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L'altare delle ombre
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L'altare delle ombre
E-book510 pagine7 ore

L'altare delle ombre

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Info su questo ebook

La guerra è ormai un ricordo lontano. I popoli di Elt vivono pacificamente entro i propri territori, preservati in un sottile equilibrio dai detentori delle armi leggendarie. Insabbiati nel tempo, tuttavia, antichi rancori attendono pazientemente un riscatto.
Tra le sfarzose sale del palazzo reale, il principe Randet trascorre le proprie giornate nella spensieratezza che l’agio e la giovane età gli conferiscono, ignaro della minaccia che sta per scuotere il mondo. Troppo inesperto per farsi carico da solo di tali oneri, si vedrà costretto a cercare alleati oltre i confini della Yan-igsonelt. Non tutti coloro che incontrerà lungo il suo viaggio però si dimostreranno fedeli compagni; alcuni faranno vacillare le sue convinzioni, altri trameranno alle sue spalle, ma sarà necessario il potere di ciascuno di essi perché la pace continui a regnare.
LinguaItaliano
Data di uscita18 gen 2020
ISBN9788835360650
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    Anteprima del libro

    L'altare delle ombre - Davide Trapani

    Davide Trapani

    L'ALTARE DELLE OMBRE

    UUID:

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    Prologo

    Un grande re

    L’igson dagli occhi neri

    Prova di coraggio

    Loreyn

    Le parole del maestro

    Lontano da casa

    Ladro, fuggitivo, impostore

    Un inaspettato compagno

    L’alleanza

    Il vento del deserto

    La città silenziosa

    L’arena di Hantiel

    La leggenda di Thanang e Kuyamoy

    Il soffio di Gathawel

    Il mangtas di Tetrakon

    Il messaggio dei malamon

    Una seconda alleanza

    Rotta verso casa

    La Chimera di fuoco rosso

    Strateghi del Mare Piccolo

    Assalto al vascello madre

    Gli occhi degli igson

    Lacrime versate

    Il tesoro della Yan-igsonelt

    Nella foresta di Authel

    Il risveglio delle ombre

    Schiavi della guerra

    L’occhio del drago

    Sacrifici

    La luce della speranza

    Oltre il mare

    Le terre di Elt

    Prologo

    Cosa ci è stato tramandato delle prime ere su questa terra? Ben poco... Il mondo di Elt, da allora, si è molto modificato e secoli di polvere si sono accumulati sui manoscritti di storia. Tuttavia, ancora oggi, si narra di un principe, del suo viaggio e del modo in cui, per salvare il proprio regno, compì un'impresa che trasformò la sua storia in leggenda...

    Verso la fine di quella che viene chiamata la Prima Era il mondo di Elt si divideva in cinque fazioni, ciascuna delle quali bramosa di estendere il proprio dominio sull'isola a forma di diamante. Dyaelt, questo il suo nome, era il più ambito punto di controllo delle rotte navali che attraverso il Grande Mare collegano i continenti. Un territorio vasto, ricco, dal clima mite e dai campi fertili, dalle immense miniere d'oro e dalle verdi foreste. Una terra che accoglieva da sempre in prosperità chiunque la abitasse. Da quanto descritto nei volumi dell'epoca, infatti, non intercorse molto tempo dal momento in cui i nostri avi colonizzarono le sue sponde all'inasprimento dei rapporti tra le diverse fazioni. In molti avanzarono pretese sull'isola e alcuni si elevarono addirittura a padroni di quei territori. Così, anno dopo anno, i contrasti si accentuarono e una sanguinosa guerra scoppiò tra i popoli. Valorosi guerrieri si affrontarono senza tregua cadendo numerosi sui campi di battaglia. Non furono risparmiati nemmeno donne, bambini, vecchi... Il desiderio di potere cresceva e, poco alla volta, ottenebrava le menti di quanti si battevano in nome di quella terra.

    Venne chiamata la guerra di Dyaelt, la più sanguinosa di cui Elt abbia memoria.

    In vent'anni di ininterrotte violenze, nessuno dei cinque re che allora governavano il mondo sembrava ancora potere avere la meglio sugli altri.

    Messi in ginocchio da così aspre battaglie, infine, i sovrani furono costretti a stipulare un patto.

    Le trattative si tennero a Sekinat, capitale dell'Igsonelt, e proseguirono per settimane. Ciononostante, sotto la crescente pressione dei popoli, ormai allo stremo delle forze, una sola soluzione risultò percorribile: abbandonare Dyaelt, per sempre. Da allora, nessun essere vivente avrebbe più potuto mettere piede sull'isola o trarre vantaggio da quelle terre.

    Per suggellare l'accordo e affinché i patti venissero rispettati, si decise di ricorrere alla magia. Venne eretto un tempio nel cuore della terra a forma di diamante e all'interno di esso fu costruito un altare in cui rinchiudere l'energia di ogni sovrano. Ciò avrebbe assopito in ciascun regnante e nei propri successori qualsiasi interesse verso l'isola. A protezione di esso, alcuni dei più valorosi combattenti reduci dal conflitto decisero di rimanere, intenti a preservare i sottili equilibri che lentamente si sarebbero formati.

    I tre stregoni Godlem, Oahem e Uasar, membri del Consiglio di Dyosir, tramite un potente sigillo magico legarono per sempre i guerrieri a quelle terre facendo sì che le loro anime, anche dopo la morte, rimanessero in eterno a protezione dell'altare.

    Furono loro gli ultimi abitanti di Dyaelt.

    Da allora, il mondo di Elt conobbe un periodo di pace. Quasi metà della popolazione di ogni impero era caduta nei vent'anni precedenti. I superstiti, adesso, potevano cercare di costruire per i propri figli un futuro migliore, privo di guerre, morte e sofferenza.

    Non in tutti i regni, però, la pace sarebbe durata a lungo. Di lì a poco, un avvenimento lieto al popolo degli igson avrebbe condotto a cambiamenti che, tuttora, si ripercuotono sull'intero continente...

    Nel secondo anno dopo la costruzione del tempio, Ogan, re degli igson, ebbe due gemelli. Una lussuosa celebrazione e lunghe feste accompagnarono l'evento che giunse come una benedizione agli occhi della gente.

    Nel corso del tempo i due gemelli, Yan e Kan, si dimostrarono saggi, forti e ciascuno meritevole di guidare la nazione. Come spesso accade crescendo, tuttavia, anche il clima di competizione tra i due si fece più marcato. I giochi e le frivole sfide della gioventù si trasformarono presto in idee e principi differenti, in ideali e infine, in contrasti. A nulla valse la rigida intermediazione del sovrano che invece auspicava per loro un futuro di cooperazione. Così, alla sua morte, quasi come fosse già scritto, si accese tra i due eredi un'aspra diatriba per la successione al trono. Da una parte o dall'altra tutti gli igson si schierarono in favore di uno dei contendenti innescando in poco tempo i presagi di una guerra civile.

    I due principi, consapevoli dei danni che una tale faida avrebbe portato al Paese, decisero di non scontrarsi per i possedimenti del padre, ma di dividerseli equamente.

    Mentre gli Igson sostenitori di Kan rimasero nelle terre del nord del continente, mantenendo come capitale Sekinat, il resto di loro seguì il secondo genito verso i verdi pascoli del sud proclamando come città imperiale l'invitta roccaforte Korades.

    Da allora in avanti le mappe di Elt non si sono modificate e mostrano il mondo così come lo conosciamo oggi, diviso in sette grandi regioni.

    Circondate dal Grande Mare, le sponde di Dyaelt osservano da lontano ogni altro continente. A est della terra a forma di diamante, il confine tra Yan-igsonelt e Kan-igsonelt venne sancito all'altezza della sottile striscia di terra attraversata dalla catena montuosa di Osian. A ovest si adagia, invece, un secondo grande continente, raggiungibile tramite il Mare Piccolo anche dalle sponde orientali dell'Igsonelt. Le lande rocciose a nord di esso sono abitate dagli hatag, popolo di belligeranti e possenti guerrieri.

    Tribù nomadi di anuma colonizzano, invece, il sud della regione. Sicuramente tra gli esseri meno temibili per quanto riguarda l'uso di arti magiche, gli anuma celano tuttavia, tra la loro gente, i migliori forgiatori di armi e formidabili strateghi militari. Prima dell'avvento della Guerra di Dyaelt, l'unione dei loro principali villaggi diede vita ad una Federazione e, ancora oggi, i rappresentanti di ogni tribù che la compone eleggono chi avrà l'onore di guidarli innalzando un saggio ed eccellente combattente al rango di Governatore.

    Tra l'Hatagelt e l'Anumelt si trova, infine, la distesa boschiva più fitta ed estesa del mondo. Queste foreste rappresentano la terra natia degli yutan: esseri schivi, minuti e dalle fattezze animali, la cui storia è spesso avvolta nel mistero.

    L'ultima terra emersa, la Malamonelt, si trova a nord di ogni altra, dove il Piccolo e il Grande Mare si incontrano generando le fredde Acque del nord. Questa terra spigolosa è forse la più antica su Elt e accoglie da tempi immemori maghi, stregoni ed esseri magici di ogni sorta. Tante delle creature disegnate nei bestiari di allora sono probabilmente estinte e molti dei suoi abitanti, i malamon, prediligono una vita di isolamento, dedita allo studio e in perpetua ricerca dei più arcani segreti del mondo. Della loro esistenza, presente o passata, tuttavia vi è la certezza più assoluta. Nella Marca di Dyosir, la regione più popolata della Malamonelt, e precisamente nella sua capitale Ozar, più e più volte in passato i tre nobili stregoni del Consiglio hanno deciso le sorti del mondo intero.

    Conclusa la Guerra di Dyaelt, spettò a loro il compito di incantare l'altare in modo da inibire le pretese dei sovrani sulla terra a forma di diamante. Un'impresa mai sperimentata prima ma che riuscì alla perfezione.

    Tuttavia, qualcosa cambiò nei rapporti tra i popoli. Forse per paura o per disprezzo nei confronti degli antichi nemici, ogni regno si chiuse sempre più nei propri confini. I commerci si affievolirono, i viaggi si interruppero e i contatti tra le grandi città si fecero radi.

    Nel giro di poche generazioni, le storie sulla Guerra di Dyaelt e sull'altare che prima erano vive nella memoria di tutti, lambirono soltanto le bocche degli anziani e, di quei racconti, solo fiabe vennero tramandate dalle madri ai propri figli; fiabe che col tempo furono quasi completamente dimenticate.

    Un grande re

    Un guizzo di lato, un salto, una piroetta all'indietro. Nel cortile esterno del castello di Korades, un ragazzo bendato si esercitava a schivare i fendenti di un bastone sospeso a mezz'aria.

    I suoi allenamenti quotidiani non temevano il confronto con quelli dei combattenti igson più esperti. Aveva iniziato quando era solo un ragazzino e adesso, a diciotto anni, la sua destrezza e una corporatura robusta tradivano la sua giovane età.

    Era riuscito ad evitarli tutti fino a quel momento. I suoi lunghi capelli lisci del colore dell'argento, corti ai lati e sollevati sopra la fronte, seguivano ogni suo gesto come spinti dal vento.

    Ad un tratto, i movimenti dell'arma si fecero più fulminei e precisi. Intuita per puro caso la direzione verso cui si sarebbe mossa la verga nel successivo affondo, riuscì a scansarla per un soffio. Fu anche in grado di evitare un'ennesima serie di colpi aiutandosi con le braccia ma l'ultimo, secco e diretto allo stomaco lo costrinse a piegarsi in avanti e a portare le mani all'addome. In quell'istante il bastone si posizionò dietro di lui buttandogli le gambe in aria e facendolo cadere di schiena. Il ragazzo, ancora dolorante, ebbe appena la prontezza di percepire un altro fendente partire dall'alto e, senza pensarci su, rotolò da una parte per finire fuori dalla sua traiettoria.

    ‒ Randet, quante volte te l'ho ripetuto... concentrati! ‒ esclamò un vecchio posto a un paio di metri di distanza da lui. L'uomo stese il braccio in avanti e il bastone fluttuò con leggiadria sul palmo della sua mano.

    ‒ La sintonia con ciò che ti circonda è fondamentale per sviluppare i tuoi sensi! ‒ continuò il vecchio con voce bassa e secca.

    L'uomo che con tanto ardore dispensava consigli era Yabut, un potente stregone ingaggiato dal re degli Yan-igson per l'istruzione del figlio. Il suo aspetto ancora imponente nonostante l'età, la liscia barba bianca, gli occhi quasi sempre socchiusi e il pesante mantello lo rendevano facilmente riconoscibile a corte, dove da anni gli era stato garantito libero accesso.

    Il ragazzo si tolse la benda e si sedette sull'erba verde del giardino per riposarsi un po'.

    ‒ Cosa intendete precisamente per sintonia? Posso avvertire l'aria mossa dai colpi, fare attenzione a dove metto i piedi... che altro? ‒ domandò, riflettendo sulle parole del maestro.

    ‒ Devi sapere, Randet, che ogni cosa che ti circonda è viva, composta da energia! Se riuscissi a combattere rendendotene conto ne trarresti grandi vantaggi, considerando inoltre le peculiarità che gli occhi della tua gente posseggono ‒ rispose pacatamente il maestro.

    Il ragazzo annuì, benché la spiegazione non gli fosse parsa molto chiara, e i due si incamminarono verso il cortile centrale, diretti al cancello principale.

    Si trattava di un tragitto a loro ben noto ma che, agli occhi di qualunque altra persona, avrebbe certamente destato meraviglia. Percorrevano una stretta via bianca in sasso, affiancata alla sua sinistra da numerose palme che ne seguivano il percorso e alla sua destra da un basso muretto che la divideva dal fossato. Oltre le palme si stendeva il prato, verde e adorno di così tante piante di diversa specie che, dopo tanti anni, Randet non era ancora sicuro di averle viste tutte fiorire. Al di là del fossato, invece, si ergeva la maestosa rocca della famiglia reale.

    Capitava spesso che, passando da quel sentiero, il giovane si compiacesse della minuzia con cui venivano curati gli spazi della residenza e da tempo si era prefisso che, una volta guadagnato il posto del padre al trono di Yan-igsonelt, avrebbe fatto il possibile perché la casata mantenesse gli stessi fasti a cui era sempre stato abituato. Come unico figlio del re, non solo la sorte del palazzo ma quella di tutti i sudditi sarebbero state, un giorno, riposte nelle sue mani.

    ‒ Un degno discendente di Yan è fiero e generoso nonostante gli agi! ‒ soleva spesso esclamare suo padre con orgoglio, ma tra quegli agi pesavano già abbastanza il suo addestramento e l'etichetta; preferiva non pensarci, per il momento.

    Proprio per quanto riguarda gli allenamenti, il padre non aveva badato a spese. Era consuetudine, per le famiglie più ricche del regno, ingaggiare stregoni della Marca di Dyosir affinché i propri rampolli potessero migliorare nell'utilizzo dell'energia e re Kayl se ne era assicurato uno tra i migliori. Yabut, da quando il principe ebbe compiuto dodici anni, si fece carico di insegnargli ogni cosa riguardo le arti magiche, le tattiche di guerra e di combattimento corpo a corpo. Faceva ritorno raramente in Malamonelt ed era ormai diventato un volto familiare in tutta Korades. Ogni giorno si recava a palazzo portando con sé i propri studi e la propria esperienza e ogni giorno, finita la sessione, il suo allievo lo accompagnava fino alle porte della reggia per non perdersi nemmeno una goccia di quella saggezza.

    ‒ Non essere impaziente... ogni cosa a suo tempo! ‒ si sentiva spesso rispondere quando la curiosità diventava eccessivamente incalzante.

    Come consuetudine, stavano attraversando il bianco sentiero dell'ala ovest del giardino. La giornata era calda e soleggiata ma né il ragazzo né lo stregone, abituati agli allenamenti all'aperto, sembravano soffrirne particolarmente.

    Questa volta lo sguardo del principe era perso nelle basse acque del fossato; seguiva il suo maestro stranamente in silenzio. Tra sé e sé, in realtà, cercava, di formulare una domanda ragionevole; ne aveva già poste così tante alla sua attenzione che negli ultimi mesi risultava sempre più difficile colmare i silenzi che si creavano durante la passeggiata. Dopo alcuni secondi, alzando lo sguardo verso lo stregone, gli tornarono tuttavia in mente due particolari di cui non aveva mai chiesto delucidazioni: il fulmine blu raffigurato nel suo mantello nero e il serpente scolpito nella parte superiore del bastone.

    Lo stregone lo ascoltava, compiaciuto, con gli occhi socchiusi e, quando ebbe terminato, si fermò un istante per rispondere: ‒ Ce ne hai messo di tempo per chiedermelo! Si tratta di faccende molto personali ma sarò lieto di risponderti; come dico sempre, la curiosità sta alla base della conoscenza! Immagino che siano in molti a domandarsi perché io porti un mantello così pregiato sopra un saio grigio e logoro legato alla vita con una semplice corda...

    ‒ Probabilmente, maestro... ‒ rispose il principe, in trepidazione per una risposta che tardava ad arrivare.

    ‒ Beh, pensandoci bene... non posso risolvere questo dubbio! Del bastone posso invece rivelarti che si tratta di un elemento imprescindibile per ogni malamon; in esso immagazziniamo la nostra energia e da esso traiamo forza. Viene solitamente costruito dal padre per il proprio figlio o tramandato alla sua morte. Ah, il serpente! Questo è il simbolo della mia casata!

    ‒ La vostra casata...

    ‒ So dove vuoi arrivare, Randet, ma capisci anche tu che i maestri malamon non possono rivelare il proprio lignaggio. Per ragioni di sicurezza, ovviamente...

    ‒ Dopo tutti questi anni non sono ancora riuscito a convincervi, maestro? Ma promettetemi che quando sarò re...

    ‒ Oh, guardate! Qualcuno sta venendo verso di noi ‒ lo interruppe Yabut. L'uomo che percorreva rapidamente il sentiero dall'opposta direzione non era più nel fiore degli anni ma le forze sembrava non lo avessero ancora abbandonato. Come ogni igson aveva gli occhi di un uniforme colore verde acqua che copriva il bulbo per intero, corti capelli neri, barba grigia e portava abiti di diverse sgargianti colorazioni. Randet lo riconobbe subito, quando la bestia dorata raffigurata nella stoffa bianca del suo nobile mantello fece capolino da lontano, mossa dal vento. Quel simbolo apparteneva alla famiglia degli Ozun, una delle più nobili residenti a corte e senz'altro la più fedele.

    Giunto davanti a loro, il nobile portò una mano al petto e chinò leggermente il capo.

    ‒ Stregone Yabut, mio principe, vi porgo i miei saluti. Sono venuto per informarvi di un'importante decisione su cui il re ha fortemente riflettuto nel corso degli ultimi giorni ‒ disse con voce calda e scandendo ogni singola parola.

    ‒ Buongiorno a voi Jakesh, vi ascolto ‒ disse Randet, asciugandosi il sudore dalla fronte con il panno che portava sulle spalle.

    ‒ Dunque... vostro padre, re Kayl terzo, mi manda a riferirvi, prima che Yabut lasci la reggia, che il giorno della vostra prova e, di conseguenza, della vostra proclamazione è anticipato di una settimana.

    Randet spalancò gli occhi e tirò indietro il capo, incredulo. Una miriade di attività da svolgere e insegnamenti ancora da apprendere si accumularono nella sua testa. Una settimana in meno significava...

    ‒ Dopodomani?

    Vista la sua titubanza, Yabut decise di farsi carico della risposta in sua vece.

    ‒ Riferite a re Kayl che il principe sarà pronto per il giorno da lui stabilito, vi ringrazio.

    Randet rimase immobile, senza parole, mentre il nobile Ozun si congedava allontanandosi; era successo tutto così in fretta che non era riuscito a fare valere le proprie opinioni ma, innervosito dal cambio di programma, si rivolse con tono seccato al maestro.

    ‒ Perché avete acconsentito con tanta leggerezza ad anticipare la prova? Come potrò preparami in soli due giorni, me lo spiegate?

    ‒ Calma il tuo spirito, giovane principe! Ritengo tu sia già sufficientemente preparato, ti ho già addestrato a sufficienza in questi anni, non sarà una settimana in meno a fare la differenza! Questa scelta, a dire il vero, risulta bizzarra anche ai miei occhi ma... tuo padre è un uomo saggio, avrà avuto le sue buone ragioni. In più... è lui che paga il mio salario, è lui che decide! ‒. Entrambi si misero a ridere, poi lo stregone proseguì ‒ Randet, oramai tutto ciò che avrei potuto insegnarti l'hai appreso. Raccogliti in meditazione fino al giorno della prova; arrivare riposato è tutto ciò di cui hai bisogno.

    L'allievo, confortato, annuì e insieme continuarono a camminare. Il sentiero li condusse a un grande piazzale circolare dai dettagli estremamente raffinati. Lo spiazzo era situato davanti all'entrata del palazzo reale e, a di­mostrazione del buon gusto dei reggenti, veniva curato quotidianamente. Per renderlo ulteriormente gradevole alla vista, era circondato da verdi piante e fiori colorati mentre al centro spiccava una fontana bianca in cui erano scolpiti due leoni. Uno dei due era rivolto verso il cancello esterno della reggia, l'altro verso il ponte e le scalinate che portavano al suo interno. Erano posizionati di spalle e dalle loro fauci marmoree sgorgavano placidi getti d'acqua cristallina.

    Allievo e maestro percorsero il selciato del cortile cen­trale e si diressero verso le mura esterne. Un tempo, quelle stesse mura avevano così ben protetto la dimora reale da darle fama di fortezza inespugnabile ma ora, in tempo di pace, non più di un paio di soldati sorvegliavano giorno e notte il ferreo cancello incastonato tra le pareti.

    Randet e Yabut si fermarono proprio sotto di esso e, mentre le guardie si accingevano ad aprirlo, lo stregone si voltò verso il ragazzo, gli appoggiò una mano sulla spalla e con la sua solita espressione compiaciuta si sentì in dovere di rincuorarlo.

    ‒ Randet, non ostinarti nel divenire il migliore dei condottieri o nell'amministrare il regno senza commettere mai alcun errore. Non credere di riuscire a prendere sempre la decisione più saggia. Nessuno dei tuoi antenati era infallibile, né tantomeno pretenderebbe questo da te! C'è una sola cosa che devi tenere a mente perché i tuoi pari possano avere stima di te e i tuoi sudditi fiducia. Governare con il cuore piuttosto che con la ragione. Solo in questo modo sarai riconosciuto come meritevole Signore di queste terre e solo così le future generazioni potranno avere memoria di te come di un grande re!

    Yabut salì in groppa al suo cavallo e si diresse verso la città a valle mentre il principe, meditando su quelle ultime parole, lo osservava scomparire dentro la foresta.

    L’igson dagli occhi neri

    Quello stesso giorno, nei territori più a sud della Yan-igsonelt, un uomo con il volto coperto da un cappuccio, su di un nervoso cavallo nero, galoppava veloce tra gli stretti sentieri del bosco.

    L'atmosfera tra le fronde degli alberi era silenziosa e cupa e il respiro del suo cavallo, a causa della forte umidità, cominciava a farsi affannoso. Anche la luce, passando veloce tra i rami, si faceva più fastidiosa. La sua meta, tuttavia, era vicina.

    Un piccolo strappo con le redini e l'andatura dell'animale aumentò ulteriormente. Alcune centinaia di metri, però, e si arrestò di colpo nitrendo e impennando violentemente; il cavaliere, senza scomporsi, lo controllò rimanendovi saldamente in groppa. Si era fermato all'inizio di una radura: l'erba era scura, sembrava quasi marcia e in più emanava uno sgradevole odore di carne in putrefazione. Dopo la radura, coperto da un fitto strato di nebbia si trovavano le basse acque stagnanti di quello che solo un tempo doveva essere un lago e al di là del lago, un fuligginoso castello affiancato da due alte torri acuminate sovrastava l'ambiente circostante.

    L'uomo incappucciato, una volta ammansito il destriero, si diresse lentamente verso la grigia muraglia che circondava quel tetro posto. Si fermò dinanzi ad essa guardandosi intorno con circospezione. Il silenzio inghiottiva tutto il resto. Improvvisamente, come manovrata da un meccanismo, una parte della parete si mosse creando un varco. Il cavaliere l'attraversò. Davanti a lui l'antica abitazione estiva dei sovrani, ceduta ad alcuni nobili molti anni prima, si ergeva imperiosa. Scese finalmente da cavallo lasciando che le mura alle sue spalle si richiudessero, si tolse il cappuccio e si diresse verso l'entrata. Una folta chioma di capelli rossi si diramò, spettinata in ogni direzione, coprendogli orecchie e parte della fronte.

    Era un igson; talvolta, anche il colore dei capelli può tradire la loro provenienza: non c'è colore che non possano assumere si vociferava oltre i confini dell'Igsonelt. Gli occhi, tuttavia, erano la loro vera peculiarità; grandi, allungati, dalle capacità uniche. Nessuna emozione sembra trasparire dentro quell'uniforme specchio d'acqua, soprattutto per coloro che non sono abituati ad averci a che fare.

    La porta d'ingresso era aperta, l'uomo l'attraversò e proseguì su un lungo corridoio buio e freddo fino ad arrivare all'interno di una grande sala. Gli arazzi e i dipinti sui muri che lo avevano accompagnato fin dall'entrata ora lasciavano il posto a grandi vetrate e al vuoto degli spazi. Sebbene i vetri fossero di pregiata lavorazione e coprissero buona parte delle pareti la luce che penetrava attraverso di essi era fioca e sembrava venisse subito inghiottita dal pavimento. A malapena si distingueva una grande scalinata proprio al centro della stanza che conduceva ai piani superiori. L'uomo vi si diresse senza esitare. Il suo sguardo era abbastanza inquieto e la cicatrice che tagliava perpendicolarmente il suo occhio sinistro, non permettendogli di aprirlo completamente, lo rendeva in qualche modo ancora più ombroso.

    Continuò a salire. In quegli ambienti cupi, gli unici rumori udibili erano il leggero scalpitio dei suoi passi e il fruscio del suo saio.

    Terminò la prima rampa di scale. Davanti a lui un ulteriore corridoio simile al primo. Alla sua destra e alla sua sinistra numerose stanze e altre scalinate.

    Proseguì diritto fino all'entrata, chiusa, della sala in fondo al corridoio.

    L'angusto maniero faceva parte delle proprietà della famiglia dei Monur; Arkas, l'uomo che lo attendeva al di là della porta, l'aveva ereditato molti anni prima dalla nobile madre. Viveva lì in solitudine e, sebbene il padre fosse stato un potente stregone di Ozar, aveva scelto di non seguire le sue orme in Malamonelt.

    Rakòn alzò lo sguardo verso l'alto e respirò profondamente. Era ai servizi di Arkas da molto tempo ma il timore per la fama di quest'ultimo faticava ad abbandonarlo.

    Spinse lentamente il pomello dorato. La porta però si aprì violentemente e un intenso bagliore luminoso si propagò nel corridoio, tanto forte da costringerlo a portare le mani davanti al volto. Per qualche istante ancora tenne gli occhi chiusi e, quando tentò di aprirli, una sagoma scura si profilò alcuni metri davanti a lui.

    Da quella direzione, i primi suoni interruppero finalmente l'atmosfera silenziosa che fino a quel momento aveva dominato nel castello.

    Una voce sibilante si distese fino a lui.

    ‒ Ti nascondevi dietro la porta?

    Rakòn entrò frettolosamente nella stanza e si inginocchiò davanti ad Arkas, tenendo la testa bassa per non incrociare il suo sguardo.

    ‒ Mio signore, non volevo disturbare la vostra quiete. Ho importanti novità da Korades.

    ‒ Alzati Rakòn. Dì al tuo signore... come procedono le vite alla reggia? ‒ Quelle parole quasi sussurrate mettevano i brividi.

    Il sottoposto obbedì ed ora lo vedeva benissimo: i capelli di colore nero, lucidi, scendevano lisci sulle sue spalle e davanti gli occhi, anch'essi completamente neri. Era coperto fino quasi al ginocchio da un'unica casacca, cucita lateralmente solo dalle braccia ai fianchi e che lasciava intravedere il pantalone nelle parti laterali delle gambe. Il mantello sfarzoso arrivava quasi a toccare il pavimento e gli copriva interamente le guance e la nuca; solo la parte centrale del volto rimaneva ben visibile. Arkas l'aveva legato al collo tramite un laccio dorato e, nella parte posteriore del drappo, erano presenti ornamenti dello stesso colore.

    Sia i vestiti che il mantello erano scuri, con bordi sottili e rosso sangue.

    L'intera figura, a prescindere dal vestiario, emanava un'aura cupa di cui il castello sembrava essere impregnato.

    Nessuno conosceva la sua vera età, nonostante i gestori delle locande dei borghi vicini alla residenza dei Monur giurassero di non aver saputo della sua esistenza prima di trent'anni da allora. Essendo figlio di un Malamon avrebbe potuto dimostrare dieci, venti o cinquant'anni di meno di quelli che gli si potevano attribuire senza che ciò destasse scalpore.

    Quando Rakòn fu completamente in piedi prese coraggio e iniziò a parlare.

    ‒ La data della proclamazione del giovane principe è stata anticipata. Si terrà dopodomani e parteciperanno tutti i nobili di corte. Certo, sempre che superi le prove...

    ‒ Quelle prove sono una formalità... ad ogni modo, che quel piccolo stolto ci riesca o meno, il momento è giunto. Non ricordo neanche più da quanto aspetto questo giorno! ‒ rispose Arkas, mentre la rabbia nelle sue parole si faceva sempre più accentuata ‒ Tutti questi anni di segregazione qui, nonostante le mie nobili origini! Chiunque sa come è andata realmente quel giorno, quando mio padre fu ucciso, ma nessuno ha mai voluto ammetterlo! Fu Kodet il mandante. E suo figlio Kayl... ‒ il tono della sua voce si calmò per ritornare di nuovo profondo ‒ Per allontanare da sé quell’onta obbligò me e mia madre a vivere in questo posto dimenticato dalla luce! Da allora, la gente ha sempre guardato con paura questi miei occhi neri, come fossi... un mostro! Dopodomani finirà. Tutto è pronto. Modificherò la posizione della mia casata; essa tornerà a brillare e non solo...

    Rakòn, a braccia distese ascoltava serio.

    ‒ Dyaelt, mio Signore?

    ‒ Esattamente! ‒ rispose Arkas, già in estasi per le parole che avrebbe pronunciato subito dopo ‒ Mio fido Rakòn, le differenze su Elt devono essere appianate! Tutti conoscono la forza che scaturisce dall'energia congiunta di due razze diverse. E la temono... ma proprio per questo dove gli altri hanno fallito quasi tre secoli fa, io trionferò. Finalmente i continenti saranno unificati e ogni disuguaglianza verrà meno!

    Al culmine dell'eccitazione voltò le spalle all'igson e si sedette sul trono in fondo alla sala.

    ‒ Raduna i tuoi uomini! Domani partiremo per Korades. Porteremo i nostri omaggi al re prima dell'incoronazione del figlio ‒ E ancora, sussurrando ‒ La morte di mio padre non sarà stata vana. All'altare penseremo in un secondo momento... non c'è altro modo per mettere fine alle ostilità che da sempre affliggono questo mondo.

    Prova di coraggio

    ‒ Signorino! Coraggio, svegliatevi! È un gran giorno per voi! La giornata è magnifica, il sole splende e vostro padre è ansioso di constatare i vostri progressi.

    ‒ Ma che ore sono?! ‒ borbottò Randet con voce assonnata.

    ‒ Le dieci mio principe! ‒ rispose Jakesh spalancando tutte le finestre.

    ‒ Lasciami dormire ancora un po'! ‒ bofonchiò Randet.

    ‒ Su, su! Non ricordate? Fra poche ore avranno inizio le prove! Alzatevi!

    La voce del principe era come non arrivasse alle orecchie del nobile che continuava imperterrito ad agitarsi dentro la camera producendo ogni sorta di rumore.

    ‒ Cosa!? ‒ Come colto da un raptus, Randet alzò le coperte di scatto ‒ Me ne stavo quasi per dimenticare!

    Ancora barcollante cominciò a vagare avanti e indietro per la camera parlottando a bassa voce.

    ‒ Non è esattamente il comportamento che ci si aspetterebbe da un futuro re! ‒ pensò Jakesh sconsolato ‒ Ad ogni modo, vostro padre vi aspetta tra un'ora nella zona sud del cortile esterno del palazzo. Le prove si terranno lì. Da parte mia e dei nobili di corte i più sinceri auguri. Sono sicuro che le supererete brillantemente!

    ‒ Sì, vi ringrazio Jakesh, lo spero! ‒ rispose Randet restituendo un sorriso assonato.

    L'uomo si diresse verso l'uscita della camera, accennò un inchino e si allontanò chiudendo delicatamente la porta.

    La stanza non era molto grande rispetto ad altre presenti a palazzo ma gli arazzi e le tende dipinte a mano, i preziosi vasi dorati posti ai suoi angoli su piedistalli in legno di egregia lavorazione, il grande letto con base e testata in oro e le minuziose rifiniture ben rendevano l'idea dello sfarzo al quale gli igson più nobili erano abituati.

    Il principe si avvicinò al grande specchio rettangolare appeso alla parete proprio davanti al suo letto e, osservandosi riflesso, cominciò a elettrizzarsi: ‒ Ottima forma, Randet... oggi è proprio la tua giornata! Le prove? Saranno una barzelletta, non c'è assolutamente di che preoccuparsi!

    Senza accorgersene il giovane aveva addirittura iniziato a ripetere ad alta voce le fondamentali lezioni che Yabut gli impartiva da sempre. Puntando un dito ammonitorio verso la propria immagine e imitando malamente la voce profonda e roca del maestro: ‒ Regola numero uno: non perdere la concentrazione! Regola numero due: resta calmo, Randet, non farti assalire dalla collera! Regola numero tre: studia l'ambiente intorno a te! E soprattutto, ricorda sempre che...

    In quell'istante sentì il pomello girare e un viso femminile fece capolino dalla porta.

    La ragazza guardava Randet che, in vestaglia da notte, contraccambiava con espressione inebetita e l'indice che puntava ancora verso lo specchio.

    Il principe arrossì immediatamente. ‒ Dyanum! Cosa... che ci fate qui? ‒ chiese cercando di portare altrove lo sguardo nel tentativo di celare l'evidente imbarazzo.

    ‒ Nulla mio Signore! Mio padre mi ha chiesto di accertarmi che vi stiate preparando! Ha molto a cuore la buona riuscita di questa giornata, evidentemente! ‒ rispose la ragazza trattenendosi dallo sghignazzare.

    ‒ Sì, beh... informate pure il nobile Jakesh che sarò pronto tra pochi minuti!

    ‒ Molto bene principe, allora tolgo il disturbo e... buona fortuna; ci sarò anche io a fare il tifo per voi! ‒ Detto ciò, Dyanum chiuse forte la porta e se ne andò ridacchiando.

    ‒ Sempre la solita! Maleducata e irrispettosa! Che modi, entrare senza bussare e ridere pure di me! D'altronde deve aver preso da suo padre... nessun rispetto degli spazi personali! Conoscendola lo starà già raccontando a tutti i domestici del palazzo. È cominciata nel migliore dei modi questa giornata! ‒ mormorò Randet snervato.

    Dyanum era la figlia unigenita di Jakesh e nonostante i suoi modi sgarbati e presuntuosi nei confronti del principe era stata spesso additata come la sua futura sposa. Una volta visti insieme, ogni nobile a corte giungeva alle stesse conclusioni. Altezza e fisico entrambi ben proporzionati, della stessa età e di nobile stirpe. Per validare ulteriormente questa ipotesi, anche l'abbinamento del loro colore dei capelli sembrava diventare un ottimo pretesto. I capelli argentati di Randet, in realtà, male si coordinavano con quelli lisci fin quasi ai fianchi e color verde acqua di Dyanum ma, se per questo, nemmeno i loro continui litigi sembravano influenzare minimamente le convinzioni dei cortigiani!

    Ad alimentare ulteriormente i pettegolezzi, sia Randet che Dyanum, erano vissuti a corte fin dalla nascita, avevano passato gran parte dell'infanzia insieme e spesso era anche capitato che seguissero le stesse sessioni di allenamento, quando i rispettivi maestri lo ritenevano opportuno.

    Lo stesso re Kayl, colpito dal carattere forte e temprato della giovane non avrebbe disdegnato di vederla come futura regina ma, per buona sorte di entrambi i ragazzi, i matrimoni combinati erano ormai diventati una pratica desueta tra gli Yan-igson.

    Tuttavia, nonostante i due giovani detestassero queste voci, i fini lineamenti del viso di lei, uniti ad un'espressione dolce e al suo fare affabile le avevano fatto conquistare, fin da piccola, i favori di tutta la corte. Chiunque, a palazzo, auspicava per la giovane Ozun ogni più rosea aspettativa.

    Il principe si vestì frettolosamente, uscì dalla sua camera e di corsa attraversò un breve corridoio alla sua sinistra fino ad arrivare a una lunga scala a tenaglia.

    Il corrimano era dorato e molto liscio; solo all'estremità inferiore si allargava, si appiattiva e sporgeva verso l'alto come fosse un trampolino. Come ogni mattina vi saltò in cima tenendosi con entrambe le mani, si guardò attorno per essere sicuro di non essere visto, tolse lentamente una mano per bilanciarsi, tirò indietro anche la seconda e cominciò a scivolare... Prese velocità rapidamente e, al culmine, si concentrò sulla parte finale per prepararsi al salto.

    ‒ Signorino Randet! Che il cielo vi protegga! ‒ gridò una donna in preda al panico.

    Randet volse velocemente il volto in direzione delle urla ma non vide nessuno, riguardò davanti a sé ma... troppo tardi! Il corrimano cominciava già ad appiattirsi e a inarcarsi.

    Cercò di abbassarsi per mantenersi stabile ma il tempo a disposizione era ormai terminato. Perse l'equilibrio, quanto meno a sufficienza perché un piede gli si impuntasse nella parte finale della struttura facendolo capitombolare in avanti rovinosamente.

    ‒ Signorino Randet state bene? Mi piange il cuore nel vedervi fare lo spericolato a questo modo! ‒ disse una domestica dalle forme rotonde avvicinandosi al ragazzo.

    Randet si alzò rapidamente e ridendo. ‒ Sto bene, sto bene, Avrya non vi preoccupate! Mi conoscete, non mi faccio niente!

    Avrya era l'ancella che più d'ogni altra, sin dalla morte della regina alla nascita di Randet, si era occupata del principe. Non era molto alta, aveva capelli corti, lisci e scuri e, quel giorno, portava un grembiule bianco legato alla vita sopra un lungo abito blu. Nonostante i cinquant'anni d'età, non si potevano notare rughe sul suo volto o, se ce ne erano, erano probabilmente nascoste dalle forme piene e sanguigne del viso.

    A corte, l'ancella era conosciuta da tutti. Nei trent'anni passati a palazzo aveva avuto modo di servire non solo Crystal, la madre del principe, ma anche la regina Asya, madre di suo padre.

    ‒ Lo so Randet, ma non posso fare a meno di essere in pensiero per voi! Sapete, alla mia età mi spavento per qualsiasi cosa ormai! E voi mi fate sempre preoccupare... ah! Quante ne deve ancora sopportare il mio cuore!

    ‒ Non dite così Avrya, sapete bene che non vi farei mai stare in pensiero! Mi comporterò bene, promesso!

    ‒ Oh principino, come siete cresciuto! Ma per me resterete sempre un fragile pargoletto. Non vi trattengo oltre, vi stanno aspettando tutti là fuori... che la buona sorte vi accompagni in questo giorno speciale!

    ‒ Certo Avrya! Vi aspetto al cortile sud, sarete fiera di me, non dubitate! ‒ rispose gentilmente Randet, incamminandosi verso l'uscita della reggia.

    ‒ Ah... principino... come potrei non essere fiera di voi? ‒ pensò con un po' di malinconia l'ancella, vedendolo allontanare ‒ Sembra ieri che, ancora bambino, correvate spensierato tra queste mura. Adesso, invece, vi accingete a diventare l'erede al trono di Yan-igsonelt. Anche vostra madre sarebbe orgogliosa di voi!

    Proseguendo fra le alte colonne marmoree della sala d'ingresso sopra un morbido tappeto rosso che lo accompagnava sin dalle scale, il futuro re non poté fare a meno di pensare a tutti gli eventi malaugurati che gli erano capitati da quando la giornata era iniziata. Se la fortuna avesse continuato a girare in quel modo, anche le prove sarebbero di certo state disastrose.

    La porta che dava sul cortile esterno era aperta, come accadeva spesso durante le belle giornate.

    Randet scese gli ultimi scalini e si fermò alcuni secondi per godere dei primi caldi raggi di sole che ora gli accarezzavano il volto e le braccia. All'ingresso nord, davanti alla Fontana dei leoni, le guardie ai lati del grande cancello lo salutarono con un inchino appena accennato. Non parve curarsene particolarmente e, di corsa, si diresse nella direzione opposta.

    Nel cortile sud trovò ad aspettarlo circa una trentina di persone: i nobili residenti a palazzo, le loro famiglie, Jakesh, Dyanum, Yabut, e, su un trono sopraelevato allestito per l'occasione, suo padre Kayl. Per Randet fu come ritrovarsi ad una festa di compleanno. C'erano esclusivamente coloro che lo avevano sempre circondato fin da quando era bambino; si sentì d'un tratto a suo agio.

    Passando tra di loro, per incontrare il padre, molti non persero l'occasione per incoraggiarlo: ‒ Felice di vedervi, signorino ‒ disse uno ‒ Auguri per le prove! ‒ un altro ‒ Fatevi onore, giovane Randet! ‒ gridò un terzo. Tutti lo salutavano

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