, apparteneva al globo armonico guidato dalla forza divina.

    Non è nostro compito quello di addentrarci nella profondità di queste teorie o di valutarne la portata. Noi vogliamo soltanto accennare ai pensieri che nacquero un tempo lontano o più vicino guardando la volta del cielo; fermarci a tratti sul cammino percorso in questi secoli da uomini che dedicarono tutta la loro vita alla comprensione di mondi lontani e irraggiungibili, ma ascoltare anche i loro sogni o quelle che sono state definite allucinazioni o fantasie impossibili.

    Il cielo ci guarda

    Da millenni l'uomo rivolge lo sguardo all'immensità che lo sovrasta e prega i suoi cieli e l'infinità delle sue stelle, senza comunque cessare di indagare sul perché di questo esistere lontano e apparentemente tanto perfetto. I risultati sono stati sorprendenti, al punto che oggi ci si chiede con sempre maggiore cognizione di causa se non si possa stabilire persino un contatto con abitanti di altri pianeti; un contatto che pare sia sempre esistito a nostra insaputa o nostro malgrado.

    Mentre noi ci affanniamo e tentiamo di arrivare a conoscere altre forme di vita, altri, probabilmente, sono in continuo ascolto delle nostre «voci» e ci possono scrutare e controllare proprio da quel cielo da noi analizzato e «letto» sino all'impossibile. Partendo da questa supposizione, dal 1931 si è cercato di creare nello spazio una fittissima rete di antenne in grado di determinare con esattezza la posizione di eventuali sorgenti radio di altri pianeti. In quell'anno, infatti, è nata la radio-astronomia, la scienza sorta soprattutto per l'ingegno di un giovane ricercatore dei laboratori della Compagnia Telefonica Bell, negli Stati Uniti: Karl Jansky. Questi aveva avuto l'incarico di studiare i fenomeni di interferenza che turbavano i collegamenti transoceanici, ma nelle perturbazioni di origine atmosferica aveva captato anche un rumore che pareva provenire da una determinata direzione spaziale, da un punto invisibile che sorgeva a est e tramontava ad ovest come il Sole.

    «Le onde provengono dal centro della Via Lattea», aveva concluso Jansky, e la sua antenna radio orientabile aveva quindi scoperto che dal cielo giungevano delle vibrazioni che non avevano nulla a che fare con la luce. La ricerca dell'americano, anch'egli, come Adamski, di origine polacca, venne sfruttata da un ingegnere di nome Grot Reber di Chicago, che nel 1937 incominciò l'ascolto dell'universo con l'antenna in fogli metallici in forma di coppa, con un diametro di 10 metri, costruita nel suo giardino. In seguito, la guerra interruppe le esperienze, ma nel 1959 due professori dell'Università di Comell, Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, elaborarono un progetto in grado di captare i richiami interstellari e sul giornale scientifico inglese Nature pubblicarono calcoli e teorie di grandissimo interesse. «Forse in questo istante», scrivevano inoltre, «civiltà sconosciute cercano di mettersi in contatto con noi, mentre noi non ci preoccupiamo, pur avendo i mezzi per inviare ad essi i nostri messaggi.»

    I due scienziati rimasero delusi per lo scarso successo ottenuto presso il capo del grande osservatorio radio di Jodrell-Bank in Inghilterra, ma non sapevano che il loro piano d'ascolto era già stato elaborato in tutti i dettagli da un giovane astronomo ed elettronico che si era affrettato, subito dopo l'articolo uscito sul Nature, a scrivere loro: «Qui Frank Drake da Green Bank nella Virginia Occidentale: noi siamo sulla linea di partenza...»

    Drake era stato ossessionato fin da bambino dall'idea che l'universo fosse popolato, ed era riuscito a costruirsi un'antenna parabolica di 28 metri di diametro per osservare sulla lunghezza d'onda di 21 cm eventuali segnali radio intelligenti provenienti da civiltà più progredite della nostra.

    In breve, i tre si riunirono e prepararono il progetto OZMA, dal nome della principessa della fiaba «Il mago Oz», che secondo loro avrebbe potuto dare la certezza delle loro supposizioni.

    Alle 4 di un magnifico mattino d'aprile, nel 1960, gli astronomi puntarono le orecchie metalliche del loro radiotelescopio verso una stella che stava per levarsi al di sopra dell'orizzonte, la Epsilon Eridani, a circa undici anni-luce da noi, che somiglia al nostro Sole e che dunque potrebbe avere pianeti simili alla Terra. Drake e i compagni speravano di captare segnali radio trasmessi undici anni primae viaggianti attraverso lo spazio alla velocità della luce. Dopo qualche giorno, quando l'ascolto aveva incluso anche la stella Tau Ceti, i tre scienziati ebbero un sussulto; dal cosmo arrivavano segnali intelligenti, forse la prima prova di vita di un altro mondo.

    «Ci siamo», dissero stravolti dall'emozione. Poco dopo arrivava comunque la smentita: i segnali radio provenivano da un aereo smarrito.

    Mondi sconosciuti, civiltà remote e meravigliose, esperienze di viaggi esaltanti, di scoperte incredibili... Nella mente e nell'animo di ognuno di noi nascono interrogativi che si allacciano di continuo a realtà diverse ed a testimonianze sconvolgenti; solo che le necessità della vita vietano ai più di fermarsi sulle cose che forse rappresentano anche la soluzione di tanti enigmi storici, religiosi e sociali.

    Nessun osservatorio radio sulla Terra ha ancora captato segnali provenienti da emittenti costruite da esseri intelligenti di un altro pianeta; eppure le ricerche continuano con fede incrollabile e con certezze matematiche tutt'altro che ingenue. La passione per l'astronomia ha raggiunto in certi paesi punte elevatissime; nell'Unione Sovietica, ad esempio, l'amore per l'esplorazione stellare spinge moltissime giovani donne ad accettare l'isolamento delle stazioni di ricerca nelle montagne del Caucaso o nel deserto della Siberia meridionale. Gli assistenti di grandi astronomi diventano sempre più numerosi.

    «Guardiamo le stelle che ondeggiano come laghi lontani nella più nera profondità...», scrive Eugen Semitjov, che ha visitato i centri di ricerca russi e americani, «e ci domandiamo: ` Da qualche parte, là in alto esistono esseri viventi, pensanti, combattivi come noi e così infinitamente piccoli? Ma dove? In questa o in quella direzione? Dove li troveremo?'...»

    Gli astronomi pensano oggi che nella nostra galassia vi siano sistemi planetari; la Via Lattea è un vortice di centinaia e centinaia di miliardi di stelle, e attorno ad un gran numero di queste girano probabilmente altre Terre popolate... Da quale di queste in un passato lontano sono giunti degli esseri estremamente più civilizzati di noi? E da lassù che in secoli remoti venne la vita? Un brano dell'Antico Testamento lo fa pensare:

    «Io guardavo: c'era un vento di tempesta che soffiava dal Nord, una grossa nube circondata da un barlume di luce. Al centro scorsi qualcosa, come quattro animali... ognuno aveva quattro facce e quattro ali...» Nella Bibbia, in queste pagine che descrivono l'apparizione o, comunque, ciò che il profeta Ezechiele, vissuto 600 anni prima di Cristo, disse di aver visto, si legge ancora: «Le loro gambe erano dritte e i loro zoccoli assomigliavano a quelli del bue, scintillanti come rame lucente... Le loro ali erano dispiegate verso l'alto...; ognuno aveva due ali che si toccavano e due che coprivano i loro corpi; ed andavano in fila; andavano là dove lo spirito li spingeva. Ascoltai il rumore delle loro ali, come un rumore di grandi acque... Quando si fermarono ripiegarono le loro ali. Al di sopra della volta che era sulle loro teste, vi era qualcosa come una pietra di zaffiro a forma di trono; e su questo trono, al di sopra, in alto vi era un essere che aveva sembianza umana...»

    Era un aereo quello visto da Ezechiele?

    Secondo il costruttore svedese Henry Kjellson, morto nel 1962 a settantun anni, ciò è molto probabile.

    «Il trono in pietra di zaffiro fa pensare ad un abitacolo in plexiglass», ha affermato, «e l'essere con sembianza umana a un pilota con casco e occhiali; il barlume di luce richiama l'idea del gas di scappamento di un motore a reazione o di un razzo.»

    Kjellson, che ricevette l'Ordine dell'Impero Britannico per essere riuscito a ricostruire l'arma segreta tedesca, il missile VI, studiando i relitti, e che fu un appassionato sostenitore della tecnica avanzata di culture esistenti migliaia di anni fa, analizzò anche profondamente i testi antichi e quindi la Bibbia.

    « L'Antico Testamento è stato scritto in ebraico, in un testo senza vocali», ha sottolineato il professore al Politecnico. «Queste ultime sono state aggiunte 600 anni dopo Cristo quando l'ebraico era una lingua morta da circa 700 anni. L'interpretazione delle parole di Ezechiele deve essere quindi diversa.»

    Per «bue» il profeta voleva dire, quindi, «disco rotondo»; il testo avrebbe dovuto essere ripreso con «... i loro piedi erano dischi rotondi», ossia ruote. Ed infatti, Ezechiele dice in seguito: «I cherubini spiegarono le loro ali e si levarono da terra davanti ai miei occhi... e le ruote con essi». La parola ebraica «cherubino», significa qualche cosa che solleva; è nata da questo l'idea degli angeli provenienti dal cielo e di un mondo ultraterreno che sarà il premio degli uomini buoni? Si può spiegare così la presenza di aerei sul nostro pianeta duemilacinquecento anni fa?

    Negli scritti Rlimayana e Malzahartita, in sanscrito, si legge che nel passato esistevano nelle Indie delle specie di apparecchi chiamati «Vimani»; solo i sovrani ed i principi potevano volare su questi aerei dal «corpo solido e resistente come un uccello, fatto in materiale leggero». Esiste anche un'incisione rupestre indù che rappresenta un velivolo con la forma di una cassa che vola ad di sopra di un palmeto e che somiglia al biplano di Farman dei primi decenni del nostro secolo.

    «Per mezzo dei Vimani gli uomini possono volare nell'aria e gli esseri del cielo possono scendere sulla terra», dice uno scritto Indù; ed ecco la prova che dalla volta stellata, nei tempi che furono, giunsero a noi degli esseri di altri mondi portando all'uomo tecniche progredite. Solo così sostengono gli studiosi, è possibile accettare certe improvvise forme di civiltà assai elevata, certe conoscenze stupefacenti, certe realizzazioni che ci lasciano stupefatti e delle quali abbiamo testimonianze tangibili. Cinquemila anni fa, ad esempio, i Sumeri, che vivevano nella parte meridionale della Mesopotamia, sapevano dell'esistenza di nove pianeti del nostro sistema solare; noi abbiamo scoperto il nono nel 1930.

    Chi portò dunque a questo popolo, all'origine primitivo, nozioni di tale portata? Chi li aiutò a sviluppare una cultura progredita in brevissimo tempo?

    «Un essere sconosciuto proveniente dal mare», rivelano certi scritti sumerici. «O forse dal cielo?», si chiedono gli astronomi, ricordando la pila elettrica isolata trovata fra le rovine di duemila anni fa, in un vaso di terra, a Bagdad, e quelle portate alla luce vicino all'antica Babilonia, e la descrizione indù sul come fabbricare una batteria elettrica, ai tempi di re Rima, circa cinquemila anni fa. Henry Kjellson ed altri sostengono che tutto è esistito già sulla Terra e che da altri pianeti deve essere arrivata la scintilla del sapere; anche la bomba atomica pare sia stata conosciuta e, quello che è peggio, usata, in India. Ecco infatti ciò che ci è giunto da un passato lontanissimo «Drona usò allora l'arma di Brahma, che fece tremare la terra, le sue montagne, i suoi fiumi e i suoi alberi, e venti violenti cominciarono a soffiare... Con l'arma di Brahma tu hai bruciato sulla terra uomini disarmati. Questo non è giusto. Dimentica quest'arma. Non deve essere impiegata contro i mortali. Se si lancia l'arma di Brahma, può essere distrutto il mondo intero. Essa ucciderà anche te insieme alle tue truppe...»

    Cosa attendiamo dal cielo?

    Quando noi ci perdiamo a guardare le stelle del firmamento lasciandoci avvolgere da un sentimento di struggente malinconia, forse non facciamo che rivivere inconsciamente il tempo in cui ad esse si poteva giungere o dalle quali arrivava protezione ed aiuto. Il cielo rappresenterebbe dunque per noi quel paradiso perduto per colpa nostra, il mondo immenso della perfezione, senza la quale non vi è che inquietudine, sconforto e peccato.

    «Circa cinquemila anni fa», ha affermato il russo Alessandro Kazantsev, uno dei pionieri fra i ricercatori che studiano il passato dell'umanità e della terra partendo da considerazioni del tutto diverse da quelle che hanno mosso la scienza ufficiale di questi secoli, «viaggiatori dello spazio atterrarono sull'isola giapponese di Honshu. Venivano da un pianeta sconosciuto, ove l'evoluzione aveva raggiunto un livello molto elevato e arrivarono in un mondo all'età della pietra, dove gli uomini si coprivano ancora di pelli di animali.

    »È una delle numerose visite che civiltà straniere hanno reso alla nostra Terra in luoghi e in momenti diversi.» Come può affermare questo con tanta sicurezza Alessandro Kazantsev? Uno scienziato serio non si lascia mai prendere la mano da fantasie, sia pure per giustificare una propria profonda convinzione; e infatti egli basa le sue asserzioni su testimonianze e tracce tangibili. In caverne vicino alla «Baia delle fiamme enigmatiche», nell'isola centrale giapponese di Honshu, sono state trovate delle bambole di terra che risalgono a cinquemila anni fa e che hanno tutta l'aria di essere la riproduzione esatta di astronauti. Ecco la descrizione che ne fa Semitjov, che le ha viste proprio nella casa di Alessandro Kazantsev, con il quale ne ha parlato a lungo.

    «Tengo fra le mie mani la bambola più grande, la giro e la rigiro con precauzione. È alta un po' più di trenta centimetri, con grosse braccia sporgenti, con grosse gambe allargate e con sulla testa un casco che sembra portare sopra grossi occhiali da motociclista.

    » Il costume è ornato da disegni a spirale. Alla base del casco un collare che ricorda quello degli scafandri dei nostri cosmonauti.

    » La prima impressione è che la bambola potrebbe essere l'immagine di un dio, in abito da cerimonia, forse per feste rituali... ma ci sono quegli occhiali da motociclista! La risposta di Kazantsev viene spontaneamente: ' Lei ritiene che quella statuetta sia stata scolpita da un uomo dell'età della pietra che si vestiva con pelli di animali? Cosa ne sapeva lui di vesti da cerimonia? No, guardi i particolari e lasci parlare la bambola. Il costume è rivelatore: è composto di una parte rigida che copre il tronco e da parti morbide, flessibili per le braccia e le gambe: articolazioni sono visibili fra le diverse parti.»

    Non sono mani quelle che escono dalle maniche, ma piccoli uncini-tenaglie-manipolatori. Le maniche e i pantaloni sono con ogni evidenza pressurizzati. Il pianeta da dove sono venuti questi esseri aveva dunque una pressione atmosferica più forte di quella della Terra.»

    La bambola scoperta a Honshu ha occhiali con fessure strette e ciò probabilmente significa che questi inviati di altri mondi temevano la luce violenta del nostro sole; qualcuna di queste statuette portano un «filtro di respirazione» o valvole di raccordo di tubi e un oblò fissato con bulloni. In una caverna della «Baia delle fiamme enigmatiche» i collaboratori di Kazantsev hanno fatto anche un'altra scoperta sensazionale: una rupe porta l'incisione di un razzo, ossia di un corpo fusiforme con due alettoni sporgenti e delle strisce simili a fiamme.

    Si tratta di quel «serpente di fuoco» o «serpente piumato» che si trova anche presso gli Omechi, i Toltechi, gli Aztechi e i Maya? Quetzalcoatl, ricordato più volte nelle vecchissime leggende degli Aztechi, è infatti l'astronauta che ebbe come raggio d'azione l'America Centrale, il figlio del dio del cielo il cui nome significa «serpente delle nubi», il mitico re bianco che «insegnò agli uomini tutte le scienze»; e Quetzalcoatl, come il suo corrispondente guatemalteco Kukumatz ed altri personaggi «delle stirpi solari», si pensò arrivasse dall'immensa vastità celeste proprio su velivoli spaziali.

    Il Libro dei morti, una raccolta di testi magici attribuita al dio Thot ed ai suoi sacerdoti egiziani e risalente ad un periodo anteriore al 3500 a.C., accenna spesso ai «bianchi figli della luce» e al minaccioso diluvio di fuoco del «serpente immobile lungo il fianco della montagna» e pronto a levarsi nello spazio. Una spaventosa distruzione planetaria traspare di sovente tra le righe di questa interessante opera che parla della rabbia di Horus, «annienterò i demoni... quelli che percorrono il cielo, quelli che abitano la Terra ed anche quelli che raggiungono le stelle» e di abissi cosmici «... io m'approssimo alla zona maledetta nella quale sono cadute, precipitate verso il baratro, le stelle... in verità esse non poterono rintracciare le loro antiche orbite, perché la loro strada è ostruita...»

    Tutta fantasia? Non è possibile crederlo, anche perché le stesse leggende e gli stessi miti si ritrovano ovunque, tra i mongoli, i cinesi, i giapponesi, gli indiani e persino nella antichissima Persia.

    «Il furore avvampò tra le stelle», ricorda una tradizione mongola, «il furore accese Soli di Morte...» Il cataclisma dovette sconvolgere il mondo intero se tanti popoli ne parlarono. Nei testi della dinastia Chou, del 2346 a.C., si afferma che la Terra venne colpita da calamità terribili; «un intenso calore arse le zolle, i raccolti furono distrutti, spaventosi uragani flagellarono le città e le campagne, i mari si levarono e ribollirono, sommergendo campi, e mostri enormi apparvero ovunque, seminando strage. L'umanità temette l'apocalisse.» Nel cielo erano apparsi dieci Soli e l'imperatore aveva chiamato il divino arciere Tsu-yu, che sapeva volare e si nutriva di fiori. Tsu-yu era riuscito ad abbattere i nove Soli, lasciando al suo posto quello vero ed era poi scomparso sulla Luna.

    Lo studioso britannico Raymond W. Drake, che ha studiato e tradotto i testi antichi cinesi e raccolto una documentazione severa su quelle civiltà, scrive: «Alcune leggende riportate dai manoscritti ricordano, in una chiave che diremmo di fantascienza, stranissimi eventi che sarebbero occorsi in una lontana ' età dei prodigi', fra cui battaglie aeree simili a quelle descritte nel Mahahariita, il monumentale poema epico dell'India antica.

    »Fazioni rivali combattevano per il dominio della Cina, aiutate da creature celesti che prendevano partito a favore dell'una o dell'altra, usando armi spettacolose. No-cha impiegò il suo braccialetto cielo-terra per sconfiggere Feng-lin, che invano si rifugiò dietro una cortina fumogena. Più tardi, l'eroe, sulla sua ruota di fuoco e di vento vinse Chang Kuoi-fung chiamando in suo aiuto schiere di dragoni volanti d'argento'. Weng-chang sferzò Ch'ih con uno scudiscio magico', ma venne sbaragliato da un irresistibile specchio Yin-yang' irradiante una forza mortale. Le guerre erano condotte con una tecnica da autentici spaziali; i combattenti lanciavano accecanti raggi luminosi, gas venefici, ' draghi di fuoco' e globi di fiamma', dardi illuminanti' e fulmini'; praticavano la guerra biologica, facendo cadere capsule da ombrelli celesti', si proteggevano con veli d'invisibilità'; dovevano possedere... apparecchi radar o strumenti simili, mediante i quali si potevano vedere ed udire oggetti che si trovavano a centinaia di miglia di distanza; ed anche qui si tratta d'una tecnologia quasi identica a quella illustrata dai versi sanscriti del Mahdbhar'àta...»

    Drake ha affermato che non è improbabile che in un tempo assai antico sia vissuta una razza evolutissima. Ma da dove era giunta questa evoluzione? Ovunque c'è il richiamo costante alle stelle, agli uomini alati, ai «dragoni celesti...» James Churchward, uno studioso inglese, ha trovato un manoscritto indiano contenente la descrizione d'una nave aerea di 15-20 mila anni fa e in una relazione dell'Accademia internazionale di ricerche sanscrite di Mysore si legge: «... La presente traduzione dal sanscrito descrive vari tipi di vimana' (castelli semoventi) atti a viaggiare con forza propria in terra, in acqua o in aria, ed anche da pianeta a pianeta. Sembra che i veicoli aerei potessero venir arrestati nel cielo, persino resi invisibili, e fossero dotati di strumenti capaci di segnalare, anche a distanza, la presenza di apparecchi nemici».

    Potremmo scrivere pagine e pagine di testimonianze simili, di racconti che si rifanno di continuo a voli verso il Sole e le stelle, di «metallici cavalli del cielo», di «cocchi dell'aria», di «fulmini d'Indra» i cui effetti rassomigliano a quelli prodotti da scoppi nucleari, «di lance volanti» che forse non furono che missili. Ma alla fine, l'interrogativo resterebbe ancora più struggente: quali furono i rapporti di migliaia e migliaia di anni fa con i mondi extraterrestri? Siamo noi forse i pronipoti, la discendenza di quegli uomini che vennero dalle Stelle per portarvi la vita o la civiltà? Cosa si cela nei misteriosi scritti pervenutici da un mondo sepolto, distrutto forse da una guerra terribile e sconvolgente? Che significato dare ai ruderi carbonizzati, ai «blocchi di stagno colpiti dagli schizzi d'una colata d'acciaio» visti da esploratori attendibilissimi nella zona che si estende fra il Gange e i monti Rajmahal? Ai resti di edifici «simili a spesse lastre di cristallo», crepate e corrose da agenti ignoti, incontrati da alcuni viaggiatori nelle foreste indiane?

    Ecco il racconto dell'esploratore e cacciatore H. J. Hamilton: «Ad un tratto il suolo cedette sotto i miei piedi con un crepitio curioso. Mi misi al sicuro, poi allargai con il calcio del fucile la buca che s'era aperta e mi ci calai. Mi trovai in un locale lungo e stretto, che prendeva luce da un tratto di volta crollato; al fondo vidi una specie di tavolo ed un sedile, del medesimo ' cristallo' di cui erano fatte le pareti. Sul sedile era rannicchiata una forma bizzarra, dai contorni vagamente umani. Osservandola da vicino mi parve dapprima che fosse una statua danneggiata dall'azione del tempo, ma poi scorsi qualcosa che mi riempì d'orrore: sotto il ' vetro' che rivestiva quella ' statua' si potevano chiaramente distinguere i particolari dello scheletro».

    Il pianeta annientato

    Denso di nubi, colmo di stelle, azzurro di luce, nero di notte... L'universo che ci avvolge ci appare sempre lo stesso a seconda delle stagioni, dei mutamenti atmosferici, del nascere o del calare del Sole. Nemneno i più potenti telescopi riescono a cogliere la sua 'ita reale, quelle forme di vita superiori di cui si parla da millenni, ma che vengono escluse dagli astronomi e dagli scienziati per quanto riguarda il nostro sistema solare.

    Da dove sono dunque partiti quegli esseri straordinariamente equipaggiati e le cui immagini sono state riprodotte in statuine, in schizzi murali o attraverso descrizioni accuratissime? «Da altri sistemi solari», ha risposto qualcuno. Ecco, infatti, cosa dice Alessandro Kazantsev: «È esatto che gli altri pianeti del Sole non sono atti alla nascita della vita, almeno i pianeti attuali... Ma possiamo pensare che ci fosse un tempo un pianeta tra le orbite di Marte e di Giove. Esiste in quella posizione una cintura di blocchi di pietre di diverse misure, la cintura degli asteroidi. Si suppone che siano frammenti di un pianeta che è esploso. I ricercatori russi lo chiamano Fetonte, dal nome del mitico figlio del Sole folgorato dal suo cammino celeste... Io penso che sul pianeta Fetonte ci sia stata una civiltà assai progredita. Questa civiltà si è distrutta col suo pianeta durante una guerra atomica. La catastrofe ha potuto essere di una tale violenza che l'idrogeno degli oceani del pianeta è esploso come una gigantesca bomba H... L'era atomica e l'era dello spazio sono strettamente legate fra di loro. Gli abitanti di Fetonte hanno potuto fare delle spedizioni nello spazio al momento della grande catastrofe. Hanno potuto installare delle basi su Marte ed anche atterrare sulla Terra».

    Vestiti con tute pressurizzate, equipaggiati per proteggersi dall'accecante luce del Sole, alla quale non erano abituati a causa della distanza della loro terra dalla massa infuocata, i presunti «Fetontiani» sono dunque venuti a farci visita nei tempi remoti e prima di scomparire bruciati dalla loro civiltà? «Gli stranieri nei loro costumi hanno dovuto senz'altro provocare sgomento nel popolo dell'età della pietra», scrive Semitjov. «Considerati come esseri soprannaturali, venerati come dei, quando sono ripartiti sono stati rappresentati quanto più fedelmente possibile: piccole bambole di terra grigie da adorare.»

    L'ipotesi che la fine di Fetonte sia arrivata nel momento in cui era in atto una spedizione «Terra», non è stata scartata dagli scienziati. «È probabile che qualche abitante sia stato costretto a rimanere qui, adattandosi a poco a poco alla vita primitiva indigena», hanno detto. Ma la teoria secondo la quale i «Fetontiani» sarebbero arrivati fino a noi un milione di anni fa, per sfuggire alla catastrofe scatenata nel loro pianeta, trova maggiori consensi.

    «Questa variante spiegherebbe un enigma non risolto nel nostro passato», dice Kazantsev. «Nella catena dell'evoluzione, non si è ancora trovato l'anello tra animale e uomo. Forse gli abitanti di Fetonte sono i nostri veri primi antenati. All'inizio esseri assai evoluti che hanno degenerato, dopo essere stati tagliati fuori dalla loro civiltà e sono ricaduti allo stadio delle caverne.»

    Nel deserto dei Gobi una spedizione sovietica ha rilevato l'impronta di un piede fossilizzato risalente ad un milione di anni fa. La suola della scarpa doveva essere fabbricata in modo grossolano e corrisponde al numero quarantadue; chi era l'uomo arrivato in questa parte del mondo come un novello Armstrong? E chi, cinquantamila anni fa, era in grado di uccidere i bisonti con le armi da sparo? Al Museo di Paleontologia di Mosca, infatti, vi è il cranio di uno di questi grossi animali, indiscutibilmente colpito da una pallottola di fucile.

    Nel 1969 è stata fatta in Colombia una scoperta sensazionale: un gioiello, che per anni era rimasto in un museo senza destare attenzione particolare, che si credeva fosse appartenuto ad un pendente, e che pareva rappresentare un insetto, rivelò improvvisamente il suo segreto: era la riproduzione esatta di un aereo moderno, con reattori per il decollo e atterraggio verticale!

    «Negli anni 900 vi furono astronauti stranieri che visitavano la Terra», affermano gli esperti. «Non c'è alcun dubbio in proposito. A meno che non si voglia ammettere che il terrestre avesse nell'anno mille navi spaziali e aerei con ali a delta!»

    Alessandro Kazantsev, che non è certo uno sprovveduto o un fantasioso raccoglitore di favole, ma un ingegnere di fama internazionale, grande matematico e membro della società russa di Scienze Naturali (è nato a Omsk in Siberia), dice: «È la quantità di queste scoperte che impressiona. Prese separatamente, si potrebbe parlare di caso, errore, falsa conclusione. Ma tutti questi indizi, dappertutto nel mondo, non si possono ignorare».

    Mentre noi da secoli e secoli tentiamo di comprendere le leggi matematiche e le relazioni di altri mondi che probabilmente ci stanno osservando, valutando il nostro progresso tecnico inferiore al loro, gli stranieri spaziali approdano dunque in silenzio sulle nostre spiagge, nei deserti, negli spazi più lontani e vicini. Ci sono astronomi che valutano il numero di sbarchi sulla Terra, nel corso di tutti i tempi, a cinquemila.

    Nel 1908 vi fu una immensa esplosione devastatrice ad di sopra delle foreste vergini del fiume Steniga Tunguska, in Siberia, e ICazantsev partecipò alle spedizioni per la ricerca delle tracce di una presunta meteorite. In seguito, lo studioso ha affermato: «La catastrofe non fu provocata da una meteora, ma dall'esplosione di una nave spaziale atomica». Anche moltissimi altri scienziati sono del suo stesso parere, ma c'è di più ancora. Nel 1959, infatti l'agenzia TASS scrisse che molto probabilmente la nave spaziale proveniva da Venere, in quell'anno in posizione ideale per una traversata, e che lo scoppio era avvenuto proprio mentre l'equipaggio si preparava ad atterrare. Testimonianze del 1908 e i calcoli di alcuni astronomi accertarono che prima di esplodere una palla di fuoco aveva compiuto un tragitto a forma di S sulla Siberia.

    Ma ecco, in breve, cosa era successo. Ascoltiamo Semitjov, che parla con autorità nel campo della scienza russa: «Una palla di fuoco la cui luminosità era assai più intensa di quella del Sole, cadde dal cielo. La pressione dell'aria spazzò alberi giganteschi come fossero stati fiammiferi e distrusse la foresta per migliaia di chilometri quadrati. Corpi di animali carbonizzati furono la testimonianza del calore infernale che investì la regione. Migliaia di persone furono testimoni della catastrofe anche a grandi distanze. Con un rumore assordante la palla di fuoco si trasformò in un'immensa colonna di fumo che assomigliava ad un fungo. Questo ricorda un'esplosione atomica; ma come poteva essere un'esplosione atomica nel 1908? Trentasette anni prima dell'esistenza della bomba atomica?»

    Per anni le spedizioni inviate sul posto cercarono tracce della meteorite; non si trovò nessun cratere, nulla. Libby e Alturi, due studiosi dell'Università di California, ritengono che il mistero di Tunguska sia in stretta relazione con la creazione dell'universo e che la meteorite del 1908 fosse costituita di antimateria. Protetta da aria compressa, entrando a grande velocità nello strato esterno dell'atmosfera terrestre, l'arati-materia doveva — secondo questa ipotesi essersi surriscaldata fino a divenire gas e ad esplodere. E ciò troverebbe riscontro nel carbonio radiattivo accertato in percentuale superiore al normale nella vegetazione sviluppatasi dopo il 1909. «Se la quantità di anti-materia fosse stata maggiore», si sostiene, «addio vecchia Terra! La catastrofe avrebbe potuto essere mondiale.»

    Quanti pianeti abitati sono stati annientati in questi miliardi di anni nell'universo? E quanti per responsabilità di ordine atomico? Per quanto ci si sforzi di capire, l'infinito e la sua realtà destano sempre degli interrogativi terribili e angosciosi. Soltanto un giorno, forse, se veramente si riuscirà ad avere dei colloqui con gli extra-terrestri, che per ora pare vogliano solo sfuggirci, potremo avere qualche idea più chiara in proposito.

    Il giorno «C» e le comunicazioni infrastellari

    Qualcuno potrà chiedersi: gli altri mondi saranno in contatto fra di loro? Solo noi siamo rimasti isolati? È difficile dirlo. Per ora noi dobbiamo accontentarci di stare in ascolto e di osservare, con i sempre più potenti telescopi a nostra disposizione, quelle stelle meravigliose e piene di mistero.

    Durante il ventitreesimo Congresso internazionale d'astronautica, tenuto nell'ottobre del 1972, a Vienna, la CETI (Communication with Extra-Terrestrial Intelligence), ha emesso il seguente comunicato: «All'osservatorio radio di Green Bank, gli Americani hanno ripreso l'ascolto di segnali intelligenti con l'aiuto di un radiotelescopio di cinquantasei metri. Si tratta di un programma a breve termine che consiste nel provare nuove lunghezze d'onda e nello sperimentare altri metodi per identificare emittenti dirette da esseri pensanti. Non è che un programma di preparazione nella grande offensiva di cui possediamo già i mezzi e che speriamo di poter fare partire in un prossimo avvenire.»

    Il giorno «C», ossia del «contatto», non deve essere molto lontano, ormai, a sentire il parere dei più grandi scienziati interessati al progetto.

    «Il contatto con delle specie extra-terrestri è di fondamentale importanza per l'avvenire e la sopravvivenza dell'umanità», ha affermato il francese André Stoebner. «Senza questo contatto noi siamo condannati a morire e a scomparire.»

    Di recente sono già stati avviati studi di notevole importanza per arrivare a captare eventuali «voci» intelligenti perdute nell'infinito; prima o poi arriveremo senza dubbio a stabilire una verità nell'universo che ci circonda, ma questo a patto che l'uomo non distrugga se stesso con l'arma nucleare. È questa la paura di tutti, e forse anche degli « stranieri» extraterrestri, che arrivano sul nostro pianeta di continuo per studiare, forse, le nostre intenzioni e le nostre mosse.

    «Avremo verso gli anni '80 una prima piattaforma spaziale ad uso umano», ha profetizzato un monaco bavarese vissuto nel XVI secolo, «ma anche questa sarà motivo di dissidio, di lotte e di sangue...»... Uno scienziato americano sfiderà il sole... Nel 2160 l'uomo raggiungerà il pianeta Venere, dove il Diluvio di stelle trasformò già da tempo le città di corallo in una landa deserta... Nel 2200 l'uomo arriverà su Marte e anche qui non raccoglierà che cenere... Nel 2300 arriverà su Giove e non troverà che un filo d'erba bruciato dal sole...»

    Il monaco profetizzava anche la fine del mondo per opera di un conflitto termonucleare, ch'egli chiamava «gloria del fuoco»: «È tardi per alzare gli occhi al cielo. Tutto sarà fugace come un lampo. Tutto sarà violento come la folgore. La strada finisce alla sommità del colle. La quercia non è più che una canna marcia, come la vita dell'uomo, e al di là della quercia, la notte... La terra scivolerà verso il mare e trascinerà le genti. L'acqua sarà fuoco e nella fiamma si concluderà un tempo... Finalmente sulla terra ritorneranno a sbocciare gli ingenui fiori dell'età verde. La cicala sarà libera... Al fuoco seguirà la pace... Una pace solenne, maestosa, senza limiti, senza orizzonti... Sulle macerie... quattro superstiti capiranno che tutto è stato un sogno amaro... Capiranno che la vita non è gloria, ma pace... La vita dell'uomo, animale viziato, è finita.»

    Forse tutto ciò è già avvenuto; la terra secondo gli scienziati, ha avuto cataclismi terribili, avvenimenti di una violenza tale da provocare addirittura lo spostamento del globo. Ma è difficile pensare che sia stata la bomba atomica a provocare tali capovolgimenti. Una tavoletta reperita a Lhasa, accenna ad una «Stella Bal», che, «cadendo là dove oggi non c'è che il mare», avrebbe causato lo sprofondamento del favoloso continente Atlantide; ciò dovrebbe essere accaduto circa 12 mila anni fa e rientra nella tragedia umana che tutti i popoli tramandarono come «diluvio universale». Tradizioni eschimesi, lapponi e finniche assicurano che la Terra venne sconvolta in tempi remoti e che «il basso divenne alto» dopo un incendio universale. In America si racconta una leggenda simile alla narrazione biblica e presso i pellirosse i vecchi ripetono da secoli storie legate al diluvio.

    Nelle piramidi egizie si sono trovati papiri che testimoniano quanto deve essere accaduto in una epoca di «fuoco e d'acqua»; «la Terra si rigirò come su un tornio da vasaio» e «il sole cessò di abitare l'occidente e splendette di nuovo ad oriente».

    Due carte celesti dipinte sul soffitto della tomba di Semmut, architetto della regina Hatshepsut, rappresentarono per anni un rebus per gli scienziati. «Un personaggio che doveva avere ottime conoscenze di geografia e di astronomia non poteva incorrere in certi errori », sostenevano. Una delle carte, infatti, aveva i punti cardinali disposti nella maniera solita, ma l'altra segnava l'est a sinistra e l'ovest a destra. Più tardi la ragione venne compresa; la chiave per svelare il mistero fu trovata nella svastica, ossia nella «ruota solare» indiana. Questa simboleggiava il movimento del Sole visto dalla Terra, ma dopo il cataclisma prese due versioni: una con i bracci volgenti da ovest ad est, per significare la fortuna o, meglio, il ricordo di una età felice, quando il sole sorgeva da ovest per tramontare a est; e l'altra con la «girandola solare volta a sinistra» per rappresentare la triste condizione dell'uomo superstite dal diluvio.

    Migliaia e migliaia di anni fa, da pianeti sperduti nell'universo, partirono le astronavi cariche di viaggiatori «alati» per portare sulla Terra leggi sconosciute e conoscenze incredibilmente perfette. Gli uomini le accolsero con timore e diffidenza e quindi come messaggi divini; per questo essi cercarono di lasciare una memoria duratura di quel passaggio. Questi astronauti spaziali non dovettero comunque riunirsi in un unico luogo; essi si accordarono, forse, ed ogni pianeta scelse un approdo più congeniale per poter civilizzare il mondo secondo un disegno preciso e prestabilito. Ecco quindi che ogni popolo del pianeta Terra ebbe una fisionomia differente e consuetudini diverse pur narrando le stesse cose viste o vissute.

    Potrebbe essere un'ipotesi verosimile; non si può infatti spiegare in altro modo come uomini della pietra o quasi possano aver dedotto certe astrazioni matematiche e appreso certi dati astronomici.

    Talete, Anassimandro, Democrito, Platone, Pitagora, Eudosso e poi Aristotele, Callippo, Aristarco, Ipparco... Quanto stupore ha suscitato sempre la loro scienza, la loro fatica per arrivare a dare un significato alla volta stellata e per decifrare i suoi elementi essenziali... Eppure questo è niente in confronto a ciò che si sapeva mille e mille anni fa quando lo strumento scientifico non esisteva e l'uomo si doveva fidare dell'acutezza del proprio occhio, del proprio cervello, ma molto probabilmente anche di chi giungeva talvolta da lassù per spiegare quanto mai altrimenti si sarebbe potuto conoscere.

    «Circa 15 mila anni fa», scrive infatti. F. Lagarde, uno studioso francese, «il sacerdote babilonese Kidinnu, astronomo e filosofo, conosceva i dati relativi al moto annuo del Sole e della Luna con una precisione superata soltanto nel 1857, quando Hansen riuscì ad ottenere cifre comportanti non più di 3 secondi d'errore. Più straordinaria ancora è l'esattezza dei calcoli dell'antico saggio circa le eclissi lunari: i metodi attuali messi a punto da Oppolzer comportanti un errore di 7/10 di secondo d'arco per anno nel computo del moto solare; e le cifre di Kidinnu erano più vicine alla realtà di 2/10 di secondo d'arco. Il fatto che simili risultati siano stati raggiunti senza telescopi, senza orologi, senza la meccanica propria alle nostre osservazioni, sembra incredibile; a quel tempo l'Uomo di Aurignac tagliava ancora le sue pietre, incideva i suoi sassi.»

    È stata fatta dell'ironia, fino a qualche anno fa, sul modo con cui gli Shilluk dell'Africa meridionale, una tribù ancora selvaggia, chiamano Urano; per essi è sempre stato «Tre Stelle».

    «Probabilmente questa gente vede triplo », si scherzava fra scienziati; senonchè nel 1787, sei anni dopo la scoperta del pianeta, l'astronomo Herschel si accorse prima di due, poi di ben altri tre satelliti che lo corteggiano.

    Non si finirebbe più di portare esempi di tal genere; i Dogon, stanziati sulle scogliere di Bandiagara, nel Mali, conoscono il sistema di Sirio e lo descrivono composto da tre stelle, una delle quali viene denominata Stella del Miglio perché è la più piccola ed anche «la più piena». «Essa è formata da un metallo più brillante del ferro e tanto pesante che un suo granello equivarrebbe a 480 carichi d'asino», sostengono da sempre.

    «Le nostre nozioni in proposito non sono più esatte», afferma il professor Servier. «Un satellite di Sirio battezzato Compagno venne scoperto nel 1862 da Clark ma, anche quando si trova nella fase per noi più favorevole, non Io si può scorgere che con l'aiuto d'un potente telescopio. La densità del Compagno è stata calcolata qualche anno fa e risulta essere 50 mila volte maggiore di quella dell'acqua, tanto che una scatoletta piena di tale sostanza peserebbe una tonnellata.» Gli astronomi ammettono oggi che, oltre a Sirio (chiamato Sirio A) ed al Compagno (Sirio B) dovrebbe esistere nel sistema un altro astro, Sirio C; e sono ancor lontani dal giorno in cui potranno disegnarne le orbite, sia pur approssimativamente, come fanno i Dogon. E non sapranno mai se la materia di cui sono formate le stelle di questo sistema è realmente ' più brillante del ferro', come affermano gli scienziati delle scogliere di Bandiagara...»

    Dinanzi a queste nozioni straordinarie — da notare che i satelliti di Marte, scoperti nel 1887, erano noti persino ai Sumeri — il pensiero ricorre sempre più spesso a quegli antichi astronomi che dovettero anche dare il calendario ai Maya, a quei «Signori Dedzyan» della tradizione indiana che portarono sulla Terra il fuoco, l'arco e il martello.

    Astronauti in missione

    Reperti di culture estranee, sconcertanti, meravigliosi, continuano a venire alla luce durante gli scavi archeologici o i contatti approfonditi con un mondo considerato ingiustamente regredito o, comunque, non tecnologicamente allineato alle grandi potenze. L'ipotesi che la Terra sia stata esplorata da «esseri venuti dal cielo» e che da essi abbia avuto in dono conoscenze di altissimo livello, diventa sempre più plausibile ed accettabile anche da parte di insigni studiosi. La storia si intreccia con la leggenda e la leggenda con i miti e le fiabe. Ovunque, in un modo o nell'altro, si ritrovano gli stessi elementi di base e gli stessi richiami ad avvenimenti primordiali. Di recente, nelle grotte di Baian Kara Ula, ai confini settentrionali del Tibet, sono stati rinvenuti scheletri di individui dal corpo minuscolo e dalla grande testa, insieme con 716 «piatti» di pietra con iscrizioni che raccontano l'« odissea cosmica» di alcuni astronauti di statura molto piccola e tragicamente periti sul nostro globo. In tutta l'America centrale si incontrano animali fiabeschi dalle caratteristiche anatomiche curiosissime e che ricalcano in certo qual modo le mitiche figure della mitologia, e personaggi con elmetti complicati che gli indigeni hanno venerato come una razza «giunta dalle stelle».

    Ma ecco la teoria fantastica, che è anche l'affermazione consapevole, di Viatieslav Zaitsev, nato nel 1918, filologo all'Accademia di Scienze della Russia Bianca, a Minsk, e ricercatore appassionato di problemi e di enigmi del passato. Dopo aver raccolto per anni fatti misteriosi, partendo da avvenimenti biblici e riallacciandosi a scritti antichissimi da lui elaborati e tradotti, egli è giunto infatti a delle conclusioni stupefacenti: « sono certo, ormai», afferma, «che al principio della nostra era, una gigantesca nave spaziale proveniente da un altro sistema solare si fermò nell'orbita ed osservò a lungo quanto gli uomini facevano. Poi da questa nave si staccarono tre veicoli più piccoli con a bordo ciascuno un missionario-psicologo che fu fatto sbarcare nella zona terrestre sulla quale aveva avuto il compito di operare.»

    Per lo scienziato russo non vi sono dubbi; in America Centrale il primo degli astronauti fu noto sotto il nome di Quetzalcoatl, in Asia Minore ebbe nome Gesù Cristo, e in Cina Djan Dao Riin.

    «Queste tre figure leggendarie hanno tali rassomiglianze nel loro aspetto, nel loro comportamento e nel messaggio che portano, che il rapporto fra di loro è stupefacente», concorda anche Semitjov. Ma le prove di questa asserzione che, pur essendo scioccante, non toglie tuttavia nulla alla grandezza delle religioni, anzi, semmai le rende più convincenti, dove sono?

    Le prove, secondo Zaitsev, sono migliaia. «Noi camminiamo in mezzo ad esse», egli ha detto durante un'intervista, «ma ci siamo così abituati, e siamo così poco interessati che non le rimarchiamo neppure.»

    Lo scienziato sostiene che persino i monasteri e le cattedrali, con le loro torri e le loro cupole fanno pensare alle capsule spaziali e che i templi tendono verso il cielo come per arrivare agli dei, per indicare da dove essi giunsero e da dove forse torneranno per cercare di rimettere gli uomini sulla strada della pace.

    Egli si dice convinto che gli «dei» non furono altro che uomini

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