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Flutti incantati: Ciclo: Saga di Helmor
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Flutti incantati: Ciclo: Saga di Helmor
E-book121 pagine1 ora

Flutti incantati: Ciclo: Saga di Helmor

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Fantasy - romanzo breve (97 pagine) - Un giovane soldato stanco della guerra; un'adolescente maga delle ombre in fuga dalle persecuzioni, un esperto capitano contrabbandiere e una ciurma variegata affrontano tempeste e mostri marini, assalti di pirati e stregoneria.


Flutti incantati, la seconda avventura del giovane cacciatore e soldato  Helmor, lo vede imbarcarsi per il sud, stanco della guerra. Un viaggio per mare tra stregoneria e creature mostruose, bonacce e tempeste, pirati e contrabbandieri. A  condividere con lui i pericoli e i mistici tesori del mare c'è una sedicenne maga dell'ombra e dell'illusione, Shaylo Tar Lanth, ultima ma'rid sfuggita al massacro della sua stirpe.


Giorgio Smojver, nato a Padova da esuli giuliani, è laureato in Lettere classiche presso l'Università degli Studi di Padova, appassionato di mitologia comparata e letteratura medievale. È stato per anni bibliotecario e coordinatore del sistema bibliotecario del Comune di Padova, e in questa veste ha curato attività di promozione della letteratura. Ritiratosi, si è dedicato alla scrittura. Ha pubblicato i romanzi, Le Aquile e l'Abisso (Watson) e Artigli nei boschi (Delos Digital) e diversi racconti, tra i quali: L'anello infranto, in Premio Esecranda 2018, L'allodola e i rovi, in Oltre la Soglia, Castrum Daemonum in Impero – Antologia Gladius & Sorcery, Watson.

LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2019
ISBN9788825409567
Flutti incantati: Ciclo: Saga di Helmor

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    Anteprima del libro

    Flutti incantati - Giorgio Smojver

    9788825408683

    Introduzione

    In Flutti incantati, la seconda storia che ho scritto in vita mia (quattro anni fa, e più volte rielaborata) riprendo Helmor Occhi-di-Gatto, l'eroe di Artigli nei boschi in un contesto diverso.

    Come per il precedente romanzo sono due gli elementi che mi hanno spinto a scrivere questa storia. Il primo è il ricordo delle mie letture avventurose di infanzia, in questo caso le storie di marinai e corsari di Emilio Salgari. Il secondo il mio grande amore per l'opera di Tolkien e il rimpianto che egli non abbia potuto scrivere di più sulla meravigliosa terra di mezzo. Due temi erano trattati di scorcio in Il Signore degli Anelli, che lessi a venti anni: le navigazioni dei Numenoreani verso le terre del sud e dell'est e le colonie da loro fondate; la città di Umbar, più volte conquistata e persa, e i suoi corsari.

    Non potevo non chiedermi se i pirati dell' Harad, presentati in Il Signore degli Anelli come sanguinari saccheggiatori, non avessero, come i corsari di Salgari, delle ottime ragioni di rivalsa. E così decisi di portare il mio eroe, sempre disponibile all'avventura con i suoi modi svagati e per nulla convinto di avere una qualche missione da compiere, dai boschi del nord verso il sud del mondo, su una nave di contrabbandieri, qui chiamati Liberi Naviganti, e fargli incontrare pirati, mostri marini, tesori. Nell'immaginare i mostri del mare mi sono ispirato ai bestiari e agli itinerari antichi, e anche a quel grande scrittore sottovalutato che fu William Hope Hodgson.

    Naturalmente per una simile avventura picaresca non poteva essere affiancato dalla fiera e seria Valawyne, protagonista del primo libro, e qui del primo racconto. Gli ho dato quindi una nuova compagna di avventure, però su un piano di perfetta parità. Shaylo Tar Lanth è una Ma'rid, personaggi mitici dell'Oriente che io immagino simili agli Elfi, ma con la breve e avventurosa vita degli uomini, e per libera scelta. Shaylo non rientra, spero, nei cliché femminili dello Sword & Sorcery: non è una damigella da salvare, anzi spesso è lei a salvare la vita a Helmor; non è una guerriera, anche se sa combattere, se proprio costretta; non è una maliarda e seduttrice, anche se ha poteri di illusione; e pur avendo assistito al massacro della sua famiglia a causa della xenofobia degli uomini, non è una vendicatrice, l'odio è un sentimento a lei estraneo. L'ho voluta lieve, libera da ogni vincolo sociale, una girovaga mossa solo dalla curiosità e dagli affetti.

    Giorgio Smojver

    La notte del solstizio

    Ker Lionis. Solstizio d'estate dell'anno 2545 dalla Caduta di Atlantide

    Il lungo, torrido giorno infine declinava e il tramonto copriva di un regale manto d'oro e porpora le bianche torri della reggia e i palazzi dei Lord di Ker Lyonis. Con la brezza della sera uscivano a gruppi ragazzi con maschere di animali d'argento e bronzo dorato, con liuti e flauti in mano, che lanciavano complimenti audaci alle ragazze in abiti di sciamito e broccato a vivaci colori, inghirlandate di rose o viole. Era la festa del solstizio d'estate.

    Gli uni e le altre erano giovanissimi, quattordici, quindici anni. Dai sedici in su i nobili del regno di Finyas erano stati chiamati in guerra, ai confini, e le loro fidanzate e spose erano a casa, a piangere e filare. Il palazzo reale era vuoto e silente, a differenza degli altri anni: il re era morto in battaglia coi suoi figli, e non si sapeva a chi sarebbe andato il trono. Ma i ragazzi c'erano, e ostentavano un'allegria chiassosa, insolente, a dimostrare che barbari e guerre non potevano alterare le tradizioni di Finyas, che risalivano ad Atlantide.

    Fuori dalle mura di marmo, sul greto del fiume Liger, erano erette le case di rozze pietre e malta di falegnami, muratori e conciatori, molti venuti da altre terre, Ausonia, Iberia o persino dall'Africa. Quelli che gli Atlantidi chiamavano Uomini Comuni, attratti come falene dalla leggenda di Ker Lyonis, dove c'era sempre lavoro, perché gli Atlantidi dopo tre millenni di dominio del mare disdegnavano ogni attività diversa dallo studio e dalle armi. Ma la società di Finyas era chiusa, splendore e ricchezza restavano irraggiungibili, anche se i palazzi di marmo distavano solo un breve cammino dalle loro casupole. Forse era meglio restare a casa e sognare.

    Ma anche lì a modo loro festeggiavano il Solstizio. Le maschere erano di legno o paglia intrecciata, i gioielli solo pietre levigate e colorate. Si intrecciavano danze di vari paesi. In una piazzetta una ragazza bruna e snella, di non più di quindici anni, chiamava vecchi e giovani magnificando il meraviglioso spettacolo che avrebbe offerto. Nessuno le credette, ma non c'erano molti divertimenti nei quartieri poveri e si riunì una piccola folla. Aveva una corta zazzera di capelli neri e vestiva come un ragazzo, ma con una certa ricercatezza. Aveva solo cinque marionette di legno, usate e più volte aggiustate. Quando la folla fu abbastanza fitta, si pose in modo che il sole calante proiettiasse le ombre delle marionette contro un muro bianco.

    – Vi racconterò la storia del Viaggio a Occidente. Questi sono gli eroi: Atlas Stella del Mare, progenitore dei Re Atlantidi, il suo amico Melqar il Navigatore, e Leukodia, la sua amata. Questa è la loro nave e questi i malvagi, la terribile Rahab e l'immenso Kraken.

    La ragazza muoveva le marionette ed erano le ombre sul muro a far rivivere la vecchia storia. All'inizio erano vaghe e confuse, solo i bambini le guardavano incantati, i giovani ghignavano con aria di superiorità. Man mano con la narrazione le ombre divennero nitide, presero colore, forma, movimento. Leukodia divenne una fanciulla bellissima che faceva sognare i ragazzi, le ragazze palpitavano per l'ardimento e la forza di Atlas e Melqar, e tutti gridarono di paura quando Rahab si stagliò gigantesca e terribile sul muro, i tentacoli del Kraken emersero con movimenti fluidi dagli abissi e gli eroi li fronteggiarono con le lance. La burattinaia dava voce a tutti i personaggi e soffiava in una grande conchiglia a riprodurre il suono del mare in tempesta.

    Quando terminò e si inchinò, piovvero monete di rame e anche un paio d'argento.

    Molti chiedevano un'altra storia ma uomini armati di randelli irruppero nella piazza. Portavano dischi di rame e fasce arancio al braccio e tutti sapevano chi fossero; i Guardiani di Belenos, miliziani che mentre l'esercito era ai confini, si erano proclamati tutori dell'ordine ed estorcevano agli abitanti una tassa per la protezione; protezione da cosa, poi, nessuno lo sapeva. Un sacerdote alto, dal manto di porpora, chiamato Kaedros, li comandava, e tuonava contro l'empietà di coloro che ascoltano i sacri miti storpiati da una strega da fiera, straniera, forse una spia del Nemico. Comandò che la ragazza fosse legata, fustigata e portata al tempio. Ma la cercarono invano.

    Quando la folla si disperse brontolando e anche il sacerdote e i suoi sgherri rinunciarono alla caccia, la ragazzina uscì da un angolo d'ombra, dove era sempre restata, ma chissà come nessuno l'aveva vista. Ho fatto a tempo a salvare le marionette, ma hanno preso le monete che m'ero guadagnata. Non vi divertirete a fustigarmi, stasera, Finyani. E io farò visita alla casa di qualcuno tra voi e mi prenderò i suoi averi, da viverci per mesi. Colpa vostra, non sarei obbligata a farlo se mi lasciaste lavorare. Non la casa di uno di questi tirapiedi da due soldi, ma di un alto ufficiale che è in guerra, ad ammazzare altri disgraziati la cui sola colpa è di non discendere da Atlantide. Quando tornerà non ritroverà le sue ricchezze. Spiava quel palazzo da giorni: c'erano pochi anziani servitori, il vecchio Lord padre, un bambino e una ragazzina che pareva venuta dalla campagna. Sin troppo facile.

    Nel stanze profonde sotto il santuario di Belenos, di rosso porfido e dal tetto di rame, Kaedros mandò via con un cenno irritato i miliziani ed entrò nella Cripta, cui solo lui poteva accedere. Guardiani di Belenos, che imbecillità! Da tempo Kaedros era devoto a un Signore assai più potente di Belenos, Azi Dahak, Sire delle Terre Selvagge. Si avvicinò alla giovane strega incatenata al muro e con gesto quasi distratto le incise una vena e fece scorrere il sangue nel boccale. Ingollò un paio di sorsi. La strega ormai era così debole da non aver più la forza di maledire o implorare. Non aveva mai avuto un vero potere, è solo una ragazza di campagna che ha imparato qualche trucco e l'uso delle erbe. La maga delle ombre, che da un mese gli sfuggiva, quella sì aveva un potere autentico, mascherato dietro ai suoi giochi da fiera! Kaedros non l'aveva ancora vista, ma l'avrebbe presa, oh sì, ne avrebbe bevuto il sangue e inglobato il potere. Ma quella era solo una distrazione, doveva occuparsi del vero compito. La Pietra della Luna si era manifestata improvvisamente a Ker Lyonis; era eredità della Stirpe della Luna, che un tempo aveva regnato ad Arados, nel continente meridionale. Azi Dahak la bramava, ma Ker Lyonis, fondata dai

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